paralisi cerebrale discinetica, fetopatie e neopatie da complicazioni delle doglie e del parto BOLOGNA, NAPOLI, BRESCIA, VICENZA  MILANO, PADOVA ANCONA, MACERATA FERMO

 

 

  paralisi cerebrale discinetica, fetopatie e neopatie da complicazioni delle doglie e del parto BOLOGNA, NAPOLI, BRESCIA, VICENZA  MILANO, PADOVA ANCONA, MACERATA FERMO

 

paralisi cerebrale discinetica, fetopatie e neopatie da complicazioni delle doglie e del parto BOLOGNA, NAPOLI, BRESCIA, VICENZA  MILANO, PADOVA ANCONA, MACERATA FERMO

paralisi cerebrale discinetica, fetopatie e neopatie da complicazioni delle doglie e del parto BOLOGNA, NAPOLI, BRESCIA, VICENZA  MILANO, PADOVA ANCONA, MACERATA FERMO

 

 

AVVOCATO ESPERTO DANNI PER DANNO AL NASCITURO 051 6447838

 

BOLOGNA, NAPOLI, BRESCIA, VICENZA  MILANO, PADOVA ANCONA, MACERATA FERMO

  1. Quanto alla condotta colposa dei sanitari, affermarono, che già nei giorni precedenti al ricovero la XX aveva tracciati “con caratteristiche che avrebbero meritato ulteriori controlli e maggiori attenzioni, ma nulla è mai stato fatto” e che “I monitoraggi agli intervalli stabiliti dalle pertinenti linee guida a partire dalle ore 03.00 e fino al parto sono stati praticamente del tutto omessi. Prescindendo dall’ultimo tratto di CTG, monitorato a partire dalle 05.50, nel quale era identificata una bradicardia terminale, dalle ore 03.00 il monitoraggio era eseguito solo e soltanto dalle ore 04.19 alle ore 05.06. A partire dalle ore 03.00 il monitoraggio era totalmente assente a parte un singolo monitoraggio, avvenuto dalle ore 04.19 alle ore 05.06.

 

  1. i CTU dott. Gavina e dott. Bufferli, hanno precisato che sono sufficienti 10-15 di completa interruzione dell’apporto di ossigeno per determinare la morte o il danno cerebrale di un neonato) e che “circa il fatto che l’assistenza medica e l’attività sanitaria, terapeutica e diagnostica posta in essere dai sanitari che allora seguirono il parto e la nascita di J siano state idonee, tempestive e adeguate, è possibile affermare che, pur con le criticità sopra meglio espresse, il comportamento posto in essere dai sanitari che ebbero in cura XX in occasione del parto è stato sostanzialmente adeguato al caso di specie“.
  2. Vale la pena ricordare a tal riguardo che il monitoraggio CTG, a partire dalle ore 03.00, è stato pertanto omesso per più di 2 ore e che durante tale intervallo in base a quanto previsto dalle pertinenti linee guida nonché dalla letteratura di merito sul tema, il monitoraggio intermittente doveva essere praticato quantomeno ogni 15 minuti.
  3. A fronte di tale prescrizione dalle ore 03.00 alle ore 05.55 si rileva, dunque, l’omessa esecuzione di ben 9 monitoraggi del CTG nell’arco di ben 135 minuti (più di 2 ore).”.
  4. Costituendosi, l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ferrara (d’ora in poi, anche AUSL) contestò integralmente anquantumdelle pretese risarcitorie, di cui chiese il rigetto, rilevando come il collegio peritale nominato nel procedimento ex 696 bis c.p.c. avesse escluso ogni addebito di responsabilità in capo all’azienda resistente, negando qualsiasi correlazione causale fra la contestata condotta dei sanitari e i danni subiti dal neonato.
  5. L’adito Tribunale, su concorde richiesta delle parti, acquisì il fascicolo del procedimento di istruzione preventiva nel quale erano stati nominati CTU il dott. Andrea Gavina e il dott. Nicola Bufferli, rigettò l’istanza di rinnovazione della consulenza richiesta dagli attori e convocò a chiarimenti gli indicati CTU; all’esito, con ordinanza ex 702 terc.p.c. in data 17.11.2020, qualificata come contrattuale la dedotta responsabilità della struttura sanitaria, il Tribunale ritenne infondate le domande attoree con la seguente motivazione:
  6. «Il punto centrale della contestazione di parte ricorrente nei confronti del personale sanitario e della struttura convenuta attiene al fatto che, nella prospettazione dei ricorrenti, i monitoraggi agli intervalli stabiliti dalle pertinenti linee guida a partire dalle ore 03.00 e fino al parto sono stati praticamente del tutto omessi.

 

LE LINEE GUIDA

 

Le linee guida – il cui testo è riportato nell’elaborato a chiarimenti – chiariscono che “la rilevazione intermittente del BCF in travaglio attivo nella gravidanza a basso rischio dovrebbe essere eseguita immediatamente dopo una contrazione, per 60 secondi e ogni 15 minuti nel 1° stadio e ogni 5 minuti nel 2° stadio. Ogni evento intra partum in grado di influenzare il BCF dovrebbe essere annotato sul tracciato cardiotocografico con ora e firma dell’operatore; se si opta per l’auscultazione intermitterite, tali annotazioni vanno comunque riportate in cartella o nel partogramma. L’auscultazione intermittente può essere fatta con stetoscopio di Pinard o strumento Doppler, annotata in cartella o nel partogramma con data, ora e firma; si consiglia tuttavia, se possibile, l’utilizzo del cardiotocografo, per la maggior facilità di interpretazione e la possibilità di conservare un supporto cartaceo”.

Dunque, l’esecuzione con ascolto manuale da parte dell’ostetrica non è una condotta che viola di per sé alcuna delle linee guida, per cui il Collegio Peritale rileva che l’omissione riguarderebbe solo la registrazione cartacea, in due momenti.

Si ricostruisce l’andamento dei monitoraggi.

Il ricovero è effettuato alle ore 14.00 del 7/9/2016 e alla medesima ora risulta un monitoraggio con CTG (cardiotocografo) normale.

Dalle 15.09 alle 16.20 il monitoraggio registra decelerazione atipica variabile e poi sonno fetale.

Dalle 16.20 alle 16.40 vi è un monitoraggio con CTG normale.

Dalle 18.00 alle 2.00 il monitoraggio è sempre normale, con CTG dalle 23.26 alle 00.30 e 1.17-2.20 sempre normale.

Alle ore 3.00 il monitoraggio in cartella clinica è definito monitorizzato.

In particolare in cartella clinica si legge “eseguiti CTG di controllo alle h. 3.00. esame obiettivo: collo appianato, dilatazione della bocca uterina 5 cm. P.P. cefalica membrana. Si continua monitoraggio. BCF regolare”.

Segue dalle 4.19 alle 5.06 (l’orario indicato dal Collegio Peritale nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. è 5.06 ma nella relazione a chiarimento il Collegio Peritale dà atto di considerare il monitoraggio come effettivamente interrotto alle 5.06) si registra un monitoraggio con CTG normale e poi, avviato un nuovo monitoraggio alle 5.55, alle 6.06 si verifica BCF in caduta e, proseguito poi il monitoraggio fino alle 6.19, la paziente viene trasferita il sala operatoria per l’esecuzione del cesareo.

Dunque, sostanzialmente il monitoraggio con CTG non viene eseguito unicamente dalle 2.20 alle 4.19.

Come si è visto, le linee guida non prescrivono come obbligatorio, ma solo consigliato il monitoraggio con cardiotocografo.

Dalla cartella clinica, come riportata, e dal diario di parto, il monitoraggio appare svolto mediante auscultazione manuale.

 

 

  1. R.G. 2034/2020

REPUBBLICA ITALIANA

In Nome del Popolo Italiano

CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA

II sezione civile

La Corte di Appello nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Giampiero M. Fiore – Presidente

dott.ssa Anna Maria Rossi – Consigliere

dott.ssa Bianca Maria Gaudioso – Consigliere Relatore

sentito il relatore, sulle conclusioni precisate dalle parti all’udienza, tenutasi con modalità cartolare in data 11.7.2023, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa d’appello iscritta al r.g. n. 2034/2020 promossa da:

YY e XX in proprio e per conto del figlio minore J

Avv. Linda Pola

contro:

Azienda Unità Sanitaria Locale di Ferrara

Avv. Michele Tavazzi

Fatti di causa

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato nel 2019 dinanzi al Tribunale di Ferrara, preceduto da accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c., YY e XX, genitori di J, nato in data 8.9.2016, agendo in proprio e per conto del figlio, convennero l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ferrara chiedendo l’accertamento della responsabilità della stessa in relazione alla condotta dei sanitari nella gestione degli ultimi giorni della gravidanza, del travaglio e della nascita del figlio – per il quale da subito era stata formulata la diagnosi di encefalopatia ipossico-ischemica e che, dalle ultime diagnosi, risultava affetto da paralisi cerebrale discinetica, fetopatie e neopatie da complicazioni delle doglie e del parto – e la condanna della stessa al risarcimento di tutti i conseguenti danni subiti, patrimoniali e non.

