SICURO TI SPIEGO COME OTTENERE IL DANNO BIOLOGICO E ESISTENZIALE CHIAMA
DANNO BIOLOGICO E DANNO ESISTENZIALE
Il danno esistenziale viene definito come una sottocategoria del biologico
Le espressioni “danno esistenziale” e “danno biologico” non esprimono distinte categorie di danno, tantomeno l’uno può ritenersi una sottocategoria dell’altro, trattandosi, piuttosto, di locuzioni meramente descrittive dell’unica categoria di danno, che è quella del danno non patrimoniale, da identificarsi nel danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.
Ribadito il carattere meramente descrittivo di siffatte locuzioni, si rammenta che le Sezioni Unite di questa S.C., nel procedere alla sistemazione della figura del “danno non patrimoniale” con le note sentenze di San Martino, hanno chiaramente affermato che, in tema di danno alla persona, il riconoscimento del carattere “omnicomprensivo” del risarcimento del danno non patrimoniale non può andare a scapito del principio della “integralità” del risarcimento medesimo.
Corollario di detto principio è che il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane) non costituiscono una conseguenza indefettibile in tema di lesione dei diritti della persona, occorrendo valutare, caso per caso, se il danno non patrimoniale, nella fattispecie concreta, presenti o meno siffatti aspetti.
Invero le espressioni “danno esistenziale” e “danno biologico” non esprimono distinte categorie di danno, tantomeno l’uno può ritenersi una sottocategoria dell’altro, trattandosi, piuttosto, di locuzioni meramente descrittive dell’unica categoria di danno, che è quella del danno non patrimoniale, da identificarsi nel danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.
Per mera completezza si rileva che non vi è alcuna incongruenza logica-giuridica (come sembrerebbe sottendere il quesito) nel fatto che i giudici del merito abbiano riconosciuto, nella specie, il risarcimento del danno esistenziale e non già di quello biologico.
Ribadito il carattere meramente descrittivo di siffatte locuzioni, si rammenta che le Sezioni Unite di questa S.C., nel procedere alla sistemazione della figura del “danno non patrimoniale” con le note sentenze di San Martino, hanno chiaramente affermato che, in tema di danno alla persona, il riconoscimento del carattere “omnicomprensivo” del risarcimento del danno non patrimoniale non può andare a scapito del principio della “integralità” del risarcimento medesimo.
Corollario di detto principio è che il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane) non costituiscono una conseguenza indefettibile in tema di lesione dei diritti della persona, occorrendo valutare, caso per caso, se il danno non patrimoniale, nella fattispecie concreta, presenti o meno siffatti aspetti. Il compito del giudice consiste, dunque, nell’accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e procedendo alla loro integrale riparazione.
Quale il compito del giudice per definire il danno?
Il compito del giudice consiste, dunque, nell’accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e procedendo alla loro integrale riparazione. Ne consegue che la mancanza di danno biologico (qual è stato ritenuto, nella specie, per i due genitori) non esclude la configurabilità in astratto di un danno morale soggettivo (da sofferenza interiore) e di un danno “dinamico-relazionale”, quale conseguenza, autonoma, della lesione medicalmente accertabile, che si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del soggetto.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel procedere alla sistemazione della figura del “danno non patrimoniale” con le note sentenze di San Martino, hanno chiaramente affermato che, in tema di danno alla persona, il riconoscimento del carattere “omnicomprensivo” del risarcimento del danno non patrimoniale non può andare a scapito del principio della “integralità” del risarcimento medesimo. Corollario di detto principio è che il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane) non costituiscono una conseguenza indefettibile in tema di lesione dei diritti della persona, occorrendo valutare, caso per caso, se il danno non patrimoniale, nella fattispecie concreta, presenti o meno siffatti aspetti. Il compito del giudice consiste, dunque, nell’accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio arrecato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e procedendo alla loro integrale riparazione.
Ne consegue che la mancanza di danno biologico non esclude la configurabilità in astratto di una danno morale soggettivo (da sofferenza interiore) e di un danno dinamico-relazionale, quale conseguenza, autonoma, della lesione medicalmente accertabile, che si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del soggetto. Inoltre quando il fatto lesivo ha profondamente alterato il complessivo assetto dei rapporti personali all’interno della famiglia, provocando, come nel caso di specie, una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione all’esigenza di provvedere perennemente ai bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti, deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulteriore apprestata dall’art. 2059 cod. civ. in caso di lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto.
