TRUFFA SENTIMENTALE : REATO SE TI FREGA SOLDI

TRUFFA SENTIMENTALE : REATO SE TI FREGA SOLDI

IL FATTO

la Corte d’appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo del 7/4/2016 con la quale F.M. è stato condannato alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa in ordine al delitto di truffa aggravata, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile S.G.. Si contesta a F. di avere con artifizi e raggiri, consistiti nell’avviare una relazione sentimentale con la p.o. (di molto più grande di lui), nel proporle falsamente l’acquisto in comproprietà di un appartamento in (OMISSIS) (e poi di altro appartamento) consegnandole anche fotografie dello stesso, nel richiederle prestiti proponendole la cointestazione di quote societarie, indotto in errore la S. circa l’effettivo acquisto dell’immobile e sulla situazione economica della propria società facendosi consegnare ingenti somme di denaro, in tal modo procurandosi un ingiusto profitto con pari danno per la p.o.. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione F.M. per mezzo del suo difensore il quale deduce il vizio di violazione di legge penale (art. 606 c.p.p., lett. b), sostenendo che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto integrato il reato di truffa pur in assenza di un’attività ingannatoria di F., posto che egli si sarebbe limitato a ricevere prestiti volontariamente elargiti dalla p.o. e che a nulla rileverebbe l’inganno circa i sentimenti provati nei confronti della donna