Esposero che nella mattina del 7.9.2016 la XX, primigravida, al termine di una gravidanza normo decorsa, senza alcun accertato problema sulle condizioni di salute del nascituro, né sulle condizioni di salute della madre, si recava presso l’Ospedale Santa Annunziata di Cento, (Ferrara), e che, all’esito dei controlli, i sanitari le comunicavano la “presenza di decelerazione variabile” nel battito del bambino, la invitavano ad andare a casa a prendere le proprie cose e a ripresentarsi poco dopo per un controllo. Alle 13.30 l’attrice veniva ricoverata d’urgenza con anomalie del battito e della frequenza cardiaca del feto, il tracciato cardiotocografico (TCG) effettuato veniva definito nella cartella clinica “non rassicurante” e, tuttavia, durante il ricovero “nessun tipo di decisione veniva presa dai sanitari, e la signora veniva lasciata procedere fisiologicamente verso il parto. Ciò per molte, moltissime ore, durante le quali, la signora XX è stata lasciata sola con il marito. Ciò sino alle ore 6.06 del giorno successivo, l’8 settembre 2016, quando veniva apprezzato un importante calo del FCF, calo definito “persistente”. A questo punto, veniva disposto il taglio cesareo in emergenza, effettuato alle ore 6.34. Alla nascita, il neonato presentava anomalie nel battito e brachicardia fetale acuta e i sanitari, definendolo “in gravissime condizioni”, procedevano a rianimazione neonatale, ventilazione manuale, intubazione e somministrazione di adrenalina. La pediatra, dott.ssa Sabina Dalla Vecchia, arrivava solo alle 7.10 dopo la nascita del neonato, avvenuta alle 6.40, e quanto accaduto in quei sei minuti non era riportato nelle cartelle. Alle 9.40 il neonato veniva trasferito in terapia intensiva neonatale all’ospedale di Cona, (Ferrara), in condizioni critiche.

Quanto alla condotta colposa dei sanitari, affermarono, che già nei giorni precedenti al ricovero la XX aveva tracciati “con caratteristiche che avrebbero meritato ulteriori controlli e maggiori attenzioni, ma nulla è mai stato fatto” e che “I monitoraggi agli intervalli stabiliti dalle pertinenti linee guida a partire dalle ore 03.00 e fino al parto sono stati praticamente del tutto omessi. Prescindendo dall’ultimo tratto di CTG, monitorato a partire dalle 05.50, nel quale era identificata una bradicardia terminale, dalle ore 03.00 il monitoraggio era eseguito solo e soltanto dalle ore 04.19 alle ore 05.06. A partire dalle ore 03.00 il monitoraggio era totalmente assente a parte un singolo monitoraggio, avvenuto dalle ore 04.19 alle ore 05.06.

Vale la pena ricordare a tal riguardo che il monitoraggio CTG, a partire dalle ore 03.00, è stato pertanto omesso per più di 2 ore e che durante tale intervallo in base a quanto previsto dalle pertinenti linee guida nonché dalla letteratura di merito sul tema, il monitoraggio intermittente doveva essere praticato quantomeno ogni 15 minuti.

A fronte di tale prescrizione dalle ore 03.00 alle ore 05.55 si rileva, dunque, l’omessa esecuzione di ben 9 monitoraggi del CTG nell’arco di ben 135 minuti (più di 2 ore).”.

Costituendosi, l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ferrara (d’ora in poi, anche AUSL) contestò integralmente an e quantum delle pretese risarcitorie, di cui chiese il rigetto, rilevando come il collegio peritale nominato nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. avesse escluso ogni addebito di responsabilità in capo all’azienda resistente, negando qualsiasi correlazione causale fra la contestata condotta dei sanitari e i danni subiti dal neonato.

L’adito Tribunale, su concorde richiesta delle parti, acquisì il fascicolo del procedimento di istruzione preventiva nel quale erano stati nominati CTU il dott. Andrea Gavina e il dott. Nicola Bufferli, rigettò l’istanza di rinnovazione della consulenza richiesta dagli attori e convocò a chiarimenti gli indicati CTU; all’esito, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. in data 17.11.2020, qualificata come contrattuale la dedotta responsabilità della struttura sanitaria, il Tribunale ritenne infondate le domande attoree con la seguente motivazione:

«Il punto centrale della contestazione di parte ricorrente nei confronti del personale sanitario e della struttura convenuta attiene al fatto che, nella prospettazione dei ricorrenti, i monitoraggi agli intervalli stabiliti dalle pertinenti linee guida a partire dalle ore 03.00 e fino al parto sono stati praticamente del tutto omessi.

Infatti l’ultimo tratto di CTG risulta monitorato a partire dalle 05.50, nel quale era identificata una bradicardia terminale, mentre dalle ore 03.00 il monitoraggio era eseguito solo e soltanto dalle ore 04.19 alle ore 05.06.

Dunque il monitoraggio CTG, a partire dalle ore 03.00, sarebbe stato colpevolmente omesso “per più di 2 ore”. Deducono i ricorrenti che “il monitoraggio CTG o quantomeno l’auscultazione del BCF (battito cardiaco fetale) deve essere effettuato per un minuto dopo una contrazione uterina e con un intervallo non superiore ai 15 minuti. A fronte di tale prescrizione dalle ore 03.00 alle ore 05.55 si rileva, dunque, l’omessa auscultazione del BCF per almeno 9 volte nell’arco di ben 135 minuti (più di 2 ore)”.

All’esito dell’accertamento svolto nell’ambito dell’accertamento ex art 696 bis c.p.c. e dei chiarimenti richiesti nel presente procedimento al Collegio Peritale – composto dal Dott. Andrea Gavina, Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni e dal Dott. Nicola Bufferli, Specialista in Ginecologia ed Ostetricia – la genesi della patologia riportata da J e la condotta dei sanitari possono essere così ricostruite.

Appare opportuno partire dall’esito finale, non essendo contestato.

Dopo le ore 6.06del 8/9/2016, J subì un gravissimo insulto ipoanossico dopo le h. 6.06 dell’8/9/16 con pessimistica bradicardia, che procurò notevolissimi danni neonatali nel tempo (quasi 30’) intercorso prima dell’estrazione chirurgica delle 6.34.

Anzitutto il Collegio peritale nominato nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. ha verificato che, dal momento in cui si verifica l’insulto ipoanossico, la tempistica d’intervento chirurgico fu adeguata agli standard.

La questione non è sostanzialmente contestata da parte ricorrente, posto che i due profili su cui il contrasto tra le parti si gioca attengono all’esistenza di una condotta negligente da parte del personale sanitario e al nesso di causalità tra l’insulto ipossico-ischemico principale e tale condotta.

Anzitutto, quanto alla causa dell’insulto ipossico-ischemico principale da cui l’acidosi metabolica neonatale, il Collegio Peritale conclude che esso “fu prontamente generato dall’inginocchiamento del funicolo già forse compromesso da altro: blanda corionamniosite, complicanze ormonali tiroidee materne precedentemente misconosciute durante la gravidanza; altri tempi ipoanossici solo ipotizzabili (non identificati negli accertamenti eseguiti agli Atti) in data più probabilmente precedente le h. 24 del 7/9 che non dopo le 00.00 dell’8/9/16”.

Partendo da tale ultimo profilo, la problematica circa la natura solo ipotizzabile di altri tempi ipoanossici si interseca con l’accertamento circa la violazione da parte del personale sanitario delle linee guida in ordine alla tempistica del monitoraggio. Difatti, occorre verificare se il trauma sia ricollegabile ad altri eventi ipoanossici, relativamente ai quali sia mancato un intervento in quanto non identificati perché è mancato, colpevolmente, un monitoraggio da parte del personale sanitario.

In relazione all’elaborato peritale consegnato all’esito del procedimento ex art. 696 bis c.p.c., i ricorrenti lamentavano che non fossero state ricostruite dal Collegio Peritale le linee guida applicabili e, in particolare, non fosse indicato con quale cadenza temporale deve essere eseguito il monitoraggio, che secondo parte ricorrente fu omesso per nove volte.

Sul punto, nel presente procedimento, è stato richiesto un chiarimento al Collegio Peritale e, dalla relazione integrativa, può desumersi quanto segue.

Risulta che non sono disponibili (e secondo il Collegio Peritale “criticabilmente”) tracciati CTG per alcune fasce orarie della monitorizzazione, la quale comunque “poté essere eseguita con rilevazione intermittente del BCF (l’auscultazione può essere fatta con stetoscopio di Pinard o strumento Doppler: Sonicaid)”.

Il Collegio Peritale chiarisce che, in travaglio attivo nella gravidanza a basso/medio rischio, l’auscultazione dovrebbe essere eseguita immediatamente dopo una contrazione, per 60 secondi, e ogni 15 minuti (come da Linee Guida R.E.R.) da parte di personale sanitario qualificato.

Le linee guida – il cui testo è riportato nell’elaborato a chiarimenti – chiariscono che “la rilevazione intermittente del BCF in travaglio attivo nella gravidanza a basso rischio dovrebbe essere eseguita immediatamente dopo una contrazione, per 60 secondi e ogni 15 minuti nel 1° stadio e ogni 5 minuti nel 2° stadio. Ogni evento intra partum in grado di influenzare il BCF dovrebbe essere annotato sul tracciato cardiotocografico con ora e firma dell’operatore; se si opta per l’auscultazione intermitterite, tali annotazioni vanno comunque riportate in cartella o nel partogramma. L’auscultazione intermittente può essere fatta con stetoscopio di Pinard o strumento Doppler, annotata in cartella o nel partogramma con data, ora e firma; si consiglia tuttavia, se possibile, l’utilizzo del cardiotocografo, per la maggior facilità di interpretazione e la possibilità di conservare un supporto cartaceo”.

Dunque, l’esecuzione con ascolto manuale da parte dell’ostetrica non è una condotta che viola di per sé alcuna delle linee guida, per cui il Collegio Peritale rileva che l’omissione riguarderebbe solo la registrazione cartacea, in due momenti.

