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Comprare casa e accorgersi di gravi vizi o difetti è purtroppo assai frequente, come tutelarsi allora?

 

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PROVA DEI VIZI  l’onere della prova dei difetti che rendono la cosa inidonea all’uso o ne diminuiscono il valore incombe sul compratore, non trova deroga con riguardo alla presunzione di colpa che in tema di inadempimento della obbligazione è a carico del debitore,

atteso che quest’ultimo è tenuto a giustificare l’inadempimento che il creditore gli attribuisce, solo quando lo stesso creditore abbia preventivamente dimostrata l’inesatta esecuzione della prestazione stessa. Questo viene affermato dalla Corte Suprema con sentenza Cass. civ. n. 18947/2017

Cass. civ. n. 18947/2017

La garanzia per i vizi della cosa venduta  l’onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza. Questo viene affermato dalla Corte Suprema con sentenza18947 del 31 luglio 2017

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vizi occulti immobile quali sono? vizi occulti immobile acquistato da privato Bologna dopo l’acquisto di un immobile si riscontrino dei vizi prima ignorati, la legge prevede a beneficio del compratore una tutela anche nei confronti dell’impresa di costruzioni.

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Il costruttore dell’immobile è responsabile per gravi vizi dell’edificio sia nei confronti del committente che dei successivi compratori dell’immobile.

Quando l’immobile si trovi in condominio, la relativa azione può essere proposta sia dall’amministratore (anche in mancanza di una delibera dell’assemblea) che dal singolo condomino, anche per la tutela dei diritti riguardanti le parti comuni dell’edificio.

Per questa ipotesi di responsabilità, la legge opera una classificazione dei vizi idonei a generare un diritto al risarcimento del nuovo proprietario, distinguendo fra i cosiddetti vizi “non gravi” da quelli “gravi”.

La prima distinzione da fare è tra responsabilità contrattuale, ed extracontrattuale. Esse hanno in comune la stessa nozione di responsabilità, intesa come sanzione alla violazione di un dovere giuridico, ma si differenziano sul contenuto. La prima si basa sul comportamento disciplinato dal contratto, tutelando così l’adempimento; la seconda, detta anche responsabilità aquiliana, è diretta al risarcimento ed all’eliminazione dei danni provocati da un comportamento illecito. Ne consegue che la responsabilità extracontrattuale è una situazione giuridica soggettiva, diversamente si rientrerebbe nell’ambito della responsabilità contrattuale. Grande dibattito teorico si è avuto in merito al fondamento della responsabilità aquiliana. Le correnti dottrinali si sono suddivise tra la posizione tradizionale della concezione etica: che inquadra la responsabilità in termini di sanzione ad un comportamento volontariamente contrario al dettato di una norma giuridica. Si presuppone, perciò, che vi sia quanto meno la colpa, come elemento soggettivo. La critica maggiore a tale pensiero è stata fatta a seguito dell’aumentare dei danni c.d. di massa, dove l’illiceità per colpa risulta inadeguata a tutelare le persone offese.La legge impone al compratore una serie di atti e comportamenti da porre in essere per poter invocare la garanzia offerta in caso di vizi e difetti sconosciuti.

SEPARAZIONE E SOLDI
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Quando l’immobile si trovi in condominio, la relativa azione può essere proposta sia dall’amministratore (anche in mancanza di una delibera dell’assemblea) che dal singolo condomino, anche per la tutela dei diritti riguardanti le parti comuni dell’edificio.

Per questa ipotesi di responsabilità, la legge opera una classificazione dei vizi idonei a generare un diritto al risarcimento del nuovo proprietario, distinguendo fra i cosiddetti vizi “non gravi” da quelli “gravi”.

La differenza è sostanziale, perché nel primo caso l’azione contro l’appaltatore si prescrive in 2 anni dal giorno della consegna dell’opera, mentre nel secondo caso l’appaltatore è tenuto alla garanzia per 10 anni.

A tal fine si dovrà fare molta attenzione al termine di prescrizione previsto dalla legge. La garanzia a favore dell’acquirente può essere invocata entro un anno dalla consegna dell’immobile.

Scaduto il termine, l’interessato non potrà più rivolgersi al giudice per esercitare le azioni a lui riconosciute.

Qualora fosse il compratore, per altra ragione, a essere convenuto in giudizio da parte del venditore, la garanzia potrà sempre essere fatta valere, anche decorso l’anno, purché il vizio sia stato denunciato nei tempi previsti.

Azioni di garanzia in caso di vizi dell’immobile acquistato

Vediamo in cosa consiste la tutela prevista dalla legge a favore del compratore che abbia contestato nei termini il vizio dell’immobile.

La Seconda sezione – nell’affrontare, con la richiamata ordinanza interlocutoria, la questione implicata dal secondo motivo di ricorso, con il quale si contestava che le comunicazioni con cui l’acquirente aveva manifestato alla venditrice l’esistenza di vizi dei beni venduti, prospettando, mediante tali atti, il ricorso alla tutela giudiziaria, poi effettivamente esperito, costituissero atti idonei ad interrompere, la prescrizione della garanzia del venditore, di cui all’art. 1490 c.c. e delle azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo che da essa derivano ex art. 1492 c.c. – ha osservato come su tale questione si siano essenzialmente formati due orientamenti contrastanti nella giurisprudenza della Corte. Secondo un primo indirizzo, la prescrizione della garanzia, stabilita dall’;art. 1495, comma 3, c.c. in un anno, è interrotta dalla manifestazione stragiudiziale al venditore della volontà – del compratore – di volerla esercitare, anche se il medesimo riservi ad un momento successivo la scelta tra la tutela alternativa di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto. Ai fini interruttivi, peraltro, non sarebbe necessaria la precisazione del tipo di tutela giudiziaria che il compratore intende richiedere né risulterebbe rilevante che egli riservi ad un momento successivo tale scelta.

In tal senso si è espressa Cass., sez. 2, 10 settembre 1999, n. 9630 e, ancor prima, si era pronunciata nello stesso senso Cass., sez. 2, 6 giugno 1977, n. 2322.

Tale orientamento è stato poi ripreso da Cass., Sez. 2, 8 luglio 2010, n. 18035 e da Cass., Sez. 2, 10 novembre 2015, n. 22903. L’interpretazione accolta da tali pronunce – osserva la Seconda Sezione – postula la distinzione tra la garanzia, intesa quale situazione giuridica autonoma suscettibile di distinti atti interruttivi della prescrizione, e le azioni edilizie di cui all’art. 1492 c.c. che da essa derivano.

Tale distinzione sarebbe alla base della sentenza di queste Sezioni unite n. 13294 del 2005, la quale ha affermato che l’impegno del venditore di eliminare i vizi della cosa venduta non costituisce una nuova obbligazione estintivo- satisfattiva dell’originaria obbligazione di garanzia, ma consente al compratore di essere svincolato dai termini di decadenza e dalle condizioni di cui all’art.1495 c.c. ai fini dell’esercizio delle azioni di cui al citato art. 1492 c.c., costituendo riconoscimento del debito interruttivo della prescrizione. Secondo un diverso orientamento, invece, la facoltà riconosciuta al compratore di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo ha natura di diritto potestativo a fronte del quale la posizione del venditore è di mera soggezione. Conseguentemente, si è ritenuto che il termine di prescrizione per l’esercizio di tali azioni possa essere interrotto unicamente attraverso la domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora ex art. 1219, comma 1, c.c. i quali si attagliano ai diritti di credito ma non ai diritti potestativi. Quale espressione di questo orientamento sono richiamate le pronunce della Seconda sezione n. 18477 del 2003, n. 20332 del 2007 e n. 20705 del 2017.

Tale ricostruzione – osserva l’ordinanza interlocutoria – non distingue tra prescrizione della garanzia e prescrizione delle azioni edilizie e condurrebbe a ritenere inidoneo ai fini interruttivi l’impegno del venditore di eliminare i vizi, «e ciò senza indagare se detto atto, in quanto idoneo a interrompere la prescrizione della garanzia impedisca pure la prescrizione delle azioni edilizie “a valle”». Si pone pertanto, ad avviso della Seconda Sezione, la questione di stabilire quali atti siano idonei ad interrompere il breve termine prescrizionale previsto dall’;art. 1495 c.c. e cioè se, a tal fine, valga solo l’azione giudiziale ovvero siano idonei anche altri atti e quale debba essere il loro contenuto, nonché il rapporto tra la garanzia, intesa quale autonoma posizione sostanziale e processuale, e quali i diritti e le azioni che da essa hanno origine.

Tale questione postula a monte la risoluzione di altra controversa problematica relativa alla natura giuridica della garanzia per vizi e del rapporto tra le categorie generali della “garanzia” da una parte e delle situazioni giuridiche passive dall’;altra.

2.2. La specifica questione sottoposta all’esame delle Sezioni unite. Da quanto riportato si evince, dunque, che la questione centrale – qualificata come di massima di particolare importanza – prospettata dalla Seconda Sezione  previa qualificazione dell’istituto della garanzia per vizi nella compravendita (con esclusione, stante la loro peculiare disciplina, delle fattispecie di compravendita disciplinate dal c.d. codice del consumo), concerne l’individuazione degli atti idonei a interrompere la prescrizione di cui all’art. 1495, comma 3, c.c., ai sensi degli artt. 2943 e segg. c.c., ed in particolare se possa riconoscersi tale effetto anche ad atti diversi dalla proposizione dell’azione giudiziale, e se, ed in quale misura, detti atti interruttivi inibiscano il decorso della prescrizione in relazione alle azioni edilizie di cui all’art. 1492, comma 1, c.c. .

2.3. La disciplina della garanzia per vizi della cosa. Si rileva, in primo luogo, l’opportunità di esporre una sintesi di massima sugli aspetti generali maggiormente precipui della regolamentazione che presiede alla tutela della garanzia per i vizi dell’oggetto della compravendita. Una parte rilevante delle disposizioni codicistiche in tema di vendita concerne le garanzie cui il venditore è tenuto nei confronti del compratore e, in particolare, la garanzia per evizione, la garanzia per vizi (artt. 1490-1496 c.c.), la mancanza di qualità (art. 1497 c.c.) e la garanzia di buon funzionamento (art. 1512 c.c.).

La riconducibilità di tutte tali ipotesi ad un medesimo fondamento è tuttora discussa in dottrina e giurisprudenza, così come non è del tutto pacifica la natura giuridica delle stesse, anche in ragione della disciplina articolata e non univoca predisposta dal legislatore. Le questioni prospettate attengono alla garanzia per il c.d. vizio redibitorio, cioè il vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuisce in modo apprezzabile il valore (art. 1490 c.c.).

Tale garanzia è espressamente contemplata dall’;art. 1476, n. 3, c.c. che la include tra le obbligazioni principali del venditore. Gli effetti della garanzia sono delineati dal comma 1 dell’art. 1492 c.c. il quale prevede che, nei casi di cui all’art. 1490 c.c., il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (azione redibitoria), ovvero la riduzione del prezzo (azione estimatoria, o quanti minoris), salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.

