MILANO BANCAROTTA TRIBUNALE CORTE APPELLO
LA CORTE CASSAZIONE ANNULLA CIRCA LA DURATA PENE ACCESSORIE
Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata, quanto al delitto di bancarotta fraudolenta, limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame su tale punto.
L’imputato, rimasto soccombente nei confronti delle parti civili, ai sensi dell’art. 541 c.p.p., deve essere condannato alla rifusione in favore di quest’ultima delle spese processuali liquidate, quanto al fallimento (OMISSIS) s.p.a., in complessivi Euro 1.755,00, oltre accessori ed IVA e, quanto a (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l., in Euro 4.212,00, oltre accessori ed IVA. 5. Quanto alla istanza di correzione, è ben vero che la pena principale inflitta all’imputato con la sentenza di primo grado è pari ad anni quattro e mesi quattro di reclusione; tuttavia, tale errore, non essendo contenuto nel dispositivo, non assume alcuna rilevanza, cosicchè non risulta necessario procedere alla sua correzione, alla quale il ricorrente non può vantare alcun interesse.
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 15 giugno 2017 che, per quanto di interesse in questa sede, ha affermato la penale responsabilità di S.A. per il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere (capo A), per più delitti di concorso in fittizia intestazione di beni di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 1992, n. 356 (capo B, punti b e c, e capo F) e per due condotte di concorso in bancarotta patrimoniale relative al fallimento della (OMISSIS) s.p.a., unificate, R.D. n. 267 del 1942, ex art. 219, in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravato (capo E, punti f e h) e, ritenuta la continuazione tra i reati, lo ha condannato alla pena di giustizia ed alle pene accessorie previste R.D. n. 267 del 1942, art. 216, u.c., la cui durata è stata fissata in anni dieci, ed alla interdizione temporanea dai pubblici uffici, nonchè al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore delle parti civili (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.r.l., Fallimento (OMISSIS) s.r.l. e fallimento (OMISSIS) s.p.a..
In particolare, lo S. è stato condannato per avere fatto parte di una associazione finalizzata alla commissione di reati di corruzione onde acquisire il controllo di attività economiche mediante l’aggiudicazione di subappalti di opere pubbliche, reati fiscali, reati di falso, truffa e bancarotta nonchè di riciclaggio mediante varie società tra loro collegate e tutte svolgenti la medesima attività e gestite di fatto da soggetti diversi da coloro che formalmente ne erano amministratori e le cui quote societarie erano fittiziamente intestate a soggetti diversi dai reali titolari (capo A).
rEPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Presidente –
Dott. ROMANO Michele – rel. Consigliere –
Dott. SESSA Renata – Consigliere –
Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Consigliere –
Dott. CARUSILLO Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/03/2019 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROMANO Michele;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DI LEO Giovanni, che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari e l’inammissibilità del ricorso nel resto;
lette le richieste del difensore della parte civile fallimento (OMISSIS) s.p.a., avv. Vincenzo Nardo, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese;
lette le richieste del difensore delle parti civili (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l., avv. Massimo Pellicciotta, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese; lette le richieste del difensore del ricorrente, avv. Armando Gerace, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
- Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 15 giugno 2017 che, per quanto di interesse in questa sede, ha affermato la penale responsabilità di S.A. per il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere (capo A), per più delitti di concorso in fittizia intestazione di beni di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 1992, n. 356(capo B, punti b e c, e capo F) e per due condotte di concorso in bancarotta patrimoniale relative al fallimento della (OMISSIS) s.p.a., unificate, R.D. n. 267 del 1942, ex art. 219, in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravato (capo E, punti f e h) e, ritenuta la continuazione tra i reati, lo ha condannato alla pena di giustizia ed alle pene accessorie previste R.D. n. 267 del 1942, art. 216, u.c., la cui durata è stata fissata in anni dieci, ed alla interdizione temporanea dai pubblici uffici, nonchè al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore delle parti civili (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.r.l., Fallimento (OMISSIS) s.r.l. e fallimento (OMISSIS) s.p.a..
