NOVARA 1PEDONE GRAVISSIMO 2 LESIONI GRAVISSIME 3 INCIDENTE DANNO AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA
NOVARA 1PEDONE GRAVISSIMO 2 LESIONI GRAVISSIME 3 INCIDENTE DANNO AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA
NOVARA 1PEDONE GRAVISSIMO 2 LESIONI GRAVISSIME 3 INCIDENTE DANNO AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA
RISARCIMENTO DANNI GRAVI AL PEDONE
AVVOCATO SERGIO ARMAROLI BOLOGNA 051 6447838 ESPERTO LIVELLO NAZIONALE PER GRAVI DANNI INCIDENTE 051 6447838
FATTO
Con atto di citazione, ritualmente notificato, R.L., A.B., in proprio nonché quale amministratore di sostegno di Paolo Lakatosz, e S.L. adivano il Tribunale di Novara al fine di sentir accertare e dichiarare l’esclusiva responsabilità del sig. A.E.K.M.S. nella causazione del sinistro occorso il 17 luglio 2009 e, conseguentemente, condannarlo, in solido con A.E.K.M.S., quale proprietario dal motociclo C.B. targato (…) e G.I. S.p.A., in qualità di compagnia assicuratrice per la R.C.A. del predetto motociclo in forza di polizza n. 098825034, al risarcimento, in favore degli attori, di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
A sostegno delle proprie domande esponevano che:
– il 17 luglio 2010, poco dopo la mezzanotte, Paolo Lakatosz in compagnia di G.B., proveniente da Trecate e diretto verso Novara, percorreva a piedi la banchina asfaltata posta a margine della corsia di marcia della S.P. n. 11;
– giunto all’altezza del km. 100 + 700 Paolo Lakatosz veniva violentemente investito da tergo dal motociclo C.B., targato (…) e condotto da A.E.K.M.S., il quale percorreva – a luci spente – la banchina asfaltata posta a destra della corsia di marcia della S.P. 11 con medesima direzione di marcia dei due pedoni;
– in seguito al violento urto, Paolo Lakatosz riportava gravissime lesioni e veniva soccorso dagli operatori del 118 intervenuti sul posto, che lo trasportavano immediatamente presso il pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore di Novara, ove giunse con “abbondante emorragia dello scalpo” “otorragia destra” e stato di coma GCS5;
– ivi furono riscontrate lesioni “ai lobi frontali, soprattutto a destra, ampie aree contusivo-emorragiche; petecchie emorragiche al lobo temporale di destra; quota di emorragia subaracnoidea soprattutto in fronto-parietale al vertice, a livello della grande falce e al tentorio”;
– all’esito dei riscontri radiologici fu possibile evidenziare: la frattura dell’osso peritale destro, la frattura del peritale sinistro con fondamento e la frattura del temporale destro. Inoltre, Paolo fu trattato anche per addensamento lobo interiore destro per contusione polmonare. Fu posizionato un catetere per il controllo della pressione intracranica e si rese necessario indurre coma farmacologico. Il 19 luglio 2010 fu sottoposto ad intervento neurochirurgico di craniotomia decompressiva per il controllo della ipertensione endocranica e, successivamente, si rese necessaria tracheotomia;
– Paolo Lakatosz rimase degente presso il reparto di rianimazione sino al 16 agosto 2010 e alle dimissioni fu accolto presso il Centro di riabilitazione Cardinal Ferrari di Fontanellato dove rimase degente sino al 26 ottobre 2010, quando fu nuovamente ricoverato d’urgenza presso l’A. O. di Novara;
– seguì un lungo periodo di interventi e percorsi riabilitativi presso varie strutture in Italia e all’estero, in Austria e Svizzera;
– gli odierni attori conferivano mandato alla S.r.l. G.S., la quale inoltrava le rituali richieste di risarcimento e richiedeva l’erogazione di un acconto;
DIRITTO
Trattandosi di investimento di pedone, trova applicazione la presunzione di integrale responsabilità del veicolo investitore, posta dall’art.2054 comma I del codice civile, ai sensi del quale il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 21249/06; Cass. 14064/2010) è granitico nel ritenere che “in materia di responsabilità civile da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, in caso di investimento di pedone la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti”.
In caso di investimento del pedone, inoltre, la prova liberatoria che al conducente spetta fornire è particolarmente rigorosa, tanto che la responsabilità di quest’ultimo non viene meno neppure nel caso in cui il pedone abbia repentinamente attraversato la strada, sempre che tale condotta anomale del pedone fosse – per le circostanze di tempo e di luogo – ragionevolmente prevedibile (Cass. 28/02/2019, n. 5819).
Grava, quindi, sul conducente del veicolo, l’onere di provare un elemento negativo, ossia il non aver violato le regole di prudenza, ed un elemento positivo, ossia l’aver fatto tutto il possibile per evitare il pedone (cfr. Cass. Civ. sent. n. 30388 del 2017).
In proposito, occorre però precisare che la presunzione di colpa del conducente del veicolo investitore, prevista dall’art. 2054, comma primo, non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana: pertanto, il fatto che il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, non preclude di per sé l’indagine del giudice in ordine all’eventuale concorso di colpa del pedone danneggiato (Cass. 28/08/2020, n. 17985; Cass. 28/06/2019, n. 17410; Cass., 25/07/2019, n. 20170; Cass. 22/01/2015, n. 1135; Cass. 22/05/2007, n. 11873; Cass. 09/06/2005, n. 12127).
Si potrà pertanto giungere in alcuni casi ad una graduazione della colpa del pedone ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, e all’esclusione della colpa del conducente ove la condotta dell’investito sia l’unico fattore causativo del sinistro (cfr. Cass. Civ., sent. n. 10352/2000, Cass. Civ., sent. n. 9683 del 2011 e n. 5399 del 2013).
In particolare secondo la Suprema Corte “il conducente di veicoli a motore è onerato da una presunzione di colpa e ove il giudice si trovi a dover valutare e quantificare l’esistenza di un concorso di colpa tra la colpa del conducente e quella del pedone investito deve: a) muovere dall’assunto che la colpa del conducente sia presunta e pari al 100%; b) accertare in concreto la colpa del pedone; c) ridurre progressivamente la percentuale di colpa presunta a carico del conducente via via che emergono circostanze idonee a dimostrare la colpa in concreto del pedone (v. Cass., 4/4/2017, n. 8663; Cass., 18/11/2014, n. 24472; Cass.19/2/2014, n. 3964)” (Cass. 28/1/2019 n. 2241).
Va inoltre premesso che gli articoli 143 e 190 c.d.s. pongono specifici doveri di condotta in capo al conducente e al pedone che fungono da parametri cui ancorare la valutazione del comportamento assunto dagli stessi e la dosimetria degli eventuali profili di responsabilità nella causazione dell’evento dannoso che si riverbera sul quantum liquidabile in sede risarcitoria.
Le superiori notazioni costituiscono la cornice normativa della fattispecie in esame, la quale deve essere scrutinata alla luce della descrizione della dinamica del sinistro e delle risultanze probatorie acquisite in corso di causa.
DECISIONE
Tanto premesso, deve ora provvedersi alla detrazione degli acconti versati negli anni da G.I. s.r.l. in favore di Paolo Lakatosz ed in particolare:
– € 25.000,00 corrisposti in data 8.2.2011;
– € 175.000,00 corrisposti in data 24.3.2011;
– € 150.000,00 corrisposti in data 20.1.2012;
– € 1.000.000,00 corrisposti in data 18.9.2012;
– € 1.100.000,00 corrisposti banco iudicis all’udienza dell’8.3.2021.
Al riguardo occorre evidenziare come il diritto al risarcimento del danno forma oggetto di un’obbligazione di valore, non di valuta. A esso, pertanto, è inapplicabile l’articolo 1194 del c.c. (Cassazione civile sez. III 28 febbraio 2017 n. 5010).
Al fine di correttamente individuare l’importo ancora dovuto, occorre applicare i principi ripetutamente espressi dalla Suprema Corte (Cass. 19/03/2014, n. 6347; 20/04/2017, n. 9950; Cass., 04/02/2020, n. 2461), secondo cui “La liquidazione del danno da ritardato adempimento di un’obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) rendendo omogenei il credito e l’acconto (e, quindi, devalutandoli alla data dell’illecito, ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione); b) detraendo l’acconto dalcredito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva”.
Sul punto, recependo i principi di cui alla sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, appare congruo adottare, anche in applicazione del principio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c., come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento della somma dovuta, tenuto conto della natura del danno, dell’arco temporale considerato e di tutte le circostanze accertate, quello degli interessi legali.
Ciò posto, al fine di semplificare le operazioni di calcolo, si provvederà a detrarre gli acconti versati nella fase stragiudiziale dal credito per danno non patrimoniale e patrimoniale sotto forma di danno emergente e il restante acconto versato in corso di giudizio dal credito per danno patrimoniale futuro.
Pertanto le voci di danno anzidette vanno devalutate alla data del sinistro; l’importo così ottenuto di € 1.398.450,04 va annualmente rivalutato fino alla data di corresponsione del primo acconto (8.2.2011); il capitale rivalutato di € 1.425.381,95 va quindi decurtato dell’acconto ricevuto di € 25.000,00; l’importo così ottenuto di € 1.400.381,95 va rivalutato annualmente sino alla data del secondo acconto (24.3.2011); il capitale rivalutato di 1.408.525,81 va quindi decurtato dell’acconto ricevuto di € 175.000,00; l’importo di € 1.233.525,81 va rivalutato annualmente sino alla data del terzo acconto (20.1.2012); il capitale rivalutato di 1.280.748,74 va quindi decurtato dell’acconto ricevuto di € 150.000,00; l’importo di 1.130.748,74 va rivalutato sino alla data del quarto acconto (18.9.2012); il capitale rivalutato € 1.171.331,63 va quindi decurtato dell’acconto ricevuto di € 1.000.000,00, per una differenza a credito di € 171.331,63 da rivalutare sino alla data della odierna decisione ottenendo così l’importo di € 198.692,00.