La scelta tra le due forme di tutela può avvenire fino al momento della proposizione della domanda giudiziale e da tale momento è irrevocabile. Alla risoluzione del contratto conseguono effetti restitutori in quanto il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare al compratore le spese e i pagamenti sostenuti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa, a meno che questa non sia perita a causa dei vizi (art. 1493 c.c.). L’art. 1494 c.c. riconosce, inoltre, al compratore il diritto al risarcimento del danno, a meno che il venditore non dimostri di aver ignorato senza sua colpa l’esistenza dei vizi.

Il venditore è, altresì, tenuto a risarcire i danni derivanti dai vizi (art. 1494, comma 2 c.c.). Si ritiene che, mentre la responsabilità risarcitoria del venditore presuppone che egli versi in una situazione di colpa, i rimedi di cui all’art. 1492 c.c., invece, prescindono da questa e sono azionabili per il fatto oggettivo della esistenza dei vizi.

La garanzia resta esclusa se, al momento della conclusione del contratto, il compratore era a conoscenza dei vizi o questi erano facilmente riconoscibili secondo l’ordinaria diligenza, a meno che il venditore abbia dichiarato che la cosa ne era esente (art. 1491 c.c.).

La garanzia può anche essere esclusa o limitata pattiziamente ma tale patto non vale se il venditore abbia in malafede taciuto al compratore i vizi da cui era affetta la cosa (art. 1490, comma 2 c.c.). L’esercizio delle azioni previste dall’;art. 1492 c.c. (cc.dd. azioni edilizie) è circoscritto temporalmente attraverso la previsione di un duplice termine, di decadenza e di prescrizione.Infatti, ai sensi dell’art. 1495, comma 1, c.c., il compratore decade dal diritto di garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, ma le parti possono stabilire convenzionalmente un termine diverso. Nel caso in cui il venditore abbia riconosciuto l’esistenza del vizio o lo abbia occultato, la denuncia non è necessaria. L’art. 1495, comma 3, c.c. — che rappresenta la norma intorno alla quale ruota la questione rimessa a queste Sezioni unite – prevede, inoltre, un breve termine di prescrizione disponendo che l’azione si prescrive in ogni caso in un anno dalla consegna. Tuttavia, convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto, il compratore può sempre far valere la garanzia, purché il vizio sia stato denunciato entro il termine di decadenza e prima che sia decorso un anno dalla consegna. Agli stessi termini si ritiene soggetta anche l’azione di risarcimento del danno. L’art. 1497 c.c. contempla, altresì, in favore del compratore un rimedio per la mancanza di qualità promesse o essenziali per l’uso cui è destinata, soggetto anch’esso ai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1495. Proprio al fine di svincolare l’acquirente dai limiti imposti dall’;art. 1495 c.c. ed assicurargli una tutela più ampia, la giurisprudenza ha elaborato la figura dell’aliud pro alio datum, la quale ricorre quando vi è diversità qualitativa tra la cosa consegnata e quella pattuita, ovvero anche in ipotesi di vizi di particolare gravità.

In tal caso la tutela del compratore è assicurata attraverso i rimedi ordinari dell’azione di risoluzione e di esatto adempimento secondo il termine di prescrizione ordinario, oltre che con il risarcimento del danno. Parte della dottrina (seguita pure da un circoscritto filone giurisprudenziale), sempre al fine di garantire una tutela più ampia al compratore e ispirandosi alla normativa comunitaria relativa ai beni di consumo, si era anche orientata a riconoscere al compratore l’azione di esatto adempimento, cioè la possibilità di agire in giudizio per ottenere la riparazione o sostituzione del bene.

Tale possibilità è stata, tuttavia, espressamente esclusa da queste Sezioni unite con la sentenza n. 19702 del 2012, secondo cui il compratore, per l’appunto, non dispone – neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica – di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene.

2.4. Cenni sul fondamento e sulla natura giuridica della responsabilità della garanzia per vizi.

Il recente intervento delle Sezioni unite con la sentenza n. 11748/2019. Così sinteticamente delineata la disciplina positiva codicistica, si rileva come la configurazione dogmatica della garanzia per vizi non sia del tutto pacifica. Essa ha costituito oggetto di ampie e diversificate tesi, che hanno spaziato tra quella che individua nella garanzia una vera e propria assicurazione contrattuale a quella che la colloca nell’ambito della teoria dell’errore, quale vizio del consenso, ovvero da quella che ha posto riferimento all’istituto della presupposizione a quella che ha ravvisato un caso particolare di applicazione delle regole sulla responsabilità precontrattuale. All’interno della dottrina – considerata prevalente – che riconduce le garanzie edilizie ad una ipotesi di responsabilità per inadempimento (intesa nel senso di inesecuzione od inesatta esecuzione del contratto), risultano, poi, diversificate le opinioni in ordine all’identificazione dell’obbligazione da ritenere inadempiuta i nel caso di vizi della cosa oggetto di compravendita. E’ indubbio che il fondamento della responsabilità per vizi e difetti rinviene la sua causa nel fatto che il bene consegnato non corrisponde all’oggetto dovuto alla luce di quanto previsto nell’atto di autonomia privata. Orbene, il collegio, con riferimento a questa problematica (presupposta nella individuazione della questione di massima di particolare importanza sollevata dalla Seconda sezione) che concerne specificamente l’individuazione della natura giuridica di tale forma di responsabilità, si richiama al risolutivo inquadramento operato da queste stesse Sezioni unite con la recente sentenza n. 11748 del 3 maggio 2019. Con essa – pur dovendosi risolvere la diversa questione sul riparto dell’onere probatorio tra venditore e compratore con riferimento all’esercizio di siffatta tutela della garanzia per vizi – è stata ricondotta ad un tipo di responsabilità (contrattuale ma non corrispondente del tutto a quella ordinaria, atteggiandosi come peculiare in virtù della specifica disciplina della vendita) per inadempimento che deriva dall’;inesatta esecuzione del contratto sul piano dell’efficacia traslativa per effetto delle anomalie che inficiano il bene oggetto dell’alienazione, ovvero che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, e sempre che i vizi – ovviamente – siano preesistenti alla conclusione del contratto, tenuto anche conto che – ai sensi dell’art. 1477, comma 1, c.c. – il bene deve essere consegnato dal venditore nello stato in cui si trovava al momento della vendita. E’, in altri termini, solo l’inesistenza di tali tipi di vizi che consente di realizzare oltre che il sinallagma genetico anche quello funzionale, puntualizzandosi, però, che la responsabilità relativa alla loro garanzia prescinde da ogni giudizio di colpevolezza basandosi sul dato oggettivo dell’esistenza dei vizi stessi e traducendosi nella conseguente assunzione del rischio – di origine contrattuale – da parte del venditore di esporsi all’esercizio dei due rimedi edilizi di cui può avvalersi, a sua scelta, il compratore, al quale è riconosciuto anche il diritto al risarcimento dei danni, salvo che il venditore provi di aver senza colpa ignorato i vizi.

2.5. Le conseguenze delle diverse ricostruzioni sui rimedi a tutela del compratore. Esposte le varie posizioni sul fondamento e sulla natura giuridica della garanzia per vizi, bisogna, tuttavia, osservare che la dottrina si è pure occupata – anche se in modo non del tutto approfondito – della collegata problematica relativa agli strumenti rimediali in favore dell’acquirente discendenti dalle richiamate ricostruzioni.

La ratio della previsione di un ristretto termine di prescrizione viene prevalentemente rinvenuta nella esigenza di evitare che il decorso del tempo renda eccessivamente gravoso l’accertamento delle cause dei difetti e di salvaguardare la certezza delle sorti del contratto. Tuttavia, proprio la brevità di un tale termine ha posto la questione della individuazione degli atti idonei ad interrompere la prescrizione.In dottrina il dibattito è stato particolarmente intenso allorquando si è messa in evidenza la circostanza – a cui attiene propriamente la questione di massima di particolare importanza da risolvere in questa sede – che l’art. 1495, comma 3, c.c. riferisce i termini di prescrizione all’azione, a differenza dell’art. 2934 c.c. il quale rivolge la prescrizione ai diritti. Da ciò si è ritenuto, per un verso, che ad evitare la perdita della garanzia varrebbe soltanto l’esercizio dei mezzi processuali e, per altro verso ed in senso contrario, altri orientamenti hanno obiettato che il dato letterale del riferimento della prescrizione all’azione anziché al diritto sarebbe irrilevante posto che la terminologia legislativa non può ritenersi decisiva in quanto anche altre volte esprime la pretesa sostanzialmente in termine di azione (nell’art. 2947, comma 3, c.c. si parla con formule equivalenti di prescrizione dell’azione e di prescrizione del danno). Ma, soprattutto, si rileva come i rimedi edilizi siano rimedi sostanziali in quanto attraverso di essi il compratore fa valere un diritto contrattuale. Conseguentemente, benché i rimedi previsti a vantaggio dell’acquirente siano indicati come azioni (di risoluzione ed estimatoria), in realtà essi non coinvolgerebbero tematiche processuali ma avrebbero contenuto sostanziale di tutela del diritto. Per tale ragione sarebbero idonei a interrompere la prescrizione non solo il riconoscimento, da parte del venditore, (non del vizio ma) del diritto del compratore alla garanzia, ma anche, in virtù dell’art. 2943 c.c., gli atti di costituzione in mora del venditore e pure l’impegno assunto da quest’ultimo di eliminare i vizi. Meriti menzione anche un ulteriore peculiare indirizzo il quale ritiene, invece, che il compratore possa valersi soltanto dell’interruzione della prescrizione derivante o dalla proposizione della domanda giudiziale, cui si equipara l’esperimento del procedimento preventivo ex art. 1513 c.c., o dal riconoscimento da parte del venditore del suo diritto alla garanzia.

