INFEZIONE OSPEDALIERA DANNO BOLOGNA PRATO VENEZIA PADOVA MILANO BRESCIA Rapporto di causalità – Concorso di cause – Interruzione del nesso di causalità – Causa sopravvenuta sufficiente a determinare l’evento – Infezione nosocomiale. (Cp, articoli 40, 41 e 589) Corte di Cassazione|Sezione 4|Penale|Sentenza|11 luglio 2017| n. 33770 infezione ospedaliera danno
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AVVOCATO ESPERTO RISARCIMENTO DANNI INFEZIONI OSPEDALIERE CHE CAUSANO MORTE O GRAVI DANNI ANCHE CEREBRALI –infezione ospedaliera danno
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La cassazione ha già avuto modo di affermare che: ‘In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’evento di danno (aggravamento della patologia preesistente ovvero insorgenza di una nuova patologia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, non potendosi predicare, rispetto a tale elemento della fattispecie, il principio della maggiore vicinanza della prova al debitore, in virtù del quale, invece, incombe su quest’ultimo l’onere della prova contraria solo relativamente alla colpa ex art. 1218 c.c.’ (Cass., ord., 20/08/2018, n. 20812; Cass. 7/12/2017, n. 29315) e che ‘Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del ‘più probabile che non’, causa del danno, sicchè, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata’ (Cass. 15/02/2018, n. 3704; Cass. 26/07/2017, n. 18392). infezione ospedaliera danno
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Tali principi vanno ribaditi in questa sede; pertanto, va affermato che, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell’attore, paziente danneggiato, provare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento, onere che va assolto dimostrando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del ‘più probabile che non’, la causa del danno, con la conseguenza che, se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il suddetto nesso tra condotta ed evento, la domanda dev’essere rigettata.
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Va evidenziato che questa conclusione non si pone in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., 11/1/2008, n. 577, pure richiamata dalla ricorrente), secondo cui ‘in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante’.
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Questo principio venne, infatti, affermato a fronte di una situazione in cui l’inadempimento ‘qualificato’, allegato dall’attore (ossia l’effettuazione di un’emotrasfusione) era tale da comportare di per sè, in assenza di fattori alternativi ‘più probabili’, nel caso singolo di specie, la presunzione della derivazione del contagio dalla condotta. La prova della prestazione sanitaria conteneva già, in questa chiave di analisi, quella del nesso causale, sicchè non poteva che spettare al convenuto l’onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., comma 2, e non la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c..
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Si rileva, al riguardo che, in punto di nesso causale in tela di responsabilità medica sono stati affermati i seguenti principi: “In tema di responsabilità professionale del medico chirurgo, una accurata ricognizione del complesso rapporto intercorrente tra la fattispecie del nesso causale e quella della colpa, con specifico riferimento ai rispettivi, peculiari profili probatori, consente la enunciazione dei seguenti principi:
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1) il nesso di causalità è elemento strutturale dell’illecito, che corre – su di un piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica di tipo sillogistico – tra un comportamento (dell’autore del fatto) astrattamente considerato (e non ancora utilmente qualificabile in termini di damnum iniuria datum) e l’evento;
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2) nell’individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento, si prescinde, in prima istanza, da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto oggettivata, da parte dell’autore del fatto, essendo il concetto logico di previsione insito nella categoria giuridica della colpa (elemento qualificativo dell’aspetto soggettivo del torto, la cui analisi si colloca in una dimensione temporale successiva in seno alla ricostruzione della complessa fattispecie dell’illecito);
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3) il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia generato, o anche solo contribuito a generare, tale obbiettiva relazione col fatto deve considerarsi causa dell’evento stesso;
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4) il nesso di causalità giuridica è, per converso, relazione eziologica per cui i fatti sopravvenuti, di per sé soli idonei a determinare l’evento, interrompono il nesso con il fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti;
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5) la valutazione del nesso di causalità giuridica, tanto sotto il profilo della dipendenza dell’evento dai suoi antecedenti fattuali, quanto sotto l’aspetto della individuazione del novus actus interveniens, va compiuta secondo criteri a) di probabilità scientifica, ove questi risultino esaustivi; b) di logica, se appare non praticabile (o insufficientemente praticabile) il ricorso a leggi scientifiche di copertura; con l’ulteriore precisazione che, nell’illecito omissivo, l’analisi morfologica della fattispecie segue un percorso affatto speculare – quanto al profilo probabilistico – rispetto a quello commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento evento/comportamento omissivo in termini di probabilità inversa, onde inferire che l’incidenza del comportamento omesso si pone in relazione non/probabilistica con l’evento (che, dunque, si sarebbe probabilmente avverato anche se il comportamento fosse stato posto in essere), a prescindere, ancora, dall’esame di ogni profilo di colpa intesa nel senso di mancata previsione dell’evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell’agente”. (Cass. n. 7997 del 2005).