Tribunale Novara, Sent., 13/04/2022, n. 209
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI NOVARA
– SEZIONE CIVILE –
in composizione monocratica e nella persona della dott.ssa Gabriella Citro ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella controversia civile iscritta al n. 429 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2015, vertente
TRA
R.L., C.F. (…) , A.B., C.F. (…) , in proprio nonché quale amministratore di sostegno di P.L., C.F. (…) , e S.L., C.F. (…) , rappresentati e difesi dagli avv.ti Marco C.M. Impelluso e Daniela Fontaneto ed elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultima in Borgomanero (NO), via Caneto n. 56, giusta procura in atti
ATTORI
E
G.I. S.P.A., P.I. (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Valter Zanetta, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Borgomanero (NO), Corso Roma n. 142, giusta procura in atti
CONVENUTA
NONCHE’
A.E.K.M.S., nato ad A. (E.) il (…) e residente in N., via D. V. n. 4;
A.E.K.M.S., nato a N. il (…) ed ivi residente in C. I. n. 48;
CONVENUTI CONTUMACI
Oggetto: risarcimento danni da circolazione stradale
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione, ritualmente notificato, R.L., A.B., in proprio nonché quale amministratore di sostegno di Paolo Lakatosz, e S.L. adivano il Tribunale di Novara al fine di sentir accertare e dichiarare l’esclusiva responsabilità del sig. A.E.K.M.S. nella causazione del sinistro occorso il 17 luglio 2009 e, conseguentemente, condannarlo, in solido con A.E.K.M.S., quale proprietario dal motociclo C.B. targato (…) e G.I. S.p.A., in qualità di compagnia assicuratrice per la R.C.A. del predetto motociclo in forza di polizza n. 098825034, al risarcimento, in favore degli attori, di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
A sostegno delle proprie domande esponevano che:
– il 17 luglio 2010, poco dopo la mezzanotte, Paolo Lakatosz in compagnia di G.B., proveniente da Trecate e diretto verso Novara, percorreva a piedi la banchina asfaltata posta a margine della corsia di marcia della S.P. n. 11;
– giunto all’altezza del km. 100 + 700 Paolo Lakatosz veniva violentemente investito da tergo dal motociclo C.B., targato (…) e condotto da A.E.K.M.S., il quale percorreva – a luci spente – la banchina asfaltata posta a destra della corsia di marcia della S.P. 11 con medesima direzione di marcia dei due pedoni;
– in seguito al violento urto, Paolo Lakatosz riportava gravissime lesioni e veniva soccorso dagli operatori del 118 intervenuti sul posto, che lo trasportavano immediatamente presso il pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore di Novara, ove giunse con “abbondante emorragia dello scalpo” “otorragia destra” e stato di coma GCS5;
– ivi furono riscontrate lesioni “ai lobi frontali, soprattutto a destra, ampie aree contusivo-emorragiche; petecchie emorragiche al lobo temporale di destra; quota di emorragia subaracnoidea soprattutto in fronto-parietale al vertice, a livello della grande falce e al tentorio”;
– all’esito dei riscontri radiologici fu possibile evidenziare: la frattura dell’osso peritale destro, la frattura del peritale sinistro con fondamento e la frattura del temporale destro. Inoltre, Paolo fu trattato anche per addensamento lobo interiore destro per contusione polmonare. Fu posizionato un catetere per il controllo della pressione intracranica e si rese necessario indurre coma farmacologico. Il 19 luglio 2010 fu sottoposto ad intervento neurochirurgico di craniotomia decompressiva per il controllo della ipertensione endocranica e, successivamente, si rese necessaria tracheotomia;
– Paolo Lakatosz rimase degente presso il reparto di rianimazione sino al 16 agosto 2010 e alle dimissioni fu accolto presso il Centro di riabilitazione Cardinal Ferrari di Fontanellato dove rimase degente sino al 26 ottobre 2010, quando fu nuovamente ricoverato d’urgenza presso l’A. O. di Novara;
– seguì un lungo periodo di interventi e percorsi riabilitativi presso varie strutture in Italia e all’estero, in Austria e Svizzera;
– gli odierni attori conferivano mandato alla S.r.l. G.S., la quale inoltrava le rituali richieste di risarcimento e richiedeva l’erogazione di un acconto;
– Generali provvedeva a corrispondere alla sig.ra A.B., quale esercente la potestà su Paolo Lakatosz: a) in data 8 febbraio 2011, l’importo di € 25.000,00 a titolo di “anticipazione amichevole”; b) in data 20 marzo 2011, l’importo di € 175.000,00 a titolo di “acconto sul maggior danno”; c) in data 24 gennaio 2012, l’importo di € 150.000,00 quale “ulteriore acconto”; d) nel settembre 2012, l’importo di € 1.000.000,00 quale atto di quietanza, che veniva trattenuto a titolo di acconto sul maggior danno subito.
Sul presupposto della responsabilità esclusiva di A.E.K.M.S. nella causazione del sinistro, gli attori concludevano per la condanna dei convenuti al risarcimento di tutti danni patiti patrimoniali e non patrimoniali, diretti e indiretti, riconducibili al sinistro, anche oltre il massimale di polizza per mala gestio impropria e propria (in ordine a quest’ultima surrogandosi nelle ragioni dell’assicurato sul presupposto della sua inerzia).
Si costituiva in giudizio G.I. s.p.a., chiedendo il rigetto delle domande attoree. Eccepiva in particolare la responsabilità concorrente del danneggiato per violazione dell’art. 190 c.d.s., nonché la responsabilità del genitore ex art. 2048 c.c.. Contestava altresì nell’an e nel quantum le plurime voci di danno allegate dagli attori, nonché la sussistenza di una ipotesi di mala gestio.
Alla prima udienza del 9 giugno 2015, rilevato il mancato rispetto dei termini a comparire nei confronti del convenuto A.E.K.M.S., il Giudice ordinava la rinnovazione della citazione nei suoi confronti.
All’udienza del 23 giugno 2016, il Giudice dichiarava la contumacia di A.E.K.M.S. e di A.E.K.M.S..
Acquisita la documentazione prodotta in atti, disposta CTU medico legale sulla persona di Paolo Lakatosz e CTU sull’adeguamento dell’abitazione al fine di abbattere le barriere architettoniche interne ed esterne, venivano ritenute inammissibili le prove orali richieste dalle parti per essere i capitoli relativi a circostanze non contestate, documentali, non contestate o superflue.
per esame e precisazione delle conclusioni.
All’udienza del 12 marzo 2019 i procuratori delle parti chiedevano un rinvio in pendenza di trattative.
Con ordinanza di scioglimento della riserva assunta all’udienza del 18 giugno 2019, la prima celebrata dalla scrivente, la causa veniva ritenuta matura per la decisione e rinviata per la precisazione delle conclusioni.
Dopo alcuni rinvii disposti su istanza delle parti – essendo le stesse in attesa del provvedimento del Giudice tutelare al fine del perfezionamento di un’offerta – all’udienza del 18 marzo 2021 Generali offriva banco iudicis agli attori n. 3 assegni, di cui due da € 500.000,00 ed uno da € 100.000,00, da aggiungersi a quanto già messo a disposizione nel corso del giudizio, chiedendo la liberatoria dalla gestione delle somme, attribuite alla madre nell’interesse del figlio come da autorizzazione del giudice tutelare e un rinvio per la comparizione delle parti ex art. 185 e 117 c.p.c.
Fallito il tentativo di definizione bonaria, all’udienza del 23 settembre 2021 le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con la concessione del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di giorni venti per repliche.
La domanda giudiziale è parzialmente fondata e merita di trovare accoglimento nei limiti e per le ragioni che si diranno.
- A) D. del sinistro e accertamento della responsabilità.
Al fine di accertare le responsabilità nella causazione del sinistro in esame occorre preliminarmente ricostruire la dinamica dell’incidente analizzando congiuntamente il rilevamento tecnico compiuto dagli agenti della Polizia Stradale di Novara, intervenuti nell’immediatezza dei fatti, e quanto dedotto dal testimone oculare presente.
Da tutti gli elementi in precedenza richiamati può ritenersi pacifico che:
– il sinistro per cui è causa si è verificato intorno alle ore 1.45 del giorno 17.7.2010 all’altezza del km. 100 + 700 della S.P. n. 11/R in direzione di marcia da Trecate a Novara;
– la strada era costituita da una carreggiata a doppio senso di circolazione, costeggiata da banchine ai due margini, il manto stradale al momento del sinistro era asciutto, il tempo sereno, l’asfalto senza anomalie, l’illuminazione pubblica assente e le condizioni di traffico normali;
– Paolo Lakatosz in compagnia di G.B., percorreva a piedi la banchina asfaltata posta al margine destro della corsia di marcia della S.P. n. 11, nella medesima direzione del traffico veicolare. In particolare G.B. camminava in prossimità della striscia di delimitazione della carreggiata, mentre Paolo Lakatosz si trovava alla sua destra più vicino al margine;
– Paolo Lakatosz è stato investito da tergo dal motociclo condotto dal convenuto che percorreva la medesima banchina asfaltata a destra della propria corsia di marcia, come tale interdetta alla circolazione;
– è stato emesso Decreto di sequestro del ciclomotore ed è stata accertata la violazione dell’art. 143 co. 1 e 13 c.d.s. da parte del conducente e dell’art. 190 co. 1 e 10 c.d.s. da parte del pedone (doc. 3 prod. convenuta).
