SCOOTER GRAVE INCIDENTE COME OTTENERE RISARCIMENTO
IN UN INCIDENTE CON SCOOTER VIENE RICONOSCIUTO UN
CONCORSO
DI COLPA DELLO STESSO SCOOTER
che, al riguardo, deve innanzitutto osservarsi come il ricorrente, nel censurare il ragionamento presuntivo operato dalla Corte felsinea, muova da una visione atomistica delle tre diverse circostanze dalla stessa valorizzate, pretendendo che ciascuna di esse singolarmente considerata – e non tutte nel loro insieme, o meglio nella loro interazione – sia idonea a consentire la prova del fatto ignoto;
– che questa Corte, per contro, ha sottolineato come la corretta applicazione dell’art. 2729 c.c. presupponga un apprezzamento degli clementi acquisiti in giudizio, dai quali inferire quello ignoto, che riconosca ad essi efficacia probatoria, “quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziarla”, se risultino “in grado di acquisirla ove valutati nella loro convergenza globale”, ovvero “accertandone la pregnanza conclusiva” (Cass. Sez. Lav., ord. 16 luglio 2018, n. 18822, Rv. 649915-01), e ciò in quanto “la valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perchè equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Cass. Sez. 3, sent. 13 marzo 2014, n. 5787, Rv. 630512-01);
– che il ragionamento presuntivo, per vero, costituisce “un “itero logico che non è un risalire all’indietro, ma piuttosto un procedere “in avanti”, verso un’ipotesi da verificare, ovvero verso la dimostrazione di un fatto che è prefigurato come possibile conclusione dell’inferenza in cui si articola il ragionamento presuntivo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 22 giugno 2020, n. 1218, non massimata sul punto; sul carattere “inferenziale” del ragionamento presuntivo si vedano anche, da ultimo, e tra le innumerevoli, Cass. sez. 5, sent. 5 giugno 2019, n. 15454, Rv. 654383-01; Cass. Sez. 6-2, ord. 291 gennaio 2019, n. 2482, Rv. 652386-02);
– che a siffatto “modus operandz” si è correttamente attenuta la sentenza impugnata, la quale ha preso le mosse dal rilievo – non contestato dall’odierno ricorrente – che la conformazione dello stato dei luoghi “teatro” del sinistro permetteva al conducente del veicolo che procedeva lungo via dell’Unione (ovvero, l’odierno ricorrente) di “avvistare” con anticipo la vettura proveniente da via Vinazzetti, su tale premessa fondando un ragionamento presuntivo che, attraverso la constatazione, dapprima, dell’assenza di tracce di frenata del motociclo del C. in prossimità del punto di impatto tra i due veicoli, nonchè, di seguito, dell’avvenuta collisione della parte anteriore dello scooter con la fiancata destra anteriore della vettura antagonista, si è concluso nel senso che l’elevata velocità del primo avesse contribuito (nella misura del 25%) alla causazione dell’incidente, giacchè se il ciclomotorista avesse tenuto una velocità moderata sarebbe stato in condizione, quantomeno, di tentare una frenata;
– che tale ragionamento inferenziale resiste alla critica del ricorrente, che ne censura il primo passaggio sul rilievo, non fondato, che la possibilità di avvistamento del veicolo antagonista “non significa necessariamente” che esso C. potesse “evitare l’impatto anche tenendo una velocità non elevata”;
FATTO il ricorrente riferisce che, in data 14 luglio 2003, alle ore 9:30, un’autovettura di proprietà e condotta dal M. (assicurata per la “RCA” dalla società Winterthur Assicurazioni S.p.a., poi divenuta Aurora Assicurazioni S.p.a., successivamente incorporata da UGF Assicurazioni S.p.a. e, infine, divenuta Unipolsai Assicurazioni S.p.a.), giunta all’intersezione tra via (OMISSIS), omettendo di dare la dovuta precedenza allo scooter condotto da esso Carullo, collideva con lo stesso, provocandone la rovinosa caduta a terra;
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GUIZZI GIAIME Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34370-2019 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI, 13, presso lo studio dell’Avvocato GIANNI SAVERIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato DAZIO DOMENICO;
– ricorrente –
contro
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. COLOMBO 440, presso lo studio dell’Avvocato TASSONI FRANCO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
contro
M.D.;
avverso la sentenza n. 1221/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 11/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO.
