TESTAMENTO
ATTENZIONE NULLITA’ ANNULLABILITA’ TESTAMENTO
nullità del testamento per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c. appare argomentazione esposta solo ad abundantiam dalla Corte d’appello che, difatti, ha confermato la pronuncia di annullamento del testamento ai sensi dell’art. 591 c.c..
Il “dies a quo” di decorso del termine di prescrizione quinquennale dell’azione di annullamento del testamento olografo per incapacità del testatore, ex art. 591 c.c., va individuato in quello di compimento di un’attività diretta alla concreta realizzazione della volontà del “de cuius” – come la consegna o l’impossessamento dei beni ereditati o la proposizione delle azioni giudiziarie occorrenti a tale scopo – anche da parte di uno solo dei chiamati all’eredità e senza che sia necessario eseguire tutte le disposizioni del testatore. Ne consegue che, in caso di istituzione di un erede universale, non occorre che questi dimostri, al fine predetto, di aver disposto a titolo esclusivo dei beni costituenti l’intero “universum ius defuncti”. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che integrasse gli estremi di una condotta esecutrice, sia pure parzialmente, delle disposizioni testamentarie, quella con la quale l’erede aveva continuato a percepire, dopo la morte della “de cuius”, il canone di locazione di un immobile commerciale facente parte del compendio ereditario). (Cassa con rinvio,
Poiché al fine di giustificare l’interesse ad agire per far accertare l’invalidità di una disposizione testamentaria occorre che si possa vantare un diritto successorio in dipendenza dell’accertata invalidità della stessa disposizione,
tale posizione non è riconoscibile in capo a chi, potenziale successibile “ex lege”, sia stato validamente escluso, per diseredazione, dalla successione, atteso che la invalidità colpisce, di regola, uno o più singole disposizioni testamentarie, lasciando valide le altre, inclusa quella di esclusione. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte di merito, una volta dichiarata la validità della disposizione testamentaria di diseredazione in danno di tutta la stirpe dei fratelli, non aveva riconosciuto il difetto di interesse di questi ultimi all’impugnativa delle singole disposizioni).
nel caso di infermità tipica, permanente ed abituale,
l’incapacità del testatore si presume e l’onere della prova che il testamento sia stato redatto in un momento di lucido intervallo spetta a chi ne afferma la validità; qualora, invece, detta infermità sia intermittente o ricorrente, poiché si alternano periodi di capacità e di incapacità, non sussiste tale presunzione e, quindi, la prova dell’incapacità deve essere data da chi impugna il testamento.
Il chiamato all’eredità è legittimato ad impugnare, ex art. 591 c.c., il testamento che lo ha nominato quando il suo annullamento gli consenta di accedere, anche solo per motivi di interesse morale, ad una diversa delazione, legittima o testamentaria, la cui maggiore o minore convenienza non è sindacabile dal giudice.
In tema di annullamento del testamento, l’incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Antonio – Presidente – Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere – Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere – Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere – Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 11161/2015 R.G. proposto da: B.V., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Zanghì, con domicilio in Messina alla Via Lenzi 5; – ricorrente – contro T.C., rappresentato e difeso dall’avv. Carlo Autru Ryolo, con domicilio eletto in Roma, via Cunfidia 20, presso lo studio dell’avv. Alessia Bussacchietti. – controricorrente – avverso la sentenza del Tribunale di Messina n. 1157/2014, depositata in data 28.5.2014, e dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. della Corte d’appello di Messina, depositata in data 21.1.2015; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 8.1.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato. Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo T.A., erede legittimo di T.A., deceduto in data (OMISSIS), ha evocato in causa dinanzi al tribunale di Messina B.V., esponendo che il de cuius, con testamento olografo del 28.4.2003, pubblicato in data 15.1.2004, aveva disposto di tutti i suoi beni in favore del convenuto; che, tuttavia con sentenza n. 284/2006, passata in giudicato, il Tribunale penale di Siracusa aveva condannato il B. per il delitto di circonvenzione di incapace, accertando lo stato di incapacità assoluta di T.A. al momento della redazione del testamento.
Ha chiesto di dichiarare l’annullamento del testamento per incapacità del testatore ai sensi dell’art. 591 c.c., comma 2, n. 3 e di ordinare al B. la restituzione dei beni ereditari.