Ciò posto, appare opportuno premettere qualche breve considerazione sulla natura della responsabilità prevista dall’art. 2054 c.c., invocata dagli attori, e sul regime probatorio che la caratterizza.
Trattandosi di investimento di pedone, trova applicazione la presunzione di integrale responsabilità del veicolo investitore, posta dall’art.2054 comma I del codice civile, ai sensi del quale il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 21249/06; Cass. 14064/2010) è granitico nel ritenere che “in materia di responsabilità civile da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, in caso di investimento di pedone la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti”.
In caso di investimento del pedone, inoltre, la prova liberatoria che al conducente spetta fornire è particolarmente rigorosa, tanto che la responsabilità di quest’ultimo non viene meno neppure nel caso in cui il pedone abbia repentinamente attraversato la strada, sempre che tale condotta anomale del pedone fosse – per le circostanze di tempo e di luogo – ragionevolmente prevedibile (Cass. 28/02/2019, n. 5819).
Grava, quindi, sul conducente del veicolo, l’onere di provare un elemento negativo, ossia il non aver violato le regole di prudenza, ed un elemento positivo, ossia l’aver fatto tutto il possibile per evitare il pedone (cfr. Cass. Civ. sent. n. 30388 del 2017).
In proposito, occorre però precisare che la presunzione di colpa del conducente del veicolo investitore, prevista dall’art. 2054, comma primo, non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana: pertanto, il fatto che il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, non preclude di per sé l’indagine del giudice in ordine all’eventuale concorso di colpa del pedone danneggiato (Cass. 28/08/2020, n. 17985; Cass. 28/06/2019, n. 17410; Cass., 25/07/2019, n. 20170; Cass. 22/01/2015, n. 1135; Cass. 22/05/2007, n. 11873; Cass. 09/06/2005, n. 12127).
Si potrà pertanto giungere in alcuni casi ad una graduazione della colpa del pedone ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, e all’esclusione della colpa del conducente ove la condotta dell’investito sia l’unico fattore causativo del sinistro (cfr. Cass. Civ., sent. n. 10352/2000, Cass. Civ., sent. n. 9683 del 2011 e n. 5399 del 2013).
In particolare secondo la Suprema Corte “il conducente di veicoli a motore è onerato da una presunzione di colpa e ove il giudice si trovi a dover valutare e quantificare l’esistenza di un concorso di colpa tra la colpa del conducente e quella del pedone investito deve: a) muovere dall’assunto che la colpa del conducente sia presunta e pari al 100%; b) accertare in concreto la colpa del pedone; c) ridurre progressivamente la percentuale di colpa presunta a carico del conducente via via che emergono circostanze idonee a dimostrare la colpa in concreto del pedone (v. Cass., 4/4/2017, n. 8663; Cass., 18/11/2014, n. 24472; Cass.19/2/2014, n. 3964)” (Cass. 28/1/2019 n. 2241).
Va inoltre premesso che gli articoli 143 e 190 c.d.s. pongono specifici doveri di condotta in capo al conducente e al pedone che fungono da parametri cui ancorare la valutazione del comportamento assunto dagli stessi e la dosimetria degli eventuali profili di responsabilità nella causazione dell’evento dannoso che si riverbera sul quantum liquidabile in sede risarcitoria.
Le superiori notazioni costituiscono la cornice normativa della fattispecie in esame, la quale deve essere scrutinata alla luce della descrizione della dinamica del sinistro e delle risultanze probatorie acquisite in corso di causa.
Non vi è dubbio che il conducente del ciclomotore abbia violato non solo il più elementare principio informatore della circolazione, di cui all’art. 140 (che al comma 1 stabilisce: “Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale”), ma anche la norma di cui all’art. 143 comma 1, secondo cui “I veicoli devono circolare sulla parte destra della carreggiata e in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera”.
Del pari deve ritenersi positivamente accertata la violazione, da parte del pedone, dell’art. 190 C.d.S., comma 1, in base al quale “fuori dei centri abitati i pedoni hanno l’obbligo di circolare in senso opposto di quello di marcia dei veicoli sulle carreggiate”.
Tuttavia, occorre anche avere riguardo al principio sancito dalla Suprema Corte (cfr. Cass., sezione 3, sentenza n. 8366-2010), secondo cui “non già la mera violazione di una norma disciplinante la circolazione stradale è di per sé fonte di responsabilità, o di limitazione dell’altrui responsabilità insede risarcitoria, bensì il comportamento che la violazione medesima viene ad integrare, purché lo stesso abbia esplicita incidenza causale sull’evento dannoso”.
Nel caso di specie non sono emersi elementi da cui desumere l’esistenza di un concorso di colpa. In particolare dall’esame delle specifiche circostanze del caso concreto è dato evincere la mancanza di un nesso causale tra la violazione della norma sulla circolazione stradale da parte del pedone e l’evento occorso, poiché la condotta tenuta dal conducente del ciclomotore, che viaggiava di notte (“probabilmente a luci spente” secondo quanto sostenuto dal teste oculare) sulla banchina destra interdetta al traffico veicolare anziché sulla carreggiata di sua pertinenza, sia circostanza del tutto atipica e imprevedibile per il pedone e debba considerarsi l’unica causa del sinistro, a prescindere dal versante in cui il pedone si trovava a percorrere una strada priva di marciapiede posta fuori dal centro abitato. (cfr. Cassazione civile, sez. III, 14/02/2019, n. 4307).
Tale valutazione si ritiene essere in linea con quanto indicato dalla Suprema Corte ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento (cfr. Cass., sentenza n. 10.626-2013, secondo cui “ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento, il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, di cui all’art. 41, comma 2, c.p., non si riferisce soltanto al caso di un processo causale del tutto autonomo – giacché la disposizione diverrebbe pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza di cause di cui all’art. 41, c.p. comma 1, – bensì anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma sufficiente a determinare l’evento, nel senso che, in tal caso, la condotta dell’agente degrada da causa a mera occasione dell’evento. Ciò che si verifica allorquando ci si trova in presenza di una causa sopravvenuta che, pur ricollegandosi causalmente all’azione o all’omissione dell’agente, si presenta con carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia come un fattore che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili”).
Lo stesso dicasi per l’ulteriore violazione contestata da parte convenuta (l’obbligo di marciare su unica fila) tenuto conto del fatto che il giovane L. occupava la parte di banchina più lontana dalla carreggiata, per cui alcun nesso causale con l’evento potrebbe rinvenirsi in tale violazione.
- B) Liquidazione dei danni.
- Danno biologico di Paolo Lakatosz.
Ai fini della individuazione del tipo di danno non patrimoniale patito da Paolo Lakatosz devono essere integralmente recepite le risultanze della CTU, redatta in modo completo e congruamente motivata – tenuto conto dell’esame obiettivo espletato nel contraddittorio delle parti, del referto di pronto soccorso e di tutta la documentazione medica in atti.
Ad avviso del consulente medico, a causa del sinistro, Paolo Lakatosz riportò “severo traumatismo cranio-encefalico plurifratturativo con insorgenza di coma d’embleè (GCS:5) meglio caratterizzato dalle diagnosi seguenti:
1) grave trauma cranio-encefalico con frattura dell’osso parietale bilaterale e del temporale destro con insorgenza di coma d’embleè (GCS:5);
2) emorragia sub-aracnoidea soprattutto in fronto-parietale al vertice, a livello della grande falce e al tentorio; ampie aree contusivo – emorragiche ai lobi frontali, soprattutto a destra; piccole petecchie emorragiche in sede temporale destra; segni di edema cerebrale; vaste aree malaciche in regione frontale basale sinistra e occipitale bilaterale;
3) tetraparesi spastica, più grave agli arti inferiori e più marcata a sinistra;
4) addensamento lobo inferiore destro per contusione polmonare.
5) epilessia sintomatica in politerapia;
6) disturbo comportamentale con episodi di agitazione in terapia;
7) strabismo divergente a destra”.
Il C.t.u., dott. Vincenzo Petrino, ha inoltre accertato che: “Il soggetto è dipendente da altre persone in tutte le attività elementari della vita quotidiana, di cura della persona e nei trasferimenti. Riesce ad alimentarsi da solo con la predisposizione degli alimenti, usando l’arto superiore destro ed aiutandosi in parte con quello sinistro. Non è in grado di deambulare. Ha una parziale capacità di locomozione in carrozzina. Non è in grado di svolgere attività di studio finalizzato ad acquisizione di titoli scolastici. Risulta non impiegabile. Inoltre le profonde lesioni cerebrali hanno cospicui riverberi negativi sul piano psico-relazionale, maggiormente rilevanti a causa della giovane età del soggetto.
Tali lesioni sono compatibili con la dinamica infortunistica riferita. Pienamente soddisfatti risultano i criteri medico-legali di causalità materiale.”
Gli esiti del sinistro hanno comportato un’inabilità temporanea assoluta di 46 mesi, ovvero 1.389 giorni, e un danno biologico permanente del 95%.
Tali postumi, come accertato dal CTU, sono stabilizzati.