2.6. – Le posizioni della pregressa giurisprudenza sulla questione oggetto dell’ordinanza interlocutoria. Come rilevato nell’ordinanza di rimessione della Seconda sezione (cfr. paragr. 2.1), si rinvengono nella giurisprudenza di questa Corte sostanzialmente due distinti orientamenti circa la qualificazione giuridica della garanzia per vizi e, conseguentemente, sulla individuazione degli atti interruttivi della prescrizione. Un primo orientamento configura la garanzia per vizi come un autonomo diritto in forza del quale il compratore può, a sua scelta, domandare la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo. Ne consegue che quando il compratore comunica al venditore che intende far valere il diritto alla garanzia, egli interrompe la prescrizione inerente a tale diritto. A tal fine si ritiene che non sia necessaria la precisazione del tipo di tutela che andrà a chiedere in via giudiziaria ed è altresì irrilevante, ai fini della idoneità della interruzione, la riserva di scelta del tipo di tutela, in quanto – si afferma – non rappresenterebbe comunque riserva di far valere un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione (così Cass., Sez. 2, Sentenza n. 9630 del 1999). Più di recente, Cass., Sez. 2, n. 22903 del 2015, richiamando il precedente del 1999, ha affermato che costituisce atto interruttivo della prescrizione della garanzia per vizi della cosa la manifestazione al venditore della volontà – del compratore – di volerla esercitare, benché lo stesso differisca ad un momento successivo l’opzione per il tipo di strumento rimediale da esercitare. A tal fine, la Corte ha valutato come idonea l’espressione “con più ampia riserva di azione”, contenuta nel telegramma inviato al venditore, con cui il compratore contestava i vizi dell’immobile acquistato, ritenendo sufficiente la comunicazione della volontà di avvalersi della garanzia suddetta e dovendosi escludere che la riserva di scelta del tipo di tutela sia diretta a far valere un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione (nella pronuncia qui richiamata del 2015, si è anche aggiunto che, ai fini di una valida costituzione in mora e del verificarsi dell’effetto interruttivo della prescrizione, non è necessario che il compratore, insieme con la contestazione dei vizi, eserciti la scelta dell’azione, la quale è procrastinabile fino alla proposizione della domanda giudiziale). Un secondo orientamento (cfr. Cass., Sez. 2, nn. 18477/2003, 20332/2007, 8417/2016 e n. 20705/2017) ha affermato che, siccome l’esercizio delle azioni edilizie in favore del compratore di una cosa affetta da vizi implica la configurazione di una posizione del venditore di mera soggezione, dovrebbe conseguire che la prescrizione dell’azione, fissata in un anno dall’;art. 1495, comma 3, c.c., può essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione della domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora. Ciò sul presupposto che gli atti al quale l’art. 2943, comma 4, c.c. connette l’effetto di interrompere la prescrizione sono infatti quelli che valgono a costituire in mora “il debitore” e devono consistere, per il disposto dell’art. 1219 c.c., comma 1, c.c. in una “intimazione o richiesta” di adempimento di un’obbligazione (previsioni che si attagliano ai diritti di credito e non a quelli potestativi). E’, peraltro, opportuno mettere in risalto che un tentativo di ricostruzione unitaria dei due orientamenti manifestatisi nella giurisprudenza di legittimità è stato operato da una sentenza della Seconda sezione, la n. 8418 del 2016 (non mass.), la quale ha sostenuto che essi avrebbero riguardo a situazioni distinte. Si è in essa, infatti, sostenuto che la richiamata sentenza n. 9630 del 1999, nel considerare atto interruttivo della prescrizione dell’azione di garanzia la manifestazione della volontà del compratore di volerla esercitare, riguarderebbe l’ipotesi in cui il compratore abbia espresso la volontà di esercitare la garanzia e si sia riservato di effettuare successivamente la scelta tra i rimedi consentiti dall’;art. 1492 c.c. . Diversa sarebbe, invece, l’ipotesi in cui il compratore dichiari di avvalersi direttamente dell’azione di risoluzione del contratto.

In tal caso differente sarebbe la modalità di interruzione della prescrizione dal momento che la facoltà riconosciuta al compratore di chiedere la risoluzione gli conferirebbe un diritto potestativo a fronte del quale la posizione del venditore sarebbe di mera soggezione, non essendo egli tenuto a compiere alcunché ma solo a subire gli effetti della sentenza costitutiva.

In tale ipotesi, per l’interruzione della prescrizione occorrerebbe dar luogo solo all’esperimento dell’azione giudiziale, non assumendo efficacia a tale scopo l’intimazione riconducibile a meri atti di costituzione in mora.

2.7. La risoluzione della questione di massima di particolare importanza sottoposta all’esame delle Sezioni unite.Ritiene il collegio che la questione individuata nell’ordinanza interlocutoria della Seconda sezione n. 23857/2018 debba essere risolta accedendo all’impostazione e al relativo percorso ermeneutico adottati, in prima battuta, con la sentenza n. 9630/1999 e poi ripresi dalla sentenza n. 22903/2015, con cui si è statuito il principio alla stregua del quale la prescrizione della garanzia per vizi è interrotta dalla comunicazione al venditore della volontà del compratore di esercitarla benché questi riservi ad un momento successivo la scelta del tipo di tutela, dovendosi escludere che la riserva concerna un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione. Come prevede l’art. 1495, comma 3, c.c. l’azione di garanzia per i vizi e la mancanza di qualità dovute si prescrive in un anno dalla consegna. Questo termine breve (di natura eccezionale – è, perciò, non estensibile al di fuori dei casi previsti – così fissato dal legislatore per garantire la stabilizzazione, in tempi circoscritti, dei rapporti economici riconducibili alle contrattazioni in tema di compravendita), che si collega all’onere della preventiva denuncia il cui assolvimento è prescritto dal comma 1 dell’art. 1495 c.c., concerne la tutela contrattuale del compratore per far valere l’inesatto adempimento per difettosità del bene oggetto della vendita, a prescindere dal rimedio.

Il presupposto di fondo, quindi, consiste nella configurazione di tale responsabilità dell’acquirente come obbligazione derivante “ex contractu” nei termini precedentemente precisati (v. paragr. 2.4). E’ il momento della consegna che individua il “dies a quo” della decorrenza di tale termine di prescrizione. E’, altresì, pacifico che, ove la consegna non sia accettata, il termine prescrizionale abbreviato in questione non decorre, poiché il rifiuto dell’acquirente non consente di considerare eseguita la prestazione. Ai sensi dello stesso art. 1495, comma 3, c.c., il compratore può avvalersi della garanzia in esame anche oltre il suddetto termine prescrizionale allorquando sia il venditore ad agire per l’esecuzione del contratto. Al di là della descritta peculiarità della disciplina della prescrizione in questione, le Sezioni unite ritengono che – per quanto non espressamente previsto – trovi applicazione la disciplina generale in tema di prescrizione, con la conseguente operatività, tra l’altro, delle ordinarie cause di interruzione e di sospensione (con particolare riferimento – per quel che rileva in questa sede – all’art. 2943 c.c. e, specificamente, al suo comma 4).

Il diverso indirizzo che ritiene necessario ai fini dell’interruzione del termine prescrizionale annuale l’esercizio dell’azione (a cui pone formale riferimento l’incipit del comma 3 dell’art. 1495 c.c., che non discorre del diritto di far valere l’azione entro detto termine ma sancisce testualmente che “l’azione di prescrive…”) in via giudiziale non può essere condiviso. Deve, infatti, osservarsi che, in primo luogo, l’attuale formulazione diverge da quella adottata nel codice civile del 1865 che, invece, lasciava propendere per la necessità dell’esperimento dell’azione giudiziale (l’art. 1505, comma 1, di detto codice prevedeva testualmente che “l’azione redibitoria deve proporsi entro un anno dalla consegna”).

La formula ora prevista nel comma 3 dell’art. 1495 del vigente codice civile si richiama esplicitamente alla prescrizione e, pur discorrendosi di prescrizione dell’azione, va

Rilevato che il ricorso a tale terminologia non può ritenersi decisivo nel senso che debba ritenersi riferibile esclusivamente all’esercizio dell’azione giudiziale. Su un piano sistematico va, infatti, osservato che, anche in altre disposizioni normative, il legislatore ha posto riferimento – ma in senso atecnico dal punto di vista giuridico – alla pretesa sostanziale in termine di azione (dove si avverte il senso concreto della tutela della posizione soggettiva nell’ordinamento: cfr., ad es., l’art. 2947, comma 3, c.c. in cui si parla, indistintamente e con formule equivalenti, di prescrizione dell’azione e di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, e l’art. 132, comma 4, del c.d. codice del consumo – d.lgs. n. 206/2005 – laddove, per un verso, si parla di azione e, per altro verso, si parla di “far valere i diritti” correlati ai vizi della cosa venduta). Diversamente, sempre con riferimento alla vendita, l’art. 1497 c.c. – riferito alla risolubilità del contratto per “mancanza di qualità” – sancisce, al comma 2, che il diritto di ottenere la risoluzione (e non, quindi, l’esercizio della relativa azione) è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite proprio dal precedente art. 1495.Appare, quindi, incontestabile che, con riguardo al potere di agire, viene in rilievo la pretesa sostanziale del compratore, ovvero la pretesa contrattuale all’esatta esecuzione del contratto, con la conseguenza che, alla tutela di questa pretesa ad essere garantito se insoddisfatta, soccorrono i rimedi sostanziali che non si sostituiscono al diritto primario ma ne perseguono una tutela diretta o indiretta.

In sostanza, nella prospettiva generale della questione in esame, deve sottolinearsi che, in effetti, non si verte propriamente nell’ipotesi di esercitare un singolo specifico potere ma di far valere il “diritto alla garanzia” derivante dal contratto, rispetto al quale, perciò, non si frappongono ostacoli decisivi che impediscono l’applicabilità della disciplina generale della prescrizione (e che, invece, in un’ottica sistematica, appare con esso compatibile), ivi compresa quella in materia di interruzione e sospensione. Quando si avvale della “garanzia” il compratore fa valere l’inadempimento di una precisa obbligazione del venditore (contemplata dall’;art. 1476 n.

3) c.c.) e, conseguentemente, sul piano generale, deve ammettersi che lo possa fare attraverso una manifestazione di volontà extraprocessuale e ciò si inferisce anche da quanto stabilisce l’art. 1492, comma 2, c.c., il quale, prevedendo che “la scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale”, significativamente la prefigura, riconnettendo, invero, alla domanda in sede processuale la sola impossibilità di rimeditare l’opzione tra risoluzione e riduzione del prezzo. Anche questo argomento di tipo logico-sistematico conforta, quindi, l’ammissibilità dell’interruzione della prescrizione con un atto stragiudiziale, fermo rimanendo che l’interruzione si limita a far perdere ogni efficacia al tempo già trascorso prima del compimento dell’atto, senza interferire con il modo di essere del diritto.

La soluzione per la quale si propende si lascia preferire anche per una ragione di ordine generale che impatta sul piano socio-economico posto che, per effetto dell’operatività dell’interruzione della prescrizione secondo la disciplina generale (e, quindi, anche mediante atti stragiudiziali), esiste una plausibile possibilità che il venditore intervenga eventualmente – a seguito della costituzione in mora – eliminando i vizi (possibile, se le parti convengano, prima e al di fuori del processo, configurandosi solo in questo senso la limitazione dei rimedi stabilita dagli artt. 1490 e segg.), così evitando che il compratore debba rivolgersi necessariamente al giudice esercitando la relativa azione in sede, per l’appunto, giudiziale. Questa possibilità è idonea ad perseguire – in termini certamente più ristretti rispetto a quelli fisiologici di un giudizio – un’efficace tutela delle ragioni dell’acquirente, senza tuttavia penalizzare eccessivamente il venditore, poiché dal momento dell’interruzione della prescrizione ricomincia a decorrere il termine originario: in tal modo è, altresì, assicurato alle parti un congruo spatium deliberandi e si evita la conseguenza di una inutile proliferazione di giudizi, così rimanendo realizzato un ragionevole bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti.