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Nell’ambito della responsabilità civile medica il nesso causale in senso materiale suppone che rispetto all’evento dannoso la condotta commissiva od omissiva del sanitario (riferibile alla struttura, che opera attraverso di esso) si ponga come antecedente necessario, anche in concorso con altri, rispetto alla verificazione dell’evento.
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Il problema del nesso causale, tuttavia, sotto il profilo probatorio, allorquando la responsabilità medica ha natura contrattuale (com’è pacifico nella vicenda di cui è processo), assume connotazioni particolari.
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Si rileva, in proposito, che allorquando la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè nel presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o, come si dice, da ‘contatto’), l’individuazione dell’onere probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti, nell’ambito del quale il medico e/o la struttura sanitaria si era impegnata ad intervenire sulla persona del paziente assumendo un obbligo di adoperarsi per prestare la cura rispetto ad una situazione lamentata dal paziente riguardo alla salute della propria persona.
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Qualora l’impegno curativo sia stato assunto senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema presentato dal paziente, essendo la vicenda dello svolgimento del rapporto curativo oggetto di un rapporto obbligatorio e, dunque, connotandosi secondo lo schema per cui era dovuta una certa prestazione, quella curativa, che, sebbene non dovesse ex necesse portare ad un risultato risolutivo (non trattandosi, secondo un vecchio schema dottrinale di un’obbligazione di risultato, bensì di mezzi), imponeva la sua esecuzione secondo il meglio della lex artis e, quindi, in modo diligente, nel contempo implicava l’affidamento del paziente alla cura e, quindi, ad un’ingerenza sulla propria persona, si deve ritenere che, dal punto di vista del danneggiato la prova del nesso causale quale fatto costitutivo della domanda intesa a far valere la responsabilità per l’inadempimento del rapporto curativo si sostanzia nella dimostrazione che l’esecuzione del rapporto curativo, che si sarà articolata con comportamenti positivi ed eventualmente omissivi, si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di preteso danno, che è rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui si era richiesta la prestazione o dal suo aggravamento fino anche ad un esito finale come quello mortale o dall’insorgenza di una nuova patologia che non era quella con cui il rapporto era iniziato.
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La dimostrazione di uno di tali eventi, connotandosi come inadempimento sul piano oggettivo, essendosi essi verificati a seguito dello svolgimento del rapporto curativo, e, quindi, necessariamente – sul piano della causalità materiale – quale conseguenza del suo svolgimento, è ciò che deve darsi dal danneggiato ai fini della dimostrazione del nesso causale.
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Questi principi, che, in definitiva evidenziano la particolarità del problema del nesso causale nella responsabilità medica di natura contrattuale, si pongono in linea che quanto è stato affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 577 del 2008, riguardo alla quale esattamente l’Ufficio del Ruolo e del Massimario ha correttamente individuato il seguente principio di diritto (che trova corrispondenza in quanto la sentenza ha affermato nei paragrafi 5.1. e seguenti della sua motivazione):
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“In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che – in relazione ad una domanda risarcitoria avanzata da un paziente nei confronti di una casa di cura privata per aver contratto l’epatite C asseritamente a causa di trasfusioni con sangue infetto praticate a seguito di un intervento chirurgico – aveva posto a carico del paziente l’onere di provare che al momento del ricovero egli non fosse già affetto da epatite)”.
Le infezioni nosocomiali sono delle infezioni contratte durante un soggiorno in uno stabile ospedaliero (ospedale, clinica, ecc.). Più precisamente si parta di un’infezione nosocomiale quando tale infezione si presenta nel paziente nel momento dell’ingresso in ospedale, quando prima non sussisteva.
Le cause delle infezioni nosocomiali sono la presenza di germi o batteri nello stabile ospedaliero e possono essere trasmesse in diverse maniere: difese immunitarie fragili, per contatto cutaneo, trasmissione incrociata tra malati, il personale, contaminazione dell’ambiente ospedaliero (acqua, aria, materiale, alimenti ecc.).