Ciò posto, trattandosi di lesioni suscettibili di rientrare nel novero delle cosiddette macropermanenti, questo giudicante ritiene applicabili per la liquidazione le tabelle del Tribunale di Milano 2021 – i cui valori includono non soltanto il danno biologico strettamente inteso, ma anche la compensazione delle sofferenze patite e delle negative ricadute sugli aspetti dinamico relazionali della vita del leso – richiamando le considerazioni ripetutamente svolte dalla Suprema Corte in ordine all’idoneità di detta Tabella ad attuare il concetto di equità valutativa e a prevenire ingiustificate disparità di trattamento (cfr. Cass. n. 12408/2011; n. 2167/16).
Al riguardo occorre richiamare la recente e ormai consolidata giurisprudenza di legittimità in punto di diversità ontologica del danno morale rispetto al danno biologico, dovendo intendersi quest’ultimo come comprensivo del danno esistenziale, ma non anche del danno morale inteso come sofferenza interna (tra le altre, Cass. 17/01/2018, n. 901; 27/03/2018, n. 7513; 28/09/2018, n. 23469).
Il danno morale, inteso quale sofferenza interiore, va dunque tenuto distinto sia dall’incidenza della lesione sull’aspetto dinamico-relazionale, che consente una personalizzazione in presenza di idonee allegazioni e prove (cd. ‘danno esistenziale’), sia dai sintomi e dalle conseguenze valutabili in termini medico-legali della patologia conseguente alla lesione stessa (algie, compromissioni estetiche, ecc.), i quali vengono compensati attraverso la liquidazione del cd. ‘danno biologico’ utilizzando il criterio tabellare.
Vanno, in particolare, ribaditi, per la loro diretta rilevanza nel caso di specie, i seguenti principi.
- A) Sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: 1223c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059c.c.; art. 185 c.p.).
- B) La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte Cost. n. 233 del 2003; Cass. Sez. U. 11/11/2008, nn. 26972-26975) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:
- di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;
- di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
- C) Nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e del recente intervento del legislatore sul Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, artt. 138e 139(Codice delle assicurazioni private), modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17 – la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale – deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale e, cioè, tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
- D) Nella valutazione del danno alla salute, in particolare – ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto (Cass. nn. 8827-8828 del 2003; Cass. Sez. U. n. 6572 del 2006; Corte Cost. n. 233 del 2003) – il giudice dovrà, pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale – che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sè stesso – quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sè”).
- E) In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
- F) Nel caso di lesione della salute, costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno c.d. esistenziale, appartenendo tali c.d. “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’ 32Cost.).
- G) Non costituisce duplicazione risarcitoria, di converso, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss. (ove si legge che la norma di cui all’ 139cod. ass.“non è chiusa anche al risarcimento del danno morale”), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 lett. e), cod. ass., introdotta – con valenza evidentemente interpretativa – dalla legge di stabilità del 2016.
A tanto consegue che, nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, occorrerà:
1) accertare l’esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;
2) in caso di positivo accertamento dell’esistenza (anche) di quest’ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno;
3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall’aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale (cfr. Cass. 10/11/2020, n. 25164).
A ciò si aggiunga che, a differenza del danno biologico, il danno morale, ossia la sofferenza soggettiva, non avente fondamento medico legale, sfugge per definizione ad una valutazione aprioristica, ma deve essere allegato, provato e valutato nella sua concreta, multiforme e variabile fenomenologia.
In particolare, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo e può costituire anche l’unica fonte di convincimento del giudice, pur essendo onere del danneggiato l’allegazione di tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata dei fatti noti, onde consentire di risalire al fatto ignoto (così definitivamente superandosi la concezione del danno in re ipsa, secondo la quale il danno costituirebbe una conseguenza imprescindibile della lesione, tale da rendere sufficiente la dimostrazione di quest’ultima affinché possa ritenersi sussistente il diritto al risarcimento)”(Cass. 10/11/2020, n. 25164 cit., ove si legge in motivazione: “Esiste, difatti, nel territorio della prova dei fatti allegati, un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, in forza del quale al giudice è consentito di riconoscere come esistente un certo pregiudizio in tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione – sovente ricorrendosi, a tal fine, alla categoria del fatto notorio per indicare il presupposto di tale ragionamento inferenziale, mentre il riferimento più corretto ha riferimento alle massime di esperienza (i fatti notori essendo circostanze storiche concrete ed inoppugnabili, non soggette a prova e pertanto sottratte all’onere di allegazione). La massima di esperienza, difatti, non opera sul terreno dell’accadimento storico, ma su quello della valutazione dei fatti, è regola di giudizio basata su leggi naturali, statistiche, di scienza o di esperienza, comunemente accettate in un determinato contesto storico-ambientale, la cui utilizzazione nel ragionamento probatorio, e la cui conseguente applicazione, risultano doverose per il giudice, ravvisandosi, in difetto, illogicità della motivazione, volta che la massima di esperienza può da sola essere sufficiente a fondare il convincimento dell’organo giudicante.
Tanto premesso, non solo non si ravvisano ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio fondato sulla massima di esperienza specie nella materia del danno non patrimoniale, e segnatamente in tema di danno morale, ma tale strumento di giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta, nell’impossibilità di provare il pregiudizio dell’essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d’animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito.
Del resto, alla base del parametro standard di valutazione che è alla base del sistema delle tabelle per la liquidazione del danno alla salute, altro non v’è se non un ragionamento presuntivo fondato sulla massima di esperienza per la quale ad un certo tipo di lesione corrispondono, secondo l’id quod plerumque accidit, determinate menomazioni dinamico-relazionali, per così dire, ordinarie”).
Nella specie, parte attrice ha provveduto ad allegare plurimi elementi che consentono una effettiva e adeguata valutazione delle sofferenze interiori patite dalla vittima. Paolo Lakatosz ha infatti percezione di sé, è consapevole della propria condizione, della impossibilità di attendere autonomamente a tutte le elementari attività quotidiane e della definitiva compromissione della propria sfera dinamico-relazionale, tanto da avere in svariate occasioni intense reazioni emotive.
Ebbene, un attendibile criterio logico-presuntivo funzionale all’accertamento del danno morale è quello della corrispondenza, su di una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all’insorgere di una sofferenza soggettiva: tanto più grave, difatti, sarà la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l’esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall’aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa.
Tale componente del danno non patrimoniale deve ritenersi presuntivamente provata nel caso di specie, in ragione della tipologia ed entità delle lesioni riportate, delle modalità di accadimento del sinistro, sussumibile nella fattispecie del reato di lesioni colpose, delle imponenti e penose conseguenze dell’inabilità temporanea, nonché in ragione dell’accertamento di un grado di sofferenza psico-fisica di valore massimo alla stabilizzazione dei postumi.
Occorre, invero, evidenziare come, per effetto degli esiti lesivi residuati a carico di Paolo Lakatosz, all’epoca dei fatti minore (15 anni), quest’ultimo non possa esprimere appieno la propria personalità e svilupparla, essendo notevolmente limitata la sua capacità di relazione con il mondo esterno. In altri termini, molteplici aspetti della vita del danneggiato, nell’ambito di buona parte delle aree all’interno delle quali l’individuo esplica – anche in prospettiva futura (e, dunque, tenendo conto altresì dell’evoluzione e del conseguente raggiungimento dell’età adulta) – la propria personalità (affetti, famiglia, lavoro e partecipazione sociale, scuola, arte, scienza, poesia, cultura, svago, giochi, vacanza e ambiente) risultano notevolmente compromessi, con conseguente possibilità di affermare la configurabilità, nel caso di specie, di una sofferenza soggettiva di elevata intensità, tali da giustificare un aumento della liquidazione già sopra operata.
Sotto tale profilo, deve essere evidenziato che il giovane L. ha mostrato una capacita di comprensione, anche percettiva degli stimoli esterni, tanto da riuscire ad interagire con l’ambiente che lo circonda. In tale ottica, dunque, può senz’altro ritenersi che il predetto sia in grado di provare sofferenza (intesa empiricamente) per la propria condizione e sia tragicamente destinato a provare questa sofferenza in modo rilevante per tutti i giorni della propria vita, anche a causa dei numerosi trattamenti medici cui è stato sottoposto.
Dunque, applicando i suddetti criteri ermeneutici, tenuto conto che all’epoca del sinistro Paolo Lakatosz aveva 15 anni, che la decorrenza della liquidazione del danno da invalidità permanente decorre dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi (cfr. Cassazione civile sez. III, 12/03/2021, n.7126), e che la percentuale di invalidità riconosciutagli è stata individuata nella misura del 95%, si ottiene un importo a titolo di risarcimento del danno derivante dalla lesione permanente dell’integrità psicofisica, comprensivo del danno morale, pari ad euro 1.066.773,00.
Le particolari condizioni di vita di P.L., incidenti sul piano dinamico relazionale, e la gravità dei postumi in un minore nel pieno dello sviluppo, giustificano la personalizzazione del danno nella misura massima entro il range previsto dalle menzionate tabelle, al fine di adeguare il più possibile l’entità risarcitoria a tutte le effettive e peculiari conseguenze del sinistro sotto tutti gli aspetti relazionali e anatomo-funzionali.
L’importo tabellare del danno biologico permanente andrà dunque aumentato per la personalizzazione e concreta liquidazione di tutte le poste di danno non patrimoniale subite dall’attore, in misura del 25% per un importo complessivo di euro 1.244.569,00.
La liquidazione del danno biologico temporaneo può effettuarsi avendo riguardo al valore massimo indicato dalle tabelle di Milano (pari a euro 149,00 giornalieri per l’inabilità temporanea assoluta), tenuto conto del lungo periodo di riabilitazione e della gravità dei postumi riportati, ragione per cui deve essere riconosciuto l’importo di euro 137,511,00.
- Danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale.