Si ricostruisce l’andamento dei monitoraggi.

Il ricovero è effettuato alle ore 14.00 del 7/9/2016 e alla medesima ora risulta un monitoraggio con CTG (cardiotocografo) normale.

Dalle 15.09 alle 16.20 il monitoraggio registra decelerazione atipica variabile e poi sonno fetale.

Dalle 16.20 alle 16.40 vi è un monitoraggio con CTG normale.

Dalle 18.00 alle 2.00 il monitoraggio è sempre normale, con CTG dalle 23.26 alle 00.30 e 1.17-2.20 sempre normale.

Alle ore 3.00 il monitoraggio in cartella clinica è definito monitorizzato.

In particolare in cartella clinica si legge “eseguiti CTG di controllo alle h. 3.00. esame obiettivo: collo appianato, dilatazione della bocca uterina 5 cm. P.P. cefalica membrana. Si continua monitoraggio. BCF regolare”.

Segue dalle 4.19 alle 5.06 (l’orario indicato dal Collegio Peritale nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. è 5.06 ma nella relazione a chiarimento il Collegio Peritale dà atto di considerare il monitoraggio come effettivamente interrotto alle 5.06) si registra un monitoraggio con CTG normale e poi, avviato un nuovo monitoraggio alle 5.55, alle 6.06 si verifica BCF in caduta e, proseguito poi il monitoraggio fino alle 6.19, la paziente viene trasferita il sala operatoria per l’esecuzione del cesareo.

Dunque, sostanzialmente il monitoraggio con CTG non viene eseguito unicamente dalle 2.20 alle 4.19.

Come si è visto, le linee guida non prescrivono come obbligatorio, ma solo consigliato il monitoraggio con cardiotocografo.

Dalla cartella clinica, come riportata, e dal diario di parto, il monitoraggio appare svolto mediante auscultazione manuale.

È vero che non vengono annotati gli orari precisi e i parametri ma l’annotazione risulta comunque documentata: dall’esame del diario di parto, in particolare, ciascuna ora è annotata e sbarrata, per cui appare credibile la lettura data dal Collegio Peritale, ossia che in ciascuna delle ore indicate (dalle 3.00 alle 4.00, dalle 4.00 alle 5.00 e dalle 5.00 alle 6.00), il monitoraggio fu svolto e non si riscontrò niente di significativo.

Dunque, l’omessa indicazione degli orari del monitoraggio manuale – il cui svolgimento non appare dubitabile, avendo il sanitario barrato le caselle relative a ciascuna fascia oraria, atto che non può avere altro significato che quello di rappresentare lo svolgimento del monitoraggio in quella fascia oraria – induce ad escludere profili di falsità della cartella, ma solo semmai un profilo di incompletezza dei dati.

La Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che «in tema di responsabilità professionale sanitaria, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno» (Cass. Civ., Sez. III, Sentenza n. 27561 del 21/11/2017).

Sulla base della cartella clinica in atti, il Collegio Peritale esclude una condotta negligente da parte del personale sanitario, ma come si è visto, esclude anche che la presenza di altri eventi ipoanossici – in ipotesi non rilevati a causa dell’omesso monitoraggio – siano la sola causa dell’evento, posto che vengono individuate altre concause, quali l’ipotiroidismo materno, la iperspiralizzazione funicolare e la corioamnionite.

Questa ricostruzione è contestata dai ricorrenti i quali, sulla base dei rilievi dei loro consulenti tecnici di parte, escludono la sussistenza di corioamnionite nel caso specifico, ritenendo addirittura che il riferimento ad essa sia frutto di errore materiale e ribadendo invece come sia ovvia l’insorgenza degli eventi ipossico-ischemici antecedenti all’evento asfittico terminale instauratosi alle ore 06.06, verosimilmente manifestati durante l’omesso monitoraggio prolungatosi per due ore, per cui sarebbe erroneo il rilievo del Collegio Peritale secondo cui un corretto monitoraggio dalle ore 03.00 alle ore 06.00 non avrebbe identificato alcuna sofferenza fetale, “misteriosamente presentatasi poi soltanto alle ore 06.06 da subito con una bradicardia terminale”. Ed invece secondo il consulente tecnico di parte dei ricorrenti il monitoraggio del benessere fetale, ove correttamente posto in essere dalle ore 03.00 alle ore 06.00 circa, avrebbe con elevata probabilità implicato una più tempestiva identificazione di una sofferenza fetale con conseguente anticipazione del taglio cesareo. Ciò avrebbe a sua volta implicato la nascita del neonato in buone condizioni prima delle ore 06.06, ovverosia prima dell’insorgere della bradicardia terminale.

Sulla base dei rilievi formulati in ricorso, nella richiesta di chiarimenti il Giudice ha chiesto al Collegio Peritale di verificare “se possa essere escluso che un’asfissia durante il travaglio “subitanea” (cfr. pag. 37) sia avvenuta tra le 2.20 e le 4.19 e se, in caso affermativo, si sarebbe avuta evidenza di tale evento, della durata di alcuni minuti, nel successivo monitoraggio effettuato tra le 4.19 e le 5.20″ (in realtà 5.06) nonché di chiarire “da quale minuto del tracciato delle 5.50 si evidenzino le scarse accelerazioni alle quali fa riferimento a pag. 44 dell’elaborato e se la loro portata, intensità, frequenza consenta di escludere che tali scarse accelerazioni si presentassero anche tra le 5.20 e le 5.50” (in realtà 5.06, ma la circostanza non incide posto che nei chiarimenti il Collegio Peritale dà atto di considerare il monitoraggio come effettivamente interrotto alle 5.06)

Il Collegio Peritale ha chiarito che, sebbene sia “del tutto plausibile che si possa essere verificato un episodio asfittico tra le h. 02:20 e le h. 04:19”, lo stesso è avvenuto probabilmente senza specifica, identificante apprezzabilità successiva. Citando la letteratura medica di riferimento, il Collegio Peritale ha chiarito che “sono noti casi di CTG indicativi di sofferenza fetale che mostrano ripresa regolare della FCF nelle registrazioni successive”, posto che il tracciato CTG tra le h. 04:19 e le h. 05:06 fu perfettamente rassicurante.

Quanto al tracciato tra le 5.50 e la verifica del BCF alle 6.06, il Collegio Peritale ha chiarito che “non sono evidenti accelerazioni di 5-10 BPM del BCF sulla linea di base”.

Dunque, posto che il tracciato tra le 4.19 e le 5.20 e quello dalle 5.50 alle 6.06 non presentavano anomalie (e la circostanza non è oggetto di contestazione), non è escluso che nelle fasi in cui il monitoraggio non vi è stato possa esservi stato un episodio asfittico, ma non è in alcun modo possibile concludere che un monitoraggio mediante CTG dalle 02:20 e le h. 04:19 o dalle 5.20 alle 6.06 avrebbero consentito di monitorare il minuto preciso interessato dal verificarsi dell’episodio.

Nessuna delle linee guida o delle best practice, neanche citate dai ricorrenti, presuppone un monitoraggio continuativo.

Ciò ovviamente ribadito che il monitoraggio, nelle citate fasce orarie, non risulta omesso, ma solo effettuato manualmente, come risulta dalla cartella clinica e né dalle conclusioni del Collegio Peritale né dalle osservazioni del consulente tecnico di parte ricorrente risulta che il monitoraggio manuale sia meno attendibile di quello tramite CTG.

Ed anche le linee guida chiariscono che esso è raccomandato unicamente perché lascia traccia cartacea e non perché sia maggiormente efficace o affidabile.

Dunque non v’è prova né di un’omissione tout court del monitoraggio da parte dei sanitari né che lo stesso, qualora effettuato con le tempistiche indicate dal ricorrente e mediante cardiotocografo (cui comunque i sanitari non erano obbligati), avrebbe dato evidenza dell’episodio ipoanossico, consentendo l’anticipazione del parto.

Dunque, errano i ricorrenti nel ritenere che, avendo il Collegio Peritale utilizzato la locuzione “probabile”, sarebbe comunque possibile (dunque, in percentuale compresa tra il 20 ed il 50 %) ipotizzabile una perdita di chances, quantomeno del 20-50% di nascita di un neonato sano.

Sul punto va premesso che, in tema di lesione del diritto alla salute da responsabilità sanitaria, la perdita di chance a carattere non patrimoniale consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale (la maggiore durata della vita o la sopportazione di minori sofferenze).

Tale danno è comunque conseguente – secondo gli ordinari criteri di derivazione eziologica – alla condotta colposa del sanitario ed integra evento di danno risarcibile (da liquidare in via equitativa) soltanto ove la perduta possibilità sia apprezzabile, seria e consistente (cfr. Cass. Civ., Sez. III, Sentenza n. 28993 del 11/11/2019).

Nel caso di specie, difetta sia la condotta colposa sia, comunque, una effettiva perdita di chance, in quanto anche in caso di effettuazione del monitoraggio mediante cardiotocografo, la possibilità di diverso esito (anche alla luce degli altri elementi concausali che di seguito si vedranno) era talmente labile e teorica da non poter essere determinata, come chiarito nella relazione peritale, neppure in termini probabilistici.

Come chiarito dal Collegio Peritale, sebbene sulla base dei calcoli di pH e degli altri parametri feto-neonatali – ottenuti a posteriori – si possa ipotizzare che la sofferenza fetale si instaurò prima delle h. 06:06 del 8/9/2016, “potendolo soltanto ipotizzare prima delle h. 06:06 del 8/9, lo si potrebbe allora immaginare anche nella giornata del 7/9 o ancor prima, quindi le ipotesi di esiti neonatali favorevoli in caso di eventuale taglio cesareo eseguito fra le h. 02 e le h. 05:50 del giorno 8/9 sono soltanto faziosamente congetturabili e comunque basate solo su dati ottenuti a posteriori.