In particolare, lo S. è stato condannato per avere fatto parte di una associazione finalizzata alla commissione di reati di corruzione onde acquisire il controllo di attività economiche mediante l’aggiudicazione di subappalti di opere pubbliche, reati fiscali, reati di falso, truffa e bancarotta nonchè di riciclaggio mediante varie società tra loro collegate e tutte svolgenti la medesima attività e gestite di fatto da soggetti diversi da coloro che formalmente ne erano amministratori e le cui quote societarie erano fittiziamente intestate a soggetti diversi dai reali titolari (capo A).
Inoltre, onde eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali, avrebbe fittiziamente intestato a C.G.M. le quote sociali pari al 100% del capitale della Metal Energy s.r.l. e poi le quote sociali pari al 100% del capitale della Stella s.r.l., per poi procedere alla fusione delle due società dando vita alla (OMISSIS) s.p.a., le cui quote sarebbero state fittiziamente intestate ad altri soggetti (capo B).
Allo S. si contesta pure di avere concorso con gli amministratori della (OMISSIS) s.p.a., dichiarata fallita il 18 gennaio 2016, nella distrazione della somma di Euro 21.000,00 appartenente alla predetta società ed utilizzata per l’acquisto di un’autovettura da parte di M.G., che in realtà era mero intestatario fittizio, poichè l’autovettura era in uso esclusivo allo S., nonchè nella distrazione delle somme di denaro erogate a tre soggetti di origine calabrese, M.G., S.R. e R.A., quali retribuzioni di rapporti lavorativi fittizi (capo E).
Infine, gli si contesta di avere fittiziamente intestato a M.G. la predetta autovettura onde eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali (capo F).
- Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.A., a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a sei motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, quanto al delitto associativo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), la “infondatezza” della motivazione ed il travisamento del fatto in conseguenza dell’omessa valutazione delle prove offerte dalla difesa.
Sostiene che dalla motivazione della sentenza non può comprendersi il momento nel quale egli avrebbe aderito all’associazione e non si comprende quale interesse avrebbero avuto gli altri aderenti al sodalizio criminale a farlo partecipare. In ogni caso manca la prova di un suo effettivo e stabile contributo all’associazione. L’affermazione di responsabilità poggia sul rapporto tra lo S. e P.S., che in realtà trova giustificazione nella comune passione per i cani. In occasione della conversazione, oggetto di intercettazione, presso il ristorante (OMISSIS), in cui gli investigatori apprendono i nomi dei partecipanti al sodalizio e del loro ruolo all’interno dell’associazione, lo S. non viene neppure menzionato; neppure il suo nome viene profferito in occasione delle altre conversazioni intercettate.
All’imputato viene attribuito nella sentenza il ruolo di pacificatore tra due associati, il P. ed il C., ma tale attività, essendo i due litiganti suoi amici di vecchia data, non deponeva in modo univoco per la sua appartenenza al sodalizio.
I testi avevano riferito che lo S. si era recato solo sporadicamente presso gli uffici della (OMISSIS) s.p.a. e sempre per ragioni diverse da quella di partecipare a riunioni con gli altri associati.
Gli indizi sui quali si fonda l’affermazione di penale responsabilità non sono dotati dei requisiti fissati dall’art. 192 c.p.p., comma 3 e la condanna poggia su mere congetture.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, quanto alle condotte di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), la violazione dell’art. 238-bis c.p.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per travisamento conseguente all’omessa valutazione della sentenza della Corte di appello di Milano, acquisita ex art. 603 c.p.p., con la quale è stato assolto M.G. dalla medesima imputazione essendo dimostrato che le somme a lui versate dalla (OMISSIS) s.p.a. erano a lui dovute; inoltre si lamenta il travisamento della documentazione prodotta a dimostrazione dell’esborso economico del M..
Con la sentenza suddetta il M., all’esito del giudizio abbreviato, era stato assolto dal delitto di concorso in bancarotta perchè il fatto non sussiste, in quanto non era stata ritenuta provata la circostanza che l’autovettura fosse stata acquistata con somme appartenenti alla (OMISSIS) s.p.a.. L’ordinamento non ammette che un fatto sia ritenuto esistente da un giudice ed inesistente da altro giudice e la Corte di appello, omettendo di valutare la predetta sentenza, era incorsa in un vizio motivazionale che imponeva l’annullamento del provvedimento impugnato in questa sede.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, quanto alle condotte di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), la apparenza della motivazione e l’impiego di formule di stile, nonchè la mancata valutazione del compendio probatorio, travisato per omissione.
