Cass. pen. n. 22625/2023
Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni.
La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del Codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno.
Il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.), pur muovendo dall’intento legislativo di predisporre una più ampia tutela per le vittime di “violenza domestica o di genere”, non ha inteso limitarle solo a tali soggetti, tanto che, per la lesione comportante uno sfregio permanente al viso, consapevolmente ha introdotto una nuova norma di tutela, per tale gravissima lesione, per chiunque ne fosse rimasto vittima.
Per effetto della riforma, l’ipotesi di lesioni personali gravissime consistenti nella deformazione o nello sfregio permanente del viso integra, dunque, un titolo autonomo di reato. Tanto si desume dalla contestuale abrogazione dell’art. 583 comma 2 n. 4 c.p., che prevedeva l’omologa circostanza aggravante a effetto speciale2.
Con un risalente approdo, si era anche considerato che, se pure non ogni alterazione della fisionomia del viso costituisca sfregio, sono certamente tali le alterazioni che ne turbino l’armonia con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza: il tutto rapportato ad un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità (Sez. 5, n. 10903 del 02/10/1981, Rv. 151231; conf. Sez. 5, n. 21998 del 16/01/2012, Rv. 252952, che, in applicazione del principio di cui in massima, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante in questione nel distacco di parte del lobo di un orecchio, mediante morso, nonchè, Sez. 1, n. 7407 del 01/02/1978, Rv. 139343 – che ha precisato come per “viso” debba intendersi quella parte del corpo che va dalla fronte all’estremità del mento e dall’uno all’altro orecchio (Conf Rv. n 131171; RV. n 131172; Rv. n 131173).
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – 25 agosto 2023 N. 35795
1.Il ricorso è fondato, e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice di merito per nuovo giudizio sulla sussistenza dello sfregio permanente.
2.L’art. 583 quinquies c.p. – intitolato “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, come introdotto dall’art. 12 comma 1 della L. 19 luglio 2019, n. 69, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 173 del 25 luglio 2019, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, c.d. Codice rosso – punisce con la reclusione da 8 a 14 anni colui che cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente al viso.
2.1. Nella formulazione originaria del Codice penale, la deformazione e lo sfregio permanente del viso erano puniti ai sensi dell’art. 583, comma 2, n. 4 c.p., e secondo l’orientamento maggioritario, l’art. 583 c.p., annoverava una serie di circostanze aggravanti della fattispecie di lesioni personali, avuto riguardo alla rubrica, alla presenza di elementi specializzati rispetto all’ipotesi base delle lesioni personali e al testo dell’art. 582 c.p., che rinvia alle circostanze aggravanti di cui all’art. 583 c.p. Il c.d. Codice rosso ha, invece, trasformato la deformazione e lo sfregio permanente al viso in un titolo autonomo di reato, con un proprio trattamento sanzionatorio, attraverso un modus operandi che il legislatore aveva già sperimentato in altre occasioni, come quando sono state trasformate le due aggravanti del furto domiciliare (art. 625, n. 1) e del furto con scippo (art. 625, n. 4) in reati autonomi, con pena pecuniaria triplicata nel minimo; il medesimo meccanismo, d’altronde, è stato applicato nell’ipotesi del delitto di omicidio stradale, che costituiva, prima, una circostanza aggravante dell’omicidio colposo, poi trasformato dal Legislatore in un reato autonomo. Il nuovo titolo autonomo delittuoso prevede un proprio trattamento sanzionatorio costituito dall’applicazione di una pena principale, di una pena accessoria perpetua ed eventualmente di circostanze aggravanti (art. 585, comma 1, c.p. e art. 576, comma 1, n. 5 c.p.).
2.2. Alla luce dei principi generali del diritto penale, la principale conseguenza di una siffatta operazione legislativa è la sottrazione della fattispecie al giudizio di bilanciamento, di cui all’art. 69 c.p., con eventuali circostanze attenuanti. Mentre in passato il regime sanzionatorio previsto per le lesioni aggravate dall’aver cagionato una deformazione o uno sfregio permanente del viso poteva essere contemperato dalla sussistenza di circostanze attenuanti, attualmente risulta inapplicabile l’ipotesi di bilanciamento, determinandosi così un irrigidimento sul piano sanzionatorio. Un’altra conseguenza derivante dal passaggio da circostanza aggravante (contestualmente abrogata) a titolo autonomo di reato è che, dopo l’entrata in vigore del “Codice rosso”, non si può applicare l’art. 583 quinquies c.p. nel caso in cui la deformazione o lo sfregio permanente al viso mediante lesioni siano state provocate da una condotta colposa. Dopo l’entrata in vigore del “Codice rosso”, che ha contestualmente abrogato l’art. 583, comma 2, n. 4, l’art. 583 quinquies costituisce una fattispecie autonoma, perciò il fatto potrà essere ascritto all’agente secondo i normali criteri dell’ascrizione della responsabilità penale (art. 42, comma 2,cod. pente), vale a dire a titolo di dolo, non essendovi alcun riferimento esplicito alla colpa.
