TUTTI SANNO CHE AI FIGLI VA DATO L’ ASSEGNO MA NON TUTTI SANNO QUANTO? E COME
SEPARAZIONE CONIUGI ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI BOLOGNA
Se possiamo discutere o valutare in una separazione il mantenimento del coniuge mai verrà messo in discussione nella SEPARAZIONE CONIUGI ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI BOLOGNA.
Assegno di mantenimento. La modalità classica di mantenimento dei figli minori (o dei maggiorenni non economicamente indipendenti) è quella dell’assegno di mantenimento: essa può essere decisa dalle parti o imposta dal giudice in sede di separazione consensuale o divorzio.[wpforms id=”21592″ title=”true” description=”true”]
Chiudere con il coniuge ovviamente non vuol dire chiudere con i figli che devono avere una maggiore attenzione nel momento della separazione dei genitori
Ma come va calcolato nella separazione l’assegno di mantenimento per i figli?
nella separazione l’assegno di mantenimento per i figli va calcolato considerando :
È stato, infatti, affermato il principio secondo cui (Cass., 10 dicembre 2014, n. 26060; Cass., 29 luglio 2011, n. 16376; Cass., 18 agosto 2006 n. 18187) l’affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori – previsto dalla legge sul divorzio, art. 6 (1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 11), analogicamente applicabile anche alla separazione personale dei coniugi – è istituto che, in quanto fondato sull’esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l’istituto stesso implichi, come conseguenza ‘automatica’, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze. È stato altresì precisato che il richiamato principio trova conferma nelle nuove previsioni in tema di affido condiviso di cui alla L. n. 54 del 2006.
6 – È stato poi precisato che l’assegno disposto in favore del genitore presso il quale la prole è prevalentemente collocata non contrasta con il contenuto dell’art. 155 cod. civ., che fornisce alcune indicazioni sui presupposti e caratteri dell’assegno, introducendo il principio generale, già elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. L’ulteriore previsione che il giudice possa disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico, al fine di realizzare tale principio di ‘proporzionalità’, esclude che la Corte territoriale abbia violato detta disposizione, in quanto la previsione di un assegno si rivela quantomeno opportuna, se non necessaria, quando, come nella specie, l’affidamento condiviso preveda un collocamento prevalente presso uno dei genitori: assegno da porsi a carico del genitore non collocatario. Del resto il ricordato art. 155 c.c., fornisce indicazioni specifiche sulla determinazione dell’assegno, considerando, tra l’altro, ‘i tempi di permanenza presso ciascun genitore’.
Questa Corte ha per altro precisato (Cass., 4 novembre 2009, n. 23411) che il genitore collocatario, essendo più ampio il tempo di permanenza presso di lui, avrà necessità di gestire, almeno in parte, il contributo al mantenimento da parte dell’altro genitore, dovendo provvedere in misura più ampia alle spese correnti e all’acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle spese straordinarie (indumenti, libri, ecc.).
L’orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità ha nettamente escluso che nel giudizio di separazione personale tra coniugi che abbia ad oggetto anche le statuizioni sui figli minori si determini un’ipotesi di litisconsorizio necessario nei confronti del pubblico ministero analogamente a quanto si verifica nel giudizio di divorzio, precisando che ‘nel giudizio di separazione”, il P.M. deve intervenire a pena di nullità (art. 10 c.p.c.) ma non ha potere d’iniziativa né può impugnare la sentenza che lo conclude ex art. 12, 3 comma, c.p.c., a differenza di quanto previsto per il divorzio nel cui procedimento assume la qualità di litisconsorte se vi sono figli minori o incapaci, avendo potere di impugnare la decisione che conclude questa causa matrimoniale, anche in ordine agli interessi patrimoniali dei figli minori o incapaci ex art. 5, comma 5, L. 1 dicembre 1970 n. 898, come modificata (Cass. 29 ottobre 1998 n. 10803). Nella separazione, che è causa che può essere promossa solo dai coniugi ai sensi dell’art. 150, 3 comma, c.c. (Cass. 17 gennaio 1996 n. 364) e nella quale è espressamente escluso il potere d’impugnazione del P.M. dall’art. 72, terzo comma, c.p.c., che lo prevede nelle altre cause matrimoniali, non vi è litisconsorzio necessario. (…). Il legislatore,pur qualificando il giudizio di separazione causa matrimoniale, esclude che il P.M. possa impugnare la decisione che lo conclude e attribuisce ai coniugi soltanto il ‘diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e le disposizioni relative alla misura e alle modalità del contributo’, (art. 155 c.c.). (…). Non si può estendere il potere d’impugnazione del P.M. di cui al 5 comma dell’art. 5 della L. 898/10, non espressamente richiamato (a differenza dell’art. 4) dall’art. 23 della L. 6 marzo 1981 n. 74, al giudizio di separazione (sul tema, Cass. 10 giugno 1998 n. 5756), neppure alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale relative alle fattispecie diverse della disparità di trattamento dei minori, nell’art. 9 della L. n. 898/70 rispetto agli art. 710 e 70 c.p.c. (in quest’ultimo caso per i giudizi ira genitori naturali relativi ai figli), e riguardanti il potere d’intervento del P.M. e non quello di impugnazione (C, Cost. 25 giugno 1996 n. 214 e 9 novembre 1992 n. 416), precluso espressamente dall’art. 12 c.p.c.’. (Cass. 6965 del 2002).