Svolgimento del processo
– che C.A. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1221/19, dell’11 aprile 2019, della Corte di Appello di Bologna, che – rigettando il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 4123/09, dell’8 settembre 2009, del Tribunale di Bologna – ha confermato integralmente la pronuncia del primo giudice che, riconoscendo una corresponsabilità del medesimo Carullo, nella misura del 25%, nella causazione del sinistro stradale di cui rimase vittima, ha condannato M.D. e la società UGF Assicurazioni S.p.a., oggi Unipolsai Assicurazioni S.p.a., a risarcire all’odierno ricorrente i danni subiti, liquidati nella misura di Euro 42.180,96;
– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce che, in data 14 luglio 2003, alle ore 9:30, un’autovettura di proprietà e condotta dal M. (assicurata per la “RCA” dalla società Winterthur Assicurazioni S.p.a., poi divenuta Aurora Assicurazioni S.p.a., successivamente incorporata da UGF Assicurazioni S.p.a. e, infine, divenuta Unipolsai Assicurazioni S.p.a.), giunta all’intersezione tra via (OMISSIS), omettendo di dare la dovuta precedenza allo scooter condotto da esso Carullo, collideva con lo stesso, provocandone la rovinosa caduta a terra;
– che avendo il medesimo Carullo riportato lesioni personali, adiva il Tribunale di Bologna per conseguire dal M. e dalla società Aurora Assicurazioni il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a causa del sinistro;
– che il primo giudice, come detto, riconosciuta la concorrente responsavibilità del C. nella causazione dell’incidente, in misura del 25%, accoglieva la domanda di risarcimento nei limiti sopra indicati, con decisione confermata dal giudice di appello, che – nella contumacia del M., essendosi costituita la sola UGF Assicurazioni S.p.a. -rigettava il gravame esperito dal già attore;
– che avverso la sentenza della Corte felsinea il C. ricorre per cassazione, sulla base – come detto – di due motivi;
– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 2054, 2697, 2727 e 2729 c.c. censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il concorso di responsabilità di esso C. nella causazione del sinistro fosse da attribuire alla elevata velocità di guida dello scooter condotto;
– che, in particolare, si contesta il ragionamento presuntivo svolto dalla Corte territoriale per giungere a tale conclusione, avendo essa valorizzato tre elementi: lo stato dei luoghi, tale da permettere a chi (come il C.) provenisse da via dell’Unione di avvedersi, in tempo utile, della presenza di un’autovettura proveniente da via Vinazzetti; l’assenza, in prossimità del luogo di collisione tra i due mezzi, di tracce di frenata del motoveicolo; il punto di impatto dei veicoli, ed in particolare il fatto che l’urto fosse avvenuto tra la fiancata destra anteriore della vettura e la parte anteriore del motociclo;
– che ad avviso del ricorrente “l’affermazione del nesso di consequenzialità”, tra i tre fatti noti sopra illustrati ed il fatto ignoto desunto (ovvero, l’eccessiva velocità dello scooter), “non risponde ai criteri logici di precisione, gravità e concordanza che consentono di affermare”, ai sensi dell’art. 2729 c.c., “una reale inferenza probabilistica tra i fatti noti ed il fatto ignoto”;
– che in particolare, secondo il ricorrente, l’assenza di tracce di frenata sull’asfalto di via dell’Unione attesterebbe esclusivamente che il conducente del motoveicolo non fu grado di arrestare per tempo il mezzo ed evitare l’impatto con l’autovettura, mentre, Jua volta, la circostanza che la collisione si sia prodotta tra la fiancata anteriore destra dell’autovettura e la parte anteriore del motociclo, deporrebbe solo per il fatto dell’avvenuto scontro tra gli automezzi, ma non dimostra nè che il motociclo abbia impattato sull’autovettura, nè che al verificarsi dello scontro abbia concorso l’elevata velocità del primo, così come, infine, la peculiare conformazione dello stato dei luoghi non significa necessariamente che, in presenza di un’omessa precedenza di un autoveicolo proveniente da via Vinazzetti, chi giungesse da via dell’Unione potesse evitare l’urto anche tenendo una velocità non elevata;
