SAPEVI CHE NELLE SEPARAZIONI LE MAGGIORI LITI AVVENGONO PER AFFIDO E GESTIONE DEI FIGLI? FORSE NO!
LITE PER I FIGLI SEPARAZIONE E DIVORZIO BOLOGNA RAVENNA FORLI COMPETENZA
Il minore ha il diritto, tutelato dal diritto sovranazionale e, nel nostro
ordinamento, dall’art. 1 della legge 4 maggio 1983 n. 184, di crescere
nell’ambito della propria famiglia d’origine, che
va considerata l’ambiente più
idoneo al suo armonico sviluppo psicofisiche
l’art. 38, primo comma, disp. alt. cod. civ. (come modificato dall’art. 3, comma
1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a
decorrere dall’9 gennaio 2013), si interpreta nel senso che,
per i procedimenti di cui agli arti. 330 e 333 cod. civ, la competenza è attribuita in
via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di
separazione, di divario o ex art. 316 cod. civ., e fino alla sua definitiva conclusione,
in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti
limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e
richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un’ipotesi di
connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare,
individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo
grado, ovvero nella corte d’appello in composi-ione ordinaria, se penda il termine
per l’impugnazione o sia stato interposto appello»;[wpforms id=”21592″]
circa sulle nuove regole in materia di competenza del Tribunale dei Minori dettate dall’art. 38 disp. att. c.c. così come modificato dal D.lgs n. 219/2012.
sulle nuove regole in materia di competenza del Tribunale dei Minori dettate dall’art. 38 disp. att. c.c. così come modificato dal D.lgs n. 219/2012. Secondo il disposto dell’art. 38 disp. att. c.c. antecedente alla citata riforma “sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 171, 194, comma secondo, 250, 252, 262, 264, 316, 317-bis, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall’articolo 269, primo comma, del codice civile. Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. In ogni caso il tribunale provvede in camera di consiglio sentito il pubblico ministero. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni”. Senza entrare nel merito delle discrasie processuali difficilmente giustificabili sotto il profilo dell’uguaglianza e in riferimento alle esigenze di coerenza ed efficienza processuali, si deve comunque sottolineare che nel regime ante riforma vi era una netta differenza di trattamento tra i casi di filiazione legittima e quella di filiazione naturale (termini ormai definitivamente espunti dal linguaggio legislativo) anche per quanto attiene la ripartizione della competenza. In particolare il Tribunale ordinario era competente per le azioni di disconoscimento di paternità, di contestazione e di reclamo di legittimità, mentre il Tribunale dei minorenni lo era per tutti i giudizi relativi alla filiazione naturale, con la limitazione, per quanto riguarda le azioni di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, alle ipotesi in cui le stesse riguardassero soggetti ancora minori di età, nonché per le decisioni relative alla potestà dei genitori e per i procedimenti di adozione.
Nel momento in cui il legislatore è finalmente intervenuto eliminando ogni disparità di trattamento, anche lessicale, tra figli legittimi, legittimati e naturali si è rea necessaria una riscrittura dell’art. 38 disp. att. c.c., riforma per altro auspicata da tempo da dottrina e giurisprudenza per le ragioni di ordine processuale cui si è fatto riferimento sopra. Attualmente detto articolo prevede: “Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90,330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all’articolo 333resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316, del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile. Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni”.
La riduzione della competenza del Tribunale dei minori
La riduzione della competenza del Tribunale dei minori risponde non solo ad una logica di ricerca della parità di trattamento tra tutte le ipotesi di filiazione, ma anche ad esigenze di coerenza ed efficienza in riferimento al prioritario interesse del minore che funge da faro per l’intero sistema. L’intenzione del legislatore del 2012 non era infatti quella di escludere dalle controversie in materia di responsabilità e potestà genitoriale il giudice specializzato, bensì quella di evitare che su di uno stesso oggetto venissero adottati provvedimenti contrastanti e che potessero essere presentate istanze al solo fine di spostare la competenza. Si evidenzia infatti che interesse del minore è anche quello di veder sottratte le regole in materia di competenza al mero arbitrio delle parti così che venga garantito un assetto stabile e coerente di regole in materia.
l’art. 38, primo comma, primo periodo, disp. att. c.c. – nel testo sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 1° gennaio 2013
, la Suprema Corte ha affermato che “l’art. 38, primo comma, primo periodo, disp. att. c.c. – nel testo sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 1° gennaio 2013 (si veda l’art. 4, comma 1, della stessa legge 219 del 2012), come nella specie – attribuisce tra l’altro, in via generale, al tribunale per i minorenni la competenza per i provvedimenti previsti dagli artt. 330 e 333 c.c.. In deroga a tale attribuzione di competenza, quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o un giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c., anche in pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza, fino al passaggio in giudicato, la competenza in ordine alle azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un’ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva) deve attribuirsi al giudice del conflitto familiare (Tribunale ordinario e Corte d’Appello). L’identità delle parti dei due giudizi non è esclusa dalla partecipazione del p.m. Ne consegue che nel caso, quale quello di specie, in cui, successivamente all’instaurazione di un giudizio di separazione o di divorzio, o del giudizio di cui all’art. 316 c.c., siano state proposte azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale quando sia pendente il termine per l’impugnazione o sia stato interposto appello avverso la decisione di primo grado, la competenza a conoscere tali azioni è attribuita alla corte d’appello in composizione ordinaria” (C. Cass. n. 1349/2015).
Quando sia pendente un giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c. innanzi al giudice ordinario e sorgano questioni attinenti all’esercizio della potestà genitoriale non si può ritenere opportuna la proposizione di tali questioni davanti ad altro giudice rispetto a quello che sta già conoscendo del conflitto familiare
Nel momento in cui sia pendente un giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c. innanzi al giudice ordinario e sorgano questioni attinenti all’esercizio della potestà genitoriale non si può ritenere opportuna la proposizione di tali questioni davanti ad altro giudice rispetto a quello che sta già conoscendo del conflitto familiare. Vi è infatti tra le due questioni un rapporto di sostanziale inscindibilità tale per cui è necessario vi sia un unico giudice a decidere del procedimento, tale giudice non potrà che essere quello ordinario precedentemente adito e ciò per ragioni di coerenza logica ed in applicazione del principio processuale di concentrazione delle tutele: si parla in proposito di competenza per attrazione.
Pertanto il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare, qualora si manifestino situazioni di grave carenza del ruolo genitoriale, se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere le situazioni di difficoltà o disagio che possono ledere gravemente lo sviluppo del minore. Tuttavia, laddove risulti impossibile, quand’anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l’accertamento dello stato di abbandono (cfr. fra le altre Cass. civ., sezione I, n. 6137 del 26 marzo 2015).
Infatti il diritto del minore ad essere educato nella propria famiglia di origine incontra i suoi limiti là dove questa non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie, né di assicurare l’obbligo di mantenere, educare ed istruire la prole, con conseguente configurabilità dello stato di abbandono, il quale non viene meno per il solo fatto che al minore siano prestate le cure materiali essenziali da parte di genitori o di taluno dei parenti entro il quarto grado, risultando necessario, in tal caso, accertare che l’ambiente domestico sia in grado di garantire un equilibrato ed armonioso sviluppo della personalità del minore, senza che, in particolare, la valutazione di idoneità dei medesimi parenti alla di lui assistenza possa prescindere dalla considerazione della loro pregressa condotta, come evidenziato dall’art. 12 della legge 4 maggio 1983, n. 184, che espressamente richiede il mantenimento di rapporti significativi con il minore (Cass. civ., sezione I, n. 16280 del 16 luglio 2015).[wpforms id=”21592″]