DIVORZIO che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale.
1) ricorsi per la separazione consensuale dei coniugiDIVORZIO PARLIAMO DI SOLDI DI ASSEGNO DI MANTENIMENTO TASTO DOLOROSO MA UTILE
2) separazione con negoziazione assistita
3) ricorsi per la separazione giudiziale dei coniugi;
4) ricorsi per l’ottenimento del divorzio congiunto (scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario);
5) divorzio con negoziazione assistita
6) ricorsi per l’ottenimento del divorzio giudiziale (scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario);
7) ricorsi congiunti o giudiziali per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio;
8) assistenza e consulenza legale nel diritto di famiglia e mediazione familiare;
9) assistenza alla famiglia senza matrimonio.
ai fini del riconoscimento dell’assegno “si deve adottare un criterio composito – hanno spiegato – che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive
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Partendo dal testo originario dell’art. 5, c. 6 della l. n. 898 del 1970
“con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proposizione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. […]”
“Si assume come punto di partenza il profilo assistenziale, valorizzando l’elemento testuale dell’adeguatezza dei mezzi e della capacità (incapacità) di procurarseli, questo criterio deve essere calato nel “contesto sociale” del richiedente, un contesto composito formato da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori del nucleo familiare.
Lo scioglimento del vincolo incide sullo status,
ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare. Il profilo assistenziale deve, pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale si inserisce la fase di vita post matrimoniale, in chiave perequativa-compensativa”
DIVORZIO PARLIAMO DI SOLDI DI ASSEGNO DI MANTENIMENTO TASTO DOLOROSO MA UTILE
Secondo Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 2021, n. 28646il diritto all’assegno di divorzio, di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso. Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 2021, n. 28646 , Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 2021, n. 28646
Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 2021, n. 28646; Genovese Presidente – Campese Relatore (Omissis) FATTI DI CAUSA 1. Con sentenza n. (OMISSIS), il Tribunale di Fermo statuì sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da B.M. e C.L., imponendo la corresponsione di un assegno divorzile in favore di quest’ultima in ragione della forte sproporzione delle situazioni reddituali e patrimoniali delle parti ed al fine di una conservazione, almeno tendenziale, in favore del coniuge economicamente più debole, del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. 2. Questa decisione fu confermata dalla Corte di appello di Ancona con sentenza n. … del 2015, ma la Suprema Corte, adita dal B., con ordinanza n. … del 2017, ne ha accolto il corrispondente ricorso “…dando così continuità alla recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., sez. 1, n. 11504 del 10 maggio 2017) secondo cui il diritto all’assegno di divorzio, di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso“.
3. La Corte di appello di Ancona, quale designato giudice di rinvio adito, con distinti ricorsi, dal B. e dalla C., con sentenza del … 2018, “definitivamente pronunciando sugli appelli, principale e incidentale, rispettivamente proposti da B.M. e C.L.” avverso la già descritta decisione del Tribunale di Fermo, in parziale riforma della stessa, ha così provveduto: “revoca l’assegno divorzile disposto a carico di B.M. e in favore di C.L.; condanna C.L. alla restituzione a B.M. delle somme ricevute a titolo di assegno divorzile dal (OMISSIS) all’attualità; rigetta l’appello incidentale e conferma, nel resto, l’impugnata sentenza; compensa integralmente tra le parti anche le spese degli altri gradi del giudizio”. 3.1. Per quanto qui di residuo interesse, quel giudice, facendo applicazione del principio impostole da questa Corte con la menzionata ordinanza n. … del 2017: i) ha ritenuto indubbio che i mezzi economici della C. – di cui pure ha dato conto – “…fossero e sono adeguati a mantenere un tenore di vita più che dignitoso e finanche a supportare in parte economicamente le figlie maggiorenni, che continuano comunque a percepire direttamente un assegno mensile ed a fruire di ulteriori sostegni, previsti in sentenza, da parte del padre”; ii) ha considerato “irrilevanti e/o inconferenti (…) sia le vicende della vita matrimoniale – già in tal senso valutate dal Tribunale – sia le condizioni economiche del B., che sarebbero comparativamente apprezzabili solo per la determinazione del quantum dell’assegno divorzile ove ne fosse stata ritenuta la spettanza”; iii) ha opinato che “in virtù del mutato orientamento ermeneutico della Cassazione, (…), la restituzione di quanto in buona fede percepito da parte della C. vada limitata al periodo successivo alla data di deposito della sentenza (rectius: ordinanza. Ndr) della Suprema Corte”. 4. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione il B. sulla base di tre motivi. Resiste, con controricorso, la C., proponendo, a sua volta, ricorso incidentale affidato a quattro motivi. Risultano depositate memorie ex art. 380.bis.1 c.p.c. di entrambe le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Rileva pregiudizialmente il Collegio che i documenti allegati dalla C. alla propria memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. esulano dal perimetro di quelli la cui produzione è consentita dall’art. 372 c.p.c.. Invero, “nel giudizio di legittimità possono essere prodotti, dopo la scadenza del termine di cui all’art. 369 c.p.c. e ai sensi dell’art. 372 c.p.c., solo i documenti che attengono all’ammissibilità del ricorso e non anche quelli concernenti l’allegata fondatezza del medesimo” (cfr. Cass. n. 9685 del 2020). Di essi, dunque, non si terrà conto ai fini della decisione. 2. I motivi del ricorso principale del B. denunciano, in sintesi, rispettivamente: I) “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e contraddittorietà della sentenza, in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e, comunque, violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si lamenta che la corte dorica, pur avendo negato l’esistenza, ab origine, dei presupposti per l’attribuzione, in favore della C., dell’assegno divorzile, aveva poi, contraddittoriamente, consentito la mancata restituzione, da parte sua, di gran parte di quanto percepito per tale causale sulla base di una presunta e generica buona fede, invece insussistente; II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, essendo esplicitamente irrilevante la “buona fede” del debitore ai fini della restituzione quantomeno della sorte capitale, e comunque non potrà mai essere qualificabile in “buona fede” la percezione, da parte della C., di assegni divorzili successivamente revocati”. Si insiste nell’affermare che, proprio in ragione della insussistenza, ab origine, dei presupposti per l’attribuzione alla C., dell’assegno divorzile, la stessa doveva essere tenuta alla integrale restituzione di quanto percepito per tale emolumento. Invero, una sua ipotetica buona fede avrebbe potuto “salvarla dalla restituzione dei meri frutti ed interessi, ma non la salverà mai dalla sorte capitale, che sarà sempre ed in ogni caso da restituire per intero”; III) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e degli att. 91-92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la carente motivazione e l’integrale compensazione delle spese nonostante la soccombenza di controparte”. Si censurano le “scarne” argomentazioni con cui la corte distrettuale ha giustificato la disposta compensazione integrale delle spese di tutti i gradi. 3.
Le doglianze del ricorso incidentale della C. prospettano, in sintesi, rispettivamente: I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 in relazione ai criteri da adottare per la concessione di assegno divorzile ed omesso esame della composita domanda della coniuge a sostegno dell’attribuzione di assegno divorzile sin dal primo grado di giudizio”. La corte distrettuale, nel valutare l’attribuzione, o meno, alla C., dell’assegno divorzile, non aveva applicato il criterio composito (assistenziale, compensativo, perequativo) di cui alla sentenza resa da Cass., SU, 11 luglio 2018, n. 18287; II) “Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 in relazione ai criteri da adottare per la concessione di assegno divorzile, anche in merito alla valutazione delle prove raccolte in primo grado, con violazione dell’art. 116 c.p.c., travisamento dei fatti e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”. Si ascrive alla corte territoriale di non aver considerato che, a seguito del cambiamento giurisprudenziale, le prove articolate dalla C. meritavano integrale accoglimento, avendo fatto sempre riferimento al criterio composito per l’attribuzione dell’assegno divorzile, anche in considerazione della lunga durata del matrimonio e della sottrazione di possibilità lavorative della moglie-madre per la cura della famiglia e di tutte le incombenze familiari, mentre aveva, nel contempo, travisato fatti di carattere patrimoniale; III) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 91 c.p.c., in merito alle spese di lite, che dovevano essere addebitate integralmente all’odierno ricorrente B.”.