2.3. Come si è visto, il Legislatore del Codice rosso, nell’ambito della sua discrezionalità, ha non solo mutato la fattispecie aggravata nel reato autonomo di cui all’art. 583 quinquies c.p., ma ne ha anche incrementato i limiti edittali, onde punire in modo più severo una condotta di particolare disvalore, come quella lesiva dell’estetica del volto della vittima. E’ in ciò che si individua la ratio della nuova previsione incriminatrice, che affonda le radici nella cronaca giudiziaria e in particolare nel verificarsi di gravi fatti delittuosi consistiti, per lo più, nel getto di acido sul viso della vittima, con effetti di irrimediabile o difficilmente rimediabile compromissione dei lineamenti del viso o della sua stessa conformazione e, quindi, in definitiva con riflessi sulla identità personale. La vittima della deformazione o dello sfregio permanente subisce, infatti, un’offesa consistente in un grave danno alla salute sia fisica che psichica, vedendo il proprio viso deformato o sfregiato, e, quindi, risultando irriconoscibile la propria persona a sè e al mondo con cui si relaziona quotidianamente. Come è stato osservato in dottrina, “L’offesa che lo sfregio o la deformazione reca alla vittima supera i limiti dell’integrità fisica, per attingere alla sua personalità individuale. Incidendo così violentemente sull’immagine di sè, che dei rapporti interpersonali costituisce un veicolo essenziale, è la dignità stessa della persona a risultare compromessa”.
D’altronde, nella relazione di accompagnamento alla proposta di introdurre il delitto di “omicidio di identità”, prodromico al delitto in commento (con il quale si era inteso sottolineare l’effetto drammatico e irrimediabile per la vittima e lo scopo predominante nella scelta del carnefice, di annullare o mortificare la vittima quale mera res), si legge che “Il volto distrutto e volutamente sfregiato della vittima ha il valore di una morte civile, inferta con inaudito cinismo e frutto o causa, sopra ogni cosa, della volontà violenta di restare unici padroni dell’io profondo della vittima che si sarebbe voluta possedere”, costringe la vittima “a un calvario psichico e medico (…) per riuscire a riottenere la parvenza di un volto” (Relazione al disegno di L. 2757 del 2017, consultabile su www.senato.it). Dunque, sebbene le lesioni in esame comportino, al pari di altre (quali la perdita di un senso, di un arto o di un organo o della capacità di procreazione), gravi offese alla salute della vittima, la deformazione o lo sfregio permanente al viso implicano un quid pluris, cioè la lesione della dignità, derivante dalla mortificazione o dallo snaturamento della identità personale e relazionale della vittima: in ciò può ravvisarsi la legittimazione al più severo trattamento sanzionatorio.
In tal senso si è osservato che “L’intervento in oggetto, volto a fronteggiare l’al/armante ripetersi di vicende in cui erano state intenzionalmente causate alla vittima tal genere di lesioni, intende offrire una risposta ispirata a maggior rigore e, soprattutto, mira a frustrare il rischio di possibili attenuazioni sanzionatorie, conseguenti al meccanismo del bilanciamento delle circostanze, in una prospettiva di contenimento della discrezionalità del giudice. In tale ottica deve leggersi altresì la disposizione in tema di pena accessoria, non senza rilevare che di recente la Corte costituzionale, con la sent. n. 222 del 2018, ha formulato rilievi fortemente critici nei confronti delle pene accessorie perpetue, osservando che quelle di natura interdittiva, pur potendo avere una durata maggiore rispetto a quella delle pene principali, per risultare compatibili con il volto costituzionale della sanzione penale, non devono risultare “… manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto al concreto disvalore del fatto di reato, tanto da vanificare lo stesso obiettivo di rieducazione del reo di cui all’art. 27 Cost.” “(cfr. Corte di cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, Relazione su “Legge 19 Luglio 2019, n. 69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale a altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, 27 ottobre 2019).
2.4. Nondimeno, se il severo trattamento sanzionatorio riservato alle ipotesi di deformazione e sfregio permanente al viso è la conseguenza del maggior disvalore dell’evento e della notevole gravità delle conseguenze subìte dalla vittima, giacchè – come si è già osservato – si tratta di condotta che non lede solo l’integrità fisica della p.o., ma aggredisce la personalità individuale e la dignità della persona, incidendo sull’immagine della vittima, che rappresenta un veicolo essenziale nei rapporti interpersonali (cfr. sent. G.U.P. Parma, n. 786 del 7 dicembre 2021, pg. 2), esigenze di tenuta costituzionale della norma richiedono, ai fini di tale compatibilità, che la pena risulti proporzionata al concreto disvalore del fatto di reato.