Ne consegue, come esaurientemente spiegato nel passo della motivazione sopra trascritto, la manifesta infondatezza della eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. 72, terzo comma cod. proc. civ. in relazione all’art. 5 della l. n. 898 del 1970 e successive modificazioni ed integrazioni, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Cost., avendo la Corte Costituzionale costantemente affermato la generale adeguatezza della previsione dell’intervento obbligatorio del pubblico ministero nei procedimenti riguardanti i minori (Corte Cost. n. 185 del 1986; 416 del 1992) assieme alle altre misure processuali poste a tutela dei loro specifici interessi, nonché la sufficienza del predetto intervento al fine di equiparare la posizione dei figli legittimi e naturali. (Corte Cost. 214 del 1996). Del pari da rigettare il quarto motivo. Al riguardo, va rilevato che nella sentenza impugnata non viene affrontata, perché non sollecitata dai motivi d’appello, la questione relativa all’adeguamento automatico dell’assegno di mantenimento ai figli minori. Deve, pertanto, ritenersi che tale statuizione, contenuta nella pronuncia di primo grado, sia coperta dal giudicato.
Peraltro, com’è agevole verificare dall’esame testuale del dispositivo della sentenza della Corte d’Appello di Catania, le modalità relative al contributo al mantenimento dei figli minori vengono rimesse per relationem all’ordinanza cautelare del 23/6/2005, che richiama, sul meccanismo di adeguamento dell’assegno, la pronuncia di primo grado. (pag. 28 controricorso) Pertanto, l’omessa statuizione denunciata non sussiste.
In ordine al secondo motivo, deve preliminarmente evidenziarsi l’infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità sollevata dal controricorrente. Non risulta dall’esame del motivo, relativo al vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. che si richieda al giudice di legittimità il riesame delle emergenze istruttorie al fine di darne una valutazione diversa da quella incensurabile fornita dal giudice di merito, ma, al contrario, dallo sviluppo argomentativo di esso e dalla lettura del quesito ex art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile, risulta palese che il ricorrente abbia espressamente voluto censurare la violazione, da parte della Corte d’Appello di Catania, dell’art. 156 cod. civ. per non aver ritenuto condizione essenziale per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione la mancanza di redditi adeguati a consentire un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e di aver reputato che l’astratta attitudine e capacità di lavoro del coniuge separato potesse far elidere il dovere di solidarietà coniugale posto alla base dell’obbligo di mantenimento sancito nell’art. 156 cod. civ. (cfr. quesito di diritto p. 28 ricorso).
Il motivo risulta, peraltro fondato. Nella sentenza impugnata si da atto che la ricorrente non svolge attività lavorativa e che la sua condizione patrimoniale, come affermato dalla Corte d’Appello nella motivazione della statuizione relativa all’aumento dell’assegno di mantenimento in favore dei figli minori, era nettamente inferiore a quella del coniuge. L’esclusione del riconoscimento di un contributo al suo mantenimento si è, conseguentemente, fondato, sulla sua attitudine al lavoro, desumibile dall’età, le condizioni di salute e il possesso di un diploma di laurea oltre che di una potenziale professionalità. Tali condizioni, se non eziologicamente collegate alla prospettiva effettiva ed attuale di svolgimento di un’attività produttiva di reddito, sono inidonee a far venire meno il dovere di solidarietà coniugale, sancito dall’art. 143 terzo comma, cod. civ., che impone, in sede di separazione personale, ai sensi dell’art. 156 cod. civ., la corresponsione di un assegno di mantenimento, in favore del coniuge che non abbia adeguati redditi propri. La valutazione di adeguatezza od inadeguatezza dei redditi personali, deve essere svolta, in virtù dell’origine solidale dell’obbligo a carico dell’altro coniuge, sulla base delle condizioni reddituali e patrimoniali valutabili al momento dell’accertamento della sussistenza del diritto, ben potendo in futuro, tali valutazioni essere modificate in sede di revisione delle condizioni della separazione, qualora le potenzialità lavorative e reddituali del titolare dell’assegno si attualizzino. (art.156, ultimo comma, cod. civ.). Al riguardo, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, è stato affermato che: ‘In tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica. Peraltro, l’attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche. (Cass. 18547 del 2006, cui devono aggiungersi i precedenti conformi 3975 del 2002 e 12121 del 2004)’.
Ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento in favore di uno dei coniugi, alla luce dei criteri sanciti dall’art. 156 cod. civ., risulta pertanto rilevante la condizione patrimoniale e reddituale comparativa riscontrabile alla luce dei complessivi riscontri istruttori al momento dell’accertamento del diritto, non rilevando, in via generale, ai fini dell’attribuzione di esso, le ragioni recenti o remote dell’assenza attuale di effettiva capacità reddituale, salva la loro valutabilità in sede di quantificazione del contributo, non risultando, peraltro, neanche dedotto dalla parte controricorrente che siano state rifiutate opportunità di lavoro diverse da quella svolta con il coniuge in costanza di matrimonio.
– le esigenze attuali del figlio;
– il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori;
– i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
– le risorse economiche di entrambi i genitori;
I genitori devono mantenere i figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti in proporzione al proprio reddito, considerando le loro esigenze, il tenore di vita goduto quando i genitori erano conviventi, il tempo di permanenza presso uno di questi, le risorse economiche di entrambi i coniugi e la valenza economica dei compiti domestici nonchè di cura assunti da ciascuno dei genitori.
Parametri che vanno sapientemente dosati, caso per caso, per la determinazione di un equilibrato importo, idoneo a garantire i bisogni dei minori ritenuti prioritari rispetto ad ogni altra questione economica che scaturisce dalla rottura del rapporto coniugale.
Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 agli artt. 3 p.1) e 8 p.1) introduce distinti criteri generali di attribuzione della giurisdizione per il caso di separazione personale e di domande inerenti alla responsabilità genitoriale su un minore. devolvendo in via esclusiva la competenza a decidere sulle domande incluse nel secondo ambito (art. 1 lett. b e p.2; art. 2 nn. da 7 a 10; Considerando 12), pure se proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente (cfr. Cass. SU n. 30646 del 2011). Quando, dunque, come nella specie. il minore non risiede abitualmente nello Stato membro in cui si svolge il procedimento separatizio, il suo superiore e preminente interesse col criterio di vicinanza (Considerando 12 e 13) impongono, salvo le contemplate eccezionali deroghe peraltro nel caso non operative, di scindere i due ambiti e di non attribuire al giudice adito per il primo procedimento d’indole matrimoniale anche la competenza a conoscere delle domande concernenti la responsabilità genitoriale, se non accettata dal coniuge convenuto e non corrispondente all’interesse del tiglio minorenne. Inoltre. qualora il giudice italiano sia investito della domanda di separazione personale dei coniugi e il giudice di altro Stato membro sia investito e competente sulla domanda di responsabilità genitoriale, a quest’ultimo spetta, anche ai sensi dell’art. 5 n. 2) del Regolamento (CE) n. 44 del 2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000. nella specie applicabile ratione temporis, la giurisdizione sulla domanda relativa al mantenimento del figlio minore (non ricompresa nel campo d’applicazione del Regolamento CE n. 1201/2003: Considerando n. 11). trattandosi di domanda accessoria a quella di responsabilità genitoriale e non a quella separatizia (in tema, cfr, Cass. SU n. 2276 del 2016: Corte di Giustizia UE, sentenza 16 luglio 2015 in causa c. 184/14).
È noto d’altronde che l’attitudine al lavoro del coniuge, quale elemento di valutazione della sua capacità di guadagno, in tanto può assumere rilievo ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno di mantenimento, in quanto venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (cfr. Cass., Sez. I, 13 febbraio 2013, n. 3502; 25 agosto 2006, n. 18547; 2 luglio 2004, n. 12121).
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