Si chiede l’applicazione del principio della soccombenza e, anche in ipotesi di reiezione del proposto ricorso incidentale, la valutazione dei primi due gradi di giudizio dove il B. era stato soccombente anche in relazione al mantenimento delle figlie; IV) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – inammissibilità del ricorso in relazione agli artt. 83,365 e 366 c.p.c., per difetto dei requisiti ivi previsti per il conferimento di procura speciale”. Si sostiene che l’avverso “ricorso è inammissibile non contenendo la procura speciale prevista dall’art. 365 c.p.c., se non nel titolo dello stesso, posto a margine del ricorso introduttivo. Trattasi, infatti, della delega a difensore di stile, con un testo di generica procura alle liti, con un altrettanto generico richiamo alla facoltà di proporre impugnazioni, appelli, ricorsi per Cassazione, senza alcun riferimento alla sentenza della Corte di appello di Ancona n. 2216/2018, né data di conferimento, mentre la procura speciale per proporre ricorso per cassazione deve avere diverso contenuto per il valido conferimento del potere di ricorrere dovendo risultare dal testo stesso il provvedimento impugnato”.
4. Il quarto motivo del ricorso incidentale della C., da esaminarsi prioritariamente investendo l’ammissibilità stessa del ricorso del B., si rivela inammissibile, ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, alla luce dell’ormai consolidatosi indirizzo interpretativo di questa Corte, inaugurato da Cass., SU, n. 108 del 2000, secondo il quale “nel caso in cui la procura non espliciti in modo chiaro la volontà di proporre ricorso in cassazione (principale o incidentale) – per essersi fatto uso di timbri predisposti per altre evenienze o per essere impiegati in ogni circostanza -, mentre l’apposizione del mandato a margine del ricorso già redatto esclude di per sé ogni dubbio sulla volontà della parte di proporlo, quale che sia il tenore dei termini usati nella redazione dell’atto, la mancanza di una prova siffatta e la conseguente incertezza in ordine alla effettiva portata della volontà della parte, non può tradursi in una pronuncia di inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale, ma va superata attribuendo alla parte la volontà che consenta all’atto di procura di produrre i suoi effetti, secondo il principio di conservazione dell’atto (art. 1367 c.c.), di cui è espressione, a proposito degli atti del processo, l’art. 159 c.p.c.”. 4.1.
Tale orientamento, seguito dalla giurisprudenza successiva, consente di affermare che quando la procura al difensore è apposta in calce o a margine del ricorso per cassazione (come nella specie), il requisito della specialità resta assorbito dal contesto documentale unitario, derivando direttamente dalla relazione fisica tra la delega ed il ricorso, nonostante la genericità del testo della prima (cfr., ex multis, Cass. n. 214 del 2020; Cass. n. 24670 del 2019; Cass. n. 14970 del 2007; Cass. n. 4868 del 2006; Cass. n. 5953 del 2005; Cass. n. 137 del 2003; Cass. n. 10443 del 2002; Cass. n. 5722 del 2002). 5. Ragioni di priorità logico-giuridica, poi, impongono di anteporre allo scrutinio del ricorso principale (che riguarda, sostanzialmente, l’entità dell’obbligo restitutorio imposto dalla corte distrettuale alla C. in relazione a quanto da lei percepito a titolo di assegno divorzile, ivi ritenuto non dovuto ab origine) anche i primi due motivi di quello incidentale, i quali si soffermano sull’an debeatur dell’assegno stesso. Essi, esaminabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano complessivamente inammissibili.