Il danno da perdita del rapporto parentale, ormai pacificamente risarcibile secondo la giurisprudenza, e’ un danno di natura non patrimoniale “riflesso”, subito e fatto valere iure proprio dai prossimi congiunti della vittima di un illecito.
Tale pregiudizio rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale e consiste non gia’ nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianita’, bensi’ nello sconvolgimento dell’esistenza rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonche’ nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto il quale e’ ristorabile in caso non solo di perdita, ma anche di mera lesione del rapporto parentale (Corte di Cassazione, 31 maggio 2003, n. 8827; Corte di Cassazione, 20 agosto 2015, n. 16992).
Secondo il recente orientamento della Cassazione il pregiudizio derivante dalla perdita del rapporto parentale si sostanzia “nel vuoto costituito dal non potere piu’ godere della presenza e del rapporto con chi e’ venuto meno e percio’ nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettivita’, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianita’ dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter piu’ fare cio’ che per anni si e’ fatto, nonche’ nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. ord. n. 9196/2018).
Essendo il pregiudizio da lesione del rapporto parentale un danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., la sua liquidazione, come sottolineato recentemente dalla Corte di Cassazione, deve avvenire “in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensita’ del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza piu’ o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’eta’ della vittima e dei singoli superstiti ed ogni altra circostanza allegata” (Cass. ord. n. 907/2018).
Inoltre, la Suprema Corte di Cassazione ha sottolineato che “ognuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione inclusiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata ed intensita’ del vissuto, nonche’ alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’eta’ della vittima ed a quella dei familiari danneggiati, alla personalita’ individuale di costoro, alla loro capacita’ di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e dimostrare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza)” (ex multis, Cass.n.14655/2017, n. 9231/2013).
Una volta riconosciuta la spettanza del danno in discorso anche nel caso di mera lesione del rapporto parentale, si osserva che i parenti stretti di chi riporta gravi ferite in un incidente stradale hanno diritto ad un risarcimento per il danno non patrimoniale patito personalmente, senza dover dare una prova rigorosa della loro sofferenza.
È sufficiente, infatti, che vi siano elementi logici dai quali il giudice possa desumere la sussistenza del danno (Cassazione civile, sez. III, 11/07/2017, n. 17058).
Nel caso di specie è pacifica la convivenza di madre e fratelli insieme a Paolo Lakatosz all’epoca del sinistro e deve ritenersi che l’entità delle lesioni patite e delle conseguenti difficoltà esistenziali che certamente la presenza di un membro invalido al 95% comporta in un nucleo familiare, abbiano determinato, di riflesso, una sofferenza morale nonché una modificazione in pejus degli aspetti dinamico-relazionali della loro vita, tanto della madre che dei due fratelli, entrambi all’epoca del sinistro ancora minorenni.
Per come accertato dal CTU Paolo Lakatosz non è in grado di svolgere le normali attività della vita quotidiana e necessita di assistenza continua h 24. In particolare “è dipendente da altre persone in tutte le attività elementari della vita quotidiana, di cura della persona e nei trasferimenti. Riesce ad alimentarsi da solo con la predisposizione degli alimenti, usando l’arto superiore destro ed aiutandosi in parte con quello sinistro. Il paziente è confinato in carrozzina e riesce a mantenere da seduto il controllo del tronco e del capo. Si rileva tetraparesi spastica, più grave agli arti inferiori e più marcata a sinistra. Ha una parziale capacità di locomozione in carrozzina”.
Non vi è dubbio che la condizione di Paolo Lakatosz abbia comportato ripercussioni pregiudizievoli nella sfera intima e nelle relazioni con i suoi stretti familiari.
Rispetto alla sofferenza interna, il pregiudizio subito può ritenersi connaturato all’evento lesioni patite dal minore, cosicché non è possibile dubitare a proposito dell’elevato grado di sofferenza legato al coinvolgimento del figlio e fratello in un evento dannoso quale quello oggi in esame.
In relazione all’alterazione del rapporto genitore – figlio e fratello – fratello, che, nella specie, è da ritenersi di notevole entità, sebbene non prossima ad un vero e proprio annientamento di tale relazione parentale, non può non tenersi conto: 1) della sussistenza di un effettivo stato di convivenza tra gli attori e la vittima; 2) del grave sconvolgimento delle abitudini di vita subito dagli attori, trattandosi di una notevole compromissione di due dei legami affettivi e parentali più intensi tra quelli che, secondo “id quod plaerumque accidit”, caratterizza l’esistenza umana (e, cioè quello instaurato con il proprio figlio e fratello peraltro fin dalla giovane età di quest’ultimo); 3) del costante e quotidiano confronto che il genitore ha dovuto e dovrà affrontare sia con le sofferenze del giovane figlio, sia con la grave compromissione della relazione parentale derivata dalle menomazioni residuate a carico dello stesso, sia, infine, con tutte le attività di assistenza e di cura di cui il giovane necessita (e di cui necessiterà) e che, in maniera assolutamente inevitabile ed ineludibile, devono e dovranno essere prestate (anche) dalla madre; 4) del “vulnus” alla serenità familiare certamente scaturito da quanto finora posto in evidenza e nel caso dei fratelli anche (ed inevitabilmente) al rapporto con il genitore quando erano ancora in età adolescenziale, essendo la madre certamente assorbita dalla necessità di far fronte sia all’emergenza rappresentata dalle gravi condizioni di salute in cui si è trovato a versare il giovane Paolo, che alle conseguenti necessità assistenziali venute in rilievo con riguardo a quest’ultimo; 5) del dolore e della sofferenza provata da ciascuno dei fratelli nel convivere quotidianamente con il loro fratello maggiore gravemente malato, nonché della compromissione della possibilità di vedere ulteriormente svilupparsi in maniera piena anche nel corso dell’età adulta, quella comunione di vita, di affetti e talvolta anche di intenti che, pur nella diversità delle scelte di vita individuale, solitamente caratterizza i rapporti tra fratelli; 6) della consapevolezza, maturata fin dalla giovane età, di dover contribuire, con il proprio apporto personale, alle attività di cura, accudimento ed assistenza che si svolgevano (e si svolgono), all’interno del nucleo familiare, in favore del fratello Paolo; 7) della proiezione futura, in termini di durata, di tale “vulnus”, dovendosi gli attori confrontare, quotidianamente e, sostanzialmente, per tutto il resto della propria vita, con tale sconvolgimento.
Trattasi di elementi che, complessivamente considerati, suggeriscono una liquidazione delle voci di danno già sopra menzionate, attestata, senza dubbio alcuno, su importi prossimi ai massimi scaturenti dalla tabella di liquidazione sopra prescelta (Tribunale di Milano 2021, “Danno non patrimoniale per la morte di un congiunto”), criterio equitativo al quale la Suprema Corte riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell’art. 3 Cost., di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., proprio al fine di garantire l’adeguata valutazione del caso concreto e uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, salva l’emersione di specifiche e concrete circostanze che ne giustifichino l’abbandono (cfr. Cass. n.12470/2017).
Poiché la menomazione di Paolo Lakatosz, per quanto grave, non è equiparabile alla totale perdita del rapporto parentale (il che consentirebbe l’applicazione diretta, quanto alla quantificazione del danno, delle tabelle del tribunale di Milano laddove liquidano il danno parentale da morte del congiunto), gli importi previsti dalle tabelle di Milano vengono ridotti del 30%, tenuto conto della minor valenza afflittiva dello scadimento del rapporto parentale derivante da una macrolesione che colpisca il congiunto rispetto alla totale perdita che deriva dalla sua morte.
Pertanto il danno non patrimoniale patito per effetto della lesione del rapporto parentale va liquidato all’attualità in euro 235.550,00 per la madre ed euro 102.284,00 ciascuno per i fratelli.
Su tali importi devono essere riconosciuti gli interessi compensativi a ristoro del lucro cessante conseguente alla mancata disponibilità dell’equivalente monetario del danno per il periodo intercorso dalla data dell’evento alla decisione, calcolati secondo recependo i principi di cui alla sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (interessi legali sulle somme devalutate alla data del sinistro secondo gli indici ISTAT del cosiddetto costo della vita e annualmente rivalutate dalla data dell’evento dannoso fino ad oggi), oltre interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza al saldo ex art. 1282 c.c.
- Danno patrimoniale subito da Paolo Lakatosz.
Per quanto riguarda l’ammontare del danno patrimoniale, questo consiste in primo luogo nelle spese di assistenza e degenza oltre che spese farmaceutiche e per visite specialistiche.
Il danno rappresentato dalle spese di assistenza, quando si assume come già maturato al momento della liquidazione, costituisce danno emergente ed è rappresentato dalle spese già sostenute e che sono state ritenute congrue dal CTU per come documentate in giudizio ovvero per l’importo di euro170.181,00.
È stato accertato come congruo dal CTU l’importo di euro 10.411,25 per gli ausili e protesi prescritti.
Va poi riconosciuto il danno patrimoniale per spese di assistenza futura stante le precarie condizioni di salute di Paolo Lakatosz.
La giurisprudenza di legittimità, pronunciandosi in materia di risarcibilità dei danni futuri consistenti nelle spese che la vittima di un incidente stradale dovrà sostenere per cure ed assistenza, ne ha affermato la configurabilità tutte le volte in cui il giudice accerti – dandone adeguatamente conto nella motivazione – che tali spese, la cui liquidazione andrà necessariamente operata in via equitativa, saranno sostenute secondo una ragionevole e fondata attendibilità (tra le altre, vedi Cass. civ. 23 gennaio 2006, n. 1215; Cass. civ. 23 gennaio 2002, n. 752; Cass. civ. 20 gennaio 1987, n. 495). In particolare la Cassazione ha evidenziato che “se non basta la mera eventualita’ di un pregiudizio futuro per giustificare la condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile e’ invece sufficiente la fondata attendibilita’ che esso si verifichi secondo la normalita’ e la regolarita’ dello sviluppo causale (ex multis, Cass., nn. 1637/2000, 1336/1999, 495/1987, 2302/1965)” e che “la rilevante probabilita’ di conseguenze pregiudizievoli e’ configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilita’, secondo un criterio di normalita’ fondato sulle circostanze del caso concreto” (Cass. n. 10072/2010).