E allorchè il fatto lesivo abbia profondamente alterato il complessivo assetto dei rapporti personali all’interno della famiglia, provocando, come è stato ritenuto nella specie, una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione all’esigenza di provvedere perennemente ai (niente affatto ordinari) bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti, deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulteriore apprestata dall’art. 2059 cod. civ. in caso di lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto
Sentenza 31 maggio 2003, n. 8828
Svolgimento del rocesso
Con atto notificato il 14.1.1994, la madre, T. S., la moglie, E.Z., la figlia, B.B., e i fratelli, M., V., F. e T. B. convenivano davanti al Tribunale di Brescia il M. e la spa S.A.I. Assicurazioni, per sentirli condannare in solido al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, da essi subiti, sia iure proprio che iure hereditatis.
I convenuti resistevano.
A seguito della morte di B.B., la madre E.Z. si costituiva per proseguire il processo quale unica erede.
Il tribunale, con sentenza dell’8.10.1998, dichiarava la colpa esclusiva del M. e condannava in solido i convenuti a pagare alla Z. la somma di lire 163.210.000, di cui lire 100.000.000 per danno morale, lire 50.000.000 quale erede della defunta figlia B. per il danno morale da quest’ultima sofferto, lire 3.850.000 quale unica erede della vittima per il danno biologico temporaneo sofferto dalla medesima e lire 9.360.000 per esborsi; alla S. la somma di lire 30.000.000 a titolo di danno morale; ai B. la somma di lire 20.000.000 ciascuno a titolo di danno morale; rigettava la domanda della Z. per il risarcimento iure hereditatis del danno morale sofferto dalla vittima, quella di risarcimento del danno biologico patito iure proprio dalla Z. e dalla S. e quella di risarcimento del danno patrimoniale subito dalla Z..
Proponevano appello gli attori, chiedendo: l’elevazione dell’importo del risarcimento del danno morale sofferto dalla Z., da B.B. e dalla S.; il riconoscimento alla Z., iure hereditatis, del danno morale sofferto dall’ucciso e l’elevazione del danno biologico subito dal medesimo; il riconoscimento del danno biologico o esistenziale subito dalla moglie, dalla figlia e dalla madre della vittima per la perdita del congiunto; il riconoscimento alla vedova del danno patrimoniale.
La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 2.1.2001, accoglieva parzialmente l’appello. La Corte così provvedeva:
– elevava a lire 8.000.000 la liquidazione del danno biologico subito dalla vittima, richiesto iure successionis dalla Z.;
– riconosceva il danno morale sofferto dalla vittima tra il giorno dell’investimento e quello della morte, e lo liquidava in lire 25.000.000, in favore della Z., unica erede a seguito della morte della figlia B.;
– riconosceva la sussistenza, in capo ai congiunti della vittima, del danno biologico iure proprio, sotto il profilo del danno esistenziale, consistente nella permanente alterazione dell’equilibrio del nucleo familiare; riteneva in re ipsa la prova del pregiudizio, in quanto lamentato da congiunti legati alla vittima da stretto rapporto parentale e da vincolo di convivenza; liquidava, equitativamente, l’importo del relativo risarcimento in favore della Z., in lire 30.000.000 in proprio ed in lire 10.000.000 quale erede della figlia B., ed in lire 20.000.000 in favore della S.;
– riteneva corretta la liquidazione in favore dei congiunti del danno morale soggettivo iure proprio;
– confermava il rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito dalla Z., sul rilievo che il defunto marito era pensionato, che alla vedova competeva la pensione di reversibilità e che nessuna prova era stata fornita circa l’esecuzione di lavori in proprio, quale elettricista, da parte del marito.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Z., anche quale erede della figlia B., sulla base di unico mezzo.
Ha resistito, con controricorso, la S.A.I., che ha altresì proposto ricorso incidentale, affidato ad unico mezzo, nei confronti della Z., in proprio e quale erede della figlia, e della S..
La S. non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza vanno riuniti (articolo 335 c.p.c.).
Ricorso n. 12983/01.
2. Con l’unico mezzo, la ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto (articoli 2056 e 1226 c.c.; articolo 2043 c.c.; articoli 315, 433 e 230bis c.c.; articoli 29, 30 e 32 Cost.) ed omessa motivazione, censura il mancato riconoscimento del risarcimento del danno patrimoniale subito dalla Z. in conseguenza della morte del marito.