5.1. Giova premettere che, come ancora recentemente ribadito, in motivazione, da Cass. n. 395 del 2021, il ricorso per cassazione avverso la decisione pronunciata (come accaduto nella specie) in sede di rinvio implica il potere-dovere della Suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente statuizione (cfr. Cass. n. 2020 del 1981; Cass. n. 5567 del 1982; Cass. n. 19212 del 2005; Cass. n. 9395 del 2006; Cass. n. 27337 del 2019, in motivazione). 5.1.1. Inoltre, i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la decisione di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione (cfr. Cass. n. 12817 del 2014; Cass. n. 27337 del 2019), come, sostanzialmente avvenuto nel caso che ci occupa. Nella prima ipotesi, il giudice è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla pronuncia della Cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo (cfr. Cass. n. 12347 del 1999; Cass. n. 5769 del 1999; Cass. n. 188 del 1994; Cass. n. 3572 del 1987; Cass. n. 27337 del 2019, in motivazione); nella seconda, invece, egli non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi già censurati del provvedimento impugnato e con la preclusione rispetto ai fatti che il principio di diritto eventualmente enunciato presuppone come pacifici o accertati definitivamente (cfr. Cass., SU, n. 18303 del 2020; Cass. n. 31901 del 2018); nella terza ipotesi, infine, la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (cfr. Cass. n. 6707 del 2004; Cass. n. 22989 del 2018; Cass. n. 27337 del 2019). 5.1.2. Inoltre, come ancora rimarcato da Cass. n. 11202 del 2018 (cfr. in motivazione),
il giudice di rinvio non può – anche soltanto implicitamente rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto (cfr., ex aliis, Cass. n. 16171 del 2015). In altri termini, il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico – giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poiché il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità (cfr. Cass. n. 7656 del 2011, nonché, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 636 del 2019). Ciò perché il giudizio di rinvio è un “processo chiuso”, in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese né formulare difese, che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto ex lege ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, così da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale (cfr. Cass. n. 26200 del 2014; Cass. n. 18600 del 2015. In senso sostanzialmente conforme si veda anche la più recente Cass. n. 5137 del 2019). 5.2. Orbene, nel caso all’attenzione del Collegio, la statuizione di questa Corte n. 20525 del 2017, nell’accogliere il primo motivo di ricorso del B. (che aveva prospettato la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 4, e dei parametri legali ivi indicati, nonché la contraddittorietà intrinseca della pronuncia adottata) contro la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 617 del 2015, aveva imposto specificamente al giudice di rinvio di attenersi – quanto all’accertamento demandatogli circa la spettanza, o non, in favore della C., dell’assegno divorzile –
al principio già reso da Cass. n. 11504 del 2017, a tenore della quale il diritto all’assegno predetto è condizionato dal suo previo riconoscimento in base ad una verifica giudiziale necessariamente articolata in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla menzionata norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l’an debeatur, informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso. 5.2.1. La corte d’appello, nel proprio percorso argomentativo, ha seguito pienamente l’appena riportato principio di diritto fissatole da questa Corte, avendo escluso ab origine, sulla base della descritta situazione patrimoniale/reddituale della C., l’an debeatur dell’assegno divorzile da lei preteso. 5.3. E’ sicuramente vero, poi, che la statuizione della corte di rinvio oggi impugnata si rivela non in linea con i principi tutti dettati da Cass., SU, 11 luglio 2018, n. 18287 (evidentemente sopravvenuta nelle more tra la deliberazione in camera di consiglio della prima, risalente al 24 aprile 2018, e la sua pubblicazione, intervenuta solo il successivo 18 ottobre 2018), che possono essere così riassunti: a) abbandono dei vecchi automatismi che avevano dato vita ai due orientamenti contrapposti: da un lato il tenore di vita (cfr. Cass., SU, n. 11490 del 1990), dall’altro il criterio dell’autosufficienza (cfr. Cass. n. 11504 del 2017); b) abbandono della concezione bifasica del procedimento di