Come accennato, l’inesistenza di profili di negligenza in capo ai sanitari appare confermata anche dalla ricostruzione del Collegio Peritale in ordine alle concause dell’evento.

Dai chiarimenti resi dai consulenti, è possibile ricostruire che XX era affetta da tiroidite di Hashimoto e che ciò risulta dall’anamnesi raccolta in cartella agli atti.

Sulla base di questo, i consulenti hanno riferito e citato studi osservazionali che dimostrano un’associazione fra ipotiroidismo e sviluppo neurologico anomalo, precisando che “ci sono considerevoli evidenze che la disfunzione tiroidea materna presenti una funzione avversa sul neuro-sviluppo fetale”.

La circostanza che l’ipotiroidismo, talvolta espressione della Tiroidite di Hashimoto, possa associarsi ad uno sviluppo neurologico anomalo, non è contestata dai periti di parte ricorrente.

Negano però che nella specie, la Tiroidite di Hashimoto fosse associata a ipotiroidismo, non desumendosi dai dati clinico-documentali la sussistenza di alcun segno e/o sintomo indicativo di ipotiroidismo, pur ammettendo che, sulla base dei dati clinico-documentali, risulta un dosaggio di TSH pari a 2.71 mU/mL.

Invero però, è proprio da tale dosaggio che il Collegio Peritale desume che un quadro di ipotiroidismo vi fosse.

Non convince la lettura di parte ricorrente a mente della quale la relazione avrebbe dovuto comunque contestare, quale omissione, la mancata diagnosi di ipotiroidismo nel gennaio 2016.

Trattasi di questione non allegata, posto che si agisce per una responsabilità legata agli eventi del travaglio e del parto ed, inoltre, come correttamente rileva il Collegio Peritale, non v’è prova che gli specialisti in Ostetricia e Ginecologia della U.O. di Cento (FE) e dei consultori familiari territoriali del presidio sanitario che seguirono ambulatorialmente la gravidanza ebbero notizia della tiroidite di Hashimoto, non riferita nella scheda di gravidanza in atti.

Quanto all’ulteriore concausa indicata nella relazione svolta nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c., questo giudice aveva poi richiesto chiarimenti chiedendo di indicare da quale dato clinico fosse stato tratto il rilievo relativo alla corioamnionite, posto che in ricorso si collegava tale elemento ad un possibile refuso, effetto di un maldestro copia-incolla.

Anche su questo punto, il Collegio Peritale appare aver risposto adeguatamente, chiarendo che “nell’elaborato peritale si è fatto riferimento all’eventuale concausa infettiva (corionamnionite) basandosi sul dato emocromocitometrico del piccolo J: dove si dimostrò leucocitosi” e che “nel corso di infezioni fetali, di cui la corionamnionite ne è una espressione, elevati livelli di IL (Interleuchine) e di TNF (Tumor Necrosis Factor) sono responsabili di complicanze a lungo e breve termine come la leucomalacia periventricolare e la displasia broncopolmonare”. In sostanza, l’esposizione antenatale all’infezione intra-amniotica è un fattore di rischio forte e indipendente per il successivo sviluppo del danno cerebrale. In particolare “il danno sarebbe sviluppato dai microrganismi che stimolano le cellule mononucleate alla produzione di IL e TNF. Queste citochine aumentano la permeabilità della barriera ematoencefalica e facilitano il passaggio delle stesse citochine e dei prodotti microbici nell’encefalo. I prodotti microbici stimolano la microglia e gli astrociti fetali ad una ulteriore produzione di citochine (IL – TNF) che – a loro volta – sono capaci di indurre un danno citotossico da “escavazione” negli oligodendrociti responsabili della produzione di mielina”.

Il Collegio Peritale chiarisce che la corionamnionite potrebbe vere un’azione di tipo vascolare con la formazione di trombi ed emboli che realizzerebbero insulti ischemici e necrotici nei vasi del piatto coriale: sul punto viene valorizzato l’elemento del colorito grigiastro delle membrane amniocoriali – descritto nella descrizione macroscopica dell’esame anatomo-patologico – che esclude la presenza di meconio (eventuale indicatore di sofferenza fetale) che avrebbe comportato colore verdastro e può invece indicare infezione del sito.

Chiarisce la relazione a firma del dott. Andrea Gavina e Nicola Bufferli che l’eventuale concausa flogistica di corionamniosite fu menzionata sulla base della leucocitosi neutrofilaneonatale, del colorito grigiastro delle membrane amniocoriali e della ripetuta sintomatologia algica denunciata durante la gravidanza.

Sebbene effettivamente l’elaborato peritale sia carente quanto al rilievo che la corioamniomite non fu comunque rilevata all’esame microscopico della placenta, il Collegio Peritale rileva che dagli esami ematici di J nei giorni successivi la leucocitosi (con neutrofilia) iniziale fu ampiamente mitigata dalle terapie antibiotiche somministrate, mentre la leucocitosi “fisiologicamente deputata alla rimozione di cellule feto/neonatali morte” (così qualificata nelle osservazioni di parte ricorrente), si sarebbe dovuta protrarre ben più a lungo per tale intento, il che suffraga la tesi di una infezione fetale in atto.

Come ultimo elemento, il Collegio Peritale chiarisce che l’iperspiralizzazione del cordone ad impianto periferico (para-centrale nella placenta) indica una probabile eziopatogenesi dell’ipossia fetale: il feto – nel suo movimento intrauterino – si orienta sempre nella stessa direzione: cioè nella stessa rotazione a causa dell’inserzione periferica e tale movimento può iperspiralizzare i vasi del cordone comprimendo la gelatina di Warthom e assottigliando il funicolo, producendo un ostacolo/ostruzione al flusso sanguigno (arterioso e venoso).

L’eccessiva spiralizzazione del cordone può essere localizzata – come in questo caso – e formare delle zone di restrizione al flusso sanguigno. Il cordone iperspiralizzato può associarsi anche a casi di morte in utero.

La negazione della prova di tale iperspiralizzazione poiché manca l’indicazione del suo indice non convince: dall’esame anatomopatologico risulta che “il funicolo, ad intersezione paracentrale, è rappresentato per cm 37 e presenta, nel tratto prossimale, per una lunghezza di cm 16,5 calibro uniforme di cm 0,7; il restante tratto appare iperspralizzato, con calibro massimo di cm 1,5”.

Questa descrizione è un dato inconfutabile, sulla quale incide il dato che l’iperspiralizzazione (certamente sussistente), “comprimendo i vasi ombelicali già poco “difesi” nei confronti di fatti compressivi per l’eventuale scarsità della gelatina di Warthon ha molto probabilmente comportato, ad un certo punto, una compromissione meccanica acuta del circolo materno-fetale che è poi sfociata in un improvviso e grave deficit di apporto ematico dalla placenta al feto.”

Concludendo, la domanda di parte ricorrente non può essere accolta.

Pur essendo provata la grave patologia contratta dal piccolo J in occasione del parto, non v’è prova di una condotta negligente dei sanitari per non avere anticipato il momento del parto.

E infatti, come riportato dal Collegio Peritale nelle conclusioni – che questo giudice ritiene di dover integralmente richiamare e condividere in quanto all’esito dei chiarimenti immuni da vizi logici e suffragati da opportuni richiami alla letteratura medica – al momento del travaglio della signora XX “si sarebbe potuto anticipare il parto con indicazione al TC soltanto nell’evidenza di sofferenza fetale suggerita dalle caratteristiche patologiche del BCF.”.

Non ve n’erano però i presupposti, in quanto, basandosi sui tracciati CTG esistenti (e non colpevolmente carenti) il personale medico e ostetrico non ebbe motivo di dubitare del benessere fetale. La monitorizzazione FCF (come da descrizione delle h. 03:00: BCF monitorizzato) probabilmente intermittente, seppure non possa mostrare evidenze cartacee, non indicò sofferenza fetale.

Peraltro resta “inconfutabile che il liquido amniotico risultò limpido all’amniorexi delle h. 06.08 e al TC taglio cesareo emergente delle h. 06.31: quindi la sofferenza fetale ipotizzata nei periodi di mancata registrazione del CTG fu tale da non indurre espressione di meconio da parte del feto”.

Posto che la monitorizzazione come effettuata era conforme alle linee guida, non v’è dunque prova che anche una monitorizzazione nei tempi e con le modalità indicate da parte ricorrente, avrebbe consentito di rendere evidente la sofferenza fetale, posto che comunque l’episodio ipoanossico ha una brevissima durata e non è visibile nei tracciati successivi, anche se effettuati con CTG. A questo dato, già di per sé sufficiente ad assolvere da responsabilità la convenuta, il Collegio Peritale ha aggiunto una analisi delle concause all’infausta sofferenza fetale di J: funicolo ombelicale iperspiralizzato, sospetta corionamnionite, tiroidite di Hashimoto materna, di cui si è detto.

Pur nella consapevolezza dell’oggettiva difficoltà di espressione di un motivato giudizio in ordine alla coesistenza di tutte le concause ipotizzate, ritiene questo Giudice, facendo prudente apprezzamento delle risultanze di prova complessivamente acquisite, che tale incertezza non incida sull’unico dato qui rilevante, ossia l’assenza di prova di una condotta omissiva dei sanitari, che si sia posta come antecedente idoneo a generare l’evento, in base al criterio di probabilità relativa, del “più probabile che non”.