In definitiva, il collegio ritiene che non sussistano ragioni innpeditive determinanti per negare al compratore di avvalersi della disciplina generale in tema di prescrizione – con correlata applicabilità anche dell’art. 2943, comma 4, c.c. – e, quindi, per imporgli di agire necessariamente in via giudiziale al fine di far valere la garanzia per vizi in tema di compravendita. Da ciò consegue che non solo le domande giudiziali ma anche gli atti di costituzione in mora (ai sensi dell’appena citato art. 2943, comma 4, c.c., che si concretano – in relazione al disposto di cui all’art. 1219, comma 1, c.c. – in qualsiasi dichiarazione formale che, in generale, esprima univocamente la pretesa del creditore all’adempimento) da parte del compratore costituiscono cause idonee di interruzione della prescrizione: l’effetto che ne deriva è che, una volta che si faccia ricorso a tali atti entro l’anno dalla consegna, inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione di un anno (ai sensi della norma generale di cui al primo comma dell’art. 2945 c.c.) e l’idoneità interruttiva di tali atti persegue, come già evidenziato, anche lo scopo – in presenza, peraltro, di un termine così breve – di favorire una risoluzione (stragiudiziale) preventiva della possibile controversia rispetto all’opzione, a tutela delle ragioni del compratore, per la scelta di vedersi riconosciuto il diritto alla garanzia (e di ottenere uno degli effetti giuridici favorevoli previsti dalla legge) solo mediante l’esercizio dell’azione in via giudiziale.In definitiva, quale principio di diritto risolutivo della prospettata questione di massima di particolare importanza, deve affermarsi che: nel contratto di compravendita, costituiscono – ai sensi dell’art. 2943, comma 4, c.c. – idonei atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, prevista dall’;art. 1495, comma 3, c.c., le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 12191 comma 1, c.c., con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’;art. 2945, comma 1, c.c.

Sono previste due tipologie di azioni: l’azione redibitoria e l’azione estimatoria.L’azione redibitoria è’ l’azione con la quale la parte acquirente può chiedere la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo corrisposto.

A seguito dei vizi accertati il soggetto rinuncia all’acquisto del bene. Le chiavi di casa dovranno essere restituite all’alienante, sempre che il bene non sia perito a causa dei vizi manifestati.

Il contratto si può risolvere per inadempimento della venditrice dall’obbligo di garantire che il bene sia immune da vizi quando il venditore non assolve all’onere probatorio su di esso incombente di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento; in particolare l’acquirente deve provare la presenza di vizi che rendono la cosa inidonea all’uso al quale è destinata, mentre il venditore deve dimostrare di aver consegnato un bene conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto.

Tribunale Milano sez. I 03 dicembre 2014 n. 14378

In tema di vendita, l’azione per la riduzione del prezzo e quella per il risarcimento del danno, non coperto dalla prima, spettanti al compratore a norma degli art. 1492 e 1494 c.c., sono entrambe finalizzate a ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione, nonché a porre il compratore medesimo nella situazione economica in cui si sarebbe trovato se il bene fosse stato immune da vizi.

Tribunale Roma sez. III 17 settembre 2014 n. 18360

L’azione di risarcimento dei danni proposta dall’acquirente, ai sensi dell’art. 1494 c.c., non si identifica né con le azioni di garanzia, di cui all’art. 1492 c.c., né con quella di esatto adempimento, in quanto, mentre queste prescindono dalla colpa e sono volte solo ad eliminare lo squilibrio determinato dall’inadempimento del venditore, l’azione risarcitoria, presupponendo la colpa di quest’ultimo, consistente nell’omissione della diligenza necessaria a scongiurare l’eventuale presenza di vizi della cosa. Questa azione può estendersi a tutti i danni subiti dall’acquirente, e quindi non solo a quelli relativi alle spese necessarie per l’eliminazione dei difetti accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione del bene o al lucro cessante per la mancata rivendita dello stesso. Ne consegue che l’azione di risarcimento può essere proposta in via alternativa, o anche cumulativa, rispetto alle azioni di adempimento, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto.

Chiesta dall’attore la riparazione o la sostituzione della res acquistata (nella specie: apparecchio telefonico) o, in subordine, il rimborso del prezzo, invocando a fondamento della domanda il cattivo funzionamento della res, deve essere cassata la sentenza con cui il giudice del merito ha – facendo riferimento alle richieste di riparazione e sostituzione – escluso che l’azione non potesse essere inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 1490 c.c., ritenendo che l’attore avesse inteso invocare la tutela di cui all’art. 1519 quater c.c. A prescindere dal considerare che la domanda risulta – nella specie – formulata anteriormente all’entrata in vigore del d.lg. n. 24 del 2002 che ha introdotto l’art. 1519 quater c.c., la proposta domanda di rimborso del prezzo versato postulava e implicava la necessaria risoluzione del contratto, che ne costituiva la indispensabile premessa. Deriva da quanto precede, pertanto, che l’attore aveva invocato i rimedi previsti dall’art. 1492 c.c. nel caso di vizi della cosa, che nella specie erano individuati nel difettoso funzionamento dell’apparecchio. Del tutto irrilevante, al riguardo, era la formulazione di ulteriori richieste che, eventualmente, avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili, in relazione all’azione proposta.

In tema di compravendita, l’impegno del venditore ad eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo ali suo cui è destinato (ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore) di per sé non dà vita ad una nuova obbligazione estintiva-sostitutiva (novazione oggettiva art 1230 c.c.) della originaria obbligazione di garanzia (art 1490 c.c.), ma consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all’art 1495 c.c. ai fini dell’esercizio delle azioni previste in suo favore (art 1492 c.c.), sostanziandosi tale impegno in un riconoscimento del debito, interruttivo della prescrizione (art. 2944 c.c.). Pertanto, se l’acquirente non agisce per la risoluzione del contratto o per la riduzione del prezzo ma chiede l’esatto adempimento dell’obbligo, il termine prescrizionale è quello decennale di cui all’articolo 1496 c.c.

In materia di compravendita, in caso di inadempimento del venditore, oltre alla responsabilità contrattuale da inadempimento o da inesatto adempimento, è configurabile anche la responsabilità extracontrattuale del venditore stesso, qualora il pregiudizio arrecato al compratore abbia leso interessi di quest’ultimo che, essendo sorti al di fuori del contratto, hanno la consistenza di diritti assoluti; diversamente, quando il danno lamentato sia la conseguenza diretta del minor valore della cosa venduta o della sua distruzione o di un suo intrinseco difetto di qualità si resta nell’ambito della responsabilità contrattuale, le cui azioni sono soggette a prescrizione annuale (nella specie, relativa alla vendita di un cane senza pedigre, il giudice del merito ha correttamente escluso l’esistenza della responsabilità extracontrattuale, sul rilievo della mancata doglianza della lesione di interessi sorti al di fuori del contratto ed aventi la consistenza di diritti assoluti, ed ha ricondotto il termine prescrizionale sotto la disciplina dell’art. 1495 c.c.).

L’azione estimatoria è l’azione con la quale Il compratore che abbia deciso di volere restare proprietario dell’immobile, si limita a chiedere la riduzione del prezzo o il rimborso parziale se era già stato interamente pagato.

Oltre alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, l’acquirente può esercitare l’azione per ottenere il risarcimento del danno subito.

In presenza dei vizi accertati in conformità al disposto di legge, il venditore è sempre responsabile.

In primo luogo l’onere di denunciare al venditore i vizi manifestatisi dopo l’acquisto.

Per poter far valere la tutela a suo favore, il compratore dispone di tempistiche piuttosto ridotte. Per denunciare i vizi o la mancanza delle qualità promesse, il compratore ha un termine piuttosto breve.

 

 

 

 

 

 

 

 

Giunge infine a sancire condivisibilmente che l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 cod. civ., può essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera’.



Da questa considerazione prende piede la concezione tecnicistica della responsabilità: essa non è un metodo di repressione per colpire gli atti vietati e punire i colpevoli, ma un sistema di tutela del danneggiato che ottiene così il risarcimento del danno subito. In questo modo viene negata rilevanza alla colpa, poiché la responsabilità in oggetto altro non è che una reazione all’ingiustizia del danno, per cui, quest’ultimo, si deve imputare solo in base a criteri economici.

la facoltà di domandare la risoluzione del contratto, attribuita dall’art. 1492 c.c. al compratore di una cosa affetta da vizi, consiste in un diritto potestativo, a fronte del quale la posizione del venditore è di mera soggezione: non è tenuto a una prestazione, ma deve soltanto subire gli effetti dell’eventuale sentenza di accoglimento, di natura costitutiva, che fa venire meno il rapporto (effetti tra i quali gli obblighi di restituzioni, rimborsi e risarcimenti sono puramente consequenziali alla pronuncia, dalla quale unicamente sorgono). Ne discende che la prescrizione dell’azione, fissata in un anno dall’art. 1495 c.c., comma 3, può essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione della domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora, come la lettera che la ditta acquirente avrebbe inviato in data 23.3.2007 alla New Com.

Gli atti cui l’art. 2943 c.c., comma 4, connette l’effetto di interrompere la prescrizione sono infatti quelli che valgono a costituire in mora ‘il debitore’ e debbono consistere, per il disposto dell’art. 1219 c.c., comma 1, in una ‘intimazione o richiesta’ di adempimento di un’obbligazione: previsioni che si attagliano ai diritti di credito e non ai potestativi, come è quello di cui si tratta.

In questo senso si è ormai univocamente orientata la giurisprudenza di questa Corte, in tema sia di azioni costitutive in genere, sia di domande di risoluzione in specie, anche con particolare riferimento a quelle relative a contratti di vendita (Sez. 2, Sentenza n. 20332 del 27/09/2007 Rv. 600433; Sez. 2, Sentenza n. 3379 del 15/02/2007 Rv. 594734; Sez. 2, Sentenza n. 18477 del 03/12/2003 Rv. 568626; v. altresì più di recente, Sez. 2, Sentenza n. 25468 del 16/12/2010 Rv. 615386; Sez. L, Sentenza n. 25861 del 21/12/2010 Rv. 615408).

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Nei confronti dell’appaltatore che ha eseguito i lavori di costruzione dell’opera sono previsti dei rimedi giuridici a favore del committente dei lavori.

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A differenza della vendita tra privati, l’acquirente dell’immobile ha tempo 60 giorni dalla scoperta per denunciare vizi e difformità.

Esso muove dalla premessa (felicemente sintetizzata da Cass. 2^ sez., 4622/02, v. anche Cass. 8109/97) che: La denuncia di gravi difetti di costruzione, oltre che dal committente e suoi aventi causa, può essere fatta anche dagli acquirenti dell’immobile, in base al principio che le disposizioni di cui all’art. 1669 cod. civ. mirano a disciplinare le conseguenze dannose di quei difetti che incidono profondamente sugli elementi essenziali dell’opera e che influiscono sulla durata e solidità della stessa, compromettendone la conservazione e configurano, quindi, una responsabilità extracontrattuale, sancita per ragioni e finalità di interesse generale, con la conseguenza che la relativa azione, nonostante la collocazione della norma tra quelle in materia di appalto, è data non solo al committente e suoi aventi causa nei confronti dell’appaltatore, ma anche all’acquirente nei confronti del costruttore venditore.

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Perviene poi all’affermazione che il venditore può essere chiamato a rispondere dei gravi difetti dell’opera non soltanto quando i lavori siano eseguiti in economia, ma anche nell’ipotesi in cui la realizzazione dell’opera è affidata a un terzo al quale non sia stata lasciata completa autonomia tecnica e decisionale, in quanto il venditore abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorveglianza sullo svolgimento dell’altrui attività, sicchè anche in tali casi la costruzione dell’opera è a lui riferibile (Cass. 567/05; 2238/12).

