Responsabilita’ medico chirurgica corte Appello bologna malasanita’ tribunale di Forli riforma sentenza avvocato esperto malasanita’ Responsabilita’ medico chirurgica corte Appello bologna malasanita’
la esecuzione della nefrectomia “..senza tentare l’isolamento emodinamico del rene il che avrebbe verosimilmente concesso la riparazione del parenchima renale lesionato dalla incauta rimozione del Malecot..”. Si chiede il consulente di ufficio: “..perché prima di procedere alla nefrectomia non si è tentato di isolare la sanguificazione renale tramite un clampaggio dei vasi renali? Ciò avrebbe permesso di bloccare innanzitutto l’emorragia consentendo ai medici rianimatori presenti (…) di compensare l’emodinamica del paziente.”. Tale atteggiamento chirurgico viene definito dal ctu “..irruente..”, pure dolendosi lo stesso consulente di ufficio della scarsità di informazioni a disposizione.
Lo stesso ctu, all’esito del confronto con le osservazioni del consulente di parte convenuta, modifica parzialmente le proprie conclusioni, affermando: “..sembra effettivamente configurarsi una seconda ipotesi, altrettanto veritiera e plausibile rispetto a quella emersa precedentemente e che si sostanzia nella possibilità che l’emorragia sia stata provocata dalla rimozione del catetere e, di conseguenza, di un coagulo ad essa adeso e che una volta rimosso avrebbe riaperto la via al flusso ematico fino allo shock (…) rimane comunque difficilmente comprensibile, anche alla luce delle scarne e povere notizie cliniche al riguardo, la necessità di giungere alla nefrotomia..”.
Il ctu, dunque, nella redazione finale del proprio elaborato
- assume la ricorrenza di un duplice possibile ordine causale della emorragia: a) una imperita rimozione del catetere di Malecot; b) la incolpevole rimozione di un coagulo, adeso al catetere di Malecot, conseguente alla amozione di quest’ultimo
- censura la esecuzione della nefrotomia siccome avvenuta senza avere in precedenza tentato altre manovre dirette al contenimento della emorragia.
Tale ultima conclusione viene, nuovamente, integrata dal ctu laddove, chiamato a rendere chiarimenti alla udienza del 4.11.2010, egli afferma: “..è evidente che i sanitari hanno agito comunque sulla base di elementi altrettanto validi quali la sintomatologia e la obiettività ovvero la perdita di conoscenza immediata (…) intendo significare che, pur alla luce della carenza di alcuni elementi documentali preparatori (esame dell’emoglobina) in considerazione di quanto sopra detto è presumibile che la nefrotomia fosse giustificata..”.
Le conclusioni cui è pervenuto il ctu relativamente alla amozione del catetere di Malecot, conformemente a quanto valutato dal giudice di primo grado, non consentono di formulare una sicura censura al personale sanitario, di avere colpevolmente posto in essere una negligente esecuzione del trattamento sanitario, così da cagionare all’appellante il danno litigioso.
Ciò sotto un duplice ordine di profili:
- assenza di prova sicura in ordine ad una imperita rimozione del catetere di Malecot
- assenza di prova sicura circa la ascrivibilità della emorragia ad una condotta colpevolmente imperita dei sanitari, anziché ad un evento imprevedibile quale la rimozione di un coagulo, adeso al catetere di Malecot, conseguente alla amozione — se pure correttamente eseguita — di quest’ultimo.
Rimane, quale condotta censurabile ed ascrivibile ai sanitari, l’ultimo profilo evidenziato dal ctu, laddove egli critica la esecuzione della nefrotomia siccome avvenuta senza avere in precedenza tentato altre manovre dirette al contenimento della emorragia (“..rimane comunque difficilmente comprensibile, anche alla luce delle scarne e povere notizie cliniche al riguardo, la necessità di giungere alla nefrotomia..”).
Tale rilievo viene confermato dal ctu all’esito del contraddittorio con i consulenti di parte, nel difetto di puntuali censure sul punto. Né peraltro è suscettibile di elidere la portata del rilievo del ctu, la considerazione dallo stesso articolata, circa la assenza di adeguata informazione contenuta nella documentazione clinica, atteso come tale carenza costituisca ulteriore profilo di negligenza ascrivibile alla struttura ospedaliera.