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Sentenza 6 giugno 2019, n. 25165 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAMMINO Matilde – Presidente Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere Dott. AIELLI Lucia – est. Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere ha pronunciato la seguente: sul ricorso proposto da: F.M., nato a (OMISSIS); SENTENZA avverso la sentenza n. 3433/2017 della Corte d’appello di Brescia del 11/12/2017; visti gli atti, la sentenza ed il ricorso; udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Lucia Aielli; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dott. Cardia Delia, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore della parte civile avv. Marco Linguerri che ha depositato nota spese e conclusioni scritte; udito il difensore di F.M. avv. Matteo Notaro che si è riportato ai motivi di ricorso. Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 11/12/2015 la Corte d’appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo del 7/4/2016 con la quale F.M. è stato condannato alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa in ordine al delitto di truffa aggravata, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile S.G.. Si contesta a F. di avere con artifizi e raggiri, consistiti nell’avviare una relazione sentimentale con la p.o. (di molto più grande di lui), nel proporle falsamente l’acquisto in comproprietà di un appartamento in (OMISSIS) (e poi di altro appartamento) consegnandole anche fotografie dello stesso, nel richiederle prestiti proponendole la cointestazione di quote societarie, indotto in errore la S. circa l’effettivo acquisto dell’immobile e sulla situazione economica della propria società facendosi consegnare ingenti somme di denaro, in tal modo procurandosi un ingiusto profitto con pari danno per la p.o.. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione F.M. per mezzo del suo difensore il quale deduce il vizio di violazione di legge penale (art. 606 c.p.p., lett. b), sostenendo che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto integrato il reato di truffa pur in assenza di un’attività ingannatoria di F., posto che egli si sarebbe limitato a ricevere prestiti volontariamente elargiti dalla p.o. e che a nulla rileverebbe l’inganno circa i sentimenti provati nei confronti della donna. Al fine di dimostrare la bontà della propria tesi il ricorrente ha richiamato una pronuncia del Tribunale di Milano del 14/7/2015 che la Corte d’appello avrebbe ignorato e che, a suo dire, escluderebbe la rilevanza penale del fatto allorquando vi sia un’attività ingannatoria sui sentimenti nutriti dall’agente verso la p.o. dovendosi accertare che la volontà ingannatoria fosse presente sin dall’inizio e dovendosi altresì provare il rapporto consequenziale tra errore e atto di disposizione patrimoniale. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e) avendo il giudice di appello, recepito le conclusioni del primo giudice senza procedere ad un’autonoma valutazione del materiale probatorio (in particolare dichiarazioni della p.o.) che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, escluderebbe che la S. fosse stata indotta ad effettuare le disposizioni patrimoniali perchè convinta dei sentimenti amorosi nutriti verso di lei da F., quanto piuttosto spinta da altre motivazioni, riporta a tal proposito dichiarazioni dell’imputato e il contenuto di un e-mail, dimostrativi delle reali intenzioni della donna. 2.3. Con il terzo e quarto motivo il ricorrente censura la motivazione in merito al trattamento sanzionatorio avendo riguardo all’eccessività della pena ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Motivi della decisione 1. Il ricorso va rigettato perchè basato su motivi infondati. 2. Va ricordato che, nel caso di specie, ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno (nel nostro caso, di condanna) per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Sez. 2, 7986, rv. 269217; Sez. 4, n. 5615/2013, Rv. 258432; Sez. 4060/2013, Rv. 258438: Sez, 4 n. 19710/2009, Rv. 243636). Nel caso di specie, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione in ordine alla responsabilità dell’imputato per i fatti allo stesso ascritti. In particolare la Corte di merito ha escluso che l’intenzione di S.G. di acquistare l’appartamento di Riccione fosse dovuta ad un intento speculativo (in tal senso sono stati valorizzati sms dall’eloquente contenuto “amoroso”) ed ha correlato tale determinazione all’acquisto (ed al versamento del relativo importo) al progetto, prospettatole da F., di vivere insieme e così, analogamente, anche per le successive dazioni di denaro, correlate all’acquisto di un appartamento migliore, ovvero all’acquisizione di quote societarie o, infine, a difficoltà economiche di F., il quale la induceva a rilasciargli ulteriori due assegni per un totale complessivo di Euro 380.000,00. Ebbene il quesito che pone il ricorrente; anche attraverso il richiamo ad un precedente giurisprudenziale di merito (sent. Tribunale di Milano del 14/7/2015), è se la menzogna riguardante i propri sentimenti amorosi, possa o meno costituire un artificio o raggiro rilevante ai fini della integrazione del delitto di truffa. A tale quesito la Corte d’appello ha risposto in senso affermativo sottolineando che la condotta del ricorrente era consistita non (solo) nel simulare sentimenti d’amore, ma nel coordinare la menzogna circa i propri sentimenti con ulteriori e specifici elementi (il progetto di vita in comune, l’investimento societario) idonei, insieme ad essa, ad avvolgere la psiche del soggetto passivo in modo da assumere l’aspetto della verità ed a trarre in errore (pag 8 della sentenza impugnata). Tale decisione appare corretta in diritto. In casi del genere la truffa non si apprezza per l’inganno riguardante i sentimenti dell’agente rispetto a quelli della vittima, ma perchè la menzogna circa i propri sentimenti è intonata con tutta una situazione atta a far scambiare il falso con il vero operando sulla psiche del soggetto passivo. A tal proposito va chiarito che, per ricostruire l’elemento oggettivo del reato, si deve tener presente la concatenazione delle note modali della condotta truffaldina e dei conseguenti eventi, nella sequenza indicata dal legislatore artifizi o raggiri – induzione in errore – atto dispositivo – danno patrimoniale e profitto ingiusto, sottolineando in particolare che, ai fini della individuazione della condotta truffaldina, occorre accertare l’idoneità ingannatoria degli artifizi o raggiri ed il nesso causale tra l’inganno e l’errore della vittima la quale, incisa nella sua sfera volitiva da falsi motivi, si determina ad una certa scelta patrimoniale che altrimenti non avrebbe effettuato. Diversamente da quanto sostenuto dall’impugnante, il quale ritiene, impropriamente, dirimente il precedente giurisprudenziale citato, non si intende affermare la rilevanza penale di condotte ingannatorie riguardanti i sentimenti provati, inducenti di per sè a compiere atti dispostivi pregiudizievoli, quanto piuttosto la illiceità di comportamenti che sfruttando la situazione di debolezza della vittima, nella specie coinvolta in una relazione sentimentale, hanno dato luogo a falsi motivi, determinanti la scelta patrimoniale del disponente. Va detto infatti che gli artifici – intesi come manipolazione esterna della realtà provocata mediante la simulazione di circostanze inesistenti o, per contro, mediante la dissimulazione di circostanze esistenti – o il raggiro consistente in una attività simulatrice, sostenuta da parole o argomentazioni atte a far scambiare il falso con il vero, sono entrambi mezzi per creare un erroneo convincimento passando il primo attraverso il camuffamento della realtà esterna ed operando il secondo direttamente sulla psiche del soggetto. E La giurisprudenza di legittimità ha sempre evidenziato che l’idoneità dell’artificio e del raggiro deve essere valutata in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso, e che l’idoneità degli artifici e raggiri risulta dalla verifica della sussistenza del nesso causale tra azione ed evento, mentre non ha rilievo la asserita mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa essendo sufficiente, per l’esistenza del reato, accertare che l’errore in cui, è caduta la vittima sia stato conseguenza di detti artifici o raggiri (Sez. 2, n. 55180/2018, Rv. 274299). E’ costante principio di legittimità che qualora sia stato accertato il nesso di causalità tra l’artificio o il raggiro e l’altrui induzione in errore non è necessario verificare l’idoneità in astratto dei mezzi usati quando in concreto questi si sono rivelati idonei a trarre in errore (Sez. 2, n. 42941/2014, Rv. 260476; Sez. 2, Sentenza n. 42867 del 20/06/2017, Rv. 271241; Sez. 5 n. 11441/ 1999, rv. 214868; Sez. 1 n. 16264/1990, v. 185974).

