INFEZIONE OSPEDALIERA: RESPONSABILITA’ STRUTTURA SANITARIA

INFEZIONE OSPEDALIERA: RESPONSABILITA’ STRUTTURA SANITARIA

“in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria,

incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio,

la S.C. ha confermato la sentenza di merito

 

che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l’esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l’evento lesivo)”.

 

Tale principio è stato riaffermato successivamente, tra le altre,

 

da Cass. n. 10500 del 2022: “In tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali (tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica, anteriormente alla L. n. 24 del 2017), è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità, secondo il criterio del “più probabile che non”, tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all’agente”.

 

A fronte dell’adempimento dell’onere della prova relativo al nesso causale in capo al paziente, la corte d’appello ha escluso, con valutazione in fatto non in questa sede rinnovabile, che la struttura sanitaria avesse fornito la prova liberatoria che l’evenienza infettiva fosse imprevedibile o inevitabile e come tale non imputabile

Cassazione civile sez. III – 27/02/2023, n. 5808 Intestazione                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                                           SEZIONE TERZA CIVILE                                       Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              Dott. TRAVAGLINO Giacomo                           –  Presidente   – Dott. RUBINO     Lina                         –  rel. Consigliere  – Dott. GRAZIOSI   Chiara                            –  Consigliere  – Dott. VINCENTI   Enzo                              –  Consigliere  – Dott. DELL’UTRI  Marco                             –  Consigliere  – ha pronunciato la seguente:                                                               ORDINANZA                                       sul ricorso 7186/2020 proposto da: Azienda Osp. (Omissis), in persona del Direttore Generale e Legale Rappresentante, domiciliata ex lege in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato R. D.; – ricorrente – contro B.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Salaria 213, presso lo studio Legale Maione, rappresentato e difeso dall’avvocato Daniele Buffa; – controricorrente – avverso la sentenza n. 2249/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 19/11/2019; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 02/12/2022 dal Cons. Dott. Lina RUBINO.                  FATTI DI CAUSA 1. L’Azienda Osp. (Omissis) propone ricorso per cassazione, notificato il 13.2.2020, articolato in quattro motivi, nei confronti di B.A., avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 2249 del 2019, depositata il 19.11.2019, notificata il 16.1.2020. 2. Resiste il B. con controricorso. 3. La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata. 4. Il Procuratore Generale non ha formulato conclusioni scritte. 5. Le parti non hanno depositato memoria. 6. Il B. veniva sottoposto, nel (Omissis), ad un intervento chirurgico al collo del femore presso l’Ospedale (Omissis), dal quale riportava esiti invalidanti permanenti per l’insorgere di una infezione: ad un anno di distanza, nuovamente ricoverato per i dolori alla regione coxo-femorale, gli veniva diagnosticata una “necrosi cefalica femorale in sede di pregressa frattura basicervicale sinistra”, che determinava la necessità di installare una protesi all’anca.7. Nel gennaio 2009 il B. evocava in giudizio l’Azienda ospedaliera, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni derivanti dalla non corretta esecuzione della prestazione sanitaria nel suo complesso, ed essa veniva condannata dal Tribunale di Palermo a risarcirgli il danno biologico per complessivi Euro 152.000. 8. L’appello dell’Azienda veniva accolto solo in parte, limitatamente alle spese di primo grado, che la corte d’appello compensava per 1/4 ponendole per i restanti 3/4 carico della soccombente; anche le spese del giudizio di appello, compensate per 1/4, venivano poste per i restanti 3/4 a carico dell’azienda ospedaliera. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo, l’Azienda Osp. (Omissis) propone ricorso per cassazione denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la corte d’appello omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con il quale criticava l’addebito alla struttura sanitaria dell’insorgere dell’infezione e la quantificazione del danno non patrimoniale, sull’assunto che neppure il comportamento maggiormente osservante delle regole sanitarie sia in grado di escludere il verificarsi di infezioni nosocomiali. 2. Con il secondo e il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1226 c.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, oggetto di discussione tra le parti. Sostiene che, pur avendo dato atto che anche il comportamento più diligente da parte della struttura non sarebbe comunque riuscito ad evitare un rischio di infezione, pur ridotto al 30%, la corte d’appello avrebbe correttamente dovuto escludere totalmente la riconducibilità del danno conseguente all’infezione alla responsabilità della struttura sanitaria, o quanto meno ridurre proporzionalmente il risarcimento liquidato. 3. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., avendo la corte d’appello erroneamente condannato la struttura sanitaria – a seguito dell’erroneo rigetto nel merito dell’appello – anche al pagamento delle spese di lite. 4. I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto sottopongono all’attenzione della Corte, sotto i diversi profili dell’omessa pronuncia, della violazione di legge e del vizio di motivazione, una stessa questione ovvero la correttezza della decisione di merito là dove ha ritenuto responsabile la struttura sanitaria per il danno biologico permanente riportato dal B., a causa della infezione contratta in ospedale. 5. Deve escludersi nel caso di specie il vizio di omessa pronuncia, perché la corte d’appello ha esaminato la questione e ha ritenuto il motivo d’appello infondato nel merito. 6. Parimenti, non sussiste il denunciato vizio di violazione di legge laddove la corte d’appello, condividendo le valutazioni del primo giudice, riteneva provato il rapporto di causalità tra l’esecuzione dell’intervento chirurgico e l’avvenuta contrazione della infezione nosocomiale con esiti invalidanti, ribadendo che gravava sulla struttura sanitaria il compito di assicurare, e l’onere di provare, l’avvenuta diligente sterilizzazione dell’ambiente ospedaliero, della sala operatoria, dei luoghi di degenza e di tutte le attrezzature e che, di contro, l’azienda non aveva neppure cercato di provare di aver seguito regolarmente i protocolli di disinfezione e sterilizzazione della sala operatoria. 6.1. La decisione si fonda sulla corretta applicazione del principio di diritto, espressamente richiamato, espresso da Cass. n. 26700 del 2018, secondo il quale “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l’esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l’evento lesivo)”. Tale principio è stato riaffermato successivamente, tra le altre, da Cass. n. 10500 del 2022: “In tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali (tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica, anteriormente alla L. n. 24 del 2017), è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità, secondo il criterio del “più probabile che non”, tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all’agente”. 6.2. A fronte dell’adempimento dell’onere della prova relativo al nesso causale in capo al paziente, la corte d’appello ha escluso, con valutazione in fatto non in questa sede rinnovabile, che la struttura sanitaria avesse fornito la prova liberatoria che l’evenienza infettiva fosse imprevedibile o inevitabile e come tale non imputabile. 6.3. La corte d’appello poi esclude, con ragionamento parimenti corretto, che la percentuale del 30% di alea del verificarsi comunque dell’infezione nosocomiale, pur quando le strutture sanitarie abbiano adottato tutte le più idonee precauzioni – circostanza nel caso concreto rimasta sfornita di prova – debba essere tenuta in conto ai fini di una riduzione percentuale della somma equitativamente liquidata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, incidendo essa sulla causalità materiale, e non sulla causalità giuridica, né tanto meno sul concorso di colpa del danneggiato, che in questo caso non è mai stato in discussione. Per queste ragioni anche il secondo motivo, appena abbozzato là dove si fa riferimento alla necessità di tenere in conto la frequenza delle infezioni nosocomiali come criterio atto a temperare la valutazione equitativa del danno, è infondato. Per il resto, la valutazione equitativa del danno non patrimoniale è stata correttamente compiuta sulla base delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano. 7. Ne’ tanto meno la considerazione relativa alla inevitabilità del verificarsi di infezioni nosocomiali, sebbene in percentuale ridotta a seguito dell’adozione delle cautele di legge, è considerabile come fatto storico non adeguatamente considerato nella motivazione, perché non è un fatto, ma una semplice considerazione svolta dal c.t.u. e recepita dal collegio. 8. Il quarto motivo è inammissibile. E’ inammissibile il motivo di ricorso con il quale la parte soccombente nel giudizio di merito si duole della liquidazione a suo carico delle spese di giudizio denunciando che siano conseguenza dell’erronea pronuncia sul merito. Infatti, da un lato non vi è errore di diritto nella pronuncia di appello che, seguendo il principio della soccombenza, abbia posto a carico della parte la cui domanda sia stata rigettata la liquidazione delle spese, dall’altro neppure si lamenta la sussistenza di un errore di diritto ma si auspica una diversa soluzione della causa di merito. Inoltre, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione sull’opportunità di compensare le spese di giudizio in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia che in quella di concorso degli altri motivi pro tempore presi in considerazione dalla legge a tal fine. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese di giudizio sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 7.000,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 2 dicembre 2022. Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2023

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