GUIDA STATO EBREZZA RECIDIVA, AGENTI
COMMERCIO
recidiva nel biennio” di cui all’art. 186 C.d.S. comma 2, vale a dire se esso sia riferibile al generico istituto della recidiva di cui all’art. 99 c.p. e, dunque, necessiti di una preventiva contestazione a carico dell’accusato ovvero se, al contrario, esso sia un mero effetto legale di carattere amministrativo da cui dipenda la revoca della patente di guida.
Si analizz aa questione della recidiva nel biennio di cui all’art. 186 C.d.S. comma 2, vale a dire se esso sia riferibile al generico istituto della recidiva di cui all’art. 99 c.p. e, dunque, necessiti di una preventiva contestazione a carico dell’accusato ovvero se, al contrario, esso sia un mero effetto legale di carattere amministrativo da cui dipenda la revoca della patente di guida
GUIDA STATO EBREZZA RECIDIVA, AGENTI
COMMERCIO
CAMIONISTI
In thema, con riferimento al contestato diniego delle attenuanti generiche, è appena il caso di richiamare il consolidato (e qui condiviso) indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (in termini, ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 7707/2003, Rv. 229768).
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Cass. pen. Sez. IV, Sent.,, n. 3467
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.A. n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3324/2013 pronunciata dalla Corte d’appello di Venezia il 10/4/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 19/12/2014 la relazione fatta dal Cons. dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. M.G. Fodaroni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv.to De Franceschi M. del foro di Mestre che ha concluso per l’accoglimento del relativo ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza resa in data 10/4/2014, la Corte d’appello di Venezia ha integralmente confermato la sentenza in data 11/6/2012 con la quale il Tribunale di Rovigo ha condannato B.A. alla pena di cinque mesi di arresto ed Euro 3.000,00 di ammenda, oltre alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (tasso alcolemico pari a 2,72 g/l), accertato in (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale omesso il riconoscimento, in proprio favore, delle circostanze attenuanti generiche e del minimo edittale della pena, in violazione degli indici di valutazione imposti dall’art. 133 c.p..
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole della violazione di legge in cui sarebbero incorsi giudici del merito nell’omettere il rilievo della mancata formale contestazione, a carico dell’imputato, della recidiva nel biennio (riconosciuta in primo grado e confermata in sede di appello), in violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Da ultimo, il ricorrente censura la sentenza impugnata, per avere la corte territoriale confermato l’irrogazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in assenza della prova che il precedente ascritto al B. (quale riferimento della cosiddetta recidiva nel biennio di cui all’art. 186 C.d.S.) riguardasse proprio il reato di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) ossia della fattispecie di reato identica a quella oggetto dell’odierno procedimento.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è infondato.
La doglianza genericamente avanzata dal ricorrente, con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla particolare severità della pena inflitta a suo carico, non individua alcuna insufficienza o incongruità nello sviluppo logico della motivazione dettata nella sentenza impugnata, limitandosi a prospettare questioni di mero fatto o apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede.
In thema, con riferimento al contestato diniego delle attenuanti generiche, è appena il caso di richiamare il consolidato (e qui condiviso) indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (in termini, ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 7707/2003, Rv. 229768).
Quanto all’onere di motivazione sul punto imposto al giudice del merito, è stato altresì precisato come quest’ultimo non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (in tal senso, ex plurimis, v. Cass. Sez. 1, n. 3772/1994, Rv. 196880).
In particolare, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (così Cass., Sez. 2, n. 3609/2011, Rv. 249163).
Analoghe considerazioni valgono per quel che riguarda l’entità della pena, essendo sul punto sufficiente il richiamo ai principi enunciati da questa Corte in materia, là dove, in tema di commisurazione della pena, quando questa (come nel caso di specie) non si discosti di molto dai minimi edittali ovvero venga compresa tra il minimo ed il medio edittale, il giudice ottempera all’obbligo motiva-zionale richiamandosi alla gravità del reato (cfr. Cass., Sez. 4, n. 41702/2004, Rv. 230278); in particolare, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 c.p., comma 3, anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (v. Cass., Sez. 3, n. 33773/2007, Rv. 237402).
Nel caso in esame, la corte territoriale ha correttamente negato il ricorso di circostanze attenuanti generiche e valutato la congruità del complessivo trattamento sanzionatorio imposto all’imputato dal giudice di primo grado, correlando tale giudizio al particolare significato dei precedenti specifici a carico dello stesso e alla circostanza che la pena definitiva era stata determinata (in misura prossima al minimo) tenendo già conto della positiva condotta tenuta dal B. successivamente alla commissione del reato, così radicando, il conclusivo giudizio espresso sul trattamento sanzionatorio complessivo, al ricorso di specifici presupposti di fatto coerenti ai parametri di cuiall’art. 133 c.p., sulla base di una motivazione in sè dotata di intrinseca coerenza e logica linearità.
4. Dev’essere inoltre disattesa la doglianza avanzata dal ricorrente in ordine alla pretesa necessità di una preventiva contestazione della cd. ‘recidiva nel biennio’ di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, (ai fini della revoca della patente di guida), trattandosi, nel caso in esame, non già dell’istituto espressamente regolato dall’art. 99 c.p., suscettibile di incidere negativamente sul trattamento sanzionatorio penale dell’imputato (e come tale necessariamente destinato alla preventiva contestazione a carico dell’accusato), bensì della disciplina di un mero effetto legale, rilevante sul piano amministrativo, connesso al rilievo storico della ripetizione, entro un arco di tempo predeterminato, dell’illecito previsto dall’art. 186 C.d.S., ossia del fatto consistito nell’essersi, l’imputato, illecitamente posto alla guida di un autoveicolo in condizioni di ebbrezza alcolica (v. Cass., Sez. 4, Sentenza n. 22686 del 9/5/2014, Fenu).
Ciò posto, osserva il collegio – così pervenendo al rilievo dell’infondatezza del restante motivo di ricorso avanzato dall’imputato – come, ai fini dell’operatività del meccanismo sanzionatorio in esame (e dunque ai fini dell’obbligo di revoca della patente di guida dell’imputato), del tutto irrilevante deve ritenersi l’entità o il grado del tasso alcolemico giuridicamente rilevante riscontrato sulla persona dell’imputato, assumendo un decisivo rilievo, ai fini della revoca dell’abilitazione alla guida dell’imputato, la sola circostanza costituita dalla commissione, nell’arco di un biennio, di due illeciti di natura penale riconducibili alla fattispecie della guida in stato di ebbrezza, avuto riguardo al richiamo (seppure improprio, come in precedenza rilevato) della nozione di recidiva contenuto nell’art. 186 cit., di per sè in ogni caso espressivo dell’esigenza di una reiterata commissione di (almeno) due reati nell’arco di un biennio, come nel caso in esame specificamente accaduto, essendo stato il F. nel precedente biennio condannato per l’avvenuta commissione del reato di guida in stato di ebbrezza (cfr. Cass., Sez. 4, Sentenza n. 22686 del 9/5/2014, Fenu, cit.).
5. Sulla base di tali premesse, rilevata l’integrale infondatezza dei motivi d’impugnazione, dev’essere conseguentemente pronunciato il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2015