2.1. Il motivo è fondato.
Il totale diniego della sussistenza di un danno patrimoniale subito dalla vedova per la morte del marito è stato motivato dalla corte d’appello sulla base di due argomentazioni: a) la vedova ha perduto la quota di reddito che il marito le riservava, ma ha acquisito la pensione di reversibilità; b) manca la prova che il marito, elettricista pensionato, svolgesse in proprio dei piccoli lavori in tale qualità.
Il primo argomento è errato, in quanto applica il principio della compensatio lucri cum damno. Ma tale ipotesi non si configura quando, a seguito della morte della persona offesa, alla vedova sia stata concessa una pensione di reversibilità, poiché tale erogazione si fonda su un titolo diverso rispetto all’atto illecito (sentenza 1140/97; 1347/98; 10291/01).
La motivazione risulta quindi errata in diritto. La sentenza va pertanto cassata con rinvio ad altro giudice che dovrà nuovamente motivare sul punto concernente la attribuzione alla vedova del danno patrimoniale, tenendo conto del suindicato principio.
Ricorso n. 16386/01.
3. Con l’unico mezzo, la ricorrente incidentale, denunciando violazione ed erronea applicazione di norme di diritto nonché contraddittorietà della motivazione, censura la sentenza della corte d’appello nella parte in cui ha accolto la domanda di risarcimento del danno biologico, sotto il profilo esistenziale, in favore della moglie, della figlia e della madre della vittima.
Sostiene: che la corte d’appello ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno esistenziale inquadrandolo nell’ambito del danno biologico, quale lesione del diritto alla salute tutelato dall’articolo 32 Cost. inteso in senso ampio; che il danno biologico può trovare adeguato risarcimento solo ove sia data la prova della sussistenza di una situazione patologica che possa far affermare la violazione del bene salute costituzionalmente garantito, mentre nessuna prova al riguardo è stata fornita dagli attori.
3.1. Il motivo è solo in parte fondato e va accolto per quanto di ragione.
3.1.1. La corte d’appello ha accolto la domanda degli attori, formulata come domanda di risarcimento di danno biologico iure proprio, sotto il profilo del danno esistenziale, sul rilievo che l’uccisione di un congiunto provoca un pregiudizio al bene salute, da intendere non ristretto alla mera integrità fisica (e psichica), ma esteso anche al benessere sociale, come ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza 184/86; che tale pregiudizio non è coincidente con gli stress emozionali contingenti, ai quali si addice la previsione dell’articolo 2059 c.c., in quanto consiste nella permanente alterazione dell’equilibrio del nucleo familiare; che la prova della sussistenza di tale pregiudizio deve ritenersi in re ipsa, quando è lamentato da stretti congiunti, conviventi con la vittima.
3.1.2. L’ammissione a risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, consistente nella perdita del rapporto parentale (con tale espressione sinteticamente lo designa una ormai cospicua giurisprudenza di merito, che lo inserisce nell’ambito del cosiddetto danno esistenziale ), compiuta dalla corte territoriale va condivisa nella sua essenza, anche se necessita di alcune precisazioni.
3.1.3. Il risarcimento del danno non patrimoniale è prevista dall’articolo 2059 c.c. (“Danni non patrimoniali”), secondo cui: “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. All’epoca dell’emanazione del codice civile (1942) l’unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell’articolo 185 del c.p. del 1930.
Ritiene il Collegio che la tradizionale restrittiva lettura dell’articolo 2059, in relazione all’articolo 185 c.p., come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell’animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato (interpretazione fondata sui lavori preparatori del codice del 1942 e largamente seguita dalla giurisprudenza), non può essere ulteriormente condivisa.
Nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione – che, all’articolo 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo -, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona.
3.1.4. Tale conclusione trova sostegno nella progressiva evoluzione verificatasi nella disciplina di tale settore, contrassegnata dal nuovo atteggiamento assunto, sia dal legislatore che dalla giurisprudenza, in relazione alla tutela riconosciuta al danno non patrimoniale, nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica (in tal senso, v. già Corte costituzionale, sentenza 88/1979).
3.1.4.1. Nella legislazione successiva al codice si rinviene un cospicuo ampliamento dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell’ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali (articolo 2 della legge 117/88: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall’esercizio di funzioni giudiziarie; articolo 29, comma 9, della legge 675/96: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; articolo 44, comma 7, del decreto legislativo 286/98: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; articolo 2 della legge 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).
3.1.4.2. Appare inoltre significativa l’evoluzione della giurisprudenza di questa Suprema Corte, sollecitata dalla sempre più avvertita esigenza di garantire l’integrale riparazione del danno ingiustamente subito, non solo nel patrimonio inteso in senso strettamente economico, ma anche nei valori propri della persona (articolo 2 Cost.). In proposito va anzitutto richiamata la rilevante innovazione costituita dall’ammissione a risarcimento (a partire dalla sentenza 3675/81) di quella peculiare figura di danno non patrimoniale (diverso dal danno morale soggettivo) che è il danno biologico, formula con la quale si designa l’ipotesi della lesione dell’interesse costituzionalmente garantito (articolo 32 Cost.) alla integrità psichica e fisica della persona.
Non ignora il Collegio che la tutela risarcitoria del cosiddetto danno biologico viene somministrata in virtù del collegamento tra l’articolo 2043 c.c. e l’articolo 32 Cost., e non già in ragione della collocazione del danno biologico nell’ambito dell’articolo 2059, quale danno non patrimoniale, e che tale costruzione trova le sue radici (v. Corte Costituzione, sentenza 184/86) nella esigenza di sottrarre il risarcimento del danno biologico (danno non patrimoniale) dal limite posto dall’articolo 2059 (norma nel cui ambito ben avrebbe potuto trovare collocazione, e nella quale, peraltro, una successiva sentenza della Corte costituzionale, la 372/94, ha ricondotto il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima priM.). Ma anche tale orientamento, non appena ne sarà fornita l’occasione, merita di essere rimeditato.
Nel senso del riconoscimento della non coincidenza tra il danno non patrimoniale previsto dall’articolo 2059 e il danno morale soggettivo va altresì ricordato che questa Suprema Corte ha ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale, evidentemente inteso in senso diverso dal danno morale soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche; soggetti per i quali non è ontologicamente configurabile un coinvolgimento psicologico in termini di patemi d’animo (v., da ultimo, sentenza 2367/00).
3.1.4.3. Si deve quindi ritenere ormai acquisito all’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di “danno non patrimoniale”, inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come “danno morale soggettivo”.
Non sembra tuttavia proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, in riferimento all’articolo 2059, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica.
3.1.5. Venendo ora alla questione cruciale del limite al quale l’articolo 2059 del codice del 1942 assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale, mediante la riserva di legge, originariamente esplicata dal solo articolo 185 c.p. (ma v. anche l’articolo 89 c.p.c.), ritiene il Collegio che, venendo in considerazione valori personali di rilievo costituzionale, deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale che ne consegua sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’articolo 185 c.p.
Una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti. Occorre considerare, infatti, che nel caso in cui la lesione abbia inciso su un interesse costituzionalmente protetto la riparazione mediante indennizzo (ove non sia praticabile quella in forma specifica) costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima non è assoggettabile a specifici limiti, poiché ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi (v. Corte costituzionale, sentenza 184/86, che si avvale tuttavia dell’argomento per ampliare l’ambito della tutela ex articolo 2043 al danno non patrimoniale da lesione della integrità biopsichica; ma l’argomento si presta ad essere utilizzato anche per dare una interpretazione conforme a Costituzione dell’articolo 2959).
D’altra parte, il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale.
3.1.6. Venendo ora ad esaminare la questione della ammissione a risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, consistente nella definitiva perdita del rapporto parentale (con tale espressione sinteticamente lo designa una ormai cospicua giurisprudenza di merito, che lo inserisce nell’ambito del c.d. danno esistenziale), osserva il Collegio che il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno subito in conseguenza della uccisione di un congiunto lamenta l’incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, del quale è titolare, la cui tutela ex articolo 32 Cost., ove risulti intaccata l’integrità biopsichica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico, sia dall’interesse all’integrità morale, la cui tutela, agevolmente ricollegabile all’articolo 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo. L’interesse fatto valere nel caso di danno da uccisione di congiunto è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli articoli 2, 29 e 30 Cost.
Si tratta di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’articolo 2043, nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad un risarcimento (o meglio: ad una riparazione), ai sensi dell’articolo 2059, senza il limite ivi previsto in correlazione all’articolo 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in tema di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato.