– che il secondo motivo denuncia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1223 c.c.;
– che, in questo caso, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di escludere la risarcibilità del danno patrimoniale, e ciò sul presupposto che la documentazione prodotta fosse assolutamente inidonea a provare una ridotta diminuzione del reddito in conseguenza del sinistro, essendo insufficiente allo scopo “l’indicazione da parte del CTU dell’astratta percentuale di invalidità sulla capacità lavorativa specifica”, dovendo il danneggiato fornire “prova certa e rigorosa dell’incidenza sul reddito dell’invalidità indicata”;
– che tale prova, secondo la Corte territoriale non poteva dirsi raggiunta “in ragione di due sole denunce dei redditi (una precedente l’altra successiva l’anno del sinistro), la cui inidoneità probatoria discende dal fatto che l’attività lavorativa cui si riferiscono è svolta in regime di libera professione ed è notoriamente incostante nel tempo”, essendo, infatti, “soggetta, di per sè, ad oscillazione e mutamenti da un anno d’imposta all’altro”, sicchè “l’unica dichiarazione fiscale precedente al sinistro è, in quanto isolata, insufficiente a dimostrare che reddito in essa indicato si fosse stabilizzato”;
– che, per contro, il ricorrente assume di non essersi “limitato ad asserire, sulla scorta dell’elaborato peritale, di aver subito un danno alla capacità di produrre reddito”, ma di aver “fornito la prova documentale di tale pregiudizio” e, in particolare, di aver “dimostrato la contrazione dei redditi”;
– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, la società Unipolsai Assicurazioni, chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o rigettato, tendendo ad una non consentita rivalutazione del merito del giudizio;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 26 novembre 2020;
– che la controricorrente ha presentato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni e nelle conclusioni già rassegnate nel controricorso.
Motivi della decisione
– che il ricorso è manifestamente infondato;
– che il primo motivo, che investe il ragionamento presuntivo svolto dalla Corte territoriale per affermare la corresponsabilità del C. nella causazione del sinistro, sebbene ammissibile, non è fondato;
– che in relazione alla sua ammissibilità, deve confermarsi quanto più volte ribadito da questa Corte, ovvero che, “qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3, (e non già alla stregua dello stesso art. 360 c.p.c., n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta” (Cass. Sez. 3, sent. 4 agosto 2017, n. 19485, Rv. 645496-02; in senso sostanzialmente analogo pure Cass. Sez. 6-5, ord. 5 maggio 2017, n. 10973, Rv. 643968-01; nonchè Cass. Sez. 3, sent. 26 giugno 2008, n. 17535, Rv. 603893-01 e Cass. Sez. 3, sent. 19 agosto 2007, n. 17457, non massimata sul punto);
– che, nondimeno, il motivo risulta non fondato;
– che, al riguardo, deve innanzitutto osservarsi come il ricorrente, nel censurare il ragionamento presuntivo operato dalla Corte felsinea, muova da una visione atomistica delle tre diverse circostanze dalla stessa valorizzate, pretendendo che ciascuna di esse singolarmente considerata – e non tutte nel loro insieme, o meglio nella loro interazione – sia idonea a consentire la prova del fatto ignoto;
– che questa Corte, per contro, ha sottolineato come la corretta applicazione dell’art. 2729 c.c. presupponga un apprezzamento degli clementi acquisiti in giudizio, dai quali inferire quello ignoto, che riconosca ad essi efficacia probatoria, “quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziarla”, se risultino “in grado di acquisirla ove valutati nella loro convergenza globale”, ovvero “accertandone la pregnanza conclusiva” (Cass. Sez. Lav., ord. 16 luglio 2018, n. 18822, Rv. 649915-01), e ciò in quanto “la valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perchè equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Cass. Sez. 3, sent. 13 marzo 2014, n. 5787, Rv. 630512-01);