In particolare, sebbene risulti provato documentalmente che la somma utilizzata per l’acquisto dell’autovettura apparteneva al M. e non alla fallita, in sentenza si afferma che non vi erano ragioni di credito del M. nei confronti della società, mentre tali ragioni risiedono nell’attività lavorativa prestata dal M. in favore della fallita, come emerge dalle deposizioni testimoniali e dalla sentenza che ha assolto il M.. Lo S. neppure è stato condannato per partecipazione ad associazione di tipo mafioso, come sembra invece alludere la sentenza impugnata in questa sede; difatti, la misura di prevenzione patrimoniale a lui applicata è stata revocata.
Allo S. era stata contestata la distrazione di somme erogate in favore di due calabresi, il M. ed il R., che in realtà si erano sempre svegliati all’alba per poi lavorare sino a tarda sera.
Neppure il ruolo di amministratore di fatto della fallita a lui attribuito poggiava su concreti atti di gestione. In una conversazione intercettata il M.S. aveva descritto come fossero realmente ripartite tra i soci le quote di partecipazione al capitale sociale e tra i soci lo S. non era stato affatto menzionato. Anche da una conversazione tra il T. e lo S. emergeva che quest’ultimo era estraneo alla compagine sociale.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, quanto alle condotte di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), il travisamento del fatto e la violazione delle norme incriminatrici in tema di bancarotta fraudolenta, laddove allo S. viene attribuito il ruolo di socio occulto.
Sostiene che di tale ruolo non vi è alcuna prova e che esso non può essere desunto esclusivamente dalla vicenda relativa all’intestazione dell’autovettura.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, quanto alle condotte di fittizia intestazione di cui ai capi B) e F), ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), l’omessa valutazione del compendio probatorio.
Dalla conversazione del M., oggetto di intercettazione, risultava che lo S. non era l’effettivo titolare delle quote societarie della fallita. Quanto all’autovettura, lo S. non era destinatario di alcuna misura di prevenzione patrimoniale.
2.6. Con il sesto “motivo” il ricorrente lamenta un errore materiale a pag. 1 della motivazione della sentenza di secondo grado, laddove si afferma che egli è stato condannato ad anni quattro e mesi sei di reclusione, mentre la pena inflitta è pari ad anni quattro e mesi quattro di reclusione.
- Il difensore del ricorrente ha depositato una memoria contenente motivi nuovi con i quali ha sostanzialmente ribadito i motivi del suo ricorso introduttivo.
Motivi della decisione
- Il primo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso sono inammissibili.
Le censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all’interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all’esterno dei limiti del sindacato di legittimità. La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili o perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
Inoltre, il ricorrente si è in questa sede limitato a reiterare le medesime argomentazioni svolte nell’atto di appello, senza attaccare le ragioni poste dal giudice di appello a fondamento della sua decisione, cosicchè appare evidente la genericità dei motivi di ricorso.
E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997 – dep. 1998, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
- Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Esso è manifestamente infondato atteso che la Corte di appello ha ricostruito dettagliatamente alle pagine 9 e 10 della motivazione della sentenza di secondo grado, che a sua volta richiama anche le pagine 103 e seguenti della motivazione della sentenza di primo grado, le modalità utilizzate per far pervenire le somme erogate dalla (OMISSIS) s.p.a. alla Media Car, che ha trasferito al M. l’autovettura che è stata poi utilizzata in via esclusiva dallo S..
In tal modo, la Corte di appello ha implicitamente chiarito le ragioni per le quali non ha ritenuto di condividere le conclusioni cui è giunta la Corte di appello con la decisione che ha assolto il M..
Nè può sostenersi che tale decisione vincolasse la Corte di appello, nel valutare la posizione dello S., alle medesime conclusioni.