determinazione dell’assegno divorzile, fondata sulla distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi; c) abbandono della concezione che riconosce la natura meramente assistenziale dell’assegno di divorzio a favore di quella che gli attribuisce natura composita (assistenziale e perequativa/compensativa); d) equiordinazione dei criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6; e) abbandono di una concezione assolutistica ed astratta del criterio “adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi” a favore di una visione che propende per la causa concreta e lo contestualizza nella specifica vicenda coniugale; f) necessità della valutazione dell’intera storia coniugale e di una prognosi futura che tenga conto delle condizioni dell’avente diritto all’assegno (età, salute, etc.) e della durata del matrimonio; g) importanza del profilo perequativo-compensativo dell’assegno e necessità di un accertamento rigoroso del nesso di causalità tra scelte endofamiliari e situazione dell’avente diritto al momento dello scioglimento del vincolo coniugale. 5.3.1. E’ doveroso ricordare, tuttavia, quanto si è detto circa i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio: in particolare, che la decisione di annullamento della Cassazione non può essere sindacata o elusa da detto giudice, nemmeno in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza neppure è sindacabile da quel giudice alla stregua di arresti giurisprudenziali successivi della corte di legittimità (cfr., ex multis, Cass. n. 27343 del 2018; Cass. n. 8225 del 2013), né dalla stessa Corte di cassazione ulteriormente adita (cfr. Cass. n. 8225 del 3013; Cass. 19307 del 2004; Cass. n. 3308 del 1994). 5.4. In altri termini, nel giudizio di rinvio la delimitazione della res litigiosa è nell’interesse pubblico e, quindi, non è nella disponibilità delle parti (cfr. Cass. n. 3970 del 2003, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 25153 del 2017). E’ pur vero che l’estensione dei poteri del giudice di rinvio, come si è già ampiamente detto in precedenza, varia a seconda che l’annullamento sia avvenuto per violazione di norme di diritto o per vizi della motivazione, ma tali facoltà attengono solo ai poteri di valutazione delle prove già acquisite (e, quindi, dei soli fatti, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento), oltre che alle questioni di diritto precedentemente non esaminate o all’attività assertiva e/o probatoria resasi necessaria alla luce del contenuto della sentenza rescindente, ove questa abbia determinato una modificazione del thema decidendum definendo in modo diverso il rapporto dedotto in giudizio e, così, imprimendo alla controversia un nuovo indirizzo, con conseguente necessario mutamento della difesa delle parti. Il giudice di rinvio, invece, non può – anche soltanto implicitamente – rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza della Cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto salvo che si sia in presenza di fatti sopravvenuti al passaggio in decisione della causa in appello o a mutamenti normativi successivi alla pubblicazione della sentenza della Cassazione (cfr., ex aliis, Cass. n. 25153 del 2017; Cass. n. 17167 del 2002; Cass. n. 11614 del 1998). 5.4.1. Non sono questi, però, i casi che ricorrono nella presente sede, caratterizzata, invece, dal sopravvenire solo di una diversa interpretazione, ad opera delle Sezioni Unite di questa Corte, di una già esistente norma di carattere sostanziale (dovendosi così escludere anche la possibilità di configurare, nella specie, un’ipotesi di prospective overruling, riferito ai mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo. Cfr. Cass. n. 552 del 2021) quale è quella di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5 laddove disciplina i requisiti per il riconoscimento dell’assegno di divorzio. 5.4.2. La C., infatti, nei suoi motivi di ricorso incidentale in esame, si duole che la corte di rinvio le abbia negato l’assegno divorzile sulla base di un orientamento giurisprudenziale poi superato dalla successiva Cass., SU, n. 18287 del 2018. 5.4.3. Una simile doglianza, allora, è inammissibile in ragione di quanto si è già detto quanto ai limiti propri del giudizio di rinvio, tenuto altresì conto che, come espressamente sancito da Cass. n. 21926 del 2019 (cfr. in motivazione, pag. 13), “il mutamento di orientamento nell’interpretazione di una norma sostanziale, ancorché introdotto da una pronuncia delle Sezioni Unite, non costituisce jus superveniens”. 