3.1.7. Il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, si colloca quindi nell’area dell’articolo 2059 in raccordo con le suindicate norme della Costituzione.
Il suo risarcimento postula tuttavia la verifica della sussistenza degli elementi nel quali si articola l’illecito civile extracontrattuale definito dall’articolo 2043. L’articolo 2059 non delinea una distinta figura di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, consente, nei casi determinati dalla legge, anche la riparazione di danni non patrimoniali (eventualmente in aggiunta a quelli patrimoniali nel caso di congiunta lesione di interessi di natura economica e non economica).
3.1.8. Per quanto concerne il nesso di causalità, va rilevato che, nel caso in cui la perdita del rapporto parentale sia determinata dall’uccisione di un congiunto, il medesimo fatto (uccisione di una persona) lede in pari tempo situazioni giuridiche di soggetti diversi legati da un vincolo parentale.
L’evento naturale “morte” non causa soltanto l’estinzione della vita della vittima priM., che subisce il massimo sacrificio del relativo diritto personalissimo, ma causa altresì, nel contempo, l’estinzione del rapporto parentale con i congiunti della vittima, che a loro volta subiscono la lesione dell’interesse alla intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare.
Si ripropone, in questo caso, il fenomeno della propagazione intersoggettiva delle conseguenze di un medesimo fatto illecito. Figura nota, della quale la giurisprudenza, in tema di danni non patrimoniali, ha fatto governo in varie ipotesi, ammettendo a risarcimento: il danno morale soggettivo da morte di congiunto (sentenze 2915/71; 1016/73; 6854/88; 11396/97); il danno morale soggettivo cagionato da lesione non mortale sofferta da un congiunto, come statuito, innovando il precedente orientamento restrittivo (di cui sono espressione le sentenze suindicate), dalla più recente giurisprudenza di questa Suprema Corte (sentenze 4186/98; 4852/99; 13358/99; 1516/01; Sezioni unite, 9556/02); il danno consistente nella impossibilità di intrattenere rapporti sessuali a causa delle lesioni subite dal coniuge (sentenza 6607/86); il danno subito dalla moglie e dai figli di un infortunato, rimasto in coma profondo, per la lesione dei diritti riflessi di cui siano portatori, ai sensi degli articoli 143 e 147 c.c. (sentenza 8305/96). Ma ricadono nel paradigma, sia pur in materia di danni patrimoniali, anche l’ipotesi della lesione del diritto di credito ad opera di un terzo (secondo quanto affermato nel caso Meroni dalle Sezioni unite con la nota sentenza 174/71) e del danno patrimoniale subito dai congiunti della vittima (ai quali viene equiparato il convivente more uxorio: sentenza 2988/94) per la perdita delle contribuzioni che da quella ricevevano ed avrebbero presumibilmente ancora ricevuto in futuro, sempre pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza civile (sentenze 3929/69; 2063/75; 4137/81; 11453/95; 1085/98; ma v. anche Corte costituzionale, sentenza 372/94).
In questi casi si suole parlare di “danno riflesso o di rimbalzo”. Ma la definizione non coglie nel segno: dovendosi aver riguardo alla lesione della posizione giuridica protetta, nel caso di evento plurioffensivo la lesione è infatti contestuale ed immediata per tutti i soggetti che sono titolari dei vari interessi incisi (sentenza 1561/01; Sezioni unite, 9556/02).
Ciò posto, il problema della causalità va affrontato e risolto negli stessi termini in cui questa Suprema Corte lo ha affrontato e risolto in relazione alle menzionate ipotesi di propagazione intersoggettiva delle conseguenze di uno stesso fatto illecito.
Al fine di individuare il responsabile dell’evento lesivo (incidente sulle posizioni giuridicamente protette facenti capo alla vittima priM. ed a quelle che si suole definire come vittime secondarie) dovrà essere accertato il nesso di causalità materiale intercorrente tra la condotta dell’uccisore e la morte della vittima priM. alla stregua delle regole dettate dagli articoli 41 e 42 c.p., secondo i criteri della c.d. causalità di fatto o naturale, impostati sul principio della condizione sine qua non o della equivalenza, con il correttivo del criterio della “causalità efficiente” (v., per tutte, sentenze 8348/96 e 5923/95, che esprimono un orientamento consolidato).