La sentenza passata in giudicato ha un’efficacia preclusiva soltanto nei confronti del medesimo imputato e in relazione al medesimo fatto e non sussistono rimedi in caso di contrasto sostanziale di giudicati formatisi sullo stesso fatto in procedimenti diversi per imputati diversi. Pertanto, il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revisione di una sentenza definitiva non ricorre nell’ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica dello stesso fatto operata da giudici diversi (Sez. 5, n. 633 del 06/12/2017, dep. 2018, Boschetti, Rv. 271928; Sez. 6, n. 12030 del 04/03/2014, Formicola, Rv. 259461).
Laddove, poi, si lamenta il travisamento della sentenza pronunciata nei confronti del M., il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto detta sentenza non viene “specificamente indicata”.
In tema di ricorso per cassazione, la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito, purchè detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. d) e art. 591 c.p.p. (Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021 Ud., Centofanti, Rv. 280384).
Analoghe considerazioni valgono in relazione alle altre prove di cui il ricorrente ha lamentato il travisamento.
- Stante l’inammissibilità dei motivi di ricorso, l’epilogo al quale l’impugnazione sarebbe destinata è quello dell’inammissibilità.
Deve, tuttavia, essere rilevata l’illegalità delle pene accessorie fallimentari la cui durata è stata determinata, ai sensi del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, u.c., nella misura fissa di anni dieci.
Difatti, la Corte costituzionale ha dichiarato, con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la illegittimità del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, u. c., nella parte in cui determina nella misura fissa di anni dieci la durata della pena accessoria da essa prevista.
L’illegalità della pena, dipendente da una statuizione ab origine contraria all’assetto normativo vigente al momento consumativo del reato, è rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione anche nel caso in cui il ricorso sia inammissibile (Sez. 3, n. 6997 del 22/11/2017, dep. 2018, C, Rv. 272090, che ha eliminato la pena accessoria di cui all’art. 609-nonies c.p., comma 2, illegalmente applicata poichè il reato di violenza sessuale non risultava commesso nei confronti di minori).
Per effetto della sentenza della Corte costituzionale sopra citata, la pena accessoria inflitta con la sentenza impugnata in questa sede è divenuta illegale, cosicchè la sentenza impugnata in questa sede deve, in tale parte, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Peraltro, a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale, le Sezioni Unite hanno affermato che la durata delle pene accessorie deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri fissati dall’art. 133 c.p. e non in misura pari a quella della pena principale ai sensi dell’art. 37 c.p. (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Surace, Rv. 276286).
- Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata, quanto al delitto di bancarotta fraudolenta, limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame su tale punto.
L’imputato, rimasto soccombente nei confronti delle parti civili, ai sensi dell’art. 541 c.p.p., deve essere condannato alla rifusione in favore di quest’ultima delle spese processuali liquidate, quanto al fallimento (OMISSIS) s.p.a., in complessivi Euro 1.755,00, oltre accessori ed IVA e, quanto a (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l., in Euro 4.212,00, oltre accessori ed IVA. 5. Quanto alla istanza di correzione, è ben vero che la pena principale inflitta all’imputato con la sentenza di primo grado è pari ad anni quattro e mesi quattro di reclusione; tuttavia, tale errore, non essendo contenuto nel dispositivo, non assume alcuna rilevanza, cosicchè non risulta necessario procedere alla sua correzione, alla quale il ricorrente non può vantare alcun interesse.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Fallimento (OMISSIS) s.p.a. che liquida in complessivi Euro 1.755,00 oltre accessori di legge, e dalle parti civili (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l. che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021
rEPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Presidente –
Dott. ROMANO Michele – rel. Consigliere –
Dott. SESSA Renata – Consigliere –
Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Consigliere –
Dott. CARUSILLO Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/03/2019 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROMANO Michele;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DI LEO Giovanni, che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari e l’inammissibilità del ricorso nel resto;
lette le richieste del difensore della parte civile fallimento (OMISSIS) s.p.a., avv. Vincenzo Nardo, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese;
lette le richieste del difensore delle parti civili (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l., avv. Massimo Pellicciotta, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese; lette le richieste del difensore del ricorrente, avv. Armando Gerace, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
- Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 15 giugno 2017 che, per quanto di interesse in questa sede, ha affermato la penale responsabilità di S.A. per il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere (capo A), per più delitti di concorso in fittizia intestazione di beni di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 1992, n. 356(capo B, punti b e c, e capo F) e per due condotte di concorso in bancarotta patrimoniale relative al fallimento della (OMISSIS) s.p.a., unificate, R.D. n. 267 del 1942, ex art. 219, in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravato (capo E, punti f e h) e, ritenuta la continuazione tra i reati, lo ha condannato alla pena di giustizia ed alle pene accessorie previste R.D. n. 267 del 1942, art. 216, u.c., la cui durata è stata fissata in anni dieci, ed alla interdizione temporanea dai pubblici uffici, nonchè al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore delle parti civili (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.r.l., Fallimento (OMISSIS) s.r.l. e fallimento (OMISSIS) s.p.a..
