CYBERSTALKING AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA La differenza tra lo stalker “della realtà fisica” e il cyberstalker è il fatto che quest’ultimo approfitta dell’anonimato offerto dal web, per tormentare le vittime senza essere scoperto.

 

    CYBERSTALKING
CYBERSTALKING

 

CYBERSTALKING AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA

La differenza tra lo stalker “della realtà fisica” e il cyberstalker è il fatto che quest’ultimo approfitta dell’anonimato offerto dal web, per tormentare le vittime senza essere scoperto.

Il cyberstalking si differenzia, inoltre, dallo spamming (l’invio di messaggi spazzatura in modo massiccio), perché prende di mira una sola persona, anziché una moltitudine di indirizzi di posta elettronica.

 Con la sua vittima, infatti, il cyberstalker stabilisce

un contatto privilegiato, ed è molto più pesante

della “semplice” diffusione di e-mail fastidiose.

 

Quanto all’evento, si e’ precisato che vi e’ prova della prescrizione di ansiolitici e del ricorso alla psicoterapia (deposizione del medico curante) e che tali prescrizioni non avvengono sulla base di una sintomatologia meramente dichiarata ma a seguito di una valutazione anamnestica e diagnostica, sicche’ e’ del tutto infondato l’argomento addotto dal ricorrente.
La ritenuta credibilita’ della parte offesa ha indotto a ritenere provato anche il mutamento delle abitudini di vita da lei riferito, consistito nel cambiamento di lavoro, nella decisione di non frequentare piu’ certi luoghi, di non uscire sola.
Sul punto, il ricorso si limita a contestare l’attendibilita’ della parte offesa in termini generici e senza allegare alcun dato che la incrini, con riferimento alle circostanze addotte.

La prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, e’ stata correttamente ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando la sua astratta idoneita’ a causare l’evento, in ossequio alla costante giurisprudenza di legittimita’, fra cui, da ultimo Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017 Rv. 269621.
1.3. Evidentemente, posto che la creazione di un profilo Facebook dai contenuti fortemente denigratori in danno della parte offesa rappresenta soltanto una delle modalita’ con cui si e’ estrinsecata la condotta persecutoria, il ritenere che si tratti o meno di una condotta idonea ad integrare il reato di cui all’art.612 bis c.p. assume scarso rilievo.
Va, comunque, osservato che la giurisprudenza ammette che messaggi o filmati postati sui social network integrino l’elemento oggettivo del delitto di atti persecutori (Sez. 6, n. 32404 del 16/07/2010 Rv. 248285) e l’attitudine dannosa di tali condotte non e’, ai fini che ci occupano, tanto quella di costringere la vittima a subire offese o minacce per via telematica, quanto quella di diffondere fra gli utenti della rete dati, veri o falsi, fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa.

consulenza-legale avvocato bologna

Posto che l’imputato creo’ un profilo Facebook denominato “lapidiamo la rovina famiglie”, in cui erano postate foto, filmati e commenti con riferimenti impliciti ed espliciti alla parte offesa ed alla sua relazione con l’imputato, e’ del tutto irrilevante che la vittima potesse ignorarli semplicemente non accedendo al profilo, in quanto l’attitudine dannosa e’ riconducibile alla pubblicizzazione di quei contenuti.
2. I motivi di ricorso sono quindi, nella loro interezza, manifestamente infondati; alla declaratoria di inammissibilita’ segue, per legge (articolo 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Sez. 2, n. 35443 del 06/07/2007 Rv. 237957), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2.000.
2.1. Va, inoltre, disposta la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano in Euro 2.457 oltre accessori di legge, tenuto conto della natura della causa e dell’impegno professionale. Tale somma e’ liquidata in favore dell’Erario, poiche’ la parte civile e’ ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Sentenza 28 dicembre 2017, n. 57764
Data udienza 28 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. SABEONE Gerardo – Consigliere

Dott. MORELLI Francesca – rel. Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/03/2017 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCA MORELLI;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. LOY Maria Francesca, che ha concluso;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
Uditi i difensori Avv. (OMISSIS), parte civile e (OMISSIS) difensore imputati;
LA DIFESA DI PARTE CIVILE DEPOSITA CONCLUSIONI, NOTA SPESE E COPIA;
DECRETO AMMISSIONE GRATUITO PATROCINIO E SI ASSOCIA ALLE CONCLUSIONI DEL PG;
L’AVVOCATO (OMISSIS) CHIEDE L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Biella che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in quanto colpevole del delitto di atti persecutori in danno di (OMISSIS).

  1. Propone ricorso il difensore dell’imputato articolando due motivi di censura.
    Con il primo motivo si deducono vizi motivazionali in quanto i giudici di merito avrebbero fondato il proprio convincimento sulla base delle sole affermazioni della parte offesa, senza considerare che l’imputato aveva agito in quanto la donna aveva svelato a sua moglie la relazione extraconiugale che li legava, aggiungendo uno spiacevole accenno al fatto che non potesse avere figli, circostanza che aveva scatenato la reazione rabbiosa, ma circoscritta, dell’uomo.
    Le restanti condotte denunziate dalla parte offesa, pedinamenti ed appostamenti, sarebbero frutto, a dire del ricorrente, di una mera percezione soggettiva della donna.
    2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’evento, non essendo stato provato ne’ lo stato d’ansia ne’ il mutamento delle abitudini di vita.
    Sotto altro profilo, si sostiene l’impossibilita’ di configurare il reato in esame quando l’attivita’ asseritamente persecutoria sia realizzata attraverso Facebook.
    CONSIDERATO IN DIRITTO
    1. Va premesso che le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono da sole, senza la necessita’ di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilita’ penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere piu’ penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine e’ necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo cosi’ l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 5, Sentenza n. 1666 del 08/07/2014 Ud. – dep. 14/01/2015 – Rv. 261730).
    1.1. La sentenza impugnata si pone nel solco della giurisprudenza richiamata e premette una valutazione di attendibilita’ della persona offesa, anche in considerazione della presenza di riscontri alle sue accuse, quali le parziali ammissioni dell’imputato, la lettura dei messaggi telefonici e la visione del profilo Facebook.
    I giudici di merito analizzano, poi, compiutamente tutte le condotte poste in essere dall’imputato, protratte nel tempo e consistite in sms dal contenuto ingiurioso e minaccioso, nella creazione di un profilo Facebook altamente offensivo nei riguardi della persona offesa e in ripetuti appostamenti e pedinamenti.
    E’ da escludere, per la protrazione delle condotte, che esse fossero dovute ad un moto di rabbia dovuto alla rivelazione alla moglie della relazione extraconiugale.
    La Corte d’Appello ha anche dato conto, a pagina 4 della motivazione, delle ragioni per cui gli appostamenti e pedinamenