Divorzio, avvocato matrimonialista, assegno di mantenimento: un po’ di chiarezza-Divorzio : come si fa per l’assegno divorzile Divorzio : come si fa per l’assegno divorzile ?
- Divorzio : come si fa per l’assegno divorzile ? la legge infatti che “Questa Corte ritiene di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio[…]. L’art. 5 c. 6 attribuisce all’assegno di divorzio una funzione assistenziale, riconoscendo all’ex coniuge il diritto all’assegno di divorzio quando non abbia mezzi “adeguati” e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Il parametro dell’adeguatezza ha, tuttavia, carattere intrinsecamente relativo ed impone un giudizio comparativo. […]Il fondamento costituzionale dei criteri indicati nell’incipit della norma conduce ad una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei mezzi e dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti espressamente al giudice della famiglia a questo specifico scopo. Tale verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, c.6, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare […] Il richiamo all’attualità, avvertito dalla sentenza n. 11504 del 2017, in funzione della valorizzazione dell’autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi deve, pertanto, dirigersi verso la preminenza della funzione equilibratrice-perequativa dell’assegno di divorzio. Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari.”
2) Divorzio : come si fa per l’assegno divorzile ? La SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE Sentenza 6 novembre 2019 – 20 gennaio 2020, n. 1119 ha osservato che Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “la revisione dell’assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e adeguare l’importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertate(Cass. n. 787 del 20917 e n. 11177 del 2019). 14.
3)Il principio si coniuga con quello secondo cui in tema di statuizioni c.d. determinative il giudicato si forma sempre rebus sic stantibus e cioè esso è modificabile in caso di successive variazioni di fatto, le quali, per avere rilevanza, devono, poi, esser dedotte mediante l’esperimento dell’apposito procedimento di revisione, fermo restando che il diritto a percepirlo di un ex coniuge ed il corrispondente obbligo dell’altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, talchè “in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all’autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata (rebus sic stantibus), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass. n. 16173 del 2015; cfr. pure Cass. n. 17689 del 2019, in tema di opposizione a precetto).
4) Va, per altro verso, sottolineato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regula iuris, non già creativa della stessa, e che, come di recente affermato dalle SU di questa Corte, con la sentenza n. 4135 del 2019, l’interpretazione delle norme giuridiche da parte della Corte di Cassazione e, in particolare, delle Sezioni Unite mira ad una tendenziale stabilità e valenza generale, sul presupposto, tuttavia, di una efficacia non cogente ma solo persuasiva, trattandosi di attività consustanziale all’esercizio stesso della funzione giurisdizionale, sicchè un mutamento di orientamento reso in sede di nomofilachia non soggiace al principio di irretroattività, non è assimilabile allo ius superveniens ed è suscettibile di essere disatteso dal giudice di merito. Deve, ancora, aggiungersi che un orientamento del giudice della nomofilachia cessa di essere retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, e può quindi parlarsi di prospective overruling, a condizione determinate, prima tra di esse che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, e non anche, come nella specie, su disposizioni di natura sostanziale (Cass. SU n. 4135 del 2019, cit. Cass. 13 settembre 2018, n. 22345; 18 luglio 2016, n. 14634; 24 marzo 2014, n. 6862; 3 settembre 2013, n. 20172; 11 marzo 2013, n. 5962).
Da quanto sin qui esposto, discende che il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto ed è necessario, a monte, che esso sia accertato dal giudice perchè possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno divorzile, da rendersi, poi, al lume dei rinnovati principi giurisprudenziali. Pur considerando l’ampiezza della formula adottata dal legislatore, consentire, come auspica parte della dottrina, l’accesso al rimedio della revisione dando alla formula dei “giustificati motivi” un significato che si riferisca alla sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere l’interesse ad agire per il mutamento, tra i quali, quindi, anche a una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, pare al Collegio opzione esegetica non percorribile, in quanto non considera che l’interpretazione giurisprudenziale costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto e non li produce essa stessa nè nel mondo fenomenico nè, come si è visto, quale fonte normativa. Il timore che in tal modo possono ingenerarsi differenze nel trattamento dei destinatari dei comandi giudiziari, a seconda che il giudizio di revisione trovi o meno base nel verificarsi di fatti sopravvenuti, non ha ragion d’essere tenuto conto che in assenza di essi il diritto all’assegno poggia sul giudicato rebus sic stantibus, che comprende i parametri complessivi al riguardo valutati, e considerato, peraltro, che, anche, nel diverso caso di successione della legge nel tempo, l’applicazione della nuova legge trova, com’è noto, il suo limite nell’intervenuto giudicato sul rapporto dedotto in giudizio, senza che ciò comporti un vulnus al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., rientrando nella discrezionalità del legislatore di modificare nel tempo la disciplina giuridica degli istituti (salvo l’ambito penale in considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà o su altri interessi fondamentali della persona, cfr. in tema di retroattività degli effetti delle pronunce di illegittimità costituzionale Corte Cost. n. 43 del 2017 e n. 10 del 2015).