In particolare, lo S. è stato condannato per avere fatto parte di una associazione finalizzata alla commissione di reati di corruzione onde acquisire il controllo di attività economiche mediante l’aggiudicazione di subappalti di opere pubbliche, reati fiscali, reati di falso, truffa e bancarotta nonchè di riciclaggio mediante varie società tra loro collegate e tutte svolgenti la medesima attività e gestite di fatto da soggetti diversi da coloro che formalmente ne erano amministratori e le cui quote societarie erano fittiziamente intestate a soggetti diversi dai reali titolari (capo A).
Inoltre, onde eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali, avrebbe fittiziamente intestato a C.G.M. le quote sociali pari al 100% del capitale della Metal Energy s.r.l. e poi le quote sociali pari al 100% del capitale della Stella s.r.l., per poi procedere alla fusione delle due società dando vita alla (OMISSIS) s.p.a., le cui quote sarebbero state fittiziamente intestate ad altri soggetti (capo B).
Allo S. si contesta pure di avere concorso con gli amministratori della (OMISSIS) s.p.a., dichiarata fallita il 18 gennaio 2016, nella distrazione della somma di Euro 21.000,00 appartenente alla predetta società ed utilizzata per l’acquisto di un’autovettura da parte di M.G., che in realtà era mero intestatario fittizio, poichè l’autovettura era in uso esclusivo allo S., nonchè nella distrazione delle somme di denaro erogate a tre soggetti di origine calabrese, M.G., S.R. e R.A., quali retribuzioni di rapporti lavorativi fittizi (capo E).
Infine, gli si contesta di avere fittiziamente intestato a M.G. la predetta autovettura onde eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali (capo F).
- Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.A., a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a sei motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, quanto al delitto associativo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), la “infondatezza” della motivazione ed il travisamento del fatto in conseguenza dell’omessa valutazione delle prove offerte dalla difesa.
Sostiene che dalla motivazione della sentenza non può comprendersi il momento nel quale egli avrebbe aderito all’associazione e non si comprende quale interesse avrebbero avuto gli altri aderenti al sodalizio criminale a farlo partecipare. In ogni caso manca la prova di un suo effettivo e stabile contributo all’associazione. L’affermazione di responsabilità poggia sul rapporto tra lo S. e P.S., che in realtà trova giustificazione nella comune passione per i cani. In occasione della conversazione, oggetto di intercettazione, presso il ristorante (OMISSIS), in cui gli investigatori apprendono i nomi dei partecipanti al sodalizio e del loro ruolo all’interno dell’associazione, lo S. non viene neppure menzionato; neppure il suo nome viene profferito in occasione delle altre conversazioni intercettate.
All’imputato viene attribuito nella sentenza il ruolo di pacificatore tra due associati, il P. ed il C., ma tale attività, essendo i due litiganti suoi amici di vecchia data, non deponeva in modo univoco per la sua appartenenza al sodalizio.
I testi avevano riferito che lo S. si era recato solo sporadicamente presso gli uffici della (OMISSIS) s.p.a. e sempre per ragioni diverse da quella di partecipare a riunioni con gli altri associati.
Gli indizi sui quali si fonda l’affermazione di penale responsabilità non sono dotati dei requisiti fissati dall’art. 192 c.p.p., comma 3 e la condanna poggia su mere congetture.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, quanto alle condotte di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), la violazione dell’art. 238-bis c.p.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per travisamento conseguente all’omessa valutazione della sentenza della Corte di appello di Milano, acquisita ex art. 603 c.p.p., con la quale è stato assolto M.G. dalla medesima imputazione essendo dimostrato che le somme a lui versate dalla (OMISSIS) s.p.a. erano a lui dovute; inoltre si lamenta il travisamento della documentazione prodotta a dimostrazione dell’esborso economico del M..