In tema di responsabilità professionale del medico, in relazione al nesso causale tra la condotta colposa del medico e l’evento lesivo è da escludere che possano avere una efficacia interruttiva le infezioni sopraggiunte durante il ricovero ospedaliero. Non è infatti configurabile il sopravvenire di un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto alla condotta originaria, cui possa annettersi valore interruttivo del rapporto di causalità: ciò perché l’”infezione nosocomiale” è uno dei rischi tipici e prevedibili da tener in conto nei casi di non breve permanenza nei raparti di terapia intensiva, ove lo sviluppo dei processi infettivi è tutt’altro che infrequente in ragione delle condizioni di grave defedazione fisica dei pazienti.
RICORDO DI DECESSI PER INFEZIONI NOSOCOMIALI
In seguito al ricovero, la (OMISSIS), il (OMISSIS), veniva sottoposta presso il Policlinico ad un intervento chirurgico di riduzione chiusa di una frattura nasale non a cielo aperto; dopo l’operazione, la donna veniva trasferita nel reparto di rianimazione, dove pero’ decedeva il (OMISSIS) per insufficienza cardiorespiratoria. Secondo la ricostruzione operata dai consulenti del Pubblico ministero e accolta dai giudici di merito, al termine dell’intervento chirurgico si era manifestata nella (OMISSIS) un’encefalopatia ischemica, dalla quale era derivato lo stato comatoso, con progressivo peggioramento delle condizioni generali e conseguente decesso; l’ischemia cerebrale veniva collegato a una carenza d’ossigeno generalizzata a livello cerebrale, indotta dalla condotta della d.ssa (OMISSIS), che aveva determinato un’insufficienza respiratoria a causa della mala gestio delle vie aeree (ed in specie dell’apparato oro tracheale).
Piu’ precisamente la (OMISSIS), secondo le linee guida, avrebbe dovuto assicurare alla paziente una corretta ventilazione polmonare durante l’intervento, pur con il presidio della cannula di Guedel (in concreto utilizzata al posto della piu’ prudente intubazione oro tracheale), per evitare il pericolo, purtroppo verificatosi, di ostruzione delle alte vie respiratorie. La cattiva gestione delle vie aeree da parte della (OMISSIS) – proseguita pur a fronte di segni clinici strumentali della carenza di ossigeno nel sangue durante l’intervento determinava pero’, come detto, una condizione di prolungata ipossia, con conseguente danno cerebrale, in paziente che oltretutto era sottoposta ad operazione chirurgica in sede nasale.
La Corte di merito ha disatteso le doglianze dell’imputata appellante, rivolte contro le valutazioni dei consulenti e alcune dichiarazioni testimoniali delle infermiere (OMISSIS) e (OMISSIS).
Piu’ in particolare, veniva rigettata la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante confronto tra il consulente della difesa e quello del P.M., atteso che la ricostruzione operata da quest’ultimo risultava condivisibile, in quanto argomentata sulla base di dati certi, e che non si ravvisavano contraddizioni fra l’elaborato scritto del consulente prof. (OMISSIS) e le sue dichiarazioni in aula. La Corte d’appello ha poi effettuato una sintetica ricostruzione dei passaggi della vicenda, condividendo le valutazioni del consulente del P.M. a proposito delle manchevolezze della d.ssa (OMISSIS) e della loro rilevanza nel prodursi del corna cerebrale a carico della (OMISSIS). Infine, i giudici del collegio hanno escluso la rilevanza dei segnalati elementi di contraddizione fra le dichiarazioni rese dalle infermiere, ed hanno altresi’ escluso la decisivita’ della rilevanza causale (e la portata interruttiva del nesso di causalita’) delle infezioni contratte dalla vittima all’interno del reparto di rianimazione dopo l’intervento.
Infezioni nosocomiali
Nell’ipotesi di infezione contratta in ambito ospedaliero – cd. infezione nosocomiale – graverà sul soggetto danneggiato, oltre alla prova dell’esistenza del contratto e dell’aggravamento della patologia ovvero dell’insorgenza di nuove patologie, anche la prova del nesso causale tra il pregiudizio lamentato e l’infezione, secondo un criterio di “probabilità logica”, mentre graverà sulla struttura sanitaria – una volta accertata la sussistenza di tale nesso causale – l’onere di dimostrare di avere diligentemente operato, sia sotto il profilo dell’adozione, ai fini della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica eventualmente adoperata, di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, onde scongiurare l’insorgenza di patologie infettive a carattere batterico, sia sotto il profilo del trattamento terapeutico prescritto e somministrato al paziente dal personale medico, successivamente alla contrazione dell’infezione.