 

 

 

Nel caso di specie la Corte territoriale ha dato atto della menzogna dell’imputato sia in relazione ai sentimenti provati, sia in concreto in relazione al proposito di vita in comune, elementi che, complessivamente considerati e riprodotti nel tempo, ingenerarono nella S. la falsa convinzione circa l’effettiva realizzazione di quel progetto di vita sul quale si innestarono le disposizioni patrimoniali frutto, appunto, di tale indotto, erroneo convincimento. 3. Nè può trovare ingresso il secondo motivo di ricorso che apertamente disvela la propria manifesta infondatezza laddove sollecita la Corte ad una più completa e corretta valutazione delle risultanze fornite dal materiale probatorio acquisito, dovendosi ribadire che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere “reinterpretato” fuori del contesto in cui è inserito e gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al “merito” e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sicchè restano inammissibili le censure che, analogamente a quelle prospettate nel presente ricorso, sono nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio: nel caso di specie una valutazione del significato di quanto riferito dalla p.o. e dall’imputato e del contenuto dell’e – mail del 29/7/2013, diversa rispetto a quella, pure assolutamente ragionevole e plausibile, illustrata dai giudici del merito (Sez. 5. 8094/2007, rv. 236540; Sez. 2, n. 7986/2016, Rv. 269217). 4. Parimenti generiche le doglianze difensive di cui ai punti terzo e quarto del ricorso. La difesa non ha messo in evidenza alcuno specifico errore di diritto nella applicazione degli artt. 62 bis e 133 c.p.. Il trattamento sanzionatorio fondato sull’applicazione delle suddette disposizioni è la diretta conseguenza di un apparato argomentativo che la difesa manifesta di non condividere, senza peraltro dedurre valide argomentazioni che possano dimostrare vizi della motivazione che devono essere desumibili dal testo del provvedimento impugnato. E’ principio noto in giurisprudenza che il giudice del merito nell’accordare o nel negare le attenuanti generiche, non ha l’obbligo di prendere in considerazione tutti i parametri previsti dall’art. 133 c.p., essendo sufficienti che egli indichi quello che dei suddetti parametri abbia maggior rilievo, al fine di permettere la ricostruzione del pensiero logicogiuridico che giustifica la decisione assunta e consenta di verificare che il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale, di merito, non sia caduto in arbitrii. Nella specie, con argomentazioni aderenti ai dati processuali, sono stati valorizzati i dati della gravità del fatto e della personalità del soggetto come emergente dal certificato penale, oltre che la mancanza di elementi positivi giustificativi di un trattamento di maggior favore. Da quanto precede deriva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese del grado che liquida in Euro 3.510,00 oltre spese forfetarie nella misura del 15% c.p.A. ed Iva. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione in favore della parte civile S.G. delle spese del grado che liquida in Euro 3.510,00, oltre spese forfetarie nella misura del 15%, c.p.A. ed I.V.A.. Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019. Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2019