I chiarimenti offerti dai periti nominati nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. inducono ad escludere la sussistenza di elementi per disporne la rinnovazione, dato atto che comunque trattasi già di consulenti estranei al circondario di questo Tribunale.».

Con l’impugnata ordinanza, dunque, il Tribunale rigettò le domande e compensò integralmente le spese di lite del procedimento di istruzione preventiva e del grado.

YY e XX, in proprio e per conto del figlio minore J, hanno proposto appello alla sentenza affidandolo a quattro motivi cui ha resistito l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ferrara chiedendone il rigetto.

Con ordinanza in data 17.12.2021, la Corte ha rigettato l’istanza di rinnovazione della CTU proposta dagli appellanti. All’udienza del 21.9.2021, tenutasi in forma cartolare, gli appellanti hanno depositato copia della perizia medico legale del dott. Corrado Melega e della dott.ssa Donatella Fedeli, nominati dal Pubblico Ministero nel procedimento n. 920/2021 RGNR MOD. 21 avanti alla Procura della Repubblica di Ferrara.

Precisate le conclusioni, la Corte ha assegnato alle parti i termini ex art. 190 c.p.c.

Ragioni della decisione

L’appello censura l’ordinanza impugnata per i motivi che di seguito si riportano nella loro essenza, ossia indicando un’unica volta quei profili di censura che sono più volte ripetuti in ciascuno di essi:

1) l’ordinanza pone un’errata interpretazione e valutazione della cartella e del diario clinico, con conseguente vizio motivazionale in merito al corretto monitoraggio della partoriente e del feto, laddove, esaminato il partogramma, il giudice afferma che dalla cartella clinica e dal diario di parto, il monitoraggio appare svolto mediante auscultazione manuale, mentre tale circostanza è “FALSA E NON DEDUCIBILE DA NULLA” non essendo menzionato nella cartella clinica l’esecuzione di un monitoraggio del battito cardiaco fetale (BCF) intermittente mediante stetoscopio di Pinard o strumento Doppler-Sonicaid dopo le ore 03 della notte dell’8 settembre.

Il giudice ha recepito tale dato dalla CTU ove si legge che “Dopo le h. 03.00 venne dichiarata la continuazione del monitoraggio BCF regolare (non in CTG, ma con auscultazione intermittente)“. Tuttavia, secondo gli appellanti “nella cartella non è affatto riportato quanto falsamente affermato dai CTU. In cartella si afferma “…ora 03.00 … BCF monitorizzato”, dunque è inequivocabile che alle ore 3.00 il BCF risulta monitorizzato ma tale annotazione non può certo riferirsi ad un’epoca successiva. I sanitari, alle ore 03.00 avrebbero annotato ciò che doveva ancora accadere“.

I CTU, poi, affermano che “l’annotazione della monitorizzazione del BCF (con lo stesso tratto di penna del N. DI CONTRAZIONI UTERINE IN 10’)” è riportata a fianco ad una chiara dicitura “Monitoraggio CTG” (cioè, monitoraggio cardiotocografico e non manuale), mentre in nessun punto è indicata l’esecuzione di un monitoraggio del BCF mediante stetoscopio di Pinard o strumento Doppler-Sonicaid.

Ancora, i CTU affermano il falso laddove precisano che al punto 7 del partogramma “si indica di segnalare e firmare il monitoraggio CTG, mentre fu monitorato il BCF ed il tratto continuo di penna negli appositi spazi dimostra la regolarità della auscultazione intermittente come concesso (non raccomandato) nelle linee guida R.E.R.“, mentre in nessuna parte il partogramma indica che un tratto continuo di penna negli appositi spazi dimostra la regolarità della auscultazione intermittente.

Dunque, il monitoraggio fu intermittente ed eseguito ad intervalli eccessivamente prolungati e ciò configura un errore.

Inoltre, il Tribunale trascura il fatto della non disponibilità dei tracciati cardiotocografici, quando gli stessi periti a pag. 35 dell’ATP affermano “ciononostante, è indubbio che un periodo di tempo inspiegabilmente lungo intercorse tra il distacco del penultimo tracciato CTG in travagli e l’ultimo (2 ore)” ed erroneamente afferma che l’omessa indicazione degli orari e la mancata annotazione dei parametri del monitoraggio manuale induce ad escludere profili di falsità della cartella, ma, semmai, un profilo di incompletezza dei dati, mentre tale omissione è frutto di negligenza e/o imperizia;

2) l’ordinanza erroneamente afferma “Anzitutto, quanto alla causa dell’insulto ipossico-ischemico principale da cui l’acidosi metabolica neonatale, il Collegio Peritale conclude che esso “fu prontamente generato dall’inginocchiamento del funicolo già forse compromesso da altro: blanda corionamniosite, complicanze ormonali tiroidee materne precedentemente misconosciute durante la gravidanza; altri tempi ipoanossici solo ipotizzabili (non identificati negli accertamenti eseguiti agli Atti) in data più probabilmente precedente le h. 24 del 7/9 che non dopo le 00.00 dell’8/9/16“, perché cause alternative quali l’ipotiroidismo (Tiroidite di Hashimoto) o la corioamnionite, devono essere diagnosticate e non solo supposte o “addirittura completamente inventate!“, mentre i CTU non hanno diagnosticato nulla, nemmeno in sede di chiarimenti.

In particolare: a) la CTU attribuisce un significato patologico all’iperspiralizzazione del funicolo nonostante non ne conosca l’indice – dato che, per ipotizzare esiti neonatali, non è sufficiente un indice di iperspiralizzazione superiore a 0.21/cm, ma è necessario che sussista un indice pari a 0.32/cm come precisato nelle osservazioni alla CTU del CTP attoreo, dott. Fais – e l’evento si sia verificato in una gravidanza a termine; b) è pacifico che l’ipotiroidismo, talvolta espressione della Tiroidite di Hashimoto, possa associarsi ad uno sviluppo neurologico anomalo, ma è altrettanto vero che un paziente affetto da Tiroidite di Hashimoto può manifestare ipotiroidismo o non manifestarlo e può alternare fasi nelle quali la tiroide è normofunzionante e fasi nelle quali è ipofunzionante (i.e. ipotiroidismo). Dunque, la Tiroidite di Hashimoto non è sinonimo di ipotiroidismo e gli esami di screening eseguiti durante la gravidanza denotavano valori TSH normali; c) i CTU hanno affermato di aver sospettato una corioamnionite, poiché i globuli bianchi erano elevati nel neonato, quando erano addirittura in possesso di un referto anatomopatologico che esclude patologie a livello placentare. Inoltre, il riscontro di leucocitosi in un neonato che presenta gli esiti di un insulto asfittico, vieppiù se grave, è contemplato dalla letteratura scientifica, essendo abbastanza chiaro che l’asfissia causa la morte di numerose cellule (da cui il danno) ed i globuli bianchi (leucociti) sono fisiologicamente deputati a rimuoverle. I CTU affermano poi che “il colorito grigiastro delle membrane amnio-coriali – descritto nella descrizione macroscopica dell’esame anatomo-patologico … può … indicare infezione del sito“, ma probabilmente la formalina, o formaldeide, nella quale la placenta rimase immersa quantomeno per quattro giorni, determinò una perdita del cromatismo dei tessuti, nel caso specifico divenuti grigiastri. Da ultimo, i CTU affermano che il meconio sarebbe un “eventuale indicatore di sofferenza fetale“, ma eventuale significa che non in tutti i casi di asfissia perinatale si verifica l’emissione di meconio e la letteratura rileva peraltro una associazione debole tra l’emissione di meconio (i.e. la presenza di meconio nel liquido amniotico) e l’asfissia perinatale; dunque, l’assenza di meconio nel liquido amniotico o sulla placenta non assume alcun significato pregnante;

3) l’ordinanza manca di valutare la tempistica sia dell’avvio del cesareo che della rianimazione con conseguente ripercussione sul danno; ai chiarimenti richiesti sul punto, i CTU hanno risposto che “Certamente gli specialisti dell’Ospedale di Cento avrebbero anticipato il parto cesareo se avessero potuto immaginare esiti neonatali sfavorevoli, ma avrebbero rischiato di essere accusati di interventismo (over treatment) se ci si fosse basati sui dati clinici al momento disponibili” ed hanno concluso che “Quindi, anche un diverso management sanitario con nascita attorno alle ore 06.15-06.16 avrebbe comportato comunque un’acidosi metabolica importante, motivo per il quale è possibile affermare che molto probabilmente vi sarebbe stato comunque un danno encefalico ipossico, seppure di entità inferiore a quella registrata“; dunque, è altamente probabile che l’avvio del cesareo in un orario compreso tra le 05.20 [in realtà 05.07] e le 05.50 [in realtà 05.55] avrebbe inciso in maniera rilevante sul livello di acidosi metabolica evitando il danno encefalico ipossico o perlomeno elidendolo in maniera considerevole e, così, si ritorna al punto focale della vicenda, ossia il fatto che mancano colposamente i tracciati CTG e quindi mancano dati certi – o, quantomeno, più probabili che non – che il parto cesareo effettuato prima avrebbe permesso esiti più favorevoli per il neonato;

4) erroneamente il Tribunale non ha disposto la rinnovazione della CTU, necessaria alla luce delle gravi carenze e mancate risposte ai quesiti, sia in sede di ATP che in sede di chiarimenti, senza tenere conto delle osservazioni dei ricorrenti e del loro CTP, qui riproposte.