Il mancato raggiungimento della prova in ordine agli enunciati profili da parte della struttura sanitaria, ne comporta la responsabilità diretta nella causazione dell’infezione, per non aver messo a disposizione del paziente le attrezzature idonee ad evitare l’insorgenza della complicanza infettiva.
Tribunale Agrigento, 02/03/2016, n.370
Infezione e risarcimento
In tema di danno da infezione trasfusionale, è onere della struttura ospedaliera dimostrare che al momento della trasfusione il paziente avesse già contratto l’infezione per la quale domanda il risarcimento.
Cassazione civile sez. III, 24/09/2015, n.18895
Responsabilità per l’infezione contratta nella struttura ospedaliera
In tema di responsabilità contrattuale di struttura sanitaria e di responsabilità professionale del medico, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno.
(Nella specie, il giudice ha affermato la responsabilità dei sanitari per l’infezione contratta all’interno di struttura ospedaliera da pedone ricoverato in seguito ad investimento, essendo stati pienamente assolti solo gli oneri probatori gravanti sull’investito).
Tribunale Milano sez. I, 16/04/2015, n.4841
Cassazione – Motivi di ricorso – Mancata assunzione di prova decisiva – Nozione di decisività – Fattispecie relativa a responsabilità medica per omicidio colposo
REPUBBLICA ITALIANA infezione ospedaliera danno
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO infezione ospedaliera danno
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Presidente
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere
Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere
Dott. PAVICH Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/10/2016 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE PAVICH;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Romano Giulio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore di Parte Civile avvocato (OMISSIS) del foro di Firenze conclude per l’inammissibilita’ del ricorso; deposita conclusioni scritte e nota spese.
L’avvocato (OMISSIS) del foro di SALERNO in difesa di (OMISSIS) si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
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La Corte d’appello di Roma, in data 14 ottobre 2016, ha confermato la sentenza di condanna alla pena di giustizia e alle statuizioni civili emessa dal Tribunale di Roma il 15 aprile 2015 nei confronti di (OMISSIS), imputata del delitto di omicidio colposo a lei contestato in rubrica.
1.1. L’addebito mosso alla (OMISSIS), medico anestesista presso il Policlinico (OMISSIS), riguarda le condotte dalla stessa poste in essere nei riguardi della paziente (OMISSIS), che era stata ricoverata presso il nosocomio in relazione agli esiti traumatici di un incidente stradale.
In seguito al ricovero, la (OMISSIS), il (OMISSIS), veniva sottoposta presso il Policlinico ad un intervento chirurgico di riduzione chiusa di una frattura nasale non a cielo aperto; dopo l’operazione, la donna veniva trasferita nel reparto di rianimazione, dove pero’ decedeva il (OMISSIS) per insufficienza cardiorespiratoria. Secondo la ricostruzione operata dai consulenti del Pubblico ministero e accolta dai giudici di merito, al termine dell’intervento chirurgico si era manifestata nella (OMISSIS) un’encefalopatia ischemica, dalla quale era derivato lo stato comatoso, con progressivo peggioramento delle condizioni generali e conseguente decesso; l’ischemia cerebrale veniva collegato a una carenza d’ossigeno generalizzata a livello cerebrale, indotta dalla condotta della d.ssa (OMISSIS), che aveva determinato un’insufficienza respiratoria a causa della mala gestio delle vie aeree (ed in specie dell’apparato oro tracheale).
Piu’ precisamente la (OMISSIS), secondo le linee guida, avrebbe dovuto assicurare alla paziente una corretta ventilazione polmonare durante l’intervento, pur con il presidio della cannula di Guedel (in concreto utilizzata al posto della piu’ prudente intubazione oro tracheale), per evitare il pericolo, purtroppo verificatosi, di ostruzione delle alte vie respiratorie. La cattiva gestione delle vie aeree da parte della (OMISSIS) – proseguita pur a fronte di segni clinici strumentali della carenza di ossigeno nel sangue durante l’intervento determinava pero’, come detto, una condizione di prolungata ipossia, con conseguente danno cerebrale, in paziente che oltretutto era sottoposta ad operazione chirurgica in sede nasale.
1.2. La Corte di merito ha disatteso le doglianze dell’imputata appellante, rivolte contro le valutazioni dei consulenti e alcune dichiarazioni testimoniali delle infermiere (OMISSIS) e (OMISSIS).
Piu’ in particolare, veniva rigettata la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante confronto tra il consulente della difesa e quello del P.M., atteso che la ricostruzione operata da quest’ultimo risultava condivisibile, in quanto argomentata sulla base di dati certi, e che non si ravvisavano contraddizioni fra l’elaborato scritto del consulente prof. (OMISSIS) e le sue dichiarazioni in aula. La Corte d’appello ha poi effettuato una sintetica ricostruzione dei passaggi della vicenda, condividendo le valutazioni del consulente del P.M. a proposito delle manchevolezze della d.ssa (OMISSIS) e della loro rilevanza nel prodursi del corna cerebrale a carico della (OMISSIS). Infine, i giudici del collegio hanno escluso la rilevanza dei segnalati elementi di contraddizione fra le dichiarazioni rese dalle infermiere, ed hanno altresi’ escluso la decisivita’ della rilevanza causale (e la portata interruttiva del nesso di causalita’) delle infezioni contratte dalla vittima all’interno del reparto di rianimazione dopo l’intervento.
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Avverso la prefata sentenza ricorre la (OMISSIS), per il tramite del suo difensore di fiducia.
2.1. Il ricorso consta di un unico motivo, con il quale la deducente lamenta vizio di motivazione e mancata assunzione di una prova decisiva: in specie, oggetto di lagnanza e’ il mancato accoglimento della richiesta difensiva di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante confronto fra il consulente del P.M. e quello della difesa (confronto gia’ oggetto di richiesta in primo grado, rigettata dal Tribunale); tale acquisizione probatoria, che alla luce della motivazione della sentenza di primo grado avrebbe avuto portata decisiva, non e’ stata pero’ disposta, sebbene la Corte di merito potesse, dal confronto fra gli esperti, trarre motivi per giungere a un convincimento diverso da quello del primo giudice. Prosegue la ricorrente evidenziando la contraddittorieta’ dell’affermazione del consulente del P.M. il quale, nel corso del giudizio, ha dichiarato di non avere mai visionato il cartellino anestesiologico, pur avendolo criticato a pag. 47 dell’elaborato da lui scritto, e di poter solo supporre che tipo di anestesia fosse stata praticata, cosi’ ponendo a base delle sue conclusioni mere ipotesi interpretative in luogo di certezze. Cio’ a fronte delle diverse conclusioni cui e’ giunto il consulente della difesa.
Ed ancora, l’esponente osserva che l’uso della cannula di Guedel era stato ritenuto idoneo per il tipo d’intervento in corso; percio’ occorreva accertare che la desaturazione ritenuta decisiva ai fini del decesso fosse stata determinata dalla mancata ossigenazione segnalata dal macchinario d’allarme, e che tale segnalazione non fosse stato preso nella dovuta considerazione dalla d.ssa (OMISSIS).
Infine, la ricorrente ritiene che l’invocato supplemento istruttorio avrebbe consentito di fugare ogni dubbio circa la rilevanza causale delle infezioni insorte nel reparto di terapia intensiva, in rapporto all’accertamento della concausa preesistente ravvisata nella ridotta ossigenazione della paziente durante l’intervento, in realta’ durata non piu’ di cinque minuti; in alternativa, la mancata tempestiva maggiore ossigenazione attribuita alla (OMISSIS) potrebbe non essere stata la sola causa del decesso e, quindi, un suo eventuale profilo di colpa sarebbe ascrivibile alla colpa lieve di cui alla L. n. 189 del 2012, articolo 3.
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Va dato atto che all’odierna udienza il difensore delle costituite parti civili ha rassegnato conclusioni scritte e depositato nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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Il ricorso e’ infondato.
1.1. Va in primo luogo ricordato che deve ritenersi “decisiva”, secondo la previsione dell’articolo 606 c.p.p., lettera d) la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (per tutte vds. Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323, nella quale si evidenzia che la “decisivita’” della prova suppletiva non puo’ riconoscersi laddove sia ravvisabile il carattere “meramente congetturale” delle conseguenze che la difesa intendeva trarre dall’assunzione di detta prova).
Deve poi aggiungersi che il carattere di “prova decisiva” e’ escluso, dalla giurisprudenza di legittimita’, sia con riguardo al confronto (cfr. Sez. 2, n. 35661 del 16/05/2014, D’Aponte e altri, Rv. 260343), sia con riguardo all’accertamento peritale (cfr. da ultimo Sez. 2, n. 52517 del 03/11/2016, Russo, Rv. 268815).
Nella specie, l’invocato confronto fra i due consulenti (del P.m. e della difesa) doveva vertere oltretutto, secondo la prospettazione della ricorrente, su circostanze la cui decisivita’ era tutta da dimostrare, non bastando all’uopo la semplice ipotesi – formulata nel ricorso – di un’eventuale acquisizione di elementi potenzialmente di segno diverso rispetto alla ricostruzione accolta dai giudici di merito, e tali da poter fugare i dubbi derivanti dalla diversita’ delle due ipotesi formulate dai consulenti di parte.
A fronte di cio’, la Corte distrettuale ha congruamente motivato il proprio convincimento, osservando che le conclusioni del consulente del P.M. si basavano su dati certi (esame necroscopico e autoptico) e pervenivano, con argomentazioni esenti da errori o vizi logici, all’accertamento della causa del decesso della (OMISSIS), riconducibile alla prolungata ipossia indotta nella paziente dalla condotta addebitata alla (OMISSIS) nel corso dell’intervento: condotta che i giudici di merito ricollegano non gia’ all’impiego della cannula di Guedel, ma all’omesso costante controllo che le vie aeree fossero libere (controllo che, se fosse stato eseguito, non avrebbe determinato l’insorgere dell’ipossia) e al fatto che la carente ossigenazione della paziente e’ intervenuta, per un tempo giudicato comunque eccessivamente lungo, pur a fronte della segnalazione di tale condizione proveniente dal segnale di allarme del macchinario che controllava il livello di ossigeno del sangue.
1.2. A fronte dell’andamento affatto congetturale delle lagnanze difensive sul punto, e’ altresi’ adeguato il percorso argomentativo della Corte di merito a proposito della non idoneita’ interruttiva, in relazione al nesso causale tra la condotta e l’evento, delle infezioni sopraggiunte sulla paziente nel reparto di terapia intensiva: non e’ in sostanza configurabile, nella specie, il sopravvenire di un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto alla condotta originaria, cui la giurisprudenza annette valore interruttivo del rapporto di causalita’ (si veda per tutte Sez. 4, n. 25689 del 03/05/2016, Di Giambattista e altri, Rv. 267374, ove la Corte ha evidenziato come l'”infezione nosocomiale” sia uno dei rischi tipici e prevedibili da tener in conto nei casi di non breve permanenza nei raparti di terapia intensiva, ove lo sviluppo dei processi infettivi e’ tutt’altro che infrequente in ragione delle condizioni di grave defedazione fisica dei pazienti).
1.3. In tale quadro, appare evidente che non ha alcun pregio la prospettazione difensiva mirante all’inquadramento della condotta della (OMISSIS) nell’ambito della “colpa lieve”, ai fini di quanto stabilito dalla L. n. 189 del 2012, articolo 3, vigente all’epoca del fatto.
Va infatti osservato, in primo luogo, che, secondo quanto si legge alle pagine 6 e 8 della sentenza impugnata, la condotta dell’imputata e’ stata correttamente e motivatamente qualificata come caratterizzata da “grave negligenza”: ragione per la quale e’ stata disattesa la richiesta di applicazione dell’anzidetta disposizione di legge.
Ma pur volendosi prescindere da tale classificazione del grado di colpa e della tipologia di condotta colposa attribuita alla (OMISSIS), deve rilevarsi che essa non risulterebbe in ogni caso aderente alle linee guida e/o alle buone pratiche, non solo sulla base della ricostruzione peritale accolta dalla Corte di merito, ma neppure in base alla stessa prospettazione difensiva; e che, secondo la predetta disposizione, solo il sanitario che “si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”. Di tal che in nessun caso potrebbe ricondursi il caso in esame nella fattispecie abrogativa de qua.
1.4. E’ infine appena il caso di evidenziare che, in ogni caso, l’inosservanza delle linee guida e, comunque, delle buone pratiche clinico assistenziali, nonche’ la (corretta) qualificazione della condotta della ricorrente come caratterizzata da “negligenza” piuttosto che da “imperizia” escluderebbero anche la configurabilita’ dell’ipotesi di non punibilita’ del fatto prevista dal nuovo articolo 590-sexies c.p. (introdotto dalla L. n. 24 del 2017, articolo 6), che oggi disciplina la responsabilita’ degli esercenti le professioni sanitarie in relazione alle fattispecie di omicidio colposo e lesioni personali colpose.
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Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al rimborso, in favore delle parti civili costituite, delle spese di giudizio, che si liquidano come da dispositivo.