– che il ragionamento presuntivo, per vero, costituisce “un “itero logico che non è un risalire all’indietro, ma piuttosto un procedere “in avanti”, verso un’ipotesi da verificare, ovvero verso la dimostrazione di un fatto che è prefigurato come possibile conclusione dell’inferenza in cui si articola il ragionamento presuntivo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 22 giugno 2020, n. 1218, non massimata sul punto; sul carattere “inferenziale” del ragionamento presuntivo si vedano anche, da ultimo, e tra le innumerevoli, Cass. sez. 5, sent. 5 giugno 2019, n. 15454, Rv. 654383-01; Cass. Sez. 6-2, ord. 291 gennaio 2019, n. 2482, Rv. 652386-02);
– che a siffatto “modus operandz” si è correttamente attenuta la sentenza impugnata, la quale ha preso le mosse dal rilievo – non contestato dall’odierno ricorrente – che la conformazione dello stato dei luoghi “teatro” del sinistro permetteva al conducente del veicolo che procedeva lungo via dell’Unione (ovvero, l’odierno ricorrente) di “avvistare” con anticipo la vettura proveniente da via Vinazzetti, su tale premessa fondando un ragionamento presuntivo che, attraverso la constatazione, dapprima, dell’assenza di tracce di frenata del motociclo del C. in prossimità del punto di impatto tra i due veicoli, nonchè, di seguito, dell’avvenuta collisione della parte anteriore dello scooter con la fiancata destra anteriore della vettura antagonista, si è concluso nel senso che l’elevata velocità del primo avesse contribuito (nella misura del 25%) alla causazione dell’incidente, giacchè se il ciclomotorista avesse tenuto una velocità moderata sarebbe stato in condizione, quantomeno, di tentare una frenata;
– che tale ragionamento inferenziale resiste alla critica del ricorrente, che ne censura il primo passaggio sul rilievo, non fondato, che la possibilità di avvistamento del veicolo antagonista “non significa necessariamente” che esso C. potesse “evitare l’impatto anche tenendo una velocità non elevata”;
– che siffatta doglianza sottende, invero, una nozione di “gravità” dell’indizio che non risponde alla definizione datane da questa Corte, secondo cui “la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche “lex adira)”, esprimendo nient’altro che “la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui, dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B”, non essendo, invece, “condivisibile invece l’idea che vorrebbe sotteso alla gravità che l’inferenza presuntiva sia “certa.”” (così Cass. Sez. 3, sent. n. 19485 del 2017, cit.), come, invece, mostra di ritenere il ricorrente;
– che, infatti, “per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva” (secondo quanto reputa, viceversa, il ricorrente, nell’affermare che la possibilità di avvistamento del veicolo antagonista, da parte di esso C., “non significa necessariamente” che egli potesse “evitare l’impatto anche tenendo una velocità non elevata”), essendo, invece, “sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'”id quod pleranique accidit”” (così Cass. Sez. 3, sent. n. 17457 del 2007, cit., in senso analogo, più di recente, Cass. Sez. 2, sent. 6 febbraio 2019, n. 3513, n. 652361-01; Cass. Sez. 2, sent. 31 ottobre 2011, n. 22656, Rv. 619955-01);
– che, d’altra parte, anche la valorizzazione delle ulteriori circostanze apprezzate dalla Corte felsinea si sottrae alla censura del ricorrente, risultando le stesse “precise” e “concordanti”;
– che la precisione, nuovamente, “esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso” di esso, mentre “non lasci spazio, sempre al livello della probabilità” (e, dunque, anche in questo caso non della certezza), “ad un indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti”, così come la concordanza individua un “requisito del ragionamento presuntivo, che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sè considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori, volendo esprimere l’idea che, intanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi” (così, nuovamente, Cass. sez. 3, sent. 19485 del 2017, cit.);
