COSA SUCCEDE E COME COMPORTARSI IN CASO DI MORTE DI UN FAMIGLIARE IN UN INCIDENTE STRADALE? A COSA SI HA DIRITTO?
Si chiama «danno da perdita parentale», esprime il concetto in modo semplice e diretto: chi perde un parente per un sinistro stradale deve ottenere dall’assicurazione un congruo
risarcimento del danno morale se dimostra un “vissuto” intenso con la vittima.
Una recente sentenza della Cassazione interviene sul tema. La sentenza è molto chiara e lineare: così facendo finisce per essere un vero e proprio vademecum per comprendere
quando è possibile ottenere il risarcimento per la morte di un familiare da incidente stradale
MORTE DEL FAMIGLIARE DANNO
Come si esprime la giurisprudenza nel caso di danno da morte del congiunto?
AD ESEMPIO NEL CASO DELLA MORTE DEL NONNO IN INCIDENTE
1)La prima, risalente nel tempo (Cass. 23 giugno 1993, n. 6938), ha ritenuto necessaria la convivenza.
Ha collegato la risarcibilità, oltre che all’esistenza del rapporto di parentela, alla perdita di un effettivo sostegno morale, ritenendo che tale perdita viene in rilievo solo in presenza di
una posizione qualificata.
E, non rinvenendo un vero e proprio diritto (del nonno) ad essere assistito, anche moralmente (dal nipote), ha ritenuto necessaria la convivenza, quale presupposto “che riveli la
perdita, di un valido e concreto sostegno morale” in caso di morte del nipote. La recente sentenza (Cass. 11 maggio 2007, n. 10823) ne costituisce un’applicazione
rispetto ai nipoti, per morte del nonno.
2) La seconda (Cass. 15 luglio 2005, n. 15019), resa in una fattispecie in cui rilevava solo il danno ai nipoti per la morte del nonno, non ha differenziato la posizione
dei nipoti rispetto agli stretti congiunti (coniuge, genitori, figli). Ha individuato il fondamento del danno non patrimoniale, per tutti i superstiti, nella lesione di valori
costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, costituendo la perdita dell’unità familiare perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale. Ha
ritenuto sufficiente l’emersione, sul piano probatorio, di “normali rapporti” che, specie in assenza di coabitazione, lasciano intendere come sia rimasto intatto, e si sia rafforzato nel
tempo, il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti. Ha escluso che l’assenza di coabitazione possa essere considerata elemento decisivo, essendo tale assenza imputabile a
circostanze di vita che non escludono il permanere di vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto.
Nella ricostruzione del panorama giurisprudenziale non assumono rilievo, invece, due pronunce richiamate dai ricorrenti a sostegno della loro tesi dell’irrilevanza della convivenza,
concernendo l’una il danno ai fratelli (Cass. 1 agosto 1987, n. 6672), ed essendo stato dichiarato inammissibile per ragioni procedurali il richiesto danno al nipote, e non venendo in
questione la convivenza o meno con la nuora, nell’altra decisione (Cass. 19 agosto 2003, n. 12124).
La morte di un congiunto, conseguente a fatto illecito, configura per i superstiti del nucleo familiare un danno non patrimoniale diretto ed ingiusto, costituito dalla lesione di valori
costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, perché la perdita dell’unità familiare è perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale. Risulta quindi
evidente, da siffatta impostazione, che il danno in questione, incidendo esclusivamente sulla psicologia, sugli affetti e sul legame parentale esistente tra la vittima dell’atto illecito e i
superstiti, non è riconoscibile se non attraverso elementi indiziari e presuntivi, che, opportunamente valutati, con il ricorso ad un criterio di normalità, possano determinare il
convincimento del Giudice, Nè l’assenza di coabitazione può essere considerata elemento decisivo di valutazione quando si consideri che tale assenza sia imputabile a circostanze di
vita che non escludono il permanere dei vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto. (Nel caso di specie secondo la Suprema Corte appare illogica la pretesa,
avanzata dal giudice di merito, circa la necessità di “una prova in senso tecnico”, a dimostrazione del dolore dei superstiti, che, essendo sostanzialmente un sentimento, e, comunque,
un danno di portata spirituale, può essere rilevato soltanto in maniera indiretta).
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 15 luglio 2005 n. 15019
La risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da atto illecito penale postula, oltre all’esistenza del rapporto di parentela, il concorso di ulteriori circostanze atte a
far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo valido sostegno morale. Trattandosi nel caso di specie di avi (nonni), non viene in considerazione un
soggetto che abbia un vero e proprio diritto ad essere assistito anche moralmente (dal nipote). Sicché, trattandosi di soggetto diverso, occorre, oltre il vincolo di stretta parentela, un
presupposto (es. convivenza) che riveli la perdita appunto di un valido e concreto sostegno morale.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 giugno 1993 n. 6938
In caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’articolo 29 cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto (precedente conforme cass. civ. 21230 del 2016).
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 7 dicembre 2017 n. 29332
Il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, determina un danno non patrimoniale, consistente nella perdita del rapporto parentale, quando colpisce soggetti legati da un
vincolo parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all’ intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare nucleare. Mentre,
affinché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori di tale nucleo (nonni, nipoti, genero, nuora) é necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui
si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico. Solo in tal modo il rapporto
tra danneggiato primario e secondario assume rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la
quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno (articolo 2 Cost.).
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 16 marzo 2012 n. 4253
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