2.5. E’ in tale complessiva ottica che deve essere, dunque, riguardata la fattispecie di nuovo conio, nel senso che la lesione al volto, per potere integrare uno sfregio o una deformazione, e giustificare il severo trattamento sanzionatorio comminato dalla norma astratta, deve produrre, non un qualsiasi esisto cicatriziale, ma un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, che incida sulla funzione estetico-fisiognomica dello stesso, sì da compromettere la percezione del sè da parte della vittima e di coloro con i quali si relaziona.
2.6. Vale, ora, la pena di ricordare che la giurisprudenza si è curata, da epoca risalente, di individuare il discrimen tra lo sfregio e la deformazione, affermando che, in tema di lesioni personali gravissime, deformazione o deformismo è un’alterazione anatomica del viso che ne alteri profondamente la simmetria, tanto da causare un vero e proprio sfiguramento, mentre lo sfregio permanente è un qualsiasi nocumento che non venga a determinare la più grave conseguenza della deformazione ma importi un turbamento irreversibile dell’armonia, dell’euritmia delle linee del viso (Sez. 4, n. 12006 del 04/07/2000, Rv. 217897 – Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente affermata l’aggravante in questione da parte del giudice che, pur in mancanza di documentazione fotografica, ha espresso un ragionevole giudizio di attitudine a deturpare il volto sulla base della diagnosi delle lesioni riportate e del diretto riscontro della evidenza ed imponenza della cicatrice residuata).
Con un risalente approdo, si era anche considerato che, se pure non ogni alterazione della fisionomia del viso costituisca sfregio, sono certamente tali le alterazioni che ne turbino l’armonia con effetto sgradevole o d’ilarità, anche se non di ripugnanza: il tutto rapportato ad un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità (Sez. 5, n. 10903 del 02/10/1981, Rv. 151231; conf. Sez. 5, n. 21998 del 16/01/2012, Rv. 252952, che, in applicazione del principio di cui in massima, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante in questione nel distacco di parte del lobo di un orecchio, mediante morso, nonchè, Sez. 1, n. 7407 del 01/02/1978, Rv. 139343 – che ha precisato come per “viso” debba intendersi quella parte del corpo che va dalla fronte all’estremità del mento e dall’uno all’altro orecchio (Conf Rv. n 131171; RV. n 131172; Rv. n 131173).
3. Così tracciate le linee ermeneutiche che devono guidare il giudizio di merito, e posto che quella sulla natura della lesione è una valutazione che compete al giudice di merito, chiamato ad esprimere un giudizio che non richiede speciali competenze tecniche, perchè ancorato al punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità, e pertanto tale giudizio, se condotto in termini logicamente coerenti, non risulta sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, n. 22685 del 02/03/2017, Rv. 270137), si osserva come, nel caso di specie, risulti affrontato in modo contraddittorio dal Giudice a quo lo scrutinio in punto di riconoscimento dello sfregio permanente, dal momento che la Corte di appello, pur muovendo dalla relazione del consulente tecnico del Pubblico Ministero, che ha escluso espressamente lo sfregio, lo ha, invece, ravvisato immotivatamente o, comunque, con una argomentazione che non si sottrae alle censure di illogicità formulate dai ricorrenti.
Vale la pena di richiamare uno stralcio, riportato nella sentenza di primo grado, di tale relazione, laddove l’esperto afferma che ” Nella fattispecie a guarigione avvenuta residuava l’esito cicatriziale localizzato al volto. Tale cicatrice sebbene non costituisca sfregio o deformazione permanente certamente determina una alterazione permanente delle linee estetiche modificando peggiorativamente la fisionomia”. Ora, al di là della intrinseca contraddittorietà che può cogliersi già nella stessa valutazione del consulente peraltro non chiamato a esprimersi specificamente sulla natura della cicatrice residuata dall’intervento chirurgico al quale la persona offesa era stata sottoposta in conseguenza delle lesioni traumatiche alla mandibola – la Corte di appello, nell’operare la propria valutazione di merito sulla natura dell’esito cicatriziale al volto della persona offesa, non solo mette insieme i concetti di sfregio e di deformazione (pg. 7), tra loro non assimilabili, ma non offre alcun elemento descrittivo della idoneità della cicatrice di determinare quell’effetto di snaturamento della identità personale e relazionale della vittima che, invece, per quanto si è osservato, è necessario riscontrare nella fattispecie concreta, quale conseguenza della condotta lesiva.
4.Nel rinnovato giudizio, la Corte di appello dovrà sanare tale salto logico e chiarire, attraverso una compiuta descrizione della alterazione residuata sul viso della persona offesa, se essa, alla luce dei criteri ermeneutici che si sono richiamati e in ragione degli effetti prodotti sulla vittima, possa essere definita come uno sfregio permanente. Restano assorbiti gli ulteriori motivi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2023