Il Tribunale ha accolto la domanda, ritenendo che l’accertamento dello stato di incapacità del testatore al momento della redazione delle ultime dichiarazioni di volontà, effettuato con la sentenza penale di condanna, facesse stato nel giudizio civile e che, dalle informazioni acquisite nel processo penale e dalle perizie di parte prodotte in causa, fosse pienamente dimostrato che, al momento delle disposizioni di ultima volontà, il de cuius era privo della capacità di intendere e di volere. L’appello proposto dal B. è stato dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.. Per la cassazione della sentenza di primo grado e dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., il B. ha proposto ricorso sulla base di nove motivi. T.C. ha proposto controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Motivi della decisione 1.
Il primo motivo censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 651 e 654 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza ritenuto che la sentenza di condanna per il delitto di circonvenzione di incapace avesse effetti nel giudizio civile di annullamento del testamento, benchè la pronuncia fosse stata emessa non a seguito di dibattimento, ma di giudizio abbreviato.
Inoltre, discutendosi in sede civile dell’invalidità del testamento e non del risarcimento e delle restituzioni conseguenti alla commissione del reato, la pronuncia non poteva spiegare alcun effetto ai fini dell’accertamento dello stato di incapacità del testatore, dovendo trovare applicazione l’art. 654 c.p.p.. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 112 c.p.c., art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, lamentando che il tribunale abbia immotivatamente respinto le richieste di prova articolate dal ricorrente, volte a dimostrare che T.A. era pienamente capace al momento del testamento e che i suoi rapporti con il fratello erano estremamente conflittuali
a causa della condotta del resistente. Il giudice istruttore aveva prima ammesso i mezzi istruttori con ordinanza del 17.2.2012, salvo poi a revocare il provvedimento sulla scorta della ritenuta irrilevanza delle prove, in tal modo impedendo al B. l’esercizio del diritto di difesa. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., comma 5, artt. 113 e 115 c.p.c., art. 251 c.p.c., art. 252 c.p.c., comma 1, art. 253 c.p.c., comma 1 e art. 254 c.p.c.,
in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza desunto l’incapacità del t.tore dai verbali di sommarie informazioni acquisite nel corso delle indagini penali senza contraddittorio e ai quali non poteva attribuirsi alcun valore probatorio, trattandosi peraltro di dichiarazioni non rese sotto giuramento. Il quarto motivo censura la violazione degli artt. 116 c.p.c. e L. n. 177 del 1988, art. 2, comma 3, per aver la sentenza desunto lo stato di incapacità del testatore dalle dichiarazioni degli informatori acquisite in sede penale nel maggio 2004, trascurando che detti informatori avevano riferito circostanze successive alla data della redazione del testamento, avvenuta in data 28.4.2003, e quindi del tutto irrilevanti ai fini della decisione. Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza attribuito rilevanza probatoria alla perizia di parte del Dott. C., redatta a distanza di oltre tre anni dalla data del testamento, priva di riscontri e di basi fattuali ed avente il valore di mera allegazione difensiva, e per aver dato credito alle dichiarazioni rese dagli informatori I., S. e D., riferibili all’ottobre 2003, trascurando che gli accertamenti svolti dai periti del Pubblico Ministero avevano escluso l’incapacità di intendere e di volere del de cuius al momento del testamento. Il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la sentenza abbia valorizzato i risultati della cartella clinica del Policlinico Universitario di Messina relativa al ricovero del T. risalente all’ottobre 2003, da cui nulla poteva evincersi riguardo alla condizione del testatore alla data delle disposizioni di ultima volontà. Il settimo motivo denuncia la violazione degli art. 115 e 116 c.p.c., per aver il giudice conferito valenza probatoria alla perizia grafologica di parte redatta dalla Dott.ssa Zerbo, pur trattandosi di un mero atto difensivo, trascurando che la perizia svolta in sede penale aveva escluso che dal tratto grafico potessero trarsi elementi utili per accertare le condizioni di capacità di T.A.. L’ottavo motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 166 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per aver il giudice omesso di considerare che dalla documentazione prodotta dal ricorrente emergeva che T.A., anche nel periodo successivo alla redazione del testamento, aveva condotto una vita normale, senza manifestare alcuna significativa patologia in grado di minarne le condizioni di capacità. Il nono motivo deduce la sussistenza del giudicato interno sulla validità del testamento, esponendo che l’azione di nullità ex art. 1418 c.c. proposta in primo grado e fondata sul passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna per il reato di cui all’art. 643 c.p., era stata respinta senza che il resistente avesse proposto appello incidentale, per cui la questione non poteva essere riesaminata in appello. 