Nel caso di specie è certo che Paolo Lakatosz dovrà sostenere in futuro degli esborsi dal momento che la gravissima menomazione subita lo rende dipendente da altre persone in tutte le attività elementari della vita quotidiana, rendendo necessaria un’assistenza personale continuativa.
Ad avviso del CTU “Stante la natura e l’entità delle menomazioni post traumatiche che affliggono il sig. L., per soddisfare il suo fabbisogno assistenziale è senza dubbio da prevedere la costante presenza di una persona a domicilio, h 24 e 7 giorni su 7, che possegga competenze necessarie, quale quelle possedute da un operatore socio sanitario (OSS).
E’ prevedibile infatti la necessità di assistenza continua permanente in tutte le ADL (Activities of daily living) primarie, quali l’igiene personale, la vestizione e cura della persona, i trasferimenti letto-carrozzina, carrozzina-doccia, l’alimentazione, la gestione degli sfinteri ecc. e la prevenzione dei danni secondari che non possono essere gestite tutte dalla madre o da una singola persona. Sul piano quantitativo è chiaramente preponderante l’assistenza durante le ore diurne, prevedendo invece una assistenza occasionale durante le ore notturne. In Italia, essendo privi di un ordine di appartenenza, la retribuzione oraria media lorda di un OSS, definita dal Contratto collettivo Nazionale delle Cooperative Sociali (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali D.M. del 2 ottobre 2013), ammonta a circa 20,17 € all’ora + IVA al 4%. Esiste altresì la possibilità di affidarsi a cooperative private di assistenza domiciliare, che applicano tariffe orarie che vanno dai 10,00 ai 14,00 €”.
Nonostante il calcolo effettuato dal CTU, ritiene la scrivente che non possa farsi applicazione del compenso orario, atteso che lo stesso appare piuttosto riferibile alle prestazioni occasionali o temporanee, non anche ad una situazione, quale quella in esame, in cui si prospetta la necessità di assistenza 24h/24 per 365 giorni l’anno, per tutta la vita del danneggiato.
Ritiene questo Giudice, dunque, che possa farsi applicazione di un criterio di compenso mensile, per un importo stimatosi equo di euro 2.500,00 al mese, per un totale di euro 30.000,00 annuali.
Tale voce di danno (patrimoniale futuro) non può essere liquidata attraverso la semplice moltiplicazione della spesa annua per il numero di anni di vita stimata della vittima, ma va liquidata o in forma di rendita oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato, e, quindi, abbattendo il risultato in base ad coefficiente di anticipazione, ovvero, infine, attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie”(Cass. 20-4-2016 n. 7774; cfr. anche Cass. 6-7-2020 n. 13881), perché soltanto tale metodo consente di tenere debito conto del c.d. “montante di anticipazione”, e cioè del vantaggio realizzato dal creditore nel percepire oggi una somma che egli avrebbe concretamente perduto solo in futuro.
Va evidenziato come al danneggiato sia stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento, per un importo complessivo per gli anni 2010-2018 pari ad € 49.878,28 (cfr. doc. 176 prod. parte attrice).
Le Sezioni Unite della Suprema Corte anche di recente hanno ribadito l’applicabilità del principio della compensatio lucri cum damno osservando in particolare: “Dall’ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall’ente pubblico, in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità rivolta a fronteggiare ed a compensare direttamente il medesimopregiudizio patrimoniale causato dall’illecito, consistente nella necessità di dover retribuire un collaboratore o assistente per le esigenze della vita quotidiana del minore reso disabile per negligenza al parto.” (Cass, S.U., 22-5-2018 n. 12567).
La Suprema Corte ha altresì evidenziato come ai fini della detraibilità è sufficiente la facoltà per l’INPS di recuperare dal responsabile quanto versato al danneggiato, non rilevando che tale facoltà si stata in concreto esercitata. Ha in particolare osservato: “Proprio facendo applicazione delle indicazioni delle Sezioni Unite, ciò che conta non è che l’INPS sia o meno parte in causa nel giudizio odierno, quanto, invece, che esso abbia il diritto di agire in surroga nei confronti del danneggiante. L’ente previdenziale, infatti, proprio per aver riconosciuto al Ra. il diritto ad un assegno di invalidità in conseguenza del medesimo fatto dannoso, ha comunque diritto ad agire in surroga nei confronti del terzo responsabile o del suo assicuratore (nella specie, la G.I. s.p.a. è stata convenuta quale impresa designata del Fondo di garanzia per le vittime della strada, essendo il veicolo antagonista sprovvisto di copertura assicurativa). Tanto basta, dando continuità all’insegnamento delle Sezioni Unite, per riconoscere il diritto della G.I. s.p.a. ad ottenere che dall’entità globale del danno risarcibile al Ra. venga detratta la somma capitalizzata corrispondente all’introito pensionistico a lui erogato dall’INPS. Che l’INPS, poi, abbia esercitato o meno la surroga non assume rilievo, perché il diritto si è comunque trasferito; ed è evidente che consentire al danneggiato di cumulare l’assegno di invalidità con l’intero risarcimento significa, di fatto, esporre l’assicuratore del responsabile civile all’obbligo di un doppio pagamento per la medesima parte di danno” (pag. 11 della sentenza 19-2-2019n. 4734 della Cassazione, in motivazione; cfr. anche Cass., S.U., 22-5-2018 n. 12566 in motivazione).
Da quanto sopra esposto consegue che il quantum liquidato per spese di assistenza future deve essere rivisto detraendo dall’importo annuale corrispondente alle spese di assistenza (€ 30.000,00) l’importo dell’indennità di accompagnamento ex L. n. 18 del 1980 fissato per il 2018 (Euro. 6.196,20). Il risultato (€ 23.803,80) va capitalizzato moltiplicandolo per il coefficiente di capitalizzazione delle rendite di inabilità (31,3162) corrispondente all’età del danneggiato al momento del sinistro (15 anni) ed all’invalidità riportata (oltre il 61%).
Tale voce di danno va, dunque, determinata in € 745.444,56, cui va detratto l’importo già percepito per i precedenti anni, per un totale di € 695,566,28.
Sempre con riguardo alle spese future, il CTU ha quantificato le spese per dispositivi protesici in € 212.199,35, importo che andrà a sua volta abbattuto in base ad un coefficiente di anticipazione. Va peraltro osservato che negli ultimi anni il tasso di rendimento del denaro è molto basso (il rendimento dei titoli di Stato è molto inferiore all’1% anno e in taluni periodi si è avvicinato allo zero), per cui il coefficiente di anticipazione va calcolato in misura prudenziale che si ritiene equo determinare nella misura del 10 % complessivo.
La voce di danno in parola va quindi rideterminata nell’importo complessivo di € 190.979,41.
In nesso causale con l’evento dannoso risultano altresì le spese sostenute per l’acquisto e l’adattamento di idonea autovettura per il trasporto disabili con accesso diretto mediante carrozzina elettronica, per un importo di € 17.444.71 (docc. 117, 118, 119 e 120 prod. attrice).
La domanda è fondata e va accolta. Al riguardo si osserva che la necessità di trasportare il minore con la sedia a rotelle, di effettuare con lui viaggi per la sua cura, ha evidentemente reso necessario, acquistare una F.D., autovettura particolarmente ampia adatta per l’appunto al trasporto di persone disabili.
Va pertanto liquidata a titolo di danno patrimoniale la somma di euro 17.444.71 (docc. 117, 118, 119 e 120 prod. attrice).
È altresì dovuto il risarcimento per le spese sostenute per l’abbattimento delle barriere architettoniche dell’immobile abitato da Paolo Lakatosz, nella misura accertata e ritenuta congrua dal CTU ing. Caterina Mazzeri, le cui conclusioni appaiono integralmente condivisibili e congruamente motivate anche nella risposta alle osservazioni del CTP.
Il consulente ha indicato nell’importo di € 7.370,00 i lavori svolti da parte attrice e che risultano necessari per rendere l’abitazione consegnata da A.T.C. accessibile, perciò obbligatori rispetto a quanto prescritto dalla L. n. 13 del 1989 e dal D.M. n. 236 del 1989; ha invece indicato nella minor somma di 2.180,00 € il prezzo dei lavori svolti che, pur non obbligatori, apparivano opportuni per rendere l’abitazione maggiormente fruibile in tutti i suoi spazi da Paolo Lakatosz.
Da ultimo si ritiene di poter riconoscere l’importo indicato dal CTU al fine di adeguare maggiormente l’abitazione alle condizioni di salute dell’attore, anche tenuto conto della giovane età dello stesso e della necessità di garantirgli la massima accessibilità dell’alloggio, quantificato in € 19.090,00 €.
Il tutto per un totale di € 28.640,00 oltre IVA.
Parte attrice ha reclamato altresì il risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla perdita della capacità di lavoro e guadagno.
È documentalmente provata la totale perdita della capacità di Paolo Lakatosz di produrre reddito a causa del sinistro, avendo il CTU accertato che “L’entità degli esiti traumatici (fisici e psico-cognitivi) impedisce una qualsiasi attività lavorativa” e dunque la perdita permanente della capacità di guadagno del danneggiato.