Insuscettibile di vulnerare la rilevanza della censura in oggetto è il rilievo formulato dallo stesso ctu in sede di chiarimenti resi in udienza, allorché egli, come sopra riportato, afferma: “..è evidente che i sanitari hanno agito comunque sulla base di elementi altrettanto validi quali la sintomatologia e la obiettività ovvero la perdita di conoscenza immediata (…) intendo significare che, pur alla luce della carenza di alcuni elementi documentali preparatori (esame dell’emoglobina), in considerazione di quanto sopra detto è presumibile che la nefrotomia fosse giustificata..”.
Tale affermazione si risolve, sostanzialmente, in un atto di fede. In buona sostanza il ctu afferma: trattandosi di personale sanitario preparato, se si sono determinati ad eseguire la nefrotomia lo avranno fatto a ragion veduta in un contesto clinico grave ed urgente.
Tale affermazione tuttavia, nella sua genericità, non prevale sul rilievo che lo stesso ctu, in termini ben più puntuali, aveva in precedenza articolato e trasfuso nel proprio elaborato, allorché si doleva della esecuzione della asportazione del rene nel difetto di un preventivo tentativo di isolare la sanguificazione renale tramite un clampaggio dei vasi renali.
Nel consolidato assetto sistematico riassunto da Sez. 3, Sentenza n. 1620 del 03/02/2012 laddove si afferma che «..l’ospedale risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 cod. civ., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale..», il convincimento circa la responsabilità della AUSL appellata deriva
-
dalla assenza di prova fornita dalla AUSL medesima, circa la correttezza del proprio operato, nel contesto istruttorio sopra richiamato
- dal fatto che, pure in assenza di dati certi circa la identità del personale medico che si determinò a fare luogo all’intervento di nefrotomia, comunque la struttura risponde dell’operato dei propri dipendenti.
Il ctu definisce — con apprezzamento scevro da censure — le conseguenze lesive della nefrotomia, nei termini che seguono:
- ITT giorni 10
- ITP 75% giorni 10
- ITP 50% giorni 20
- invalidità permanente 18%
La liquidazione del danno relativo avviene facendo applicazione delle vigenti tabelle redatte dall’Osservatorio della giustizia civile del Tribunale di Milano, nei termini che seguono:
- ITT giorni 10 euro 980,00
- ITP 75% giorni 10 euro 735,00
- ITP 50% giorni 20 euro 980,00
- invalidità permanente 18% euro 50.792,00
- per un totale di euro 53.487,00.
Tale importo viene devalutato dalla attualità alla data del sinistro per un importo di euro 45.482,14. Tale ultimo importo viene quindi maggiorato da rivalutazione ed interessi compensativi per ritardato adempimento della obbligazione risarcitoria sulla somma annualmente rivalutata, per un importo finale, liquidato alla attualità e convertito in credito di valuta, di euro 63.493,55 da maggiorarsi degli interessi al saggio legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo.
Al profilo di responsabilità accertato sono estranei i sanitari appellati nel presente giudizio:
- quanto al dr. XX, non essendo stato rinvenuto nesso causale tra la attività svolta nel corso dell’intervento chirurgico ed il sinistro che occupa
- quanto al dr. JJ, non emergendo profili di responsabilità nella organizzazione del reparto.