6. Venendo, dunque, al ricorso principale del B., i suoi primi due motivi sono scrutinabili congiuntamente, attesa la evidente connessione che li connota. Essi si rivelano fondati nei limiti di cui appresso. 6.1. Giova immediatamente osservare che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 18 ottobre), deve ritenersi ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 26423 del 2021; Cass. n. 4226 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazion e di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020, Cass. n. 23620 del 2020, Cass. n. 4226 del 2021 e Cass. n. 26423 del 2021). 6.1.1. Nessuna di queste specifiche fattispecie si rinviene nella argomentazioni del primo motivo volte a denunciare un asserito vizio motivazionale della sentenza oggi impugnata nella parte in cui ha statuito – senza che rilevi, sotto questo profilo, l’esattezza, o non, della resa giustificazione – circa la pretesa restitutoria del B. (“in virtù del mutato orientamento ermeneutico della Cassazione, questa Corte ritiene che la restituzione di quanto in buona fede percepito da parte della C. vada limitata al periodo successivo alla data di deposito della sentenza (rectius: ordinanza. Ndr) della Suprema Corte”). Resta solo da ricordare che, in ogni caso, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (formalmente invocato dal B. con la doglianza in esame), nel testo, indicato in precedenza, qui applicabile, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr. Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 4477 del 2021, in motivazione; Cass. n. 395 del 2021, in motivazione, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017). 6.2. Diverso discorso, invece, si impone per le violazione di legge come denunciate nei motivi de quibus. 6.2.1. Erroneamente, secondo il B., la corte dorica, malgrado avesse negato l’esistenza, ab origine, dei presupposti per l’attribuzione, in favore della C., dell’assegno divorzile, aveva poi consentito la mancata restituzione da parte sua, di gran parte di quanto percepito per tale causale sulla base di una presunta e generica buona fede, invece insussistente, che, peraltro, avrebbe potuto “salvarla dalla restituzione dei meri frutti ed interessi, ma non la salverà mai dalla sorte capitale, che sarà sempre ed in ogni caso da restituire per intero”. 6.3. In proposito, giova immediatamente rimarcare che, non avendo il ricorso incidentale della C. investito specificamente la pronuncia di condanna restitutoria inflittale dalla corte di rinvio, e tenuto conto della già ritenuta inammissibilità dei primi due motivi della sua odierna impugnazione incidentale (aventi ad oggetto l’an debeatur dell’emolumento predetto), deve considerarsi ormai coperto dal formatosi giudicato interno il presupposto logico di quella condanna: vale a dire la ripetibilità di quanto di corrisposto a titolo di assegno divorzile ove, successivamente, se ne accerti la non debenza ab origine. 6.3.1. Così necessariamente delimitato, dunque, il campo di indagine oggi all’esame di questa Corte, ciò che va qui accertato è la decorrenza, in una siffatta ipotesi, di detta ripetibilità, altresì rimarcandosi che, atteso il divieto di reformatio in peius, quello che concretamente va stabilito è se questa ripetizione possa, o meno, investire anche il periodo intercorrente tra il momento in cui la C. ha iniziato a percepire tale assegno e la data di pubblicazione dell’ordinanza di questa Corte n. 20525 del 2017 (per il periodo successivo, infatti, la corte di appello l’ha già disposta). In altri termini, non è più in discussione la questione della ripetibilità, o non, di quanto corrisposto dall’ex coniuge all’altro a titolo di assegno divorzile, ove sia revocata l’originaria statuizione che lo aveva onerato in tal senso, bensì, unicamente, il momento (nella specie da ricercarsi solo nell’intervallo temporale suddetto per quanto si è già spiegato) a decorrere dal quale operi tale ripetibilità nella specifica ipotesi in cui la corte di appello abbia modificato la decisione del tribunale negando la sussistenza dei presupposti (invece riconosciuti da quest’ultimo) L. n. 898 del 1970, ex art. 5 c.c. per l’attribuzione di tale emolumento. 