La Corte esamina dapprima l’ultimo motivo di appello, avendo gli appellanti riproposto l’istanza di rinnovazione della CTU in sede di precisazione delle conclusioni.

Il motivo è infondato e si conferma l’ordinanza con la quale detta istanza è stata rigettata. Non sussistono, infatti, i presupposti ex art. 196 c.p.c., atteso che le principali censure proposte dagli appellanti vertono, in sostanza, non su questioni medico legali, bensì sull’interpretazione dei segni grafici riportati nel partogramma sul controllo del battito cardiaco fetale (BCF) ed alla valutazione circa l’assolvimento dell’onere della prova; le altre censure vertenti sulle concause dell’insulto ipossico e sulla tempistica dell’avvio al parto cesareo e alla rianimazione, poi, non abbisognano di alcun ulteriore approfondimento, come meglio si dirà. Inoltre, previa approfondita analisi del caso concreto e della letteratura scientifica di riferimento, espressamente richiamata, i CTU hanno esaurientemente risposto ai quesiti, ai chiarimenti e alle osservazioni loro proposti.

Il primo motivo è altresì infondato.

La questione fondamentale, controversa fra le parti, attiene alla condotta sanitari in relazione al controllo del battito cardiaco fetale che gli appellanti affermano largamente e colposamente omesso e che, invece, la sentenza ritiene eseguito in modo regolare, per alcuni periodi di tempo per mezzo del cardiotocografo, come documentato dal relativo tracciato grafico, e per il resto del tempo con auscultazione manuale (che si effettua con stetoscopio di Pinard o strumento Doppler-Sonicaid), come desumibile dalla cartella clinica.

Gli appellanti lamentano l’erroneità della decisione che, condividendo quanto precisato nella consulenza tecnica espletata in sede di ATP e nella successiva relazione ad integrazione e chiarimenti, ha escluso la responsabilità dei sanitari dell’AUSL in relazione al lamentato omesso monitoraggio CTG secondo gli intervalli previsti dalle linee guida.

In tesi attorea, nell’arco di tempo dalle ore 3.00 alle ore 4.19 della notte del 7-8/09/2016 i sanitari non avrebbero proceduto al monitoraggio del battito fetale tramite CTG, sebbene le linee guida lo raccomandassero, in tal modo non riuscendo tempestivamente a rilevare l’insulto ipoanossico, secondo gli appellanti causa esclusiva della grave patologia neonatale, e, dunque, ad intervenire tempestivamente per scongiurare o ridurre il verificarsi dell’evento.

La tesi, tuttavia, è smentita da quanto emerge dalla relativa documentazione che i CTU hanno anche graficamente inserito, in copia, nella relazione, a dimostrare che la veridicità dei dati esaminati. I CTU hanno precisato che, secondo le linee guida R.E.R., la rilevazione intermittente del battito cardiaco fetale nella gravidanza a rischio basso/medio dovrebbe essere eseguita immediatamente dopo una contrazione per 60 secondi e ogni 15 minuti ed hanno ritenuto che nella fattispecie in decisione dette linee guida non furono disattese da parte dei sanitari dell’AUSL di Ferrara, in quanto di tale rilevazione difetta soltanto la registrazione cartacea dalle 3.00 alle 4.19, ma la rilevazione intermittente del BCF fu comunque eseguita mediante auscultazione intermittente manuale. Quindi la condotta ritenuta dal CTU come “criticabile” è soltanto quella di non avere proceduto ad un monitoraggio con registrazione cartacea tramite CTG dalle 3.00 alle 4.19 e tanto in alcun modo integra una violazione delle linee guida, che si limitano a suggerire, ma non ad imporre, la rilevazione del BCF con CTG.

Contrariamente a quanto sostengono gli appellanti, tale affermazione non è affatto “falsa“, perché la documentazione attestante l’esecuzione regolare dei controlli del battito cardiaco fetale è inequivocabile, per diverse ragioni.

In primo luogo, nel diario delle “visite ostetriche e CTG durante il ricovero” alle ore 3.00 dell’8.7.2016 si legge “BCF monitorizzato” ed è infondata la censura laddove sostiene che tale indicazione non sarebbe riferibile all’arco temporale successivo alle ore 3.00 perché nel diario clinico della paziente (inserito nella pagina 17 nella CTU integrativa, come risulta dalla pagina 46 della cartella clinica) è annotato “Eseguiti CTG di controllo alle h. 3.00 es. obiettivo: collo appianato … si continua monitoraggio BCF regolare” e l’espressione “si continua” è inequivocabile indice del fatto che dopo le ore 3.00 il monitoraggio, sebbene non sempre con CTG, sia proseguito.

In secondo luogo, come condivisibilmente ritenuto dal Tribunale, il continuo monitoraggio del battito cardiaco risulta documentato nel partogramma (la cui immagine è inserita a pag. 18 CTU corrispondente alla pag. 52 cartella clinica) per le ragioni che si vanno a precisare.

Per chiarezza, si precisa che sul modulo, a stampa, del partogramma, ciascuna colonna orizzontale è dedicata ad un tipo di controllo (periodo espulsivo, dilatazione cervicale, consistenza cervice, lunghezza cervice membrane, liquido amniotico, monitoraggio CTG …) e le colonne verticali sono riservate all’indicazione delle “ORE VISITA n. 1 ora“, cioè alle fasce orarie in cui detti controlli sono eseguiti e l’ultima casella è dedicata alla firma dell’operatore che in quella fascia oraria esegue i controlli; in tale modulo a stampa, poi, non esiste una colonna per l’annotazione del battito cardiaco fetale in forma manuale. Inoltre, la colonna relativa al “MONITORAGGIO CTG” è alta appena qualche millimetro e ogni colonna verticale che corrisponde ad un’ora piena (nel nostro caso, le ore 3.00, 4.00, 5.00 e 6.00) è molto stretta, sicché all’operatore che deve compilare il modulo risulta impossibile annotare nella casella delle visite orarie l’ora di ogni singolo controllo del battito cardiaco fetale ed anche precisare se esso è eseguito manualmente (modalità cui, come detto, non è riservata alcuna specifica casella) o con CTG (cardiotocografo).

Nel partogramma in esame, l’operatore riportò, a penna, l’avvenuto monitoraggio del battito cardiaco fetale negli intervalli orari delle ore 3.00, delle ore 4.00, delle ore 5.00 e delle ore 6.00. Le caselle del partogramma relative al monitoraggio del CTG, infatti, ad ogni singola ora dalle 3 alle 6 sono segnate con un tratto continuo di penna a forma di onda che le riempie interamente. Dunque, dovendo necessariamente attribuire a tali segni grafici un significato, altrimenti non sarebbero stati apposti dall’operatore che in calce ad ogni colonna li sottoscrisse, e tenuto conto che solo per certe fasce orarie c’è prova documentale del tracciato a mezzo CTG e che nel modulo non c’è una casella dedicata all’auscultazione manuale, non può che concludersi che il battito cardiaco fetale fu monitorato in tutte le indicate fasce orarie, talvolta con CTG e talvolta con auscultazione intermittente manuale. D’altra parte, la censura si limita a denunciare la falsità della cartella clinica – cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. c.c. per quanto attiene alle trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento (Cass. Civ. 8523/2023, 27288/2022, 27471/2017) senza proporre la relativa querela e senza specificamente confrontarsi con la motivata e ragionevole interpretazione datane dal Tribunale, laddove afferma che l’avere il sanitario barrato le caselle relative a ciascuna fascia oraria è un “atto che non può avere altro significato che quello di rappresentare lo svolgimento del monitoraggio in quella fascia oraria“. E ciò anche solo per la semplice ragione che ove il monitoraggio fosse stato omesso, come sostengono gli appellanti, le caselle relative alle ore 3.00, 4.00, 5.00 e 6.00 sarebbero rimaste vuote e, invece, sono tutte compilate.

Dunque, oltre ai tracciati CTG documentati e non contestati, dalle ore 3.00 alle 4.19 si è proceduto con monitoraggi BCF manuali mediante auscultazione e l’unica condotta dei sanitari “criticabile“, ma “non colpevole“, come precisato dai CTU, è stata quella di non avere proceduto con la registrazione cartacea del monitoraggio in questo lasso di tempo senza che sia mai stata messa in dubbio la pari efficacia dell’ascolto manuale e del monitoraggio con CTG, come precisano i CTU.

In ogni caso, ad avviso dei CTU, detta condotta non ha avuto influenza causale sull’insulto ipossico. È stato richiesto ai CTU di chiarire se potesse essere escluso che un’asfissia “subitanea” si fosse verificata nel periodo di tempo in cui non fu eseguito il monitoraggio con CTG e, in caso di risposta negativa, se nel successivo tracciato eseguito tra le 4.19 e 5.20 si sarebbe potuta avere evidenza di tale evento e quale sarebbe stato l’esito (livello di acidosi metabolica e incidenza sul danno encefalico ipotossico) se i sanitari fossero intervenuti in anticipo, tra le 2.20 e le 4.19. Al riguardo, i CTU hanno precisato che, seppur sia plausibile che un episodio asfittico possa essersi verificato nell’intervallo di tempo in cui non fu eseguito il monitoraggio con CTG, allo stesso tempo è da ritenersi che tale evento con tutta probabilità possa essere avvenuto senza specifica e identificante apprezzabilità successiva, essendo noti in letteratura casi in cui i CTG indicativi di sofferenza fetale si regolarizzano nelle registrazioni successive. A tale proposito, hanno evidenziato che il tracciato eseguito alle 4.19 era rassicurante e anche tutti i precedenti tracciati evidenziavano benessere fetale.