Giunge infine a sancire condivisibilmente che l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 cod. civ., può essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera’.

3.1) Le sentenze del 2014 dianzi citate hanno aggiunto che:

‘Questa linea ermeneutica è coerente con la teoria che ha ricondotto l’art. 1669 c.c. nell’alveo della responsabilità extracontrattuale, al fine di consentire ai danneggiati da gravi difetti (rovina) dell’edificio, una tutela non minore, ma anzi, come vuole il legislatore, rafforzata rispetto a quella che sarebbe loro offerta dall’art. 2043 c.c..

Se così non fosse, i danneggiati si troverebbero paradossalmente preclusa la strada risarcitoria generica proprio da una norma che è stata invece dettata per ampliare gli spazi di tutela’.

Quest’ultima affermazione è stata ribadita, ancor più recentemente, dalle Sezioni Unite, (SU 2284/14), le quali hanno precisato che la previsione dell’art. 1669 c.c., concreta un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell’art. 2043 c.c., fermo restando che – trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale – ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione (come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera) può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 c.c., senza che, tuttavia, (in questo secondo caso) operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall’art. 1669 c.c., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 c.c., compresa la colpa del costruttore.

Le clausole che limitano la garanzia dovuta dal venditore ai sensi dell’art. 1490 c.c. sono vessatorie e debbono pertanto essere specificamente approvate per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c.

Cass. civ. n. 21927/2017

In tema di inadempimento del contratto di compravendita, è sufficiente che il compratore alleghi l’inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un’obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ne consegue che, solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore.

Gli artt. 1490 e 1492 del c.c. in tema di azione redibitoria, al pari dell’art. 1497 c.c., vanno interpretati con riferimento al principio generale sancito dall’art. 1455 c.c. con la conseguenza che l’esercizio dell’azione è legittimato soltanto da vizi concretanti un inadempimento di non scarsa importanza, i quali non sono distinti in base a ragioni strutturali, ma solo in funzione della loro capacità di rendere la cosa inidonea all’uso cui era destinata o di diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito.

In tema di inadempimento del contratto di compravendita, è sufficiente che il compratore alleghi l’inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un’obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ne consegue che, ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore.

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l’onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza.

In tema di compravendita, la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss. c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della “actio quanti minoris” o della “actio redhibitoria”. Ne consegue che il compratore non dispone – neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica – di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene.

(Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 19702 del 13 novembre 2012)

Cass. civ. n. 23060/2009

La garanzia per i vizi della cosa venduta disciplinata dagli artt. 1490 e seguenti c.c. differisce da quella di buon funzionamento prevista dall’art. 1512 c.c. per il fatto che, mentre la seconda impone all’acquirente solo l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa venduta, la prima – cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa di questi richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno – impone all’acquirente anche l’onere di dimostrare la sussistenza dello specifico vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui essa è destinata; inoltre, la garanzia di cui all’art. 1512 c.c., che attua, con l’assicurazione di un determinato risultato – il buon funzionamento della cosa per il tempo convenuto – una più forte garanzia del compratore, in via autonoma ed indipendente rispetto alla garanzia per vizi ed alla responsabilità per mancanza di qualità, trova fondamento in un patto contrattuale e, pertanto, può essere invocata solo previa deduzione e dimostrazione dell’esistenza di un tale patto nel contratto di compravendita.

(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 23060 del 30 ottobre 2009)

Cass. civ. n. 28984/2008

Nel caso in cui i beni mobili oggetto di vendita in sede fallimentare risultino affetti da vizi redibitori, non è configurabile la garanzia prevista dall’art. 1490 cod. civ., neppure se la vendita abbia avuto luogo ad offerte private, ma solo una responsabilità attinente alla custodia dei beni inventariati ed alla vendita degli stessi nell’ambito della procedura concorsuale, e dunque un’obbligazione risarcitoria che, in quanto correlata al compimento di atti tipici rientranti nelle attribuzioni del curatore, non è posta a carico di quest’ultimo come persona fisica, ma a carico del fallimento, iscrivendosi a tutti gli effetti nel novero di quelle elencate dall’art. 111 n. 1 della legge fall.. Qualora pertanto, a fondamento della domanda di risarcimento dei danni, il compratore abbia fatto valere l’erronea descrizione dei beni in sede di inventario, con l’attribuzione di caratteristiche tecniche non possedute e senza il rilevamento di difetto di funzionamento, costituisce una questione di legittimazione passiva, riproponibile anche con il ricorso per cassazione contro le sentenze pronunciate secondo equità dal giudice di pace, quella avente ad oggetto l’esistenza del dovere del curatore, convenuto in proprio, di subire il giudizio instaurato dall’attore, indipendentemente dall’effettiva titolarità passiva del rapporto controverso.

(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 28984 del 10 dicembre 2008)

Cass. civ. n. 5202/2007

Il rimedio della garanzia per vizi, apprestato dall’art. 1490 c.c. a tutela del compratore, opera anche nell’ipotesi di vendita di cosa futura.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 5202 del 7 marzo 2007)

Cass. civ. n. 5251/2004

In ordine all’applicabilità delle norme sulla garanzia per vizi nella vendita di cose usate, il riferimento al bene (nella specie, un’imbarcazione) come non nuovo comporta che la promessa del venditore è determinata dallo stato del bene stesso conseguente al suo uso, e che le relative qualità si intendono ridotte in ragione dell’usura, che non va considerata (onde escludere la garanzia) come quella che, astrattamente, presenterebbe il bene utilizzato secondo la comune diligenza, bensì come quella concreta che scaturisce dalle reali vicende cui il bene stesso sia stato sottoposto nel periodo precedente la vendita.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 5251 del 15 marzo 2004)

Cass. civ. n. 8578/1997

La garanzia convenzionale inserita come clausola di un contratto di compravendita che comporti l’obbligo, per il venditore, di «fornitura a titolo gratuito dei pezzi difettosi, per ben accertato difetto del materiale, della cosa venduta» deve ritenersi normalmente integrativa, e non sostitutiva, della garanzia legale per vizi (art. 1490 c.c.), dovendo la sua eventuale alternatività a quest’ultima risultare espressamente da pattuizione contenuta nella convenzione negoziale ed esplicitamente approvata per iscritto dall’acquirente.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 8578 del 5 settembre 1997)

Cass. civ. n. 806/1995

Anche nella vendita di cose mobili usate, è operante la garanzia per i vizi prevista dall’art. 1490 c.c., dovendo essere distinto il vizio della cosa dal logorio di essa dovuto al normale uso.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 806 del 24 gennaio 1995)

Cass. civ. n. 1424/1994

In tema di compravendita, si hanno vizi redibitori, che danno luogo alla garanzia di cui all’art. 1490 c.c., quando nella cosa venduta sussistono imperfezioni concernenti il processo di produzione, di fabbricazione e di formazione, che rendono la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, non anche allorché vi siano imperfezioni che lungi dall’interessare la natura della cosa compravenduta, si risolvono in manchevolezze nel tipo del materiale consegnato, da cui deriva soltanto un maggior aggravio per il compratore, per le maggiori spese occorrenti al momento della messa in opera.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 1424 del 12 febbraio 1994)

Cass. civ. n. 12759/1993

Le clausole che limitano la garanzia dovuta dal venditore ai sensi dell’art. 1490 c.c. sono vessatorie e debbono pertanto essere specificamente approvate per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 12759 del 23 dicembre 1993)

Cass. civ. n. 7986/1991

In tema di azione di garanzia per i vizi della cosa venduta, il principio secondo cui l’onere della prova dei difetti che rendono la cosa inidonea all’uso o ne diminuiscono il valore incombe sul compratore, non trova deroga con riguardo alla presunzione di colpa che in tema di inadempimento della obbligazione è a carico del debitore, atteso che quest’ultimo è tenuto a giustificare l’inadempimento che il creditore gli attribuisce, solo quando lo stesso creditore abbia preventivamente dimostrata l’inesatta esecuzione della prestazione stessa.

Cass. civ. n. 18947/2017

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l’onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza.

(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 18947 del 31 luglio 2017)

Cass. civ. n. 21204/2016

In tema di compravendita, la clausola contrattuale “vista e piaciuta”, che ha lo scopo di accertare consensualmente la presa visione, ad opera del compratore, della cosa venduta, esonera il venditore dalla garanzia per i vizi di quest’ultima limitatamente a quelli riconoscibili con la normale diligenza e non taciuti in mala fede, sicché, anche in considerazione dei principi fondamentali della buona fede e dell’equità del sinallagma contrattuale, essa non può riferirsi ai vizi occulti emersi dopo i normali controlli eseguiti anteriormente l’acquisto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che nella vendita di auto usate la clausola suddetta esonerasse il venditore dalla garanzia per i vizi occulti dell’auto oggetto del contratto).

(Cassazione civile, Sez. VI-2, sentenza n. 21204 del 19 ottobre 2016)

Cass. civ. n. 9651/2016

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l’art. 1490, comma 2, c.c., secondo cui il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa, presuppone che il venditore abbia raggirato il compratore tacendo consapevolmente i vizi della cosa venduta dei quali era a conoscenza, inducendolo così ad accettare la clausola di esonero dalla garanzia che altrimenti non avrebbe accettato, sicché la norma non si applica ove il venditore sia all’oscuro, anche per sua colpa grave, dell’esistenza dei vizi.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 9651 del 11 maggio 2016)