Questo danno deve essere liquidato facendo ricorso alla prova presuntiva ed, in particolare, attraverso una prognosi finalizzata all’accertamento della futura attività occupazionale del giovane L., minore all’epoca del sinistro, basata su presunzioni ricollegabili al suo contesto familiare e sociale, nonché agli orientamenti che tale contesto avrebbe potuto ingenerare nella stessa, con la precisazione pero che “in assenza di riscontri concreti dai quali desumere gli elementi suddetti, (e, perciò, del possibile ricorso alla prova presuntiva), la liquidazione potrà avvenire attraverso il ricorso al triplo della pensione sociale” (cfr. Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2008, n. 24331 secondo cui “La liquidazione del danno da riduzione della capacità di guadagno, patito in conseguenza di un sinistro stradale da un minore in età scolare, può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio.
La relativa prognosi deve avvenire, in primo luogo, in base agli studi compiuti ed alle inclinazioni manifestate dalla vittima ed, in secondo luogo, sulla scorta delle condizioni economico – sociali della famiglia. In assenza di riscontri concreti dai quali desumere gli elementi suddetti, (e, perciò, del possibile ricorso alla prova presuntiva), la liquidazione potrà avvenire attraverso il ricorso al triplo della pensione sociale. La scelta tra l’uno o l’altro tipo di liquidazione costituisce un giudizio tipicamente di merito ed è, pertanto, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata”; cfr., altresì, in senso analogo, Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10074; Cass.11 novembre 2019 n. 28988).
Nel caso di specie, mancando qualsivoglia allegazione con riguardo ai futuri orientamenti occupazionali del minore danneggiato, deve quindi farsi ricorso al criterio base del triplo della pensione sociale (attualmente pari ad € 5.954,00), come previsto dall’art. 137, comma 3, del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209. L’importo complessivo che ne scaturisce è pari alla somma annua di € 17.950,92, da cui deve essere detratto l’importo annuale corrisposto dall’Inps a titolo di pensione (cfr. Cassazione civile sez. III 19 febbraio 2019 n. 4734: “La compensatio lucri cum damno si applica anche in caso di risarcimento danni da sinistro stradale con la pensione di invalidità riconosciuta dall’INPS il quale ha diritto di agire in surroga nei confronti del terzo responsabile e del suo assicuratore; al danneggiato spetta il solo danno differenziale ossia quello non coperto dall’indennizzo”).
Tale importo, pari ad € 14.143,48, deve essere capitalizzato avendo riguardo a tutta la vita lavorativa futura del danneggiato.
In ordine al coefficiente tabellare di capitalizzazione che deve essere utilizzato per procedere alla liquidazione del danno, deve rilevarsi che la Corte di cassazione ha da tempo affermato (cfr. Cass. civ. n. 20615 del 2015) che il predetto danno non può essere liquidato in base ai coefficienti dicapitalizzazione approvati con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, i quali a causa dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse non garantiscono l’integrale ristoro del danno, e non sono perciò consentiti dalla regola di integrale risarcimento di cui all’art. 1223 c.c.; il giudice di merito può liberamente adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili, purché aggiornati e scientificamente corretti, quali quelli approvati con provvedimenti normativi vigenti per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali (cfr. tabelle Inail), oppure elaborati dalla dottrina per la specifica materia del risarcimento del danno aquiliano (tra i quali sono richiamati quelli diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura ed allegati agli Atti dell’Incontro di studio per i magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno – 1 luglio 1989) (cfr. da ultimo Cass. 25 giugno 2019 n. 16913; Cass. civ., sez. III, n. 10499 del 2017).
Questo giudice ritiene quindi di poter applicare i coefficienti elaborati dal C., liberamente consultabili. Il coefficiente di capitalizzazione che si ritiene opportuno prendere in considerazione è quello corrispondente ai 23 anni di età, essendo improbabile, in relazione all’attuale mercato del lavoro ed al diffuso fenomeno della disoccupazione, che il soggetto leso avrebbe potuto reperire una idonea attività lavorativa ad una età inferiore (il coefficiente di capitalizzazione relativo a soggetti di sesso maschile di anni 23 è di 31,3685).
La somma riconosciuta a titolo risarcitorio ammonta pertanto ad euro 443.659,75 (14.143,48×31,3685), dalla quale occorre detrarre l’importo già corrisposto dall’Inps a partire dal 2013 e pari ad € 21.667,50, per un totale ancora dovuto di € 421.992,25.
- Danno patrimoniale subito da A.B. in proprio.
Possono essere riconosciute in quanto congrue e adeguatamente documentate le spese sostenute dall’attrice per l’alloggio in occasione dei ricoveri del figlio negli anni 2010-2013, per un totale di €12.787,10.
Le ulteriori spese per carburante e di viaggio sono esclusivamente elencate in via sommaria ed il mero richiamo alla documentazione allegata non consente la ricostruzione del nesso causale con il sinistro.
Può però essere riconosciuto un importo complessivo in via equitativa pari ad € 1.500,00, in applicazione del principio secondo cui “innanzi a lesioni personali di devastante entità, che abbiano costretto il leso e i suoi familiari a numerosi e ripetuti ricoveri – purché questi ultimi siano documentati – il giudice può liquidare il danno consistito nelle erogazioni per viaggi di cura e spese mediche anche in assenza della prova dei relativi esborsi, ai sensi dell’art. 1226 c.c.” (Cass. 19 gennaio 2010, n. 712).
- Gli attori hanno infine rivendicato quale danno patrimoniale le spese per la consulenza medico legale, sostenute dagli attori ante causam, nonché quelle sostenute in corso di giudizio per il proprio consulente di parte che risultano documentate nell’importo complessivo di euro 14.948,00.
- Con riferimento alle spese di assistenza legale stragiudiziale di cui è stata chiesta la refusione si riporta una recentissima ordinanza della suprema Corte di Cassazione che ne ribadisce la liquidabilità in termini di danno emergente subito dal danneggiato sul presupposto che “le spese di assistenza legale stragiudiziale hanno natura di danno emergente e vanno liquidate secondo le tariffe forensi; la quantificazione del compenso dovuto per tale attività, se determinata in misura compresa tra i minimi e i massimi tariffari, costituisce oggetto di apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità'” (Cass. 02.02.2018 n. 2644).
Si osserva inoltre che la loro liquidazione, pur dovendo avvenire nel rispetto delle tariffe forensi, è soggetta agli oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali.
Ebbene nel caso di specie, tenuto conto dell’attività prestata dalla società G.G.S. s.r.l. per come documentata e dell’entità del risarcimento, si ritiene di poter liquidare a tale titolo l’importo di euro 6.000,00 non ritenendosi giustificata una liquidazione sulla base contratto di mandato agli atti che prevede la corresponsione di una somma pari al 10% dell’importo liquidato a titolo di risarcimento per ciascuno degli attori.
- Tanto premesso, deve ora provvedersi alla detrazione degli acconti versati negli anni da G.I. s.r.l. in favore di Paolo Lakatosz ed in particolare:
– € 25.000,00 corrisposti in data 8.2.2011;
– € 175.000,00 corrisposti in data 24.3.2011;
– € 150.000,00 corrisposti in data 20.1.2012;
– € 1.000.000,00 corrisposti in data 18.9.2012;
– € 1.100.000,00 corrisposti banco iudicis all’udienza dell’8.3.2021.
Al riguardo occorre evidenziare come il diritto al risarcimento del danno forma oggetto di un’obbligazione di valore, non di valuta. A esso, pertanto, è inapplicabile l’articolo 1194 del c.c. (Cassazione civile sez. III 28 febbraio 2017 n. 5010).
Al fine di correttamente individuare l’importo ancora dovuto, occorre applicare i principi ripetutamente espressi dalla Suprema Corte (Cass. 19/03/2014, n. 6347; 20/04/2017, n. 9950; Cass., 04/02/2020, n. 2461), secondo cui “La liquidazione del danno da ritardato adempimento di un’obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) rendendo omogenei il credito e l’acconto (e, quindi, devalutandoli alla data dell’illecito, ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione); b) detraendo l’acconto dalcredito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva”.
Sul punto, recependo i principi di cui alla sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, appare congruo adottare, anche in applicazione del principio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c., come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento della somma dovuta, tenuto conto della natura del danno, dell’arco temporale considerato e di tutte le circostanze accertate, quello degli interessi legali.
Ciò posto, al fine di semplificare le operazioni di calcolo, si provvederà a detrarre gli acconti versati nella fase stragiudiziale dal credito per danno non patrimoniale e patrimoniale sotto forma di danno emergente e il restante acconto versato in corso di giudizio dal credito per danno patrimoniale futuro.
Pertanto le voci di danno anzidette vanno devalutate alla data del sinistro; l’importo così ottenuto di € 1.398.450,04 va annualmente rivalutato fino alla data di corresponsione del primo acconto (8.2.2011); il capitale rivalutato di € 1.425.381,95 va quindi decurtato dell’acconto ricevuto di € 25.000,00; l’importo così ottenuto di € 1.400.381,95 va rivalutato annualmente sino alla data del secondo acconto (24.3.2011); il capitale rivalutato di 1.408.525,81 va quindi decurtato dell’acconto ricevuto di € 175.000,00; l’importo di € 1.233.525,81 va rivalutato annualmente sino alla data del terzo acconto (20.1.2012); il capitale rivalutato di 1.280.748,74 va quindi decurtato dell’acconto ricevuto di € 150.000,00; l’importo di 1.130.748,74 va rivalutato sino alla data del quarto acconto (18.9.2012); il capitale rivalutato € 1.171.331,63 va quindi decurtato dell’acconto ricevuto di € 1.000.000,00, per una differenza a credito di € 171.331,63 da rivalutare sino alla data della odierna decisione ottenendo così l’importo di € 198.692,00.