Sul punto, si osserva che l’ipotesi che l’asfissia subitanea si sia verificata proprio nel lasso di tempo in cui il battito non fu monitorato con CTG è senz’altro possibile, ma senz’altro è poco probabile, perché in quel lasso di tempo il BCF fu monitorato mediante l’auscultazione manuale.

Altresì, che il tracciato eseguito alle 5.50 non presentava anomalie sino al momento della comparsa della grave sofferenza fetale. In risposta delle osservazioni del perito di parte attrice, i CTU, a conferma della loro tesi, hanno rilevato che anche il liquido amniotico delle ore 6.08 era limpido così come quello rilevato al momento del taglio cesareo, ciò a significare come nel periodo in esame fosse assai improbabile che si fosse verificata una sofferenza fetale tale da comportare l’anticipazione del parto. Precisamente, hanno affermato che “sarebbe stato MOLTO IMPROBABILE che gli eventuali tracciati patologici cat 2-3 fossero proprio soltanto quelli che sono stati supposti quali omessi, mentre quelli agli atti risultano rassicuranti fino alle h 6“.

Correttamente, dunque, i CTU, ponendosi in un’ottica di giudizio ex ante, sono giunti ad escludere ogni responsabilità dei sanitari sulla base delle prove acquisite in atti.

Dunque, l’ordinanza impugnata resiste alle censure poste, perché dopo avere correttamente ripercorso orari ed esiti dei monitoraggi del battito cardiaco fetale ed avere esaminato la condotta dei sanitari alla luce delle valutazioni medico-legali espresse dai CTU, in quanto esaustive, puntuali, logiche e lineari ha correttamente ritenuto che: a) le linee guida non prescrivono come obbligatorio, ma solo come consigliato il monitoraggio con cardiotocografico; b) dalla cartella clinica e dal diario di parto, il monitoraggio appare svolto mediante CGT ed auscultazione manuale; c) l’annotazione risulta comunque documentata, talché l’omessa indicazione dei singoli orari del monitoraggio manuale – il cui svolgimento non appare dubitabile – induce ad escludere profili di falsità della cartella, ma semmai solo un profilo di incompletezza dei dati.

Ancora, posto che il tracciato tra le 4.19 e le 5.20 e quello dalle 5.50 alle 6.06 non presentavano anomalie, non è escluso che nelle fasi in cui non vi fu monitoraggio a mezzo di CTG – senza dimenticare che il monitoraggio, nelle citate fasce orarie, non fu omesso ma effettuato manualmente – possa esservi stato un episodio asfittico, ma non è in alcun modo possibile concludere che un monitoraggio mediante CTG dalle 2.20 e le h. 4.19 o dalle 5.20 alle 6.06 avrebbero consentito di monitorare il minuto preciso interessato dal verificarsi dell’episodio. Come visto, poi, il monitoraggio continuo e sempre a mezzo di cardiotocografo non è condotta doverosa da parte dei sanitari, perché le linee guida non la impongono. Né è contestato che il monitoraggio manuale sia meno attendibile di quello tramite CTG. Anche le linee guida chiariscono che esso è raccomandato perché lascia traccia cartacea e non perché sia maggiormente efficacia o affidabile. Dunque, non v’è prova né della prospettata omissione del monitoraggio né che lo stesso, qualora effettuato con CTG avrebbe dato evidenza dell’episodio ipoanossico consentendo l’anticipazione del parto.

Né alcuna responsabilità hanno individuato i periti nominati in sede penale, dott. Melega e dott.ssa Fedeli, i quali, come si legge nella relazione prodotta dagli appellanti in questo grado (tardivamente, ma acquisibile ex art. 213 c.p.c.), senza nemmeno porsi la questione dell’interpretazione del partogramma circa l’esecuzione del monitoraggio manuale nei periodi di tempo in cui non è attestato dal cardiotocografo, hanno esaminato i tracciati eseguiti sin dall’1 settembre in occasione di regolari controlli e, anche alla luce del parere specialistico reso dalla neonatologa dott.ssa Pignotti, hanno formulato le seguenti considerazioni: “In definitiva, cercando di definire la causa della grave patologia del piccolo J, sulla scorta dei documenti a nostra disposizione possiamo affermare che dal punto di vista assistenziale la gravidanza è stata seguita correttamente (…). La gravidanza è stata correttamente assegnata a un rischio medio con regolare presa in carico da parte dell’ospedale in 38/39esima settimana. Ricoverata perché il CTG si era mostrato non rassicurante, lo stesso tracciato non ha poi mostrato note particolari, se non alcune decelerazioni variabili atipiche, con ripresa normale fino alla drammatica decelerazione, senza alcuna ripresa, che ha portato all’intervento ed è la causa della encefalopatia ipossico ischemica del neonato e, quindi, delle sue attuali condizioni cliniche. Si è trattato di una bradicarchia che si è prolungata per il tempo di preparazione dell’intervento e ciò può bastare a spiegare le condizioni del neonato.

Nella valutazione delle varie fasi del monitoraggio non sono state seguite le linee guida, che, vista la diagnosi di tracciato non rassicurante, prevedono un monitoraggio continuo o, almeno, eseguito con intervalli brevi. Rispetto a questo rilievo è stata avanzata l’ipotesi che nelle fasi non sorvegliate il BCF possa aver avuto fasi sospette non rilevate e concorrenti all’esito finale. Va però sottolineato che esaminando le fasi del tracciato a nostra disposizione è possibile rilevare che la variabilità, che, come noto, è la caratteristica più importante di un CTG, è sempre rimasta nei limiti della norma, prima e dopo le decelerazioni in questione, con un pronto ritorno della linea di base. Alla luce di queste considerazioni pensiamo che le suddette ipotesi, oltre a non essere dimostrabili, siano assai improbabili. Ciò si può affermare anche tenendo presente che nel periodo immediatamente prima delle decelerazioni, la variabilità del tracciato appariva normale, caso in cui il rischio ipossico è basso. Quando, invece, la variabilità precedente la decelerazione è alterata, anche in caso di successivo recupero nel 44% dei casi il benessere fetale è compromesso. Sottolineamo anche che al momento dell’amniorexi e nel corso del TC fu descritta la presenza di liquido amniotico limpido. Siamo consapevoli che si tratta di un reperto empirico e non sempre patognomonico, ma unito alle altre considerazioni ci pare un’ulteriore conferma della eccezionalità dell’evento“.

Dunque, secondo i consulenti nominati in sede penale, anche ove si ritenga che alcun monitoraggio sia stato eseguito negli intervalli di tempo in cui non ne risulta traccia cartacea – fatto che questo collegio ritiene escluso, come sopra chiarito – le ipotesi che nelle fasi non sorvegliate il battito cardiaco fetale possa avere avuto fasi sospette non rilevate e concorrenti all’esito finale sono “assai improbabili” e, dunque, i consulenti hanno concluso per l’assenza di nesso causale tra l’omessa registrazione cardiotocografica del BCF dalle 3.00 alle 4.19 da parte dei sanitari e il danno lamentato.

I consulenti penali, poi, convinti che la tiroidite di Hashimoto da cui era risultata affetta la madre non abbia avuto rilevanza causale e che sia difficile, se non possibile, associare la bradicardia improvvisa alla spiralizzazione del cordone ombelicale, hanno escluso condotte colpose nella fase dell’assistenza successiva alla nascita e durante il trasporto ed hanno concluso affermando che la condizione del neonato è compatibile con un’encefalopatia ipossico-ischemica intrapartum (i CTU dott. Gavina e dott. Bufferli, hanno precisato che sono sufficienti 10-15 di completa interruzione dell’apporto di ossigeno per determinare la morte o il danno cerebrale di un neonato) e che “circa il fatto che l’assistenza medica e l’attività sanitaria, terapeutica e diagnostica posta in essere dai sanitari che allora seguirono il parto e la nascita di J siano state idonee, tempestive e adeguate, è possibile affermare che, pur con le criticità sopra meglio espresse, il comportamento posto in essere dai sanitari che ebbero in cura XX in occasione del parto è stato sostanzialmente adeguato al caso di specie“.

In conclusione, gli attori, cui incombeva l’onere, non hanno provato né la condotta omissiva prospettata a carico dei sanitari e nemmeno l’incidenza causale che, ove fosse stata provata, essa avrebbe avuto nella determinazione dell’invalidità riportata dal neonato.

Il secondo motivo, vertente sulle concause, è superato dal rigetto del primo. È assorbente rilevare, infatti, che in tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali (tra le quali la responsabilità medica, anteriormente alla l. n. 24 del 2017) è onere del creditore-danneggiato allegare e provare, oltre alla fonte del credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità materiale, secondo il criterio del “più probabile che non“, tra la condotta del professionista e il danno lamentato ed il giudice ove ritenga che tale onere non sia stato assolto è tenuto a rigettare la pretesa risarcitoria; ove l’attore non assolva a tale onere e in sede istruttoria non emergano profili di colpa, in nesso causale con l’evento, diversi e ulteriori rispetto a quelli originariamente allegati, fondati su circostanze emerse all’esito della consulenza tecnica d’ufficio, il giudice non può che rigettare la domanda.

Tuttavia, per completezza d’esame, si osserva che il motivo è infondato, perché le critiche alla CTU ed all’ordinanza che ne condivide le valutazioni sono superate dai chiarimenti resi dai CTU.

