MORTE SUL COLPO INCIDENTE DANNO BIOLOGICO TERMINALE
Al riguardo deve darsi seguito alla nomofilachia secondo la quale in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per
il danno morale catastrofale, da sofferenza nell’attesa consapevole del decesso, che peraltro la corte territoriale ha rilevato, anche qui senza censura, non essere stato domandato (pag. 7 della decisione, secondo capoverso).
È opportuno sottolineare, alla luce delle ragioni esposte nei motivi, che la decisione a Sezioni Unite citata, anche all’esito dell’esame della giurisprudenza comparata (pag. 10), hanno escluso dubbi di costituzionalità del regime normativo così ricostruito (pag. 14), in particolare valorizzando la scelta legislativa di affidare la tutela degli interessi sottesi alla sanzione penale, e la struttura (prevalentemente) compensativa della responsabilità civile (nel nostro ordinamento).
la nomofilachia ha puntualizzato che non può essere in contrario invocato il “diritto alla vita” di cui all’art. 2 CEDU, norma che, pur di carattere generale e diretta a tutelare ogni possibile componente del bene vita, non detta specifiche prescrizioni sull’ambito e i modi in cui tale tutela debba esplicarsi, né, in caso di decesso immediatamente conseguente a lesioni derivanti da fatto illecito, impone necessariamente al legislatore nazionale l’attribuzione della tutela risarcitoria, il cui riconoscimento in alcuni interventi normativi ha comunque carattere di specialità e tassatività, ed è inidoneo a modificare il vigente sistema della responsabilità civile, improntato al concetto di perdita-conseguenza e non sull’evento lesivo in sé considerato (Cass., 20/07/2016, n. 14940
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 9 aprile – 13 luglio 2018, n. 18555
Presidente Travaglino – Relatore Porreca
Fatti di causa
Ragioni della decisione
- Con il primo motivo di ricorso C.G. e S.J. prospettano la motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, cod. civ., 2, 3, 13, 22, 27, 32, Cost., poiché la corte di appello avrebbe errato nel negare il danno da perdita della vita, a sua volta massima espressione del diritto alla salute, quale riconosciuto, a titolo ereditario, da parte della giurisprudenza, distintamente da quello morale catastrofico, anche in ipotesi di morte istantanea.
Con il secondo motivo i suddetti ricorrenti prospettano la motivazione insufficiente e illogica con cui la corte di appello, errando, aveva negato il danno patrimoniale di cui in parte narrativa, non avendo ammesso la prova testimoniale articolata sul punto, e avendo trascurato le risultanze con cui era stato dimostrato che, prima del decesso, C.F. era convivente con la madre e aveva redditi chiaramente maggiori di quelli che aveva potuto documentare.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso M.D. e D.P.R. prospettano la violazione degli artt. 2, 3, 32, 117 Cost., e 2 C.E.D.U., per ragioni, inerenti l’esclusione del danno da morte, sovrapponibili a quelle esposte in parte del primo motivo di ricorso degli altri ricorrenti avverso la stessa sentenza, aggiungendo che, al riguardo, doveva ritenersi la capienza del massimale, su cui non potevano incidere voci come quelle relative alle spese processuali, e, in ogni caso, la sussistenza della responsabilità ultramassimale della compagnia assicuratrice, che non aveva messo spontaneamente a disposizione dei danneggiati le somme dovute.
2. Il primo motivo di entrambi i ricorsi, da esaminare sul punto congiuntamente per connessione, è infondato.
In primo luogo deve rilevarsi l’inammissibilità della censura relativa al vizio motivazionale. Infatti, preliminarmente a ogni altra delibazione sul punto, va fatta applicazione dell’art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ., che esclude la deducibilità del vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nei casi, come quello qui in scrutinio, di conferma della sentenza di primo grado da parte di quella di appello. La norma in parola risulta applicabile poiché il giudizio di secondo grado è stato introdotto nel dicembre 2013 (Cass., 18/12/2014, n. 26860, e succ. conf.).
Le censura, d’altro canto, anche quella dei ricorrenti C.G. e S.J., è essenzialmente “in iure”, chiedendosi, come visto, in riconoscimento del danno da perdita della vita, a titolo ereditario.
Al riguardo deve darsi seguito alla nomofilachia secondo la quale in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “iure haereditatis” di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo(Cass., Sez. U., 22/07/2015, n. 15350 e succ. conf.). Si tratta, come noto, della risoluzione di un contrasto emerso in specie a seguito di alcune pronunce di legittimità appena precedenti e infatti citate nei ricorsi (cfr., soprattutto, Cass., 23/01/2014, n. 1361).
Nella fattispecie qui in scrutinio, con accertamento incensurato, è stato stabilito che il decesso delle persone coinvolte avvenne “sul colpo” (pagg. 6, primo rigo, e 7, primo capoverso, della sentenza impugnata). Sicché non vi sarebbe stato margine neppure per il danno morale catastrofale, da sofferenza nell’attesa consapevole del decesso, che peraltro la corte territoriale ha rilevato, anche qui senza censura, non essere stato domandato (pag. 7 della decisione, secondo capoverso).
È opportuno sottolineare, alla luce delle ragioni esposte nei motivi, che la decisione a Sezioni Unite citata, anche all’esito dell’esame della giurisprudenza comparata (pag. 10), hanno escluso dubbi di costituzionalità del regime normativo così ricostruito (pag. 14), in particolare valorizzando la scelta legislativa di affidare la tutela degli interessi sottesi alla sanzione penale, e la struttura (prevalentemente) compensativa della responsabilità civile (nel nostro ordinamento).
Infine, la nomofilachia ha puntualizzato che non può essere in contrario invocato il “diritto alla vita” di cui all’art. 2 CEDU, norma che, pur di carattere generale e diretta a tutelare ogni possibile componente del bene vita, non detta specifiche prescrizioni sull’ambito e i modi in cui tale tutela debba esplicarsi, né, in caso di decesso immediatamente conseguente a lesioni derivanti da fatto illecito, impone necessariamente al legislatore nazionale l’attribuzione della tutela risarcitoria, il cui riconoscimento in alcuni interventi normativi ha comunque carattere di specialità e tassatività, ed è inidoneo a modificare il vigente sistema della responsabilità civile, improntato al concetto di perdita-conseguenza e non sull’evento lesivo in sé considerato(Cass., 20/07/2016, n. 14940).
2.1. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente inammissibile sia per le ragioni di cui all’incipit” del punto 2., sia per difetto di autosufficienza e quindi specificità della censura, che neppure indica e trascrive quando e in che termini sarebbero state richieste e offerte le prove di cui discorre mirando comunque a ottenere, in sostanza, una rilettura istruttoria, con conseguente inammissibilità anche a sotto tale profilo.
3. Le spese possono compensarsi, tenuto anche conto della disciplina “ratione temporis” vigente, attesa la risoluzione del contrasto giurisprudenziale di legittimità di cui si è dato conto, sopravvenuta ai ricorsi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.