Con la sentenza suddetta il M., all’esito del giudizio abbreviato, era stato assolto dal delitto di concorso in bancarotta perchè il fatto non sussiste, in quanto non era stata ritenuta provata la circostanza che l’autovettura fosse stata acquistata con somme appartenenti alla (OMISSIS) s.p.a.. L’ordinamento non ammette che un fatto sia ritenuto esistente da un giudice ed inesistente da altro giudice e la Corte di appello, omettendo di valutare la predetta sentenza, era incorsa in un vizio motivazionale che imponeva l’annullamento del provvedimento impugnato in questa sede.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, quanto alle condotte di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), la apparenza della motivazione e l’impiego di formule di stile, nonchè la mancata valutazione del compendio probatorio, travisato per omissione.
In particolare, sebbene risulti provato documentalmente che la somma utilizzata per l’acquisto dell’autovettura apparteneva al M. e non alla fallita, in sentenza si afferma che non vi erano ragioni di credito del M. nei confronti della società, mentre tali ragioni risiedono nell’attività lavorativa prestata dal M. in favore della fallita, come emerge dalle deposizioni testimoniali e dalla sentenza che ha assolto il M.. Lo S. neppure è stato condannato per partecipazione ad associazione di tipo mafioso, come sembra invece alludere la sentenza impugnata in questa sede; difatti, la misura di prevenzione patrimoniale a lui applicata è stata revocata.
Allo S. era stata contestata la distrazione di somme erogate in favore di due calabresi, il M. ed il R., che in realtà si erano sempre svegliati all’alba per poi lavorare sino a tarda sera.
Neppure il ruolo di amministratore di fatto della fallita a lui attribuito poggiava su concreti atti di gestione. In una conversazione intercettata il M.S. aveva descritto come fossero realmente ripartite tra i soci le quote di partecipazione al capitale sociale e tra i soci lo S. non era stato affatto menzionato. Anche da una conversazione tra il T. e lo S. emergeva che quest’ultimo era estraneo alla compagine sociale.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, quanto alle condotte di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), il travisamento del fatto e la violazione delle norme incriminatrici in tema di bancarotta fraudolenta, laddove allo S. viene attribuito il ruolo di socio occulto.
Sostiene che di tale ruolo non vi è alcuna prova e che esso non può essere desunto esclusivamente dalla vicenda relativa all’intestazione dell’autovettura.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, quanto alle condotte di fittizia intestazione di cui ai capi B) e F), ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), l’omessa valutazione del compendio probatorio.
Dalla conversazione del M., oggetto di intercettazione, risultava che lo S. non era l’effettivo titolare delle quote societarie della fallita. Quanto all’autovettura, lo S. non era destinatario di alcuna misura di prevenzione patrimoniale.
2.6. Con il sesto “motivo” il ricorrente lamenta un errore materiale a pag. 1 della motivazione della sentenza di secondo grado, laddove si afferma che egli è stato condannato ad anni quattro e mesi sei di reclusione, mentre la pena inflitta è pari ad anni quattro e mesi quattro di reclusione.
- Il difensore del ricorrente ha depositato una memoria contenente motivi nuovi con i quali ha sostanzialmente ribadito i motivi del suo ricorso introduttivo.
Motivi della decisione
- Il primo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso sono inammissibili.
Le censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all’interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all’esterno dei limiti del sindacato di legittimità. La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili o perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
Inoltre, il ricorrente si è in questa sede limitato a reiterare le medesime argomentazioni svolte nell’atto di appello, senza attaccare le ragioni poste dal giudice di appello a fondamento della sua decisione, cosicchè appare evidente la genericità dei motivi di ricorso.
E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997 – dep. 1998, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
- Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Esso è manifestamente infondato atteso che la Corte di appello ha ricostruito dettagliatamente alle pagine 9 e 10 della motivazione della sentenza di secondo grado, che a sua volta richiama anche le pagine 103 e seguenti della motivazione della sentenza di primo grado, le modalità utilizzate per far pervenire le somme erogate dalla (OMISSIS) s.p.a. alla Media Car, che ha trasferito al M. l’autovettura che è stata poi utilizzata in via esclusiva dallo S..