Certamente il sinistro costituisce conseguenza di una quantomeno avventata determinazione a fare luogo alla asportazione dell’organo, ma non è dato ritenere che l’iter di formazione di tale determinazione abbia risentito di carenze strutturali nella organizzazione del lavoro del reparto, e non consegua piuttosto ad una avventata determinazione di un singolo ovvero di più sanitari.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivoResponsabilita’ medico chirurgica corte Appello bologna malasanita’
SENTENZA RIPORTATA SU GIUREMILIA
REPUBBLICA ITALIANA Responsabilita’ medico chirurgica corte Appello bologna malasanita’
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA
SEZIONE SECONDA CIVILE
La Corte di appello di Bologna, sezione seconda civile, nella persona dei Giudici
Dott.ssa Maria Cristina Salvadori – Presidente
Dott.ssa Paola Montanari – Consigliere
Dott. Enrico Saracini – Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 960/2013 promossa da:
YY (c.f. …omissis…), con il patrocinio dell’avv. Giorgio Andreucci e dell’avv. Silvia Martino (c.f. …omissis…); elettivamente domiciliato in Viale Filopanti, 4 Bologna, presso il difensore avv. Giorgio Andreucci
APPELLANTE
Contro
JJ (c.f. …omissis…), con il patrocinio dell’avv. Flavio Peccenini e dell’avv. Carlo Bellini (c.f. …omissis…) C.so della Repubblica, 162 Forlì; elettivamente domiciliato in Via San Vitale, 55 Bologna, presso il difensore avv. Flavio Peccenini
XX (c.f. …omissis…), con il patrocinio dell’avv. Carlotta Mattei; elettivamente domiciliato in Viale Panzacchi, 19 (Studio avv. Forasassi-Tonini), Bologna, presso il difensore avv. Carlotta Mattei
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE di (omissis) (c.f. …omissis…), con il patrocinio dell’avv. Flavio Peccenini e dell’avv. Carlo Bellini (c.f. …omissis…) C.so della Repubblica, 162 Forlì; elettivamente domiciliato in Via San Vitale, 55 Bologna, presso il difensore avv. Flavio Peccenini
APPELLATI
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da atti che qui si intendono richiamati e sono illustrati in motivazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
YY conveniva avanti al Tribunale di Forlì – sezione di (omissis), la AUSL di (omissis), il dr. JJ, ed il dr. XX assumendo
- di essere stato sottoposto, in data 2 febbraio 2006, ad un intervento chirurgico presso il reparto di chirurgia di urgenza dell’Ospedale “(omissis)” di (omissis) a fini di asportazione di un calcolo localizzato nel rene sinistro
- che nel corso dell’intervento — eseguito dai dr. XX quale primo chirurgo e dal dr. JJ quale altro chirurgo — il calcolo venne prima frantumato e poi rimosso mediante pinze
- il successivo 6 febbraio si manifestava una massiva emorragia che imponeva, tra l’altro, la asportazione del rene sinistro
- la assenza di qualsivoglia consenso informato, atteso che all’attore non fu in alcun modo prospettata la eventualità di complicanze emorragiche quali quella in concreto verificatasi, di talché fu impedito all’attore di potere “..scegliere consapevolmente se sottoporsi o meno all’intervento chirurgico e a quale struttura ospedaliera affidarsi..”
- che, comunque, la mancanza di un valido consenso “..costituisce autonoma fonte di responsabilità proprio perché dall’intervento sono scaturiti effetti lesivi per il paziente..”
- la ricorrenza di gravi profili di colpa afferenti sia la esecuzione dell’intervento — da intendersi come routinario, dunque privo di particolari difficoltà tecniche — sia il post operatorio, nel corso del quale è stata lesionata una arteria intrarenale, e laddove una diagnosi tempestiva e corretta avrebbe consentito di diagnosticare in anticipo la emorragia e di porvi rimedio mediante un intervento di indole meno demolitiva
- la ascrivibilità a responsabilità in eligendo ed in vigilando del dr. JJ, quale direttore del reparto, della negligenza ricorrente nel post operatorio, in ragione della inadeguatezza della organizzazione del reparto.
Concludeva l’attore chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento del danno non patrimoniale derivato dalla fattispecie sopra riassunta.
Si costituivano con atti separati ma redatti dal medesimo difensore e recanti le medesime allegazioni difensive, la AUSL di (omissis) ed il dr. JJ, resistendo ed assumendo
- la indole tecnicamente particolarmente complessa dell’intervento chirurgico, effettuato su di un paziente che versava in una ipotesi di recidiva
- la correttezza della esecuzione dell’intervento, relativamente al quale la complicanza in concreto verificatasi costituisce ipotesi prevista in letteratura anche in difetto di profili di colpa a carico dell’operatore
- la perfezione della formazione del consenso dell’attore, il quale fu già sottoposto ad intervento analogo nel 1997 e, quale paziente del dr. XX da anni, fu ripetute volte esaustivamente informato della natura dell’intervento per cui è causa e dei rischi potenzialmente ad esso correlati
- la assoluta correttezza dell’iter post operatorio, nell’assoluto difetto di manifestazioni della emorragia in corso
- la assenza di responsabilità alcuna relativamente alla condotta del dr. JJ, sia in proprio quale sanitario che quale responsabile della U.O., posto come il protocollo organizzativo del reparto da lui diretto fosse improntato al massimo rigore professionale.
Si costituiva il dr. XX resistendo ed assumendo:
- la assoluta perfezione della formazione del consenso del paziente, il quale, già a partire dal 1997, fu sottoposto ad intervento analogo a quello per cui è causa, fu visitato dallo stesso dr. XX numerose volte e sempre reso edotto della natura dell’intervento e delle possibili complicanze
- che l’intervento fu eseguito a regola d’arte e la emorragia successiva “..rappresenta proprio una complicanza incolpevole dell’intervento, ben prevista in letteratura medica..”
- la assenza, nella fase post operatoria, di evidenza alcuna che segnalasse la emorragia in atto.
Concludevano i convenuti tutti nel senso della reiezione delle domande di parte attrice.
Il giudizio di primo grado veniva istruito mediante
- produzione documentale
- assunzione di prova per testi
- ctu medico legale.
Il Tribunale di Forlì, con la sentenza n. 539/2012 r.sent. del 24 ottobre 13 dicembre 2012, respingeva la domanda di parte attrice con compensazione delle spese di lite.
Assumeva il Tribunale
- il difetto di prova certa circa la ricorrenza di profili di responsabilità colposa in capo ai sanitari nella esecuzione dell’intervento ovvero nel post operatorio
- la ricorrenza di adeguata prova circa la esaustività della informazione fornita all’attore, a fini di formazione del consenso al trattamento terapeutico.
Avverso tale sentenza propone appello il YY assumendo la erroneità della stessa laddove:
- assume la correttezza della formazione del consenso dell’attore alla esecuzione dell’intervento chirurgico litigioso
- assume la assenza di profili di colpa medica, atteso come la ctu abbia evidenziato come la emorragia sia verosimilmente da ascrivere allo sfilamento del catetere siccome avvenuto non già nella immediatezza dell’intervento, come la migliore pratica medica del tempo suggeriva, bensì in un secondo tempo, e peraltro avvenuto senza che le ali del catetere medesimo fossero state debitamente richiuse, provocando un tal modo una lesione del parenchima renale
- non affronta specificamente la materia della frettolosa esecuzione dell’intervento di nefrectomia.
Si costituivano i convenuti tutti resistendo ed assumendo
- in sede preliminare la inammissibilità dell’appello ai sensi degli artt. 342 ovvero 348 bis c.p.c.
- nel merito la infondatezza delle censure mosse alla sentenza di primo grado.
Alla udienza del 31.10. 2017 le parti hanno precisato le rispettive conclusioni e la causa è stata ritenuta in decisione.
Osserva la Corte
quanto segue.
Prive di fondamento sono le eccezioni di inammissibilità dell’appello articolate dai convenuti ai sensi sia dell’art. 342 che dell’art. 348 bis c.p.c., posto come, all’evidenza,
- il perimetro litigioso del presente secondo grado di giudizio sia stato puntualmente definito in atto di appello, atteso come i convenuti appellati hanno puntualmente esercitato il proprio diritto di difesa su ogni singolo punto della lite
- la delicatezza e la complessità della materia litigiosa, ostino ad una prognosi di assenza di una ragionevole probabilità di accoglimento.
Quanto alla lite circa la sussistenza ed adeguatezza del consenso informato del paziente, si osserva quanto segue.
Il contenuto dell’obbligo di informazione del sanitario è riassunto nel canone indicato da Sez. 3, Sentenza n. 2177 del 04/02/2016 laddove in motivazione si afferma: «..giova rammentare, quanto alle modalità ed ai caratteri del consenso alla prestazione medica, che – come messo in risalto da questa Corte (tra le altre, Cass., 23 maggio 2001, n. 7027; Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748; Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847; Cass., 27 novembre 2012, n. 20984; Cass., 28 luglio 2011, n. 16453; Cass., 20 agosto 2013, n. 19220) – esso, anzitutto, deve essere personale (salvo i casi di incapacità di intendere e volere del paziente), specifico e esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo consentito il consenso presunto. Infine, il consenso deve essere pienamente consapevole e completo, ossia deve essere “informato”, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico, ciò implicando la piena conoscenza della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative..».
All’obbligo di informazione come sopra definito, risulta essere stato fornito adeguato adempimento, con conseguente insussistenza del relativo profilo di inadempimento.
Produce (doc. 1) parte appellante copia del modulo di consenso informato a trattamento chirurgico, sottoscritto dal paziente medesimo, in cui si attesta la avvenuta esplicazione delle “..caratteristiche dell’intervento, le sue finalità, il rapporto rischio/beneficio, le conseguenze anche occupazionali dopo l’intervento nonché le eventuali complicazioni che il suddetto intervento può presentare secondo le statistiche operatorie più accreditate avendo preso visione del modulo di informazione..”.
La attitudine probatoria di tale modello, intrinsecamente modesta atteso come si tratti di un prestampato scevro da puntuali riferimenti alla concreta informazione resa al paziente, conosce tuttavia adeguato conforto dal tessuto della deposizione resa in primo grado dal dr. G(omissis), strutturato presso il reparto di urologia, laddove egli afferma: “..fu il dr. XX a chiedermi di raccogliere il consenso e di compilare le cartelle dicendomi di avere già dato al paziente tutte le necessarie informazioni visti anche i rapporti di amicizia intercorrenti tra il YY ed il dr. XX (…) è vero che descrissi al sig. YY le eventuali complicazioni dell’intervento di nefrolitotripsia percutanea sinistra, le sue finalità e gli strumenti da utilizzarsi a tal fine (…) ricordo che il YY mi manifestò di avere compreso e di sapere già in precedenza ciò che gli avevo detto..”.
Differenti valutazioni si impongono con riferimento al secondo profilo di responsabilità colposa allegato a carico di controparte da parte attrice.
Costituisce circostanza riscontrata in sede di ctu — e non oggetto di rilievi da parte dei consulenti di parte — come l’intervento chirurgico del 2 febbraio 2006 sia stato eseguito secondo modalità esenti da censura.
La lite insiste sulla esistenza o meno di comportamenti censurabili, nel post operatorio, i quali comportarono la esecuzione dell’intervento di nefrotomia.
Nella bozza di consulenza tecnica di ufficio, il ctu evidenzia un duplice profilo di condotte censurabili a carico dei sanitari (l’impiego nel corso dell’intervento del 2.2.2006, evidenziato a pag. 16 dell’elaborato, di una tecnica operatoria “..all’epoca non già attualissima..”, non risulta avere sortito esiti negativi):
- la incauta e non appropriata rimozione del catetere (c.d. catetere di Malecot)dal rene, siccome avvenuta senza che le “ali” del catetere, cioè le sporgenze destinate a mantenere il catetere in situ, fossero state preventivamente richiuse, con conseguente lesione del parenchima renale
- la esecuzione della nefrectomia “..senza tentare l’isolamento emodinamico del rene il che avrebbe verosimilmente concesso la riparazione del parenchima renale lesionato dalla incauta rimozione del Malecot..”. Si chiede il consulente di ufficio: “..perché prima di procedere alla nefrectomia non si è tentato di isolare la sanguificazione renale tramite un clampaggio dei vasi renali? Ciò avrebbe permesso di bloccare innanzitutto l’emorragia consentendo ai medici rianimatori presenti (…) di compensare l’emodinamica del paziente.”. Tale atteggiamento chirurgico viene definito dal ctu “..irruente..”, pure dolendosi lo stesso consulente di ufficio della scarsità di informazioni a disposizione.
Lo stesso ctu, all’esito del confronto con le osservazioni del consulente di parte convenuta, modifica parzialmente le proprie conclusioni, affermando: “..sembra effettivamente configurarsi una seconda ipotesi, altrettanto veritiera e plausibile rispetto a quella emersa precedentemente e che si sostanzia nella possibilità che l’emorragia sia stata provocata dalla rimozione del catetere e, di conseguenza, di un coagulo ad essa adeso e che una volta rimosso avrebbe riaperto la via al flusso ematico fino allo shock (…) rimane comunque difficilmente comprensibile, anche alla luce delle scarne e povere notizie cliniche al riguardo, la necessità di giungere alla nefrotomia..”.
Il ctu, dunque, nella redazione finale del proprio elaborato
- assume la ricorrenza di un duplice possibile ordine causale della emorragia: a) una imperita rimozione del catetere di Malecot; b) la incolpevole rimozione di un coagulo, adeso al catetere di Malecot, conseguente alla amozione di quest’ultimo
- censura la esecuzione della nefrotomia siccome avvenuta senza avere in precedenza tentato altre manovre dirette al contenimento della emorragia.
Tale ultima conclusione viene, nuovamente, integrata dal ctu laddove, chiamato a rendere chiarimenti alla udienza del 4.11.2010, egli afferma: “..è evidente che i sanitari hanno agito comunque sulla base di elementi altrettanto validi quali la sintomatologia e la obiettività ovvero la perdita di conoscenza immediata (…) intendo significare che, pur alla luce della carenza di alcuni elementi documentali preparatori (esame dell’emoglobina) in considerazione di quanto sopra detto è presumibile che la nefrotomia fosse giustificata..”.
Le conclusioni cui è pervenuto il ctu relativamente alla amozione del catetere di Malecot, conformemente a quanto valutato dal giudice di primo grado, non consentono di formulare una sicura censura al personale sanitario, di avere colpevolmente posto in essere una negligente esecuzione del trattamento sanitario, così da cagionare all’appellante il danno litigioso.
Ciò sotto un duplice ordine di profili:
- assenza di prova sicura in ordine ad una imperita rimozione del catetere di Malecot
- assenza di prova sicura circa la ascrivibilità della emorragia ad una condotta colpevolmente imperita dei sanitari, anziché ad un evento imprevedibile quale la rimozione di un coagulo, adeso al catetere di Malecot, conseguente alla amozione — se pure correttamente eseguita — di quest’ultimo.
Rimane, quale condotta censurabile ed ascrivibile ai sanitari, l’ultimo profilo evidenziato dal ctu, laddove egli critica la esecuzione della nefrotomia siccome avvenuta senza avere in precedenza tentato altre manovre dirette al contenimento della emorragia (“..rimane comunque difficilmente comprensibile, anche alla luce delle scarne e povere notizie cliniche al riguardo, la necessità di giungere alla nefrotomia..”).
Tale rilievo viene confermato dal ctu all’esito del contraddittorio con i consulenti di parte, nel difetto di puntuali censure sul punto. Né peraltro è suscettibile di elidere la portata del rilievo del ctu, la considerazione dallo stesso articolata, circa la assenza di adeguata informazione contenuta nella documentazione clinica, atteso come tale carenza costituisca ulteriore profilo di negligenza ascrivibile alla struttura ospedaliera.
Insuscettibile di vulnerare la rilevanza della censura in oggetto è il rilievo formulato dallo stesso ctu in sede di chiarimenti resi in udienza, allorché egli, come sopra riportato, afferma: “..è evidente che i sanitari hanno agito comunque sulla base di elementi altrettanto validi quali la sintomatologia e la obiettività ovvero la perdita di conoscenza immediata (…) intendo significare che, pur alla luce della carenza di alcuni elementi documentali preparatori (esame dell’emoglobina), in considerazione di quanto sopra detto è presumibile che la nefrotomia fosse giustificata..”.
Tale affermazione si risolve, sostanzialmente, in un atto di fede. In buona sostanza il ctu afferma: trattandosi di personale sanitario preparato, se si sono determinati ad eseguire la nefrotomia lo avranno fatto a ragion veduta in un contesto clinico grave ed urgente.