6.4. Si è già ricordato che la corte territoriale, facendo doverosa applicazione del principio impostole da questa Corte con la menzionata ordinanza n. 20525 del 2017, ha ritenuto indubbio che i mezzi economici della C. – di cui pure ha dato conto – “…fossero e sono adeguati a mantenere un tenore di vita più che dignitoso e finanche a supportare in parte economicamente le figlie maggiorenni, che continuano comunque a percepire direttamente un assegno mensile ed a fruire di ulteriori sostegni, previsti in sentenza, da parte del padre”, così giustificando la revoca dell’assegno già dovuto dal B. alla sua ex coniuge, successivamente opinando che “in virtù del mutato orientamento ermeneutico della Cassazione, (…), la restituzione di quanto in buona fede percepito da parte della C. vada limitata al periodo successivo alla data di deposito della sentenza (rectius: ordinanza. Ndr) della Suprema Corte”. 6.4.1. Non vi è chi non veda, però, come quest’ultima affermazione oblitera completamente, da un lato, che ove si accerti, anche giudizialmente, la non debenza di una determinata somma, la buona fede di cui colui che l’ha percepita e che sia tenuto alla relativa restituzione incide, se del caso, sulla decorrenza dei frutti e degli interessi maturatisi, ma certamente non giustifica la ritenzione di ciò che gli è stato indebitamente pagato; dall’altro, che gli eventuali mutamenti giurisprudenziali possono essere uno degli elementi in base ai quali valutare la sussistenza, o meno, della buona fede dell’accipiens, ma non la fonte del diniego dell’obbligazione restitutoria per pagamenti ab origine non dovuti. Perciò solo, dunque, detta affermazione non può avere ulteriore seguito. 6.5. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità ha già opinato che l’accertamento dell’insussistenza del diritto all’assegno divorzile comporta che lo stesso non sia dovuto dal momento giuridicamente rilevante in cui – salva la possibilità della fissazione di un diverso termine, giusta la L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 13, come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 80 del 2005 – la sua iniziale attribuzione, avente natura costitutiva, decorre; momento coincidente con il passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale (cfr., in motivazione, Cass. n. 30257 del 2017). 6.5.1. Ne consegue, pertanto, che l’obbligo restitutorio a carico della C. (ormai irretrattabile in relazione all’an per quanto si è precedentemente detto) dovrà riguardare anche il periodo ricompreso nell’intervallo temporale tra il momento in cui la stessa ha concretamente iniziato a percepire l’emolumento, poi risultato non dovutole, fino a quello della già citata ordinanza di questa Corte n. 20525 del 2017. 6.5.2. E’ doveroso ricordare, peraltro, che l’azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione di un provvedimento giudiziale, provvisoriamente esecutivo, successivamente riformato in sede di sua impugnazione, non si inquadra nell’istituto della condictio indebiti (art. 2033 c.c.), sia perché si ricollega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente al provvedimento stesso, sia perché il comportamento dell’accipiens non si presta a valutazione di buona o mala fede ai sensi dell’art. 2033 c.c. non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 24475 del 2019; Cass. n. 25589 del 2010; Cass. n. 14178 del 2009; Cass. n. 21992 del 2007). 6.5.3. Invero, come puntualizzato, affatto condivisibilmente, da Cass. n. 25589 del 2010, l’art. 2033 c.c. “riguarda un pagamento eseguito nell’ambito un rapporto privatistico, pur se erroneamente ritenuto, e non nell’ottemperanza di un atto pubblico autoritativo”, da ciò derivandone pure che, “per quanto concerne gli accessori della somma da restituire, non rileva lo stato soggettivo di buona o mala fede dell’accipiens ma l’assenza originaria di causa del pagamento, ossia del corrispondente arricchimento della controparte, con l’ulteriore conseguenza della necessità di porre il solvens nella stessa situazione patrimoniale in cui versava prima di pagare (Cass. 5 agosto 2005 n. 16559, 13 aprile 2007 n. 8829,19 ottobre 2007 n. 21992, 18 giugno 2009n. 14178)”. 6.5.4. Ne consegue, altresì, che gli interessi legali sul quantum da restituire dovranno essere riconosciuti, in applicazione del principio generale di cui all’art. 1282 c.c., dal giorno del pagamento a non da quello della domanda, poiché la caducazione del titolo rende indebito il pagamento fin dall’origine, con la conseguenza che l’obbligazione restitutoria deve ritenersi sorta ed esigibile fin dal momento della solutio (cfr., ex multis, Cass. n. 24475 del 2019; Cass. n. 25589 del 2010; Cass. n. 14178 del 2009; Cass. n. 21992 del 2007; Cass. n. 6098 del 2006; Cass. n. 18238 del 2003; Cass. n. 8296 del 2001; Cass. n. 3291 del 1999; Cass. n. 11315 del 1998; Cass. n. 11999 del 1993). 