Una parte rilevante delle disposizioni codicistiche in tema di vendita concerne le garanzie cui il venditore è tenuto nei confronti del compratore e, in particolare, la garanzia per evizione, la garanzia per vizi (artt. 1490 – 1496 c.c.), la mancanza di qualità (art. 1497 c.c.) e la garanzia di buon funzionamento (art. 1512 c.c.). La riconducibilità di tutte tali ipotesi ad un medesimo fondamento è tuttora discussa in dottrina e giurisprudenza, così come non è del tutto pacifica la natura giuridica delle stesse, anche in ragione della disciplina articolata e non univoca predisposta dal legislatore. Le questioni prospettate attengono alla garanzia per il c.d. vizio redibitorio, cioè il vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuisce in modo apprezzabile il valore (art. 1490 c.c.). Tale garanzia è espressamente contemplata dall’art. 1476 c.c., n. 3, che la include tra le obbligazioni principali del venditore. Gli effetti della garanzia sono delineati dall’art. 1492 c.c., comma 1, il quale prevede che, nei casi di cui all’art. 1490 c.c., il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (azione redibitoria), ovvero la riduzione del prezzo (azione estimatoria, o quanti minoris), salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione. La scelta tra le due forme di tutela può avvenire fino al momento della proposizione della domanda giudiziale e da tale momento è irrevocabile. Alla risoluzione del contratto conseguono effetti restitutori in quanto il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare al compratore le spese e i pagamenti sostenuti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa, a meno che questa non sia perita a causa dei vizi (art. 1493 c.c.). L’art. 1494 c.c., riconosce, inoltre, al compratore il diritto al risarcimento del danno, a meno che il venditore non dimostri di aver ignorato senza sua colpa l’esistenza dei vizi. Il venditore è, altresì, tenuto a risarcire i danni derivanti dai vizi (art. 1494 c.c., comma 2). Si ritiene che, mentre la responsabilità risarcitoria del venditore presuppone che egli versi in una situazione di colpa, i rimedi di cui all’art. 1492 c.c., invece, prescindono da questa e sono azionabili per il fatto oggettivo della esistenza dei vizi. La garanzia resta esclusa se, al momento della conclusione del contratto, il compratore era a conoscenza dei vizi o questi erano facilmente riconoscibili secondo l’ordinaria diligenza, a meno che il venditore abbia dichiarato che la cosa ne era esente (art. 1491 c.c.). La garanzia può anche essere esclusa o limitata pattiziamente ma tale patto non vale se il venditore abbia in malafede taciuto al compratore i vizi da cui era affetta la cosa (art. 1490 c.c., comma 2). L’esercizio delle azioni previste dall’art. 1492 c.c. (cc.dd. azioni edilizie) è circoscritto temporalmente attraverso la previsione di un duplice termine, di decadenza e di prescrizione. Infatti, ai sensi dell’art. 1495 c.c., comma 1, il compratore decade dal diritto di garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, ma le parti possono stabilire convenzionalmente un termine diverso. Nel caso in cui il venditore abbia riconosciuto l’esistenza del vizio o lo abbia occultato, la denuncia non è necessaria. L’art. 1495 c.c., comma 3, – che rappresenta la norma intorno alla quale ruota la questione rimessa a queste Sezioni unite – prevede, inoltre, un breve termine di prescrizione disponendo che l’azione si prescrive in ogni caso in un anno dalla consegna. Tuttavia, convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto, il compratore può sempre far valere la garanzia, purchè il vizio sia stato denunciato entro il termine di decadenza e prima che sia decorso un anno dalla consegna. Agli stessi termini si ritiene soggetta anche l’azione di risarcimento del danno. L’art. 1497 c.c., contempla, altresì, in favore del compratore un rimedio per la mancanza di qualità promesse o essenziali per l’uso cui è destinata, soggetto anch’esso ai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1495. Proprio al fine di svincolare l’acquirente dai limiti imposti dall’art. 1495 c.c., ed assicurargli una tutela più ampia, la giurisprudenza ha elaborato la figura dell’aliud pro alio datum, la quale ricorre quando vi è diversità qualitativa tra la cosa consegnata e quella pattuita, ovvero anche in ipotesi di vizi di particolare gravità. In tal caso la tutela del compratore è assicurata attraverso i rimedi ordinari dell’azione di risoluzione e di esatto adempimento secondo il termine di prescrizione ordinario, oltre che con il risarcimento del danno. Parte della dottrina (seguita pure da un circoscritto filone giurisprudenziale), sempre al fine di garantire una tutela più ampia al compratore e ispirandosi alla normativa comunitaria relativa ai beni di consumo, si era anche orientata a riconoscere al compratore l’azione di esatto adempimento, cioè la possibilità di agire in giudizio per ottenere la riparazione o sostituzione del bene. Tale possibilità è stata, tuttavia, espressamente esclusa da queste Sezioni unite con la sentenza n. 19702 del 2012, secondo cui il compratore, per l’appunto, non dispone – neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica – di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene. 2.4. Cenni sul fondamento e sulla natura giuridica della responsabilità della garanzia per vizi. Il recente intervento delle Sezioni unite con la sentenza n. 11748/2019. Così sinteticamente delineata la disciplina positiva codicistica, si rileva come la configurazione dogmatica della garanzia per vizi non sia del tutto pacifica. Essa ha costituito oggetto di ampie e diversificate tesi, che hanno spaziato tra quella che individua nella garanzia una vera e propria assicurazione contrattuale a quella che la colloca nell’ambito della teoria dell’errore, quale vizio del consenso, ovvero da quella che ha posto riferimento all’istituto della presupposizione a quella che ha ravvisato un caso particolare di applicazione delle regole sulla responsabilità precontrattuale. All’interno della dottrina – considerata prevalente – che riconduce le garanzie edilizie ad una ipotesi di responsabilità per inadempimento (intesa nel senso di inesecuzione od inesatta esecuzione del contratto), risultano, poi, diversificate le opinioni in ordine all’identificazione dell’obbligazione da ritenere inadempiuta i nel caso di vizi della cosa oggetto di compravendita. E’ indubbio che il fondamento della responsabilità per vizi e difetti rinviene la sua causa nel fatto che il bene consegnato non corrisponde all’oggetto dovuto alla luce di quanto previsto nell’atto di autonomia privata. Orbene, il collegio, con riferimento a questa problematica (presupposta nella individuazione della questione di massima di particolare importanza sollevata dalla Seconda sezione) che concerne specificamente l’individuazione della natura giuridica di tale forma di responsabilità, si richiama al risolutivo inquadramento operato da queste stesse Sezioni unite con la recente sentenza n. 11748 del 3 maggio 2019. Con essa – pur dovendosi risolvere la diversa questione sul riparto dell’onere probatorio tra venditore e compratore con riferimento all’esercizio di siffatta tutela della garanzia per vizi – è stata ricondotta ad un tipo di responsabilità (contrattuale ma non corrispondente del tutto a quella ordinaria, atteggiandosi come peculiare in virtù della specifica disciplina della vendita) per inadempimento che deriva dall’inesatta esecuzione del contratto sul piano dell’efficacia traslativa per effetto delle anomalie che inficiano il bene oggetto dell’alienazione, ovvero che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, e sempre che i vizi – ovviamente – siano preesistenti alla conclusione del contratto, tenuto anche conto che – ai sensi dell’art. 1477 c.c., comma 1, – il bene deve essere consegnato dal venditore nello stato in cui si trovava al momento della vendita. E’, in altri termini, solo l’inesistenza di tali tipi di vizi che consente di realizzare oltre che il sinallagma genetico anche quello funzionale, puntualizzandosi, però, che la responsabilità relativa alla loro garanzia prescinde da ogni giudizio di colpevolezza basandosi sul dato oggettivo dell’esistenza dei vizi stessi e traducendosi nella conseguente assunzione del rischio – di origine contrattuale – da parte del venditore di esporsi all’esercizio dei due rimedi edilizi di cui può avvalersi, a sua scelta, il compratore, al quale è riconosciuto anche il diritto al risarcimento dei danni, salvo che il venditore provi di aver senza colpa ignorato i vizi. 2.5. Le conseguenze delle diverse ricostruzioni sui rimedi a tutela del compratore. Esposte le varie posizioni sul fondamento e sulla natura giuridica della garanzia per vizi, bisogna, tuttavia, osservare che la dottrina si è pure occupata – anche se in modo non del tutto approfondito – della collegata problematica relativa agli strumenti rimediali in favore dell’acquirente discendenti dalle richiamate ricostruzioni. La ratio della previsione di un ristretto termine di prescrizione viene prevalentemente rinvenuta nella esigenza di evitare che il decorso del tempo renda eccessivamente gravoso l’accertamento delle cause dei difetti e di salvaguardare la certezza delle sorti del contratto. Tuttavia, proprio la brevità di un tale termine ha posto la questione della individuazione degli atti idonei ad interrompere la prescrizione. In dottrina il dibattito è stato particolarmente intenso allorquando si è messa in evidenza la circostanza – a cui attiene propriamente la questione di massima di particolare importanza da risolvere in questa sede – che l’art. 1495 c.c., comma 3, riferisce i termini di prescrizione all’azione, a differenza dell’art. 2934 c.c., il quale rivolge la prescrizione ai diritti. Da ciò si è ritenuto, per un verso, che ad evitare la perdita della garanzia varrebbe soltanto l’esercizio dei mezzi processuali e, per altro verso ed in senso contrario, altri orientamenti hanno obiettato che il dato letterale del riferimento della prescrizione all’azione anzichè al diritto sarebbe irrilevante posto che la terminologia legislativa non può ritenersi decisiva in quanto anche altre volte esprime la pretesa sostanzialmente in termine di azione (nell’art. 2947 c.c., comma 3, si parla con formule equivalenti di prescrizione dell’azione e di prescrizione del danno). Ma, soprattutto, si rileva come i rimedi edilizi siano rimedi sostanziali in quanto attraverso di essi il compratore fa valere un diritto contrattuale. Conseguentemente, benchè i rimedi previsti a vantaggio dell’acquirente siano indicati come azioni (di risoluzione ed estimatoria), in realtà essi non coinvolgerebbero tematiche processuali ma avrebbero contenuto sostanziale di tutela del diritto. Per tale ragione sarebbero idonei a interrompere la prescrizione non solo il riconoscimento, da parte del venditore, (non del vizio ma) del diritto del compratore alla garanzia, ma anche, in virtù dell’art. 2943 c.c., gli atti di costituzione in mora del venditore e pure l’impegno assunto da quest’ultimo di eliminare i vizi. Meri menzione anche un ulteriore peculiare indirizzo il quale ritiene, invece, che il compratore possa valersi soltanto dell’interruzione della prescrizione derivante o dalla proposizione della domanda giudiziale, cui si equipara l’esperimento del procedimento preventivo ex art. 1513 c.c., o dal riconoscimento da parte del venditore del suo diritto alla garanzia. 2.6. – Le posizioni della pregressa giurisprudenza sulla questione oggetto dell’ordinanza interlocutoria. Come rilevato nell’ordinanza di rimessione della Seconda sezione (cfr. paragr. 