Una volta risolto il problema dell’imputazione dell’evento (problema che è proprio della responsabilità extracontrattuale, poiché in quella contrattuale il soggetto responsabile è di norma il contraente inadempiente: sentenza 11629/99), dovrà invece procedersi alla ricerca del collegamento giuridico tra il fatto (uccisione) e le sue conseguenze dannose, selezionando quelle risarcibili, rispetto a quelle non risarcibili, in base ai criteri della causalità giuridica, alla stregua di quanto prevede l’articolo 1223 c.c. (richiamato dall’articolo 2056, comma 1, c.c.), che limita il risarcimento ai soli danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito, ma che viene inteso, secondo costante giurisprudenza (sentenze 89/1962; 373/71; 6676/92; 1907/93; 2356/00; 5913/00), nel senso che la risarcibilità deve essere estesa ai danni mediati ed indiretti, purché costituiscano effetti normali del fatto illecito, secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale (sul punto v., da ultimo, Sezioni unite, sentenza 9556/02, in tema di danno morale soggettivo sofferto dai congiunti della vittima di lesioni non mortali, che conferma le argomentazioni della sentenza 4186/99).
3.1.9. Circa l’elemento soggettivo, non sembra esatto ritenere che, essendo necessaria la prevedibilità dell’evento al fine di ritenere sussistente la colpa, il soggetto che ha posto in essere la condotta che ha causato la morte della vittima priM. non dovrebbe rispondere del danno subito dai congiunti per difetto di prevedibilità degli eventi ulteriori, tra i quali rientra la privazione, in danno dei superstiti, del rapporto coniugale e parentale, e, quindi, per mancanza di colpa.
E’ agevole opporre che la prevedibilità dell’evento dannoso deve essere valutata in astratto e non in concreto; che l’evento dannoso è costituito, in tesi, dalla lesione dell’interesse all’intangibilità delle relazioni familiari; che tale lesione deve ritenersi prevedibile, rientrando nella normalità che la vittima sia inserita in un nucleo familiare, come coniuge, genitore, figlio o fratello.
3.1.10. Per quanto concerne, infine, la prova del danno, osserva il Collegio che il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto non coincide con la lesione dell’interesse protetto, esso consiste in una perdita, nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell’interesse protetto.
Volendo far riferimento alla nota distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza (introdotta da Corte costituzionale 184/86, che ha collocato nella prima figura il danno biologico, ma abbandonata dalla successiva Corte costituzionale 372/94), si tratta di danno-conseguenza.
Non vale pertanto l’assunto secondo cui il danno sarebbe in re ipsa, nel senso che sarebbe coincidente con la lesione dell’interesse. Deve affermarsi invece che dalla lesione dell’interesse scaturiscono, o meglio possono scaturire, le suindicate conseguenze, che, in relazione alle varie fattispecie, potranno avere diversa ampiezza e consistenza, in termini di intensità e protrazione nel tempo.
Il danno in questione deve quindi essere allegato e provato. Trattandosi tuttavia di pregiudizio che si proietta nel futuro (diversamente dal danno morale soggettivo contingente), dovendosi aver riguardo al periodo di tempo nel quale si sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l’illecito ha invece reso impossibile, sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obbiettivi che sarà onere del danneggiato fornire.
La sua liquidazione, vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in quanto tali privi di contenuto economico, non potrà che avvenire in base a valutazione equitativa (articoli 1226 e 2056 c.c.), tenuto conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza, e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti.
Ed è appena il caso di notare che il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente, può essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente a quest’ultimo, senza che possa ravvisarsi una duplicazione di risarcimento.
Ma va altresì precisato che, costituendo nel contempo funzione e limite del risarcimento del danno alla persona, unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, il giudice di merito, nel caso di attribuzione congiunta del danno morale soggettivo e del danno da perdita del rapporto parentale, dovrà considerare, nel liquidare il primo, la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazione del risarcimento. In altri termini, dovrà il giudice assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento.
4. In conclusione, deve affermarsi che è incorsa in errore la corte territoriale affermando che la prova del danno era in re ipsa.
L’impugnata sentenza va quindi cassata con rinvio ad altro giudice di pari grado, che dovrà attenersi ai suenunciati principi (sub n. 2.1. e n. 3.1.10.).
Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte d’appello di Brescia, provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie; cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia.