Quando c’è bisogno di chiamare un avvocato per separazione a Bologna avvocato per separazione bologna
Quando un matrimonio giunge al capolinea, è sempre difficile prendere consapevolezza della conclusione di un rapporto: affrontare la fine di un amore non è semplice, ma al di là del dolore emotivo a cui si deve far fronte è necessario preoccuparsi anche delle conseguenze pratiche che ne derivano. Che si tratti di pensare all’assegno di mantenimento, all’affidamento dei figli o a qualunque procedura legale, è indispensabile essere consapevoli delle proprie possibilità e dei propri diritti: per questo è consigliabile chiedere il supporto di un professionista come Sergio Armaroli, avvocato per separazione a Bologna, così da non farsi trovare impreparati.
SEPARAZIONI BOLOGNA/AVVOCATO DIVORZISTA BOLOGNA
Di seguito, schematicamente, alcuni dei settori del diritto nei quali opera l’avvocato per separazioni Bologna, offrendo ai clienti i propri servizi professionali di assistenza e consulenza:
- separazioni consensuali e giudiziali;
- divorzi;
- modifiche delle condizioni di separazione o divorzio;
- affidamento dei figli minori;
- amministrazioni di sostegno;
- tutele e curatele;
- successioni;
- unioni civili;
- famiglie di fatto;
- conflitti tra conviventi;
- responsabilità civile;
- RC auto e sinistri stradali;
- responsabilità civile extra-contrattuale.
Sulla addebitabilita’ della separazione la Suprema Corte stabilisce che:
Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.
(Cassazione civile, Sez. VI, ordinanza n. 3925 del 19 febbraio 2018)
Ma lasciare la casa coniugale porta all’addebito della separazione?
Secondo la suprema Corte con Cass. civ. n. 25966/2016
L’allontanamento di uno dei coniugi dalla casa familiare costituisce, in difetto di giusta causa, violazione dell’obbligo di convivenza e la parte che, conseguentemente, richieda la pronuncia di addebito della separazione ha l’onere di provare il rapporto di causalità tra la violazione e l’intollerabilità della convivenza, gravando, invece, sulla controparte la prova della giusta causa.
(Cassazione civile, Sez. VI, ordinanza n. 25966 del 15 dicembre 2016)
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SE IL CONIUGE CAMBIA CULTO E’ MOTIVO DI ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE?
LA CASSAZIONE CON SENTENZA Cass. civ. n. 14728/2016 STABILISCE CHE:
In tema di separazione personale tra coniugi, il mutamento di fede religiosa, e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come esercizio dei diritti garantiti dall’art. 19 Cost., non può di per sé considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che l’adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti incompatibili con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore previsti dagli artt. 143 e 147 c.c., in tal modo determinando una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per l’interesse della prole. (Nella specie, la S.C. ha escluso l’addebitabilità della separazione al marito in ragione della adesione di quest’ultimo alla confessione religiosa dei Testimoni di Geova, non potendo attribuirsi rilievo all’impegno assunto in sede di celebrazione del matrimonio religioso di conformare l’indirizzo della vita familiare ed educare i figli secondo i dettami della religione cattolica, estraneo alla disciplina civilistica del vincolo).
(Cassazione civile, Sez. VI-1, ordinanza n. 14728 del 19 luglio 2016)
L’ALLONTANAMENTO DALLA CASA CONIUGALE PORTA ALL’ADDEBITO A MENO CHE NON SI AVVENUTO PER GISUTA CAUSA LO AFFERMA LA SUPREMA CORTE
Cass. civ. n. 19328/2015
In tema di separazione personale dei coniugi, l’allontanamento dal domicilio coniugale, in quanto violazione dell’obbligo coniugale di convivenza, può costituire causa di addebito della separazione, a meno che sia avvenuto per giusta causa, che può essere rappresentata dalla stessa proposizione della domanda di separazione, di per sé indicativa di pregresse tensioni tra i coniugi e, quindi, dell’intollerabilità della convivenza, sicché, in caso di allontanamento e di richiesta di addebito, spetta al richiedente, e non all’altro coniuge, provare non solo l’allontanamento dalla casa coniugale, ma anche il nesso di causalità tra detto comportamento e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 19328 del 29 settembre 2015)
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COSA E’ GIURIDICAMENT ELA SEPARAZIONE?
SECONDO LA SUPREMA CORTE Cass. civ. n. 16909/2015
La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata (nella specie vendita della casa familiare e attribuzione del ricavato a ciascun coniuge in proporzione al denaro investito nel bene stesso). Ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso “ad hoc” ex art. 710 c.p.c. o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 c.c.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 16909 del 19 agosto 2015)
QUANTO INCIDE LA FEDELTA’ NELL’ADDEBITO’ LA CASSAZIONE AFFERMA CON SENTENZA
Cass. civ. n. 16859/2015 CHE :
In tema di separazione tra coniugi, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, costituisce, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempreché non si constati, attraverso un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.
(Cassazione civile, Sez. VI-1, ordinanza n. 16859 del 14 agosto 2015)
LA SEPARAZIONE TROVA BASE IN UNA Ai sensi dell’art. 151 c.c. la separazione dei coniugi deve trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza
Cass. civ. n. 8713/2015
Ai sensi dell’art. 151 c.c. la separazione dei coniugi deve trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza, intesa come fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno della vita dei coniugi, purché oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile; a tal fine non è necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere da una condizione di disaffezione al matrimonio di una sola delle parti, che renda incompatibile la convivenza e che sia verificabile in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione, a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso ogni addebito alla moglie, dando conto dello stato di depressione in cui ella era piombata, sfociato in un tentativo di suicidio, così ampiamente motivando sull’intollerabilità della convivenza coniugale).
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 8713 del 29 aprile 2015)
Cass. civ. n. 12182/2014
In tema di separazione giudiziale, non può costituire motivo di addebito della separazione la commissione, dopo il deposito del ricorso per separazione personale e nelle more dell’udienza presidenziale, di un grave reato in danno del coniuge (nella specie, tentato sequestro a scopo di estorsione) ove il fatto sia avvenuto in un contesto di oggettiva e perdurante assenza tra le parti del “consortium vitae” e nell’ambito di rapporti interpersonali non più connotati dall'”affectio coniugalis”, per la risalente e stabilizzata cessazione della convivenza delle parti.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 12182 del 30 maggio 2014)
LA DICHIARAZIONE DI ADDEBITO NELLA SEPARAZIONE PORTA A CHE : La dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio,
Cass. civ. n. 25843/2013
La dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio, cui sia ricollegabile l’irreversibile crisi del rapporto fra coniugi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto, da un lato, che la condotta, consistente in furti di danaro ai familiari ed ai terzi ed in acquisti particolarmente frequenti e fuori misura di beni mobili, configurasse violazione dei doveri matrimoniali, e, dall’altro lato, che il disturbo della personalità del coniuge, caratterizzato da un impulso compulsivo all’acquisto, non escludesse la capacità di intendere e di volere e l’imputabilità di detti comportamenti).
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 25843 del 18 novembre 2013)
Cass. civ. n. 17199/2013
Non può costituire motivo di addebito della separazione la circostanza che uno dei coniugi, pur non avendone la necessità, per essere l’altro disposto ad assicurargli con le proprie risorse il mantenimento di un tenore di vita adeguato al livello economico-sociale del nucleo familiare, abbia voluto dedicarsi ad una attività lavorativa retribuita o ad un’altra occupazione più o meno remunerativa ed impegnativa, al fine di affermare la propria personalità anche al di fuori dell’ambito strettamente domestico, purché tale decisione non comporti una violazione dell’ampio dovere di collaborazione gravante su entrambi i coniugi, in quanto contrastante con l’indirizzo della vita familiare da essi concordato prima o dopo il matrimonio, e non pregiudichi l’unità della famiglia, in quanto incompatibile con l’adempimento dei fondamentali doveri coniugali e familiari.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 17199 del 11 luglio 2013)
Cass. civ. n. 16270/2013
In tema di separazione personale con richiesta di addebito, proposta da uno dei coniugi e basata sulla infedeltà dell’altro, la successiva generica manifestazione di una volontà riconciliativa da parte del coniuge non infedele, poiché di per sé non elide la gravità del “vulnus” subito ed, in ogni caso, costituisce un “posterius” rispetto alla proposizione della domanda di separazione con richiesta di addebito, in tanto può assumere valore ai fini della esclusione di una efficienza causale dell’infedeltà in ordine alla crisi dell’unione familiare in quanto ad essa corrisponda un positivo riscontro da parte del coniuge infedele.
(Cassazione civile, Sez. VI-1, ordinanza n. 16270 del 27 giugno 2013)
Cass. civ. n. 15486/2013
In tema di separazione giudiziale, l’addebitabilità della colpa del fallimento del matrimonio deve essere riferita anche al periodo di convivenza pre-matrimoniale, allorchè questo si collochi rispetto al matrimonio come un periodo di convivenza continuativo, che consente, quindi, di valutare complessivamente la vita della coppia e le reciproche responsabilità dei coniugi.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 15486 del 20 giugno 2013)
Cass. civ. n. 10719/2013
Il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto; tale prova è più rigorosa nell’ipotesi in cui l’allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d’intollerabilità.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 10719 del 8 maggio 2013)
Cass. civ. n. 8929/2013
La relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell’art. 151 cod. civ quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 8929 del 12 aprile 2013)
Cass. civ. n. 2274/2012
Ai fini della separazione giudiziale, l’esistenza di una nuova famiglia, composta dal coniuge, dalla nuova convivente e dal loro figlio minore costituisce sicuro indice della intollerabilità della convivenza matrimoniale.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 2274 del 16 febbraio 2012)
Cass. civ. n. 2059/2012
Grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 2059 del 14 febbraio 2012)
Cass. civ. n. 9074/2011
L’assegno di mantenimento,
Ai sensi dell’articolo 156 del codice civile, viene riconosciuto dal giudice, in sede di pronuncia sulla separazione, in capo al coniuge cui non sia addebitata la separazione stessa, nel caso in cui lo stesso non abbia redditi adeguati.
L’assegno divorzile
Diversamente disciplinato dall’articolo 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970 (legge sul divorzio),
è stato oggetto di importanti modifiche giurisprudenzali e viene riconosciuto a seguito della definitiva chiusura del rapporto tra gli ex coniugi, per questo motivo richiede l’accertamento di condizioni differenti, quali le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare, il reddito di entrambi, la durata del matrimonio e altri.
Chi nel divorzio richiede l’assegno dovrà provare le ragioni oggettive che rendano necessario il versamento, dovendosi trovare nella comprovata impossibilità di procurarsi adeguati redditi.
A volte succede che l’l’assegno divorzile si adegui alla quota fissata per il mantenimento, tuttavia il giudice, necessariamente diverso dall’autorità pronunciatasi per la separazione, è tenuto a motivare espressamente la sua decisione.
Ordinanza n. 22064 del 2020
Negli ultimi anni, come suddetto, la Corte di Cassazione ha intrapreso un cammino volto al ridimensionamento del mantenimento, in modo da non considerarlo più come un meccanismo automatico, ma, piuttosto, da rapportare alle circostanze concrete.
La Suprema Corte si è pronunciata avverso la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria con la quale si riconosceva l’obbligo in capo all’ex marito di versare un assegno divorzile mensile all’ex moglie, seppur convivente con un nuovo partner.
Con n una sentenza del 2018 Il Tribunale di Como, ha sostenuto che l’intraprendere una nuova relazione, che non implichi necessariamente la stabile convivenza, faccia venir meno il presupposto dell’assegno di mantenimento, in quanto la formazione di una famiglia di fatto rappresenti una scelta di vita, valida anche in caso di successiva rottura, poiché si ritiene che il soggetto accetti anche questo rischio. Allo stesso modo, il Tribunale di La Spezia, nel 2016, ha ritenuto non necessaria la coabitazione ai fini della revoca del mantenimento.
La Suprema Corte con recente ordinanza ha confermato il principio riconoscendo il venir meno del mantenimento al momento dell’instaurazione di una nuova relazione, che sia caratterizzata non necessariamente da convivenza more uxorio, ma anche solo da stabilità e continuità del rapporto. La prova di ciò potrà essere fornita sulla base dell’osservazione delle abitudini e dallo stile di vita dell’ex coniuge. Sarà necessaria, dunque, una relazione stabile e non occasionale, in modo da rinvenire una famiglia di fatto. Ciò viene ad essere espressione di una scelta esistenziale, consapevole, tutelata dall’articolo 2 della Costituzione come formazione sociale in cui esprimere la propria personalità.
Alla stregua di ciò, sarà possibile per l’ex coniuge obbligato chiedere l’esonero integrale dall’assegno, indipendentemente dalla dimostrazione delle condizioni economiche del beneficiario. Si prescinde, dunque, dai requisiti richiesti ai fini della concessione del beneficio dall’articolo 5 della legge sul divorzio, come anche da quelli relativi all’assegno a seguito della separazione.
Non rileva, tuttavia, la nuova convivenza dell’obbligato, neppure in assenza di figli, in quanto non viene meno il dovere di assistenza materiale stabilito e riconosciuto anche in sede giudiziale.
L’ordinanza esaminata ha, dunque, ampliato il novero dei requisiti previsti per la concessione del mantenimento, riducendo, quindi, i casi di concessione dello stesso.
Non essendosi ancora pronunciato il legislatore sulla questione, l’ordinanza può essere considerata come base per un nuovo dibattito.
In ogni caso ha il merito di aver confermato e consolidato principi già diffusamente applicati nella giurisprudenza.
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MOGLIE MALTRATTATA VA RISARCITA!!!
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Con sentenza n. 6074/2021 La Corte di Cassazione,, confermando corte appello Bologna a seguito di gravame proposto dal marito avverso la sentenza emessa il 19/5/2016 dal Tribunale di Piacenza,
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con la quale era stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A) art. 572 c.p. ai danni della moglie convivente) e B) art. 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 2, 582e 585c.p., art. 577 c.p., comma 1 e u.c., ai danni della moglie convivente, e condannato a pena di giustizia, oltre le statuizioni in favore della parte civile costituita.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
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Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bologna, a seguito di gravame interposto dall’imputato P.V. avverso la sentenza emessa il 19/5/2016 dal Tribunale di Piacenza, ha confermato la decisione con la quale il predetto imputato è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A)(art. 572 c.p. ai danni della moglie convivente) e B) (art. 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 2, artt. 582 e 585c.p., art. 577 c.p., comma 1 e u.c., ai danni della moglie convivente) e condannato a pena di giustizia, oltre le statuizioni in favore della parte civile costituita.
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Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, con atto del difensore, deduce:
2.1. Con il primo motivo, violazione della legge penale in relazione agli artt. 3 e 33 della convenzione di Istanbul del 1/5/2011, artt. 572 e 582 c.p. e vizio cumulativo della motivazione in relazione alla sussistenza del reato di maltrattamenti nonchè carenza dell’elemento psicologico dei reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p..
La sentenza ha omesso di considerare le seguenti questioni funzionali alla affermazione di responsabilità:
– Attendibilità della versione dei fatti fornita dalla persona offesa con riferimento al complesivo regime di vita impostole nel corso della convivenza dall’imputato nonchè all’episodio delle lesioni;
– Individuazione delle cause originanti i singoli litigi e loro contestualizzazione;
– Valenza delle testimonianze delle operatrici sociali, delle insegnanti e delle amiche che hanno fatto cenno, per averlo appreso dalla donna, a sporadici litigi familiari;
– Comportamento della persona offesa che non ha mai interrotto la convivenza;
– Riconducibiità dei fatti ascritti all’imputato nell’ambito di una condotta oppressiva, prevaricatoria e reiterata nel tempo, che assuma la connotazione di abitualità;
– Sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti e della volontà di cagionare le lesioni;
– Risultanze della perizia medico-legale;
– Decorso di notevole lasso temporale tra i fatti contestati del reato di maltrattamenti e la loro denuncia.
2.2. Con il secondo motivo, violazione ed inosservanza dell’art. 192 c.p.p., comma 1, artt. 533 e 546 c.p.p. per la omessa congrua risposta ai motivi di appello segnatamente con riguardo alle censure mosse alle variabili versioni offerte dalla parte offesa in uno alla condizione socio-personale e all’ambiente militare di appartenenza dell’imputato, indici di scarsa attendibilità del narrato.
In particolare, con riferimento al delitto di lesioni in relazione al quale la donna ha artatamente attribuito ai documenti valenza accusatoria in contrasto con le testimonianze e la relazione medico-legale e del consulente dell’imputato. Inoltre, il contenuto delle trascrizioni audio e delle deposizioni in atti dimostrano la totale assenza di una condizione di sudditanza della persona offesa che ha tenuto sempre un rapporto paritetico con l’imputato. La Corte, peraltro, ha omesso di verificare con il rigore richiesto le dichiarazioni della persona offesa in relazione alla sua costituzione di parte civile.
2.3. Con il terzo motivo, violazione ed inosservanza degli artt. 192, 220 e 546 c.p.p. con vizio della motivazione in relazione alla valutazione delle prove a discarico dell’imputato. La Corte distrettuale ha immotivatamente affermato che le dichiarazioni dei testi della difesa non incrinavano l’impianto accusatorio e che l’inaffidabilità della documentazione fotografica condizionava le conclusioni dell’accertamento medico-legale svolto.
2.4. Con il quarto motivo, violazione degli artt. 538 e 539 c.p.p., art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 546 c.p.p. in relazione alla quantificazione del danno in favore della parte civile non avendo la Corte risposto alla doglianza del ricorrente circa la eccessività dell’importo liquidato in quanto alcuna considerazione è stata svolta sulla intensità della violazione della libertà morale e fisica della persona offesa, del turbamento psichico cagionato e delle conseguenze sul piano psicologico individuale e dei rapporti intersoggettivi.
2.5. Si fa rilevare, infine, che nelle more del deposito del ricorso è maturata la prescrizione dei reati per i quali si è proceduto, avvenuta il 15 dicembre 2019.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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Il ricorso è inammissibile.
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Con i primi tre motivi il ricorrente si limita a riproporre questioni in fatto alle quali la Corte ha risposto senza incorrere in vizi logici e giuridici, dando puntuale risposta alle censure in appello.
La Corte di merito ha confermato la responsabilità dell’imputato in ordine ai delitti di maltrattamenti e lesioni ascrittigli sulla base di un articolato giudizio di credibilità soggettiva della parte offesa, anche tenuto conto della intervenuta costituzione di parte civile (v. pg. 8 e sgg. della sentenza) escludendosi che le sue dichiarazioni siano state influenzate da ragioni di ordine economico o di natura ritorsiva, sulla base delle modalità di denunzia dei fatti – sin dalle sue prime segnalazioni al servizio sociale – e della successiva condotta tenuta nel corso del procedimento in relazione alla quale è anche considerata non illogicamente la natura ambivalente e spesso accondiscente del suo atteggiamento segnatamente per la soggezione nei confronti dell’imputato per la sua posizione lavorativa, essendo all’epoca appartenente alle Forze Armate in quanto Maresciallo dell’Areonautica militare e per la volontà di salvaguardare la sua famiglia – del tutto compatibile con il reato di maltrattamenti in contestazione ed in conformità all’orientamento in tema di valutazione della prova testimoniale secondo il quale l’ambivalenza dei sentimenti provati dalla persona offesa nei confronti dell’imputato non rende di per sè inattendibile la narrazione delle violenze e delle afflizioni subite, imponendo solo una maggiore prudenza nell’analisi delle dichiarazioni in seno al contesto degli elementi conoscitivi a disposizione del giudice (Sez. 6, n. 31309 del 13/05/2015, S.,Rv. 264334).
Quanto al profilo di credibilità oggettiva, è stato ineccepibilmente considerato che, pur a distanza di anni dai fatti in contestazione, la donna ha riferito i numerosi episodi in maniera precisa ed intrinsecamente logica, senza incorrere in contraddizioni pur manifestando un forte turbamento emotivo nel ripercorrere le vicende oggetto del giudizio. Ed alle dichiarazioni della persona offesa risultano aver dato riscontro le testimonianze di amici e colleghi della stessa nonchè le insegnanti del figlio F., gli psicologi e gli assistenti sociali che hanno avuto in carico il nucleo familiare (v, in particolare, pg. 14 e sg. della sentenza).
Quanto alla valutazione degli elementi probatori a discarico ampia motivazione, scevra da vizi logici e giuridici, è espressa a riguardo del rigetto della correlata deduzione in appello (v. pg. 11 e sgg.), evidenziandosi che dette censure avevano ad oggetto elementi già valutati dal primo Giudice. La Corte ha poi aggiunto – per quanto riguarda le registrazioni effettuate autonomamente dall’imputato – che il loro grado di affidabilità doveva tener conto della provenienza e della incompletezza delle registrazioni e che, in ogni caso, non contrastavano l’accusa in quanto una certa aggressività verbale della persona offesa documentata nelle registrazioni – da un lato – non si mostra incompatibile lo stato di soggezione proprio della vittima dei maltrattamenti; dall’altro, non potendosi verificare il contesto in cui tali espressioni sono state pronunciate, specie considerando l’iniziativa dell’imputato nell’operare le registrazioni con il proprio telefono e, quindi, poter verificare la natura reattiva delle espressioni della donna all’insopportabile dinamica familiare contrassegnata peraltro dal grande timore di vedersi portati via i figli da parte di un marito percepito come culturalmente e professionalmente a lei superiore. Del tutto congrua rispetto alla valutazione di non incidenza del contenuto di dette registrazioni è la considerazione che secondo la stessa loro datazione fornita dall’imputato – risalivano ad un periodo in cui il rapporto tra i due coniugi era già irrimediabilmente compromesso, tanto che da lì a poco la convivenza sarebbe venuta meno; come pure che, il forte sospetto da parte della donna di essere registrata le provocasse una reazione per la quale manifestava toni particolarmente aggressivi,sentendola accusare il marito di esercitare nei suoi confronti una violenza psicologica.
Quanto alla valutazione dei testi della difesa, familiari ed amici dell’imputato, la Corte fa ineccepibilmente propria quella del primo Giudice circa la inidoneità delle testimonianze ad inficiare le ragioni dell’accusa essendo le dichiarazioni per lo più incentrate su aspetti riguardanti l’attaccamento della persona offesa ai due figli minori ed alla conflittualità del rapporto tra moglie e suocera.
La abitualità della condotta maltrattante – come si desume dalla analitica esposizione dei motivi da parte della sentenza impugnata – non è stata oggetto di specifica devoluzione in appello,volto a censurare radicalmente la scarsa credibilità della parte offesa ed ogni responsabilità dell’imputato.Essa risulta accertata nel primo giudizio – che si salda con quello di appello – in base al comportamento vessatorio dell’imputato nei confronti della moglie consistito in continue umiliazioni verbali, schiaffi percosse, costrizioni a rapporti sessuali non voluti, lancio di oggetti anche davanti ai figli minori e fino alla privazione della disponibilità delle proprie ricorse economiche e costretta a rimanere in casa, o al contrario, a uscire contro la sua volontà.
Quanto all’episodio di lesioni alcuna specifica censura risulta rispetto alla articolata motivazione (pg.15 e sg.) che conclude per l’inidoneità dell’accertamento medico-legale a sconfessare le dichiarazioni della parte offesa con riguardo all’epoca delle lesioni, facendo leva sulla inaffidabilità del reperto fotografico a riguardo attraverso le dichiarazioni dello stesso perito Dott. B. e del teste D.L., assistente capo in servizio presso la Questura di (OMISSIS), che aveva materialmente effettuato i rilievi fotografici.
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Il quarto motivo è inammissibile in quanto genericamente proposto rispetto alla puntuale motivazione espressa dalla sentenza sulla entità della liquidazione del danno pari a 15mila Euro a titolo di danno non patrimoniale (v. pg. 16 e sg.) sulla base dell’entità del patimento sofferto dalla vittima nei molti anni in cui è stata sottoposta ad un clima di violenza e sopraffazione, essendo umiliata anche in presena di figli minori, tanto da doversi rivolgere a specialisti per seguire un percorso psicologico.
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Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso – che impedisce di apprezzare il decorso della prescrizione successivamente alla sentenza impunata – consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. L’imputato deve, inoltre, essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile S.V. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile S.V. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
CONCLUSIONE
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021
In tema di separazione tra coniugi, la reiterata inosservanza da parte di entrambi dell’obbligo di reciproca fedeltà non costituisce circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione in capo all’uno o all’altro o ad entrambi, quando sia sopravvenuta in un contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale quale rispondente al dettato normativo e al comune sentire, in una situazione stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non caratterizzata da “affectio coniugalis”.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 9074 del 20 aprile 2011)
NELLE SEPARAZIONI LA CASSAZIONE AFFERMA CHE : In tema di addebitabilità della separazione personale, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili – traducendosi nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner – essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest’ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l’addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere.
Cass. civ. n. 8548/2011 avvocato per separazione bologna
In tema di addebitabilità della separazione personale, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili – traducendosi nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner – essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest’ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l’addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 8548 del 14 aprile 2011)
Cass. civ. n. 4540/2011 avvocato per separazione bologna
L’allontanamento dalla residenza familiare, ove attuato unilateralmente dal coniuge, cioè senza il consenso dell’altro coniuge, costituisce violazione di un obbligo matrimoniale ed conseguentemente causa di addebitamento della separazione; non concreta, invece, tale violazione il coniuge se risulti legittimato da una “giusta causa”, vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare. (Nella specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che, addebitando la separazione alla moglie, non aveva ravvisato la giusta causa del suo allontanamento nei frequenti litigi domestici con la suocera convivente e nel conseguente progressivo deterioramento dei rapporti tra gli stessi coniugi).
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 4540 del 24 febbraio 2011)
Separazione legale
Appena si intende avviare una pratica per la separazione coniugale, è bene tener presente le molteplici implicazioni di carattere personale e patrimoniale che occorre affrontare.
Il diritto di famiglia disciplina i rapporti familiari in genere, dai rapporti personali tra i coniugi ai rapporti patrimoniali nella famiglia, dalle separazioni al rapporto tra genitori e figli, dal riconoscimento della paternità agli accordi tra conviventi.
Sciogliere un legame coniugale, un rapporto di convivenza o una unione civile comporta la modifica di tutte le nostre abitudini e dei nostri punti di riferimento abituali.
In momenti come questi abbiamo bisogno di una persona competente ed esperta che ci aiuti a interpretare con chiarezza la situazione in cui ci troviamo, che ci spieghi con semplicità i nostri diritti e i nostri doveri ma che sappia anche comprendere le nostre esigenze più personali, sempre presente con tatto e discrezione.
Se la coppia ha figli, occorrerà prevederne il regime di affidamento e la collocazione, regolamentare i rapporti con entrambi i genitori e stabilire l’entità dell’assegno di contributo al mantenimento. Misure che dovranno privilegiare l’interesse dei minori, affinché sui figli non ricada in modo traumatico il peso della separazione.
Quando un matrimonio finisce il primo passo che attende i due coniugi è quello della separazione, consensuale o giudiziale, secondo che si trovi un accordo o meno tra i coniugi per la spartizione dei beni, l’affidamento dei figli e la corresponsione dell’assegno di mantenimento.
Il procedimento della separazione consensuale è molto lineare e non pone di solito problemi quando ci si trova in tribunale, ma la vera difficoltà sta nel raggiungere l’accordo che prelude allo scioglimento del vincolo matrimoniale. Per raggiungere un valido accordo, in presenza di patrimoni e prole, non è possibile fare a meno dell’assistenza di un avvocato divorzista/matrimonialista.
Il divorzio non è la separazione avvocato per separazione bologna
Prima di tutto, è bene tenere presente che la separazione e il divorzio sono due realtà ben diverse: la prima è propedeutica al secondo, nel senso che nel nostro Paese, a differenza di quel che avviene altrove, non è possibile optare per il divorzio diretto. Attenzione, comunque: se è vero che la separazione è un passaggio indispensabile e inevitabile per il divorzio, ciò non vuol dire che dopo essersi separati si sia costretti a divorziare: volendo i coniugi possono arrivare a una riconciliazione.
Quali sono le scelte possibili per una separazione consensuale- avvocato per separazione bologna
Contattando un avvocato per separazione a Bologna si può verificare che sono diverse le scelte possibili a disposizione nel caso di una separazione, a seconda che la stessa sia conflittuale o consensuale. Nel caso di una separazione consensuale, infatti, marito e moglie sono in grado di arrivare a un accordo da soli, o comunque con il supporto dei rispettivi avvocati. La presenza dei legali dipende dal tribunale, ma non è escluso che uno stesso avvocato possa lavorare per tutti e due i coniugi. L’accordo che viene ricavato prevede l’affidamento dei figli condiviso, fermo restando che la prole sarà collocata in modo prevalente presso un genitore mentre l’altro potrà sfruttare il diritto di visita. La casa familiare, di solito, rimane al coniuge che ha la locazione. Una volta che l’accordo è stato raggiunto, anche con la definizione di un contributo necessario per il mantenimento dei figli, le parti confermano la negoziazione in tribunale.
Un’altra strada che si può percorrere è quella della negoziazione assistita: lo scopo è sempre quello di arrivare a una separazione consensuale, ma in questo caso le parti non possono non essere rappresentate da un avvocato. La negoziazione ha dei tempi ben precisi che devono essere rispettati, che non possono essere inferiori a 1 mese né superiori a 3 mesi. Dopo che si è arrivati all’accordo, lo stesso viene presentato alla Procura della Repubblica: a questo punto il pubblico ministero controlla che l’accordo rispetti l’interessi di entrambi i coniugi, oltre che dei figli, e se l’esito è positivo fornisce la necessaria autorizzazione. Con l’autorizzazione, si provvede alla trasmissione dell’accordo al Comune di residenza della famiglia, in modo tale che la separazione possa essere annotata dall’ufficiale di stato civile. Da questo momento in avanti, le parti avranno a disposizione un tempo massimo di 6 mesi per chiedere il divorzio.
La pratica collaborativa e la separazione giudiziale
La pratica collaborativa è una pratica che è stata introdotta nel nostro Paese da poco tempo, e presuppone un cambiamento dell’impostazione del modo di affrontare la separazione. Chi intende optare per la pratica è tenuto a rispettare gli obblighi di impegno, di buona fede, di trasparenza delle informazioni e di riservatezza. Occorre tener presente, però, che nel caso in cui la pratica fallisca i clienti non possono essere patrocinati dagli avvocati nella causa contenziosa, a differenza di quel che avviene con la negoziazione assistita.
avvocato per separazione bologna, ecco il caso della separazione giudiziale, che si concretizza in presenza di una separazione conflittuale: come si può scoprire chiedendo informazioni a un avvocato per separazione a Bologna, in questa circostanza si presenta in tribunale un deposito di ricorso. Di fronte al giudice, in occasione dell’udienza presidenziale, si accerta che non sussista la possibilità di pervenire a un accordo; dopodiché con provvedimenti urgenti e provvisori si decide a quale dei due coniugi spettano l’affidamento dei figli, la casa e l’assegno di mantenimento della prole. Per quel che riguarda le tempistiche, in media ci vogliono più di 2 anni per arrivare alla conclusione del procedimento, sempre che non vengano introdotti testimonianze, consulenze o interventi di psicologi o psichiatri.