Il parametro a cui si deve fare riferimento per determinare l’entità di un assegno di divorzio è l’autosufficienza economica del destinatario, vale a dire la sua capacità di essere indipendente economicamente: e ciò perché l’assegno in questione ha una natura assistenziale. A precisarlo è stata la prima sezione civile della Cassazione attraverso una sentenza che è stata depositata il 10 maggio del 2017: una sentenza che supera l’orientamento di giurisprudenza precedente, secondo il quale la misura dell’assegno doveva essere collegata al criterio del tenore di vita goduto durante il matrimonio. La Corte ha specificato che il parametro del tenore di vita al giorno d’oggi non può più essere considerato un orientamento attuale.
Sempre riprendendo le osservazioni della prima sezione civile, in seguito a una sentenza di divorzio il rapporto di matrimonio si conclude sia sotto il profilo personale che dal punto di vista patrimoniale ed economico. Proprio per questo motivo qualsiasi tipo di riferimento al rapporto matrimoniale non può essere preso in considerazione, o finisce con il ripristinarlo in modo non legittimo, anche se solo per quel che concerne la dimensione economica correlata al tenore di vita dei due coniugi. Pensare al tenore di vita per decidere l’entità dell’assegno, in sostanza, vuol dire assumere una prospettiva indebita di ultrattività del vincolo matrimoniale, che – invece – con il divorzio si deve estinguere in tutto e per tutto.
Cosa hanno scritto i supremi giudici- Divorzio : come si fa per l’assegno divorzile ?
L’opinione dei supremi giudici è che debba essere identificato un criterio differente, e che tale criterio sia rappresentato dalla capacità di conseguirel’indipendenza economica del coniuge che riceve l’assegno di mantenimento. Nella sentenza “rivoluzionaria” dello scorso mese di maggio si legge che il diritto all’assegno non deve essere riconosciuto nel caso in cui venga accertato che il coniuge a cui dovrebbe essere destinato è indipendente sotto il profilo economico o comunque in grado di esserlo effettivamente. Gli indici più importanti che sono stati individuati dalla Cassazione per un corretto accertamento dell’indipendenza economica di un soggetto divorziato sono la disponibilità stabile di una casa, le possibilità e le capacità effettive di lavoro personale e il possesso di patrimonio immobiliare, di patrimonio mobiliare e di redditi.
Le conseguenze della sentenza-Divorzio : come si fa per l’assegno divorzile ?
La sentenza è a tutti gli effetti storica, come potrebbe confermare qualsiasi avvocato matrimonialista, ma apre la porta anche a una lunga teoria di conseguenze problematiche, dal momento che in futuro nella maggior parte dei casi verrà ridotto il contributo versato dal coniuge economicamente forte al coniuge economicamente debole. Anche il presidente dell’associazione degli avvocati matrimonialisti italiani Gian Ettore Gassani è intervenuto sull’argomento, evidenziando il cambiamento apportato dalla Cassazione.
Il caso-Divorzio : come si fa per l’assegno divorzile ?
Uno degli aspetti curiosi della vicenda riguarda il protagonista del caso che ha dato origine alla sentenza: si tratta di un banchiere che in passato ha ricoperto anche il ruolo di ministro nel governo italiano. Il banchiere ha manifestato, attraverso il suo avvocato matrimonialista, soddisfazione per il verdetto che è stato pronunciato, ma ha volutotutelare la propria privacy annunciando addirittura azioni legali verso coloro che diffonderanno il suo nome: sulla sentenza della Cassazione, in effetti, è stampigliata una richiesta di anonimato, che – di conseguenza – non può essere violata.
L’ex ministro non dovrà più versare un assegno a vita alla sua ex moglie, che per altro aveva fatto salire agli onori delle cronache nazionali le loro disavventure sentimentali. La donna, infatti, in un’inchiesta condotta da un quotidiano economico aveva fatto sapere che l’ex marito, già alto funzionario dello Stato, aveva comprato una casa di lusso a Roma usando dei fondi provenienti da paradisi fiscali: l’uomo si era giustificato sottolineando che i conti erano stati aperti in un periodo in cui non risiedeva in Italia. L’ex ministro nel corso della separazione consensuale aveva dato all’ex moglie 2 milioni di euro, anche per ripianare i debiti della donna.
Chi volesse ottenere approfondimenti e informazioni su divorzi e assegni di mantenimento, invece, si può rivolgere allo studio legale dell’Avvocato Sergio Armaroli. Certo è che la sentenza può essere considerata come il traguardo di un percorso iniziato da qualche decennio e che è destinata a diventare un punto di riferimento per tutte le sentenze riguardanti le situazioni diindebito arricchimento che avvengono alle spalle di ex coniugi.