In tal modo, la Corte di appello ha implicitamente chiarito le ragioni per le quali non ha ritenuto di condividere le conclusioni cui è giunta la Corte di appello con la decisione che ha assolto il M..
Nè può sostenersi che tale decisione vincolasse la Corte di appello, nel valutare la posizione dello S., alle medesime conclusioni.
La sentenza passata in giudicato ha un’efficacia preclusiva soltanto nei confronti del medesimo imputato e in relazione al medesimo fatto e non sussistono rimedi in caso di contrasto sostanziale di giudicati formatisi sullo stesso fatto in procedimenti diversi per imputati diversi. Pertanto, il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revisione di una sentenza definitiva non ricorre nell’ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica dello stesso fatto operata da giudici diversi (Sez. 5, n. 633 del 06/12/2017, dep. 2018, Boschetti, Rv. 271928; Sez. 6, n. 12030 del 04/03/2014, Formicola, Rv. 259461).
Laddove, poi, si lamenta il travisamento della sentenza pronunciata nei confronti del M., il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto detta sentenza non viene “specificamente indicata”.
In tema di ricorso per cassazione, la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito, purchè detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. d) e art. 591 c.p.p. (Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021 Ud., Centofanti, Rv. 280384).
Analoghe considerazioni valgono in relazione alle altre prove di cui il ricorrente ha lamentato il travisamento.
- Stante l’inammissibilità dei motivi di ricorso, l’epilogo al quale l’impugnazione sarebbe destinata è quello dell’inammissibilità.
Deve, tuttavia, essere rilevata l’illegalità delle pene accessorie fallimentari la cui durata è stata determinata, ai sensi del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, u.c., nella misura fissa di anni dieci.
Difatti, la Corte costituzionale ha dichiarato, con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la illegittimità del R.D. n. 267 del 1942, art. 216, u. c., nella parte in cui determina nella misura fissa di anni dieci la durata della pena accessoria da essa prevista.
L’illegalità della pena, dipendente da una statuizione ab origine contraria all’assetto normativo vigente al momento consumativo del reato, è rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione anche nel caso in cui il ricorso sia inammissibile (Sez. 3, n. 6997 del 22/11/2017, dep. 2018, C, Rv. 272090, che ha eliminato la pena accessoria di cui all’art. 609-nonies c.p., comma 2, illegalmente applicata poichè il reato di violenza sessuale non risultava commesso nei confronti di minori).
Per effetto della sentenza della Corte costituzionale sopra citata, la pena accessoria inflitta con la sentenza impugnata in questa sede è divenuta illegale, cosicchè la sentenza impugnata in questa sede deve, in tale parte, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Peraltro, a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale, le Sezioni Unite hanno affermato che la durata delle pene accessorie deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri fissati dall’art. 133 c.p. e non in misura pari a quella della pena principale ai sensi dell’art. 37 c.p. (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Surace, Rv. 276286).
- Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata, quanto al delitto di bancarotta fraudolenta, limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame su tale punto.
L’imputato, rimasto soccombente nei confronti delle parti civili, ai sensi dell’art. 541 c.p.p., deve essere condannato alla rifusione in favore di quest’ultima delle spese processuali liquidate, quanto al fallimento (OMISSIS) s.p.a., in complessivi Euro 1.755,00, oltre accessori ed IVA e, quanto a (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l., in Euro 4.212,00, oltre accessori ed IVA. 5. Quanto alla istanza di correzione, è ben vero che la pena principale inflitta all’imputato con la sentenza di primo grado è pari ad anni quattro e mesi quattro di reclusione; tuttavia, tale errore, non essendo contenuto nel dispositivo, non assume alcuna rilevanza, cosicchè non risulta necessario procedere alla sua correzione, alla quale il ricorrente non può vantare alcun interesse.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Fallimento (OMISSIS) s.p.a. che liquida in complessivi Euro 1.755,00 oltre accessori di legge, e dalle parti civili (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l. che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021