2. Va anzitutto dichiarata l’inammissibilità del ricorso avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., non avendo il ricorrente dedotto vizi propri del provvedimento, riconducibili ad errores in procedendo e all’utilizzo di siffatta modalità decisoria al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge, essendosi la Corte di appello limitata a formulare il giudizio prognostico prescritto dalla norma ed ad esplicitare le ragioni per le quali ha ritenuto che l’impugnazione non avesse una ragionevole probabilità di accoglimento (Cass. 23151/2018; Cass. 3023/2018). 3. Vanno esaminati anzitutto i motivi secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo, che, essendo strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente. Le suddette censure sono infondate e dal loro rigetto consegue l’assorbimento del primo motivo, che, anche se fondato, non potrebbe comunque condurre alla cassazione della sentenza impugnata. 3.1. Il tribunale, accogliendo la domanda di annullamento del testamento redatto da T.A. in data 28.4.2003, oltre a ritenere vincolante ai sensi dell’art. 651 c.p.p. la sentenza penale di condanna del B. per il reato di circonvenzione di incapace, ha accertato in concreto l’incapacità assoluta del testatore – a prescindere dall’esito del processo penale (cfr. sentenza pag. 5) – in base ad un complesso di elementi istruttori che ha giudicato “convergenti nel significato dimostrativo” (sentenza pag. 6). Ritenuta l’utilizzabilità delle prove raccolte nel processo penale, il giudice di merito ha stabilito che le dichiarazioni delle persone che avevano reso sommarie informazioni nel corso delle indagini penali comprovassero che il T. era “persona fortemente compromessa nelle sue abilità mentali”, e che, come evincibile dalla perizia di parte redatta dal Dott. C.,
espletata in contraddittorio, il testatore era da alcuni anni affetto da demenza, che sin dall’ottobre 2002 si erano manifestati segnali di decadimento delle funzioni cognitive e scadimento della memoria a breve e che dette patologie già nel marzo del 2003 avevano raggiunto una significatività clinica, palesatasi con gravi disturbi della memoria e dell’attenzione, disorientamento tempo-spaziale, alterazioni del carattere e del funzionamento esecutivo, iniziale compromissione delle funzioni corticali superiori.
Il giudizio di incapacità assoluta del testatore riposa inoltre: a) sulla diagnosi di demenza senile, certificata dalla cartella clinica relativa al ricovero di T.A. presso il Policlinico Universitario di (OMISSIS) del (OMISSIS); b) sul contenuto la cartella della Clinica Psichiatrica, at t.nte un estremo decadimento delle condizioni generali, anche intellettive del testatore; c) sull’indagine effettuata dal consulente grafologo secondo cui il “testamento era stato vergato da soggetto non in possesso della capacità di autodeterminarsi”. 3.2. Non sussiste l’eccepita omissione di pronuncia riguardo alla mancata ammissione delle prove articolate dal ricorrente.
Anzitutto, la violazione dell’art. 112 c.p.c. si configura esclusivamente con riferimento alle domande di merito, non anche in relazione alle richieste istruttorie, per le quali l’omissione è denunciabile soltanto per vizi di motivazione (Cass. 13716/2016; Cass. 6715/2013; Cass. s.u. 15982/2001; Cass. 4271/1996).
In ogni caso, nelle argomentazioni con cui la pronuncia impugnata ha risolto il merito della lite era implicita la conferma del giudizio di irrilevanza delle prove già espresso dal Tribunale con l’ordinanza del 14.2.2012, non occorrendo una motivazione esplicita o un ulteriore provvedimento di rigetto (Cass. 11176/2017; Cass. 6570/2004; Cass. 14611/2005). Non occorreva – per altro verso – neppure una esplicita confutazione, dal parte del tribunale, di tutti gli elementi documentali richiamati alle pagg. 6 e ss. del ricorso, poichè l’esame dei documenti esibiti e la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni delle soluzioni accolte, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 16056/2016; Cass. 17097/2010; Cass. 12362/2006). 3.2. Riguardo alla eccepita violazione dell’art. 115 c.p.c., è sufficiente ribadire che la norma si limita a richiedere che la decisione si basi su elementi validamente acquisiti al processo, con divieto del giudice di utilizzare prove non dedotte dalle parti o acquisite d’ufficio al di fuori dei casi in cui la legge gli conferisce un potere officioso d’indagine (Cass. 27000/2016; Cass. 13960/2014), mentre esula dal suo ambito applicativo ogni questione che involga il modo in cui siano state valutati gli elementi acquisiti, profilo su cui il controllo di legittimità può svolgersi solo con riguardo alla motivazione (Cass. 23940/2017; Cass. 24434/2016). 