Per quanto attiene all’acconto di € 1.100.000,00 versato banco iudicis all’udienza tenutasi in data 18.3.2021, ritiene la scrivente di rivalutare quest’ultimo alla data odierna (pari ad € 1.158.300,00), al fine di rendere la posta omogenea al credito derivante dal riconosciuto danno patrimoniale futuro per spese assistenziali e mediche e perdita della capacità lavorativa (pari complessivamente ad € 1.308.537,94).
Pertanto, il danno ancora da liquidarsi deve intendersi pari ad € 150.237,94, oltre interessi legali dalla presente pronuncia e sino al saldo effettivo.
- Da ultimo occorre esaminare la domanda di mala gestio impropria e propria proposta dagli attori (nel secondo caso agendo in surroga ex art. 2900c.c., stante l’inerzia dell’assicurato).
Va premesso che la mala gestio è impropria quando si discorre dell’obbligazione diretta nei confronti del danneggiato. In tale caso, l’assicuratore può rispondere per responsabilità da colpevole ritardo, e cioè “per un suo comportamento ingiustificatamente dilatorio a fronte della richiesta di liquidazione avanzata dal danneggiato; l’assicuratore cioè, trascorso il termine di cui all’art. 22 L. n. 990 del 1969 (ora il termine di cui all’art. 145 del D.Lgs. n. 209 del 2005), se nel detto termine è stato posto nella condizione di determinarsi in ordine all'”an” ed al “quantum” della richiesta, è da considerare in mora, e può rispondere, per il tempo della mora, per gli interessi al tasso legale”.
La mala gestio si definisce, invece, propria quando riguarda l’obbligazione dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato. Essa, in particolare, trova fondamento nella violazione dell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.). La mala gestio propria ricorre allorché “l’assicuratore, senza un apprezzabile motivo, rifiuti di gestire la lite o se ne disinteressi in modo da recare pregiudizio all’assicurato, e comunque in tutti casi in cui sia ravvisabile un colpevole ritardo dell’assicuratore nella corresponsione dell’indennizzo al danneggiato (ritardo dal quale sia derivato all’assicurato un danno)”.
In particolare l’assicuratore della responsabilità civile, avendo assunto l’obbligo contrattuale di tenere indenne l’assicurato dalle pretese del terzo danneggiato, ha altresì l’obbligo di attivarsi per salvaguardare gli interessi di quello: e dunque costituisce una condotta inadempiente rispetto agli obblighi scaturenti dal contratto di assicurazione, rifiutare una vantaggiosa offerta transattiva proveniente da parte del terzo danneggiato (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 19/04/2018, (ud. 23/01/2018, dep.19/04/2018), n. 9666).
Ritiene la scrivente che tale domanda non possa essere accolta.
Va premesso che l’assicuratore della r.c.a., è costituito in mora ipso facto alla scadenza dello spatium deliberandi previsto, prima dalla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 22, e poi dall’art. 148 cod. ass.. La mora del debitore si presume sempre colpevole.
È, pertanto, onere della compagnia assicuratrice dimostrare che il ritardato adempimento della propria obbligazione non fosse dovuto a propria negligenza.
Il giudizio sul comportamento dell’assicuratore della responsabilità civile, e quindi sulla correttezza e diligenza di quest’ultimo nella gestione della lite, è compito del giudice di merito che dovrà accertare, mediante una valutazione ex ante, se tale comportamento sia stato improntato alla diligenza del buon padre di famiglia e se l’eventuale ritardo nel pagamento di quanto dovuto trovi onon giustificazione per essere la domanda risarcitoria manifestamente eccessiva o la responsabilità dell’assicurato seriamente contestabile. Né rileva, ai fini della valutazione del comportamento dell’assicuratore, l’esito del giudizio di primo grado, dovendo tale valutazione effettuarsi non già ex post bensì ex ante, con riferimento alla situazione preesistente ed alla probabilità dell’esito del giudizio stesso, secondo il parametro della diligenza media richiesta all’assicuratore (Cassazione civile sez. III 28 novembre 2007 n. 24747).
In altri termini, l’assicuratore della r.c.a. può essere condannato a pagare somme eccedenti il massimale solo quando il ritardo sia colpevole; ovverosia quando l’assicuratore tiene una condotta negligente.
Nel caso di specie la condotta dell’assicuratore non fu negligente, ma deve ritenersi “prudenziale”, come può evincersi dai seguenti rilievi:
- a) i postumi permanenti patiti da Paolo Lakatosz si sono stabilizzati soltanto quasi quattro anni dopo il sinistro, a maggio del 2014;
- b) ne discende che ben prima della scadenza del termine legale entro il quale l’assicuratore avrebbe dovuto formulare la propria offerta alla vittima (lo spatium deliberandi può decorrere solo dal momento in cui l’assicuratore sia stato posto in condizione di conoscere gli esiti stabilizzati), Generali aveva pagato tramite vari acconti l’importo di 1.1350.00,00 €;
- c) al momento della formulazione della proposta transattiva (avente ad oggetto la messa a disposizione dell’intero massimale, pari ad € 3.000.000,00), così come al momento della stabilizzazione dei postumi, la dinamica del sinistro legittimava il sospetto di un concorso di colpa della vittima, per violazione dell’ 190c.d.s., pertanto non può ritenersi colpevole la decisione di corrispondere un importo non molto al di sotto della metà del massimale;
- d) ciò anche in considerazione del fatto che la liquidazione di alcune delle voci di danno lamentate richiedeva plurimi accertamenti e l’effettiva debenza era solo eventuale (personalizzazione del danno biologico permanente) o soggetta ad oscillazioni in base al criterio utilizzato (danno patrimoniale da incapacità lavorativa; danno patrimoniale per spese di assistenza futura).
- Conclusioni.
In definitiva, accertata la responsabilità del conducente del ciclomotore nella causazione del sinistro occorso a Paolo Lakatosz in data 17.7.2010, i convenuti vanno condannati al pagamento dei seguenti importi:
– in favore di Paolo Lakatosz, l’importo di € 348.929,94, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;
– in favore di A.B., a titolo di danno da lesione del rapporto parentale, la somma di euro 235.550,00 sulla quale andranno calcolati gli interessi compensativi e sulla somma ottenuta gli interessi legali dalla sentenza al saldo;
– in favore di A.B., a titolo di danno patrimoniale, la somma di euro 14.287,10, oltre accessori come in motivazione;
– in favore di R.L., a titolo di danno da lesione del rapporto parentale, la somma di euro 102.284,00 sulla quale andranno calcolati gli interessi compensativi e sulla somma ottenuta gli interessi legali dalla sentenza al saldo;
– in favore di S.L., a titolo di danno da lesione del rapporto parentale, euro 102.284,00 sulla quale andranno calcolati gli interessi compensativi e sulla somma ottenuta gli interessi legali dalla sentenza al saldo;
– in favore degli attori a titolo di danno patrimoniale per spese di CTU, CTP e assistenza stragiudiziale di euro 20.948,00 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.
- Regime delle spese processuali
Le spese di lite seguono il principio di soccombenza e si liquidano secondo i parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014 tenuto conto delle somme complessivamente liquidate a titolo risarcitorio e, tenuto conto dell’attività svolta, riducendo la nota spese depositata.
Le spese delle consulenze tecniche d’ufficio, già liquidate con separato decreto, devono porsi a carico dei convenuti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Novara, definitivamente pronunciando, ogni altra eccezione, conclusione e difesa disattesa, così provvede:
– accerta e dichiara che il sinistro per cui è causa è ascrivibile a responsabilità esclusiva di A.E.K.M.S. e A.E.K.M.S.;
– condanna in solido A.E.K.M.S., A.E.K.M.S. e G.I. s.p.a. (quest’ultima nei limiti del massimale di polizza, tenuto conto degli acconti già corrisposti) al pagamento:
- I) in favore di Paolo Lakatosz, dell’importo di € 348.929,94, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;
- II) in favore di A.B., a titolo di danno da lesione del rapporto parentale, della somma di euro 235.550,00 sulla quale andranno calcolati gli interessi come indicato in motivazione oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;
III) in favore di A.B., a titolo di danno patrimoniale, della somma di euro 14.287,10, oltre accessori come in motivazione;
- IV) in favore di R.L., a titolo di danno da lesione del rapporto parentale, della somma di euro 102.284,00 sulla quale andranno calcolati gli interessi come indicato in motivazione oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;
- V) in favore di S.L., a titolo di danno da lesione del rapporto parentale, della somma di euro 102.284,00 sulla quale andranno calcolati gli interessi come indicato in motivazione oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;
- VI) in favore degli attori a titolo di danno patrimoniale per spese di CTU, CTP e assistenza stragiudiziale della somma di euro 20.948,00 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.
– condanna, in solido per l’intero, A.E.K.M.S., A.E.K.M.S. e G.I. s.p.a. alla refusione delle spese di lite in favore degli attori che si liquidano in euro 68.412,00 per compensi ed euro 801,40 per esborsi, oltre il 15% del compenso a titolo di spese forfettarie, oltre IVA e CPA come per legge;
– pone le spese delle CTU, già liquidate con separati decreti, definitivamente a carico delle parti convenute in parti uguali.
Conclusione
Così deciso in Novara, il 12 aprile 2022.
Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2022.