– che, per concludere la disamina del primo motivo di ricorso, neppure può sottacersi il fatto – sottovalutato, invece, dal ricorrente, nell’insistere sul carattere assorbente che avrebbe avuto la violazione dell’obbligo di dare precedenza, riscontrata a carico del M. -che sussistendo, nel caso di specie, un’ipotesi di scontro tra veicoli, la stessa andava astrattamente ricondotta alla previsione di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, norma che contempla un’ipotesi di pari responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, in presenza della quale “l’accertamento della intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti, dell’obbligo di dare la precedenza, non dispensa il giudice dal verificare il comportamento dell’altro conducente onde stabilire se quest’ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l’eventuale inosservanza di dette norme comportare l’affermazione di una colpa concorrente” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 16 settembre 2013, n. 21130, Rv. 628631-01);
– che il secondo motivo di ricorso – che censura il mancato risarcimento del danno patrimoniale – risulta in parte inammissibile e in parte non fondato;
– che quanto alla censura che evoca l’art. 2697 c.c., l’esito dell’inammissibilità deriva dall’applicazione del principio secondo cui la violazione di tale norma, “censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01), evenienza, quella appena indicata, che non risulta lamentata nel caso di specie, restando, invece, inteso che “laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti”, essa “può essere fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo art. 360 c.p.c.” (Cass. Sez. 3, sent. 17 giugno 2013, n. 15107, Rv. 626907-01), ovviamente “entro i limiti ristretti del “nuovo”” suo testo (Cass. Sez. 3, ord. n. 13395 del 2018, cit.);
– che ciò è quanto, in definitiva, il ricorrente lamenta nell’ipotizzare la violazione dell’art. 1223 c.c., censura da ritenersi, tuttavia, non fondata;
– che, come rammenta lo stesso ricorrente, “la menomazione della capacità lavorativa specifica, configurando un pregiudizio patrimoniale, va ricondotta nell’ambito del danno patrimoniale e non del danno biologico”, sicchè “il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all’integrità psico-fisica, non determina automaticamente la riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica del danneggiato nè, conseguentemente, una diminuzione del correlato guadagno, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito (o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, che presumibilmente avrebbe svolto) e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso” (così, in motivazione, tra le molte, Cass. Sez. 3, sent. 10 marzo 2016, n. 4673, Rv. 639103-01);
– che proprio tale dimostrazione “in concreto” della “diminuzione del reddito” è mancata, secondo la sentenza impugnata, nel caso di specie, avendo la Corte territoriale ritenuto all’uopo insufficiente la produzione di “due sole denunce dei redditi (una precedente l’altra successiva l’anno del sinistro), la cui inidoneità probatoria discende dal fatto che l’attività lavorativa cui si riferiscono è svolta in regime di libera professione ed è notoriamente incostante nel tempo”, essendo, infatti, “soggetta, di per sè, ad oscillazione e mutamenti da un anno d’imposta all’altro”, sicchè “l’unica dichiarazione fiscale precedente al sinistro è, in quanto isolata, insufficiente a dimostrare che reddito in essa indicato si fosse stabilizzato”;
– che siffatta motivazione deve ritenersi esente da vizi, visto che essa non reca “argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-0), nè risulta affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01) o da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), non ricorrendo, così, le sole evenienze suscettibili di integrare, ormai, il vizio motivazionale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, 134, testo applicabile “ratione tempon’s” al presente giudizio;
– che il ricorso va, dunque, rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando C.A. a rifondere, alla società Unipolsai Assicurazioni S.p.a., le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.900,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè 15% per spese generali più accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Conclusione
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021