6.6. Nell’odierna vicenda, quindi, la corte distrettuale, nell’accogliere la domanda di ripetizione dell’appellante principale in relazione al solo periodo successivo alla data di pubblicazione dell’ordinanza di questa Corte n. 20525 del 2017, peraltro giustificandolo con una motivazione della cui erroneità si è già dato conto, ha reso una pronuncia non rispettosa dei principi tutti finora riportati, sicché la stessa, in parte qua, deve essere cassata. 7. Le doglianze di cui al terzo motivo sia del ricorso principale del B. che di quello incidentale della C. possono considerarsi assorbite. 8. In definitiva, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, nonché dichiarati inammissibili il primo, il secondo ed il quarto motivo di quello incidentale, con contestuale assorbimento del terzo motivo di entrambi i ricorsi suddetti. Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai soli motivi accolti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, disponendosi la condanna della C. alla restituzione di quanto corrispostole dal B., a titolo di assegno divorzile, anche per il periodo ricompreso nell’intervallo temporale tra il momento in cui la stessa iniziò concretamente a percepire l’emolumento predetto (poi risultato non dovutole) fino a quello della già citata ordinanza di questa Corte n. 20525 del 2017, oltre interessi legali su tali somme dalle date dei rispettivi pagamenti fino all’effettivo soddisfo. 9. Le spese di questo giudizio di legittimità, nonché quelle dei vari gradi di merito e del precedente procedimento di cassazione, possono essere integralmente compensate tra le parti in considerazione della peculiarità che ha caratterizzato anche tenuto conto della tempistica dei mutamenti giurisprudenziali cui si è fatto cenno – l’intero iter processuale. 10. Con riguardo, infine, all’assunto della C. secondo cui “nessun giudice si è pronunciato” sulla richiesta ex art. 89 c.p.c., da lei formulata, volta ad ottenere la cancellazione di espressioni asseritamente sconvenienti ed offensive utilizzate dalla controparte negli atti di causa, nonché al risarcimento dei danni (cfr. pag. 9 del controricorso), è opportuno premettere che la cancellazione di frasi o parole ingiuriose contenute negli scritti difensivi è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito (che può disporla anche d’ufficio) e la relativa istanza costituisce una mera sollecitazione per l’esercizio dell’anzidetto potere discrezionale, di guisa che non può formare oggetto di impugnazione l’omesso esame di essa né l’omesso esercizio del suddetto potere (cfr. Cass. n. 22186 del 2009). 10.1. Fermo quanto precede, è qui sufficiente rimarcare, da un lato, che nelle conclusioni del controricorso della C. non si rinviene una specifica domanda in tal senso (né, peraltro, nel corpo del medesimo atto, si è precisato quando detta richiesta sarebbe stata effettuata nelle precedenti fasi processuali), tardiva rivelandosi quella esplicitata solo nella memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.; dall’altro, che, in ogni caso, una siffatta doglianza si rivela oggi inammissibile perché la relativa censura riguarderebbe un provvedimento ordinatorio, e non decisorio, come risulta dallo stesso art. 89 c.p.c., il quale prevede appunto che la cancellazione sia disposta con ordinanza, affidando alla sentenza finale la sola decisione sulla eventuale, conseguente pretesa risarcitoria (cfr. Cass. n. 27935 del 2020; Cass. n. 10517 del 2017). 11. Da ultimo, va disposta, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale del B. e dichiara inammissibili il primo, il secondo ed il quarto motivo di quello incidentale della C., con contestuale assorbimento del terzo motivo di entrambi i ricorsi suddetti. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai soli motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna la C. alla restituzione di quanto corrispostole dal B., a titolo di assegno divorzile, anche per il periodo ricompreso nell’intervallo temporale tra il momento in cui la stessa iniziò concretamente a percepire l’emolumento predetto (poi risultato non dovutole) fino a quello dell’ordinanza di questa Corte n. 20525 del 2017, oltre interessi legali su tali somme dalle date dei rispettivi pagamenti fino all’effettivo soddisfo. Compensa interamente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità, nonché quelle dei vari gradi di merito e del precedente procedimento di cassazione. Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 13 ottobre 2021. Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2021