Tale affermazione tuttavia, nella sua genericità, non prevale sul rilievo che lo stesso ctu, in termini ben più puntuali, aveva in precedenza articolato e trasfuso nel proprio elaborato, allorché si doleva della esecuzione della asportazione del rene nel difetto di un preventivo tentativo di isolare la sanguificazione renale tramite un clampaggio dei vasi renali.
Nel consolidato assetto sistematico riassunto da Sez. 3, Sentenza n. 1620 del 03/02/2012 laddove si afferma che «..l’ospedale risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 cod. civ., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale..», il convincimento circa la responsabilità della AUSL appellata deriva
- dalla assenza di prova fornita dalla AUSL medesima, circa la correttezza del proprio operato, nel contesto istruttorio sopra richiamato
- dal fatto che, pure in assenza di dati certi circa la identità del personale medico che si determinò a fare luogo all’intervento di nefrotomia, comunque la struttura risponde dell’operato dei propri dipendenti.
Il ctu definisce — con apprezzamento scevro da censure — le conseguenze lesive della nefrotomia, nei termini che seguono:
- ITT giorni 10
- ITP 75% giorni 10
- ITP 50% giorni 20
- invalidità permanente 18%
La liquidazione del danno relativo avviene facendo applicazione delle vigenti tabelle redatte dall’Osservatorio della giustizia civile del Tribunale di Milano, nei termini che seguono:
- ITT giorni 10 euro 980,00
- ITP 75% giorni 10 euro 735,00
- ITP 50% giorni 20 euro 980,00
- invalidità permanente 18% euro 50.792,00
- per un totale di euro 53.487,00.
Tale importo viene devalutato dalla attualità alla data del sinistro per un importo di euro 45.482,14. Tale ultimo importo viene quindi maggiorato da rivalutazione ed interessi compensativi per ritardato adempimento della obbligazione risarcitoria sulla somma annualmente rivalutata, per un importo finale, liquidato alla attualità e convertito in credito di valuta, di euro 63.493,55 da maggiorarsi degli interessi al saggio legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo.
Al profilo di responsabilità accertato sono estranei i sanitari appellati nel presente giudizio:
- quanto al dr. XX, non essendo stato rinvenuto nesso causale tra la attività svolta nel corso dell’intervento chirurgico ed il sinistro che occupa
- quanto al dr. JJ, non emergendo profili di responsabilità nella organizzazione del reparto.
Certamente il sinistro costituisce conseguenza di una quantomeno avventata determinazione a fare luogo alla asportazione dell’organo, ma non è dato ritenere che l’iter di formazione di tale determinazione abbia risentito di carenze strutturali nella organizzazione del lavoro del reparto, e non consegua piuttosto ad una avventata determinazione di un singolo ovvero di più sanitari.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
- Q. M.
La Corte di appello di Bologna, sezione seconda civile, definitivamente pronunciando nella causa n. 960/2013 r.g., ogni diversa istanza disattesa, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Forlì n. 539/2012 r.sent. del 24 ottobre – 13 dicembre 2012
- dichiara tenuta e condanna la AUSL di (omissis), in persona del legale rappresentante, al pagamento in favore di YY della somma di euro 63.493,55 da maggiorarsi degli interessi al saggio legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo
- dichiara tenuta e condanna la AUSL di (omissis), in persona del legale rappresentante, alla rifusione in favore di YY delle spese di lite, che liquida quanto al primo grado di giudizio in complessivi euro 8.010,33 di cui euro 510,33 per anticipazioni ed euro 7.500,00 per compenso, oltre a spese generali ed accessori di legge, e quanto al presente giudizio di secondo grado in euro 7.998,00 di cui euro 998,00 per anticipazioni ed euro 7.000,00 per compenso, oltre a spese generali ed accessori di legge
- conferma nel resto la sentenza impugnata
- condanna YY alla rifusione in favore di JJ e XX delle spese del presente grado di giudizio, che liquida quanto a ciascuno di essi in complessivi euro 7.000,00 oltre a spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 27 marzo 2018
Il Presidente
Maria Cristina Salvadori
L’estensore
Enrico Saracini