DIVORZIO BOLOGNA ASSEGNO: indipendenza o autosufficienza economica
In questo articolo si esamina il concetto di autosufficenza economica
la Corte ha ritenuto che il parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio non sia più un orientamento «attuale»: con la sentenza di divorzio, osserva la prima sezione civile, «il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale».
Si rende, tuttavia, necessaria, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. , comma 4, la correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, il cui dispositivo – come si vedrà (cfr. infra, sub n. 2.6) – è conforme a diritto, in base alle considerazioni che seguono.
Una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso – sulla base dell’accertamento giudiziale, passato in giudicato, che “la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3” (cfr. artt. 1 e 2, mai modificati, nonchè la L. n. 898 del 1970, art. 4, commi 12 e 16) -, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi “persone singole”, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali ( art. 191 c.c., comma 1) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale ( art. 143 c.c. , comma 2), fermo ovviamente, in presenza di figli, l’esercizio della responsabilità genitoriale, con i relativi doveri e diritti, da parte di entrambi gli ex coniugi (cfr. art. 317 c.c. , comma 2, e da artt. 337-bis a 337-octies c.c.).
Perfezionatasi tale fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale, il diritto all’assegno di divorzio
Perfezionatasi tale fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale, il diritto all’assegno di divorzio – previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nel testo sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 – è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all’accertamento giudiziale della mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente l’assegno o, comunque, dell’impossibilità dello stesso “di procurarseli per ragioni oggettive”.
La piana lettura di tale comma 6 dell’art. 5 – “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive” – mostra con evidenza che la sua stessa “struttura” prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi, il cui oggetto è costituito, rispettivamente, dall’eventuale riconoscimento del diritto (fase dell’an debeatur) e – solo all’esito positivo di tale prima fase – dalla determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur).
La complessiva ratio della L. n. 898 del 1970, art. 5,
La complessiva ratio della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, (diritto condizionato all’assegno di divorzio e – riconosciuto tale diritto determinazione e prestazione dell’assegno) ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di “solidarietà economica” (art. 2, in relazione all’art. 23, Cost. ), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali “persone singole”, a tutela della “persona” economicamente più debole (cosiddetta “solidarietà post-coniugale”): sta precisamente in questo duplice fondamento costituzionale sia la qualificazione della natura dell’assegno di divorzio come esclusivamente “assistenziale” in favore dell’ex coniuge economicamente più debole ( art. 2 Cost. ) – natura che in questa sede va ribadita -, sia la giustificazione della doverosità della sua “prestazione” ( art. 23 Cost.).
Sicchè, se il diritto all’assegno di divorzio è riconosciuto alla “persona” dell’ex coniuge nella fase dell’an debeatur, l’assegno è “determinato” esclusivamente nella successiva fase del quantum debeatur, non già “in ragione” del rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, bensì “in considerazione” di esso nel corso di tale seconda fase (cfr. l’incipit del comma 6 dell’art. 5 cit.: “(….) il tribunale, tenuto conto (….)”), avendo lo stesso rapporto, ancorchè estinto pure nella sua dimensione economico-patrimoniale, caratterizzato, anche sul piano giuridico, un periodo più o meno lungo della vita in comune (“la comunione spirituale e materiale”) degli ex coniugi.
Deve, peraltro, sottolinearsi che il carattere condizionato del diritto all’assegno di divorzio – comportando ovviamente la sua negazione in presenza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità “di procurarseli”, vale a dire della “indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso – comporta altresì che, in carenza di ragioni di “solidarietà economica”, l’eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della “mera preesistenza” di un rapporto matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata tendenzialmente sine die: il discrimine tra “solidarietà economica” ed illegittima locupletazione sta, perciò, proprio nel giudizio sull’esistenza, o no, delle condizioni del diritto all’assegno, nella fase dell’an debeatur.
Tali precisazioni preliminari si rendono necessarie, perchè non di rado è dato rilevare nei provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto l’assegno di divorzio una indebita commistione tra le due “fasi” del giudizio e tra i relativi accertamenti che, essendo invece pertinenti esclusivamente all’una o all’altra fase, debbono per ciò stesso essere effettuati secondo l’ordine progressivo normativamente stabilito.