Quanto al funicolo ombelicale, i CTU hanno tratto dall’esame anatomo-patologico presente nella cartella clinica (graficamente inserito alla pagina 11 dell’elaborato) i seguenti dati: il funicolo, ad intersezione paracentrale e della lunghezza tipica complessiva di cm. 70, per cm. 37 presentava un calibro uniforme di cm. 0,7 per cm. 16,5 nel tratto prossimale e per il restante tratto – dunque lungo cm. 20,5 – “appare iperspiralizzato, con calibro massimo di cm. 1,5“. Dunque, il funicolo aveva un’iperspiralizzazione parziale. Chiariscono poi i CTU che l’eccessiva iperspiralizzazione, data dal movimento intrauterino del feto sempre nella medesima direzione, può formare zone di ostacolo/ostruzione al flusso sanguigno arterioso e venoso e, pertanto, è probabile eziopatogenesi dell’ipossia fetale.

Quanto alla tiroidite di Hashimoto da cui era affetta la madre, risultante dall’anamnesi raccolta nella cartella clinica in atti, i CTU hanno citato la letteratura scientifica che evidenzia come la disfunzione della tiroide abbia una funzione avversa sul neuro sviluppo del feto e su qualunque tipo di encefalopatia neonatale (sul punto, convengono anche gli appellanti, si veda a pagina 25) e dunque l’hanno indicata come possibile concausa, ma i CTU non hanno affermato né che la XX durante la gravidanza fosse affetta da ipotiroidismo né che non lo fosse (sia nell’ATP che nei chiarimenti), evidentemente mancando le analisi ematochimiche compiute nell’intero periodo; tuttavia, le considerazioni dei CTU sulle possibili concause sono assai suggestive, essendosi poi di fatto verificato il danno cerebrale.

Da ultimo, gli appellanti contestano la CTU sul punto affermando che un paziente affetto da Tiroidite di Hashimoto può manifestare ipotiroidismo o non manifestarlo e può alternare fasi nelle quali la tiroide è normofunzionante e fasi nelle quali è ipofunzionante (i.e., ipotiroidismo) e, a confutare che la XX fosse ipotiroidea durante la gravidanza, richiamano un solo referto ematochimico del 22.1.2016 (pagina 27 dell’appello) che, da solo, evidentemente non vale a superare l’ipotesi indicata dai CTU, perché non esclude che in altro momento della gravidanza la tiroidite di Hashimoto avesse manifestato ipotiroidismo.

Quanto all’eventuale concausa infettiva, la corioamnionite, i CTU si sono basati sul dato emacromocitometrico del neonato che presentava leucocitosi neutrofila neonatale, accertata dalle analisi di laboratorio, sul colorito grigiastro delle membrane amniocoriali, evidenziate dall’esame anatomo-patologico, e sulla ripetuta sintomatologia algica denunciata durante la gravidanza. Anche in questo caso, dunque, i CTU hanno fatto riferimento ai dati documentali versati in atti e la loro indicazione sulla possibile causa alternativa non trova efficace smentita nelle censure degli appellanti che, in buona sostanza, si limitano ad affermare che la leucocitosi trovava fondamento nell’insulto asfittico che aveva causato la morte di numerose cellule, essendo i leucociti deputati a rimuoverle, ma ciò, seppur corretto, non esclude ex se la possibile causa infettiva dell’ipossia; inoltre, gli appellanti descrivono come si formula la diagnosi infettiva di corioamnionite durante la gravidanza e apoditticamente affermano che nella fattispecie la diagnosi infettiva sarebbe esclusa dall’esame istologico della placenta semplicemente perché il colore grigiastro delle membrane amniocoriali sarebbe dovuto all’effetto della formalina nella quale la placenta era stata conservata prima dell’esame istologico, ma ciò non esclude che il colore grigiastro possa invece derivare dall’infezione, ipotesi, ancora una volta, suggestiva, visto l’insulto ipossico effettivamente verificatosi.

Il terzo motivo è infondato, per varie ragioni. In primo luogo, valutando i dati del ph arterioso e venoso, i CTU hanno accertato che l’insulto asfittico si manifestò prima del travaglio di parto (iniziato alle ore 3) e precisamente prima delle ore 6.06 con la conseguenza che un diverso management sanitario con nascita attorno alle ore 6.15-6.16 non avrebbe escluso un’acidosi metabolica importante e molto probabilmente vi sarebbe stato comunque un danno encefalico importante, seppure di entità inferiore. Nello specifico, i CTU motivatamente affermano che le tempistiche di intervento furono adeguate, perché “Sulla base dei calcoli di PH e degli altri parametri feto-neonatali – ottenuti a posteriori – si deduce che la sofferenza fetale si instaurò prima delle h. 06.06 del 8/9, ma questa non si rese evidente nelle registrazioni cartacee CTG né fu apprezzato nel supposto monitoraggio intermittente del BCF ad opera del personale ostetrico della Divisione dell’Ospedale di Cento. Non sapendo quando si verificò il primo grave insulto ipossico, ma potendolo soltanto ipotizzare prima delle h. 06.06 del 8/9, lo si potrebbe allora immaginare anche nella giornata del 7/9 o ancor prima, quindi, le ipotesi di esiti neonatali favorevoli in caso di eventuale taglio cesareo eseguito fra le h. 02 e le h. 05:50 del giorno 8/9 sono soltanto faziosamente congetturabili e comunque basate solo su dati ottenuti a posteriori. Si sottolinea che il taglio cesareo è un intervento chirurgico ancor oggi gravato da complicanze e il S.S.N. privilegia l’assistenza al parto vaginale quando non sussistano chiari segni di sofferenza fetale (salvo il caso di indicazioni elettive). Nel corso del travaglio della signora XX non si resero evidenti tali segni e non si ebbe indicazione all’estrazione fetale per taglio cesareo prima delle h. 06:06 del 8/9/16” (CTU integrativa, pagine 13 e 14).

In sede penale, i consulenti nominati dal Pubblico Ministero hanno espresso uguale parere positivo sull’adeguatezza del management sanitario – arrivando a concludere, come sopra indicato, che “il comportamento posto in essere dai sanitari che ebbero in cura XX in occasione del parto è stato sostanzialmente adeguato al caso di specie” – anche sulla scorta del parere della neonatologa dott.ssa Pignotti la quale, pur rilevando indici di una certa disorganizzazione nella primissima fase dell’assistenza peri-partum, ha evidenziato che i momenti cardine dell’algoritmo della rianimazione neonatale furono tutti percorsi, che il bambino non mostrò mai cianosi o saturazione particolarmente bassa, che alla nascita fu valutato e assistito dall’ostetrica, personale esperto in rianimazione neonatale, che all’arrivo del pediatra fu praticato il massaggio cardiaco mentre si continuava la ventilazione e che, all’arrivo dell’anestesista, subito chiamato, il neonato fu intubato e sottoposto ad adrenalina endotracheale con ripresa della frequenza cardiaca. All’arrivo del secondo pediatra, si provvide ad incannulamento ombelicale con somministrazione di adrenalina in endovena e boli ripetuti di espansione di volumi “completando le tappe dell’algoritmo della rianimazione in sala parto. Di fatto, dall’arrivo dei pediatri almeno, la saturazione di ossigeno del bambino e la frequenza cardiaca risultano sempre tranquillizzanti anche se a fronte delle manovre eseguite e dei farmaci somministrati. Quel che risulta drammatico nel bambino e che condizionerà la sua prognosi è la gravissima acidosi … consumatasi nelle ore precedenti. L’assistenza successiva alla nascita e durante il trasporto … risulta congrua alle condizioni del bambino e in linea con le raccomandazioni delle Comunità scientifiche e le Linee guida vigenti all’epoca dei fatti …” ed ha poi concluso affermando “Non si evidenziano, quindi, motivi di inadeguatezza professionale nell’operato dei medici che assistettero alla nascita il piccolo J e che lo accompagnarono, nel trasporto protetto, alla terapia intensiva ove fu ricoverato“.

Dunque, dalla documentazione medica prodotta agli atti e dalle valutazioni espresse dai CTU in sede di ATP, in sede di chiarimenti ed anche dalle valutazioni formulate dai consulenti incaricati dal Pubblico Ministero, si evince che il piccolo fu immediatamente affidato alle cure dei pediatri, dell’anestetista e del neonatologo i quali approntarono gli interventi più opportuni per arginare la sofferenza ipossico-asfittica manifestatasi, per cercare di limitarne gli esiti invalidanti.

In conclusione, l’appello è infondato e va rigettato.

Le spese processuali del presente grado seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate nel dispositivo ex d.m. 55/2014 in relazione alla natura e al valore della causa e al tasso di difficoltà della stessa (indeterminabile di complessità media) nonché in base all’attività e alle fasi processuali effettivamente svolte ed ai parametri tutti indicati nel citato decreto.

Atteso l’esito, essendo l’impugnazione stata proposta dopo il 31.1.2013, sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater d.p.r. 115/2002, introdotto dalla l. 228/2012, per il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando:

– rigetta l’appello proposto da YY e XX, in proprio e per conto del figlio minore J, avverso l’ordinanza emessa ex art. 702 ter c.p.c. dal Tribunale di Ferrara in data 17.12.2021 nella causa iscritta al r.g. n. 1643/2019 e li condanna alla rifusione a favore dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ferrara delle spese processuali del presente grado di giudizio che liquida in € 12.000 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge se dovuti;

– si dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater d.p.r. 115/2002 per il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso dalla seconda sezione civile della Corte d’Appello di Bologna il giorno 28.5.2024.

Il Consigliere relatore estensore

dott.ssa Bianca Maria Gaudioso

Il Presidente

dott. Giampiero Fiore