3.3. Quanto all’utilizzabilità delle sommarie informazioni assunte in sede penale, questa Corte ha ripetutamente affermato che, anche nei casi in cui non possono attribuirsi alla sentenza penale effetti vincolanti nel giudizio civile ai sensi degli artt. 654, 652 e 651 c.p.p., nulla impedisce al giudice civile, tenuto a rivalutare integralmente i fatti di causa, di tener conto delle acquisizioni probatorie del processo penale e di ripercorre lo stesso “iter” argomentativo della sentenza di condanna, condividendone gli esiti (Cass. 17316/2018; Cass. 20170/2018; Cass. 14570/2017; Cass. 8603/2017; Cass. 1948/2016; Cass. 24475/2014; Cass. s.u. 1768/2011). Più in particolare, al di fuori delle ipotesi in cui la sentenza penale ha effetto di giudicato nel processo civile, occorre distinguere tra gli elementi acquisiti dal giudice penale senza la successiva verifica dibattimentale, da quelli sottoposti al contraddittorio o per i quali il dibattimento è mancato per la scelta dell’imputato di optare (come nel caso in esame) per un rito alternativo (giudizio abbreviato ex artt. 438 c.p.p. e ss. o patteggiamento ex artt. 444 c.p.p. e ss.: cfr. Cass. 2168/2013; Cass. 132/2008). Questi ultimi sono liberamente valutabili in sede civile ai sensi dell’art. 116 c.p.c., posto che la loro acquisizione in sede penale, senza alcun vaglio dibattimentale, è riconducibile ad una scelta processuale dell’interessato (così in motivazione: Cass. 21299/2014). L’apprezzamento del rilievo probatorio conferito alle suddette dichiarazioni è – peraltro – giunto a conclusione del giudizio civile svoltosi nel regolare contraddittorio delle parti ed il giudice di merito ha rivalutato l’intero quadro probatorio, senza limitarsi a recepire le conclusioni del giudice penale e senza neppure attribuire un peso decisivo (o prevalente) alle dichiarazioni degli informatori, avendone correttamente vagliato la rilevanza nel raffronto con le restanti risultanze probatorie. Non occorreva che i dichiaranti prestassero giuramento poichè nel sistema processuale manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova ed il giudice poteva legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove atipiche al fine di stabilire quali fossero le condizioni di salute del de cuius al momento del testamento (cfr. sentenza pagg. 6 e seguenti; Cass. 5965/2004; Cass. 4666/2003; Cass. 12763/2000). Era inoltre consentito prendere in esame e valorizzare i risultati delle perizie di parte (anche attribuendogli un peso probatorio prevalente sugli accertamenti svolti dai Carabinieri di Messina o dai periti del Pubblico ministero), attesa l’esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento sancito dall’art. 116 c.p.c., i cui esiti restano sindacabili solo sul piano della motivazione (Cass. 26550/2011; Cass. 12411/2001; Cass. 1416/1987; Cass. 1325/1984; Cass. 5286/1980; Cass. 1217/1970). 3.4. Per il resto, il fatto che gli informatori avessero riferito circostanze del tutto irrilevanti e che le perizie e le cartelle cliniche dei ricoveri riguardassero accertamenti successivi alla redazione del testamento attiene a profili non deducibili come violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che è invocabile ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, o quando il giudice abbia disatteso il criterio di apprezzamento di una prova soggetta ad una specifica regola di valutazione, (Cass. 11892/2016; Cass. 13960/2014; Cass. 26965/2007), dovendo infine rilevarsi che, secondo l’incensurabile convincimento del giudice di merito, l’insieme degli elementi probatori esaminati consentivano di rilevare l’insorgenza ed il permanere delle condizioni di incapacità assoluta sia prima che dopo la stesura del testamento, poichè il T. era da tempo “persona fortemente compromessa nelle sue abilità mentali” (cfr. sentenza pag. 5 e 6). 4. Il nono motivo è inammissibile per difetto di interesse, posto che l’asserita nullità del testamento per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c. appare argomentazione esposta solo ad abundantiam dalla Corte d’appello che, difatti, ha confermato la pronuncia di annullamento del testamento ai sensi dell’art. 591 c.c.. In conclusione, deve dichiararsi inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., sono respinti il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso avverso la sentenza del Tribunale, è assorbito il primo motivo ed è dichiarato inammissibile il nono. Le spese seguono la soccombenza con liquidazione in dispositivo. Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., rigetta il ricorso avverso la sentenza di primo grado e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi e ad Euro 7300,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%. Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 gennaio 2019. Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019
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