2.1), si rinvengono nella giurisprudenza di questa Corte sostanzialmente due distinti orientamenti circa la qualificazione giuridica della garanzia per vizi e, conseguentemente, sulla individuazione degli atti interruttivi della prescrizione. Un primo orientamento configura la garanzia per vizi come un autonomo diritto in forza del quale il compratore può, a sua scelta, domandare la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo. Ne consegue che quando il compratore comunica al venditore che intende far valere il diritto alla garanzia, egli interrompe la prescrizione inerente a tale diritto. A tal fine si ritiene che non sia necessaria la precisazione del tipo di tutela che andrà a chiedere in via giudiziaria ed è altresì irrilevante, ai fini della idoneità della interruzione, la riserva di scelta del tipo di tutela, in quanto – si afferma – non rappresenterebbe comunque riserva di far valere un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione (così Cass., Sez. 2, Sentenza n. 9630 del 1999). Più di recente, Cass., Sez. 2, n. 22903 del 2015, richiamando il precedente del 1999, ha affermato che costituisce atto interruttivo della prescrizione della garanzia per vizi della cosa la manifestazione al venditore della volontà – del compratore – di volerla esercitare, benchè lo stesso differisca ad un momento successivo l’opzione per il tipo di strumento rimediale da esercitare. A tal fine, la Corte ha valutato come idonea l’espressione “con più ampia riserva di azione”, contenuta nel telegramma inviato al venditore, con cui il compratore contestava i vizi dell’immobile acquistato, ritenendo sufficiente la comunicazione della volontà di avvalersi della garanzia suddetta e dovendosi escludere che la riserva di scelta del tipo di tutela sia diretta a far valere un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione (nella pronuncia qui richiamata del 2015, si è anche aggiunto che, ai fini di una valida costituzione in mora e del verificarsi dell’effetto interruttivo della prescrizione, non è necessario che il compratore, insieme con la contestazione dei vizi, eserciti la scelta dell’azione, la quale è procrastinabile fino alla proposizione della domanda giudiziale). Un secondo orientamento (cfr. Cass., Sez. 2, nn. 18477/2003, 20332/2007, 8417/2016 e n. 20705/2017) ha affermato che, siccome l’esercizio delle azioni edilizie in favore del compratore di una cosa affetta da vizi implica la configurazione di una posizione del venditore di mera soggezione, dovrebbe conseguire che la prescrizione dell’azione, fissata in un anno dall’art. 1495 c.c., comma 3, può essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione della domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora. Ciò sul presupposto che gli atti al quale l’art. 2943, comma 4, c.c. connette l’effetto di interrompere la prescrizione sono infatti quelli che valgono a costituire in mora “il debitore” e devono consistere, per il disposto dell’art. 1219 c.c., comma 1, in una “intimazione o richiesta” di adempimento di un’obbligazione (previsioni che si attagliano ai diritti di credito e non a quelli potestativi). E’, peraltro, opportuno mettere in risalto che un tentativo di ricostruzione unitaria dei due orientamenti manifestatisi nella giurisprudenza di legittimità è stato operato da una sentenza della Seconda sezione, la n. 8418 del 2016 (non mass.), la quale ha sostenuto che essi avrebbero riguardo a situazioni distinte. Si è in essa, infatti, sostenuto che la richiamata sentenza n. 9630 del 1999, nel considerare atto interruttivo della prescrizione dell’azione di garanzia la manifestazione della volontà del compratore di volerla esercitare, riguarderebbe l’ipotesi in cui il compratore abbia espresso la volontà di esercitare la garanzia e si sia riservato di effettuare successivamente la scelta tra i rimedi consentiti dall’art. 1492 c.c.. Diversa sarebbe, invece, l’ipotesi in cui il compratore dichiari di avvalersi direttamente dell’azione di risoluzione del contratto. In tal caso differente sarebbe la modalità di interruzione della prescrizione dal momento che la facoltà riconosciuta al compratore di chiedere la risoluzione gli conferirebbe un diritto potestativo a fronte del quale la posizione del venditore sarebbe di mera soggezione, non essendo egli tenuto a compiere alcunchè ma solo a subire gli effetti della sentenza costitutiva. In tale ipotesi, per l’interruzione della prescrizione occorrerebbe dar luogo solo all’esperimento dell’azione giudiziale, non assumendo efficacia a tale scopo l’intimazione riconducibile a meri atti di costituzione in mora. 2.7. La risoluzione della questione di massima di particolare importanza sottoposta all’esame delle Sezioni unite. Ritiene il collegio che la questione individuata nell’ordinanza interlocutoria della Seconda sezione n. 23857/2018 debba essere risolta accedendo all’impostazione e al relativo percorso ermeneutico adottati, in prima battuta, con la sentenza n. 9630/1999 e poi ripresi dalla sentenza n. 22903/2015, con cui si è statuito il principio alla stregua del quale la prescrizione della garanzia per vizi è interrotta dalla comunicazione al venditore della volontà del compratore di esercitarla benchè questi riservi ad un momento successivo la scelta del tipo di tutela, dovendosi escludere che la riserva concerna un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione. Come prevede l’art. 1495 c.c., comma 3, l’azione di garanzia per i vizi e la mancanza di qualità dovute si prescrive in un anno dalla consegna. Questo termine breve (di natura eccezionale – è, perciò, non estensibile al di fuori dei casi previsti – così fissato dal legislatore per garantire la stabilizzazione, in tempi circoscritti, dei rapporti economici riconducibili alle contrattazioni in tema di compravendita), che si collega all’onere della preventiva denuncia il cui assolvimento è prescritto dall’art. 1495 c.c., comma 1, concerne la tutela contrattuale del compratore per far valere l’inesatto adempimento per difettosità del bene oggetto della vendita, a prescindere dal rimedio. Il presupposto di fondo, quindi, consiste nella configurazione di tale responsabilità dell’acquirente come obbligazione derivante “ex contractu” nei termini precedentemente precisati (v. paragr. 2.4). E’ il momento della consegna che individua il “dies a quo” della decorrenza di tale termine di prescrizione. E’, altresì, pacifico che, ove la consegna non sia accettata, il termine prescrizionale abbreviato in questione non decorre, poichè il rifiuto dell’acquirente non consente di considerare eseguita la prestazione. Ai sensi dello stesso art. 1495 c.c., comma 3, il compratore può avvalersi della garanzia in esame anche oltre il suddetto termine prescrizionale allorquando sia il venditore ad agire per l’esecuzione del contratto. Al di là della descritta peculiarità della disciplina della prescrizione in questione, le Sezioni unite ritengono che – per quanto non espressamente previsto – trovi applicazione la disciplina generale in tema di prescrizione, con la conseguente operatività, tra l’altro, delle ordinarie cause di interruzione e di sospensione (con particolare riferimento – per quel che rileva in questa sede – all’art. 2943 c.c. e, specificamente, al suo comma 4). Il diverso indirizzo che ritiene necessario ai fini dell’interruzione del termine prescrizionale annuale l’esercizio dell’azione (a cui pone formale riferimento l’incipit dell’art. 1495 c.c., comma 3, che non discorre del diritto di far valere l’azione entro detto termine ma sancisce testualmente che “l’azione di prescrive…”) in via giudiziale non può essere condiviso. Deve, infatti, osservarsi che, in primo luogo, l’attuale formulazione diverge da quella adottata nel codice civile del 1865 che, invece, lasciava propendere per la necessità dell’esperimento dell’azione giudiziale (l’art. 1505, comma 1, di detto codice prevedeva testualmente che “l’azione redibitoria deve proporsi entro un anno dalla consegna”). La formula ora prevista nell’art. 1495, comma 3, del vigente codice civile si richiama esplicitamente alla prescrizione e, pur discorrendosi di prescrizione dell’azione, va rilevato che il ricorso a tale terminologia non può ritenersi decisivo nel senso che debba ritenersi riferibile esclusivamente all’esercizio dell’azione giudiziale. Su un piano sistematico va, infatti, osservato che, anche in altre disposizioni normative, il legislatore ha posto riferimento – ma in senso atecnico dal punto di vista giuridico – alla pretesa sostanziale in termine di azione (dove si avverte il senso concreto della tutela della posizione soggettiva nell’ordinamento: cfr., ad es., l’art. 2947 c.c., comma 3, in cui si parla, indistintamente e con formule equivalenti, di prescrizione dell’azione e di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, e l’art. 132, comma 4, del c.d. codice del consumo – D.Lgs. n. 206/2005 – laddove, per un verso, si parla di azione e, per altro verso, si parla di “far valere i diritti” correlati ai vizi della cosa venduta). Diversamente, sempre con riferimento alla vendita, l’art. 1497 c.c. – riferito alla risolubilità del contratto per “mancanza di qualità” – sancisce, al comma 2, che il diritto di ottenere la risoluzione (e non, quindi, l’esercizio della relativa azione) è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite proprio dal precedente art. 1495. Appare, quindi, incontestabile che, con riguardo al potere di agire, viene in rilievo la pretesa sostanziale del compratore, ovvero la pretesa contrattuale all’esatta esecuzione del contratto, con la conseguenza che, alla tutela di questa pretesa ad essere garantito se insoddisfatta, soccorrono i rimedi sostanziali che non si sostituiscono al diritto primario ma ne perseguono una tutela diretta o indiretta. In sostanza, nella prospettiva generale della questione in esame, deve sottolinearsi che, in effetti, non si verte propriamente nell’ipotesi di esercitare un singolo specifico potere ma di far valere il “diritto alla garanzia” derivante dal contratto, rispetto al quale, perciò, non si frappongono ostacoli decisivi che impediscono l’applicabilità della disciplina generale della prescrizione (e che, invece, in un’ottica sistematica, appare con esso compatibile), ivi compresa quella in materia di interruzione e sospensione. Quando si avvale della “garanzia” il compratore fa valere l’inadempimento di una precisa obbligazione del venditore (contemplata dall’art. 1476 c.c., n. 3)) e, conseguentemente, sul piano generale, deve ammettersi che lo possa fare attraverso una manifestazione di volontà extraprocessuale e ciò si inferisce anche da quanto stabilisce l’art. 1492 c.c., comma 2, il quale, prevedendo che “la scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale”, significativamente la prefigura, riconnettendo, invero, alla domanda in sede processuale la sola impossibilità di rimeditare l’opzione tra risoluzione e riduzione del prezzo. Anche questo argomento di tipo logico-sistematico conforta, quindi, l’ammissibilità dell’interruzione della prescrizione con un atto stragiudiziale, fermo rimanendo che l’interruzione si limita a far perdere ogni efficacia al tempo già trascorso prima del compimento dell’atto, senza interferire con il modo di essere del diritto. La soluzione per la quale si propende si lascia preferire anche per una ragione di ordine generale che impatta sul piano socio-economico posto che, per effetto dell’operatività dell’interruzione della prescrizione secondo la disciplina generale (e, quindi, anche mediante atti stragiudiziali), esiste una plausibile possibilità che il venditore intervenga eventualmente – a seguito della costituzione in mora – eliminando i vizi (possibile, se le parti convengano, prima e al di fuori del processo, configurandosi solo in questo senso la limitazione dei rimedi stabilita dall’art. 1490 e segg.), così evitando che il compratore debba rivolgersi necessariamente al giudice esercitando la relativa azione in sede, per l’appunto, giudiziale. Questa possibilità è idonea ad perseguire – in termini certamente più ristretti rispetto a quelli fisiologici di un giudizio – un’efficace tutela delle ragioni dell’acquirente, senza tuttavia penalizzare eccessivamente il venditore, poichè dal momento dell’interruzione della prescrizione ricomincia a decorrere il termine originario: in tal modo è, altresì, assicurato alle parti un congruo spatium deliberandi e si evita la conseguenza di una inutile proliferazione di giudizi, così rimanendo realizzato un ragionevole bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti.

L’obbligo di garanzia stabilito a carico del venditore dagli artt. 1490. e 1497 c.c. riguarda esclusivamente i vizi e la mancanza di qualità essenziali intrinseci alla cosa venduta e non può quindi trovare riferimento in dati estrinseci alla cosa stessa. Nel caso pertanto di una fornitura di beni (nella specie, valvole deviatrici per impianti elettrici di riscaldamento) riconosciuti privi di vizi intrinseci e conformi al tipo dedotto in compravendita, l’inidoneità a funzionare in concreto in relazione alle peculiari caratteristiche del tipo di impianto, in cui siano stati inseriti dal compratore, non può farsi ricadere sul venditore, trattandosi di fatto estrinseco rispetto alle qualità essenziali del prodotto e restando la responsabilità di una scelta errata dell’acquirente a carico del venditore solo ove questi abbia promesso l’idoneità del prodotto fornito a soddisfare le particolari esigenze prospettate dal compratore.

Nel caso di vendita di un oggetto pregiato o di lusso (nella specie, una pelliccia di visone) ove il pregio è determinato non solo dalla qualità della materia prima impiegata, ma anche dalla particolare accuratezza delle operazioni di trasformazione o confezione, nonché della funzione di prestigio sociale e di investimento economico, qualsiasi imperfezione attinente alla materia prima od alle modalità di trasformazione odi confezione (purché non così lieve da non essere agevolmente percepita) incide in maniera determinante sul valore e, in definitiva, sulla destinazione della cosa compravenduta, integrando gli estremi del vizio redibitorio. La relativa indagine assorbe quella sull’importanza dell’inadempimento occorrente per l’azione di risoluzione di cui agli artt. 1453 e ss. c.c., rispetto alla quale l’azione redibitoria si configura come speciale e rafforzativa della tutela del compratore.

La garanzia dovuta dal venditore per la mancanza delle qualità promesse ovvero di quelle essenziali per l’uso, al pari della garanzia per i vizi e per la consegna di aliud pro alio, è suscettibile di divisione in rapporto alla diversa condizione, materiale o giuridica, in cui vengano a trovarsi più cose che furono oggetto di un unico rapporto contrattuale. Pertanto, quando solo una parte delle cose sia stata rivenduta a terzi dall’acquirente ovvero sia risultata priva delle qualità promesse, il compratore può esperire l’azione di risoluzione, rispettivamente, per le cose ancora in suo possesso, che sia perciò in grado di restituire, ovvero per la sola qu

Cass. civ. n. 12116/2018

L’assunzione della garanzia per i vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c. è configurabile in capo ad un soggetto diverso dal venditore, laddove sia legato da particolari rapporti (di commissione, di preposizione institoria ecc.) con il venditore stesso e non, invece, con l’acquirente.

In tema di inadempimento del contratto di compravendita, è sufficiente che il compratore alleghi l’inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un’obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ne consegue che, solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore.

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l’onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza.

In tema di compravendita, la clausola contrattuale “vista e piaciuta”, che ha lo scopo di accertare consensualmente la presa visione, ad opera del compratore, della cosa venduta, esonera il venditore dalla garanzia per i vizi di quest’ultima limitatamente a quelli riconoscibili con la normale diligenza e non taciuti in mala fede, sicché, anche in considerazione dei principi fondamentali della buona fede e dell’equità del sinallagma contrattuale, essa non può riferirsi ai vizi occulti emersi dopo i normali controlli eseguiti anteriormente l’acquisto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che nella vendita di auto usate la clausola suddetta esonerasse il venditore dalla garanzia per i vizi occulti dell’auto oggetto del contratto).

Cass. civ. n. 9651/2016

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l’art. 1490, comma 2, c.c., secondo cui il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa, presuppone che il venditore abbia raggirato il compratore tacendo consapevolmente i vizi della cosa venduta dei quali era a conoscenza, inducendolo così ad accettare la clausola di esonero dalla garanzia che altrimenti non avrebbe accettato, sicché la norma non si applica ove il venditore sia all’oscuro, anche per sua colpa grave, dell’esistenza dei vizi.

Cass. civ. n. 21949/2013

Gli artt. 1490 e 1492 del c.c. in tema di azione redibitoria, al pari dell’art. 1497 c.c., vanno interpretati con riferimento al principio generale sancito dall’art. 1455 c.c. con la conseguenza che l’esercizio dell’azione è legittimato soltanto da vizi concretanti un inadempimento di non scarsa importanza, i quali non sono distinti in base a ragioni strutturali, ma solo in funzione della loro capacità di rendere la cosa inidonea all’uso cui era destinata o di diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito.

(Cass. civ. n. 20110/2013

In tema di inadempimento del contratto di compravendita, è sufficiente che il compratore alleghi l’inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un’obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ne consegue che, ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore.

(

Cass. civ. n. 18125/2013

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l’onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza.

Cass. civ. n. 19702/2012

In tema di compravendita, la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss. c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della “actio quanti minoris” o della “actio redibitoria”. Ne consegue che il compratore non dispone – neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica – di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene.

Cass. civ. n. 23060/2009

La garanzia per i vizi della cosa venduta disciplinata dagli artt. 1490 e seguenti c.c. differisce da quella di buon funzionamento prevista dall’art. 1512 c.c. per il fatto che, mentre la seconda impone all’acquirente solo l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa venduta, la prima – cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa di questi richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno – impone all’acquirente anche l’onere di dimostrare la sussistenza dello specifico vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui essa è destinata; inoltre, la garanzia di cui all’art. 1512 c.c., che attua, con l’assicurazione di un determinato risultato – il buon funzionamento della cosa per il tempo convenuto – una più forte garanzia del compratore, in via autonoma ed indipendente rispetto alla garanzia per vizi ed alla responsabilità per mancanza di qualità, trova fondamento in un patto contrattuale e, pertanto, può essere invocata solo previa deduzione e dimostrazione dell’esistenza di un tale patto nel contratto di compravendita.

Cass. civ. n. 28984/2008

Cass. civ. n. 5251/2004

In ordine all’applicabilità delle norme sulla garanzia per vizi nella vendita di cose usate, il riferimento al bene (nella specie, un’imbarcazione) come non nuovo comporta che la promessa del venditore è determinata dallo stato del bene stesso conseguente al suo uso, e che le relative qualità si intendono ridotte in ragione dell’usura, che non va considerata (onde escludere la garanzia) come quella che, astrattamente, presenterebbe il bene utilizzato secondo la comune diligenza, bensì come quella concreta che scaturisce dalle reali vicende cui il bene stesso sia stato sottoposto nel periodo precedente la vendita.

Cass. civ. n. 8578/1997

La garanzia convenzionale inserita come clausola di un contratto di compravendita che comporti l’obbligo, per il venditore, di «fornitura a titolo gratuito dei pezzi difettosi, per ben accertato difetto del materiale, della cosa venduta» deve ritenersi normalmente integrativa, e non sostitutiva, della garanzia legale per vizi (art. 1490 c.c.), dovendo la sua eventuale alternatività a quest’ultima risultare espressamente da pattuizione contenuta nella convenzione negoziale ed esplicitamente approvata per iscritto dall’acquirente.

Cass. civ. n. 806/1995

Anche nella vendita di cose mobili usate, è operante la garanzia per i vizi prevista dall’art. 1490 c.c., dovendo essere distinto il vizio della cosa dal logorio di essa dovuto al normale uso.

Cass. civ. n. 1424/1994

In tema di compravendita, si hanno vizi redibitori, che danno luogo alla garanzia di cui all’art. 1490 c.c., quando nella cosa venduta sussistono imperfezioni concernenti il processo di produzione, di fabbricazione e di formazione, che rendono la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, non anche allorché vi siano imperfezioni che lungi dall’interessare la natura della cosa compravenduta, si risolvono in manchevolezze nel tipo del materiale consegnato, da cui deriva soltanto un maggior aggravio per il compratore, per le maggiori spese occorrenti al momento della messa in opera.

Cass. civ. n. 12759/1993

Le clausole che limitano la garanzia dovuta dal venditore ai sensi dell’art. 1490 c.c. sono vessatorie e debbono pertanto essere specificamente approvate per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c.

Cass. civ. n. 7986/1991

In tema di azione di garanzia per i vizi della cosa venduta, il principio secondo cui l’onere della prova dei difetti che rendono la cosa inidonea all’uso o ne diminuiscono il valore incombe sul compratore, non trova deroga con riguardo alla presunzione di colpa che in tema di inadempimento della obbligazione è a carico del debitore, atteso che quest’ultimo è tenuto a giustificare l’inadempimento che il creditore gli attribuisce, solo quando lo stesso creditore abbia preventivamente dimostrata l’inesatta esecuzione della prestazione stessa.

Cass. civ. n. 1522/1989

L’obbligo di garanzia stabilito a carico del venditore dagli artt. 1490. e 1497 c.c. riguarda esclusivamente i vizi e la mancanza di qualità essenziali intrinseci alla cosa venduta e non può quindi trovare riferimento in dati estrinseci alla cosa stessa. Nel caso pertanto di una fornitura di beni (nella specie, valvole deviatrici per impianti elettrici di riscaldamento) riconosciuti privi di vizi intrinseci e conformi al tipo dedotto in compravendita, l’inidoneità a funzionare in concreto in relazione alle peculiari caratteristiche del tipo di impianto, in cui siano stati inseriti dal compratore, non può farsi ricadere sul venditore, trattandosi di fatto estrinseco rispetto alle qualità essenziali del prodotto e restando la responsabilità di una scelta errata dell’acquirente a carico del venditore solo ove questi abbia promesso l’idoneità del prodotto fornito a soddisfare le particolari esigenze prospettate dal compratore.

Cass. civ. n. 452/1982

Nel caso di vendita di un oggetto pregiato o di lusso (nella specie, una pelliccia di visone) ove il pregio è determinato non solo dalla qualità della materia prima impiegata, ma anche dalla particolare accuratezza delle operazioni di trasformazione o confezione, nonché della funzione di prestigio sociale e di investimento economico, qualsiasi imperfezione attinente alla materia prima od alle modalità di trasformazione odi confezione (purché non così lieve da non essere agevolmente percepita) incide in maniera determinante sul valore e, in definitiva, sulla destinazione della cosa compravenduta, integrando gli estremi del vizio redibitorio. La relativa indagine assorbe quella sull’importanza dell’inadempimento occorrente per l’azione di risoluzione di cui agli artt. 1453 e ss. c.c., rispetto alla quale l’azione redibitoria si configura come speciale e rafforzativa della tutela del compratore.

Cass. civ. n. 3137/1981

La garanzia dovuta dal venditore per la mancanza delle qualità promesse ovvero di quelle essenziali per l’uso, al pari della garanzia per i vizi e per la consegna di aliud pro alio, è suscettibile di divisione in rapporto alla diversa condizione, materiale o giuridica, in cui vengano a trovarsi più cose che furono oggetto di un unico rapporto contrattuale. Pertanto, quando solo una parte delle cose sia stata rivenduta a terzi dall’acquirente ovvero sia risultata priva delle qualità promesse, il compratore può esperire l’azione di risoluzione, rispettivamente, per le cose ancora in suo possesso, che sia perciò in grado di restituire, ovvero per la sola quantità di cose prive delle qualità pattuite.

Cass. civ. n. 2188/1978

In tema di azione redibitoria per i vizi della cosa venduta l’importanza dell’inadempimento deve essere valutata non secondo la norma generale dell’art. 1455 c.c., bensì secondo la norma speciale dell’art. 1490 c.c., e pertanto, a tal fine, è necessario e sufficiente accertare se i vizi denunciati rendano la cosa inidonea all’uso o ne diminuiscano il valore in modo apprezzabile, senza, cioè, che possa distinguersi tra vizi più gravi, che consentirebbero l’azione redibitoria, e vizi meno gravi, che consentirebbero soltanto l’azione di riduzione del prezzo.

Cass. civ. n. 3345/1976

La clausola, contenuta nel contratto di vendita di una macchina, limitante l’obbligo del venditore alla sostituzione dei pezzi rotti per accertato difetto del materiale, ed escludente il diritto del compratore di chiedere la risoluzione ed il risarcimento dei danni, integra non già una clausola solve et repete, di cui all’art. 1462 c.c., ma una limitazione della garanzia per vizi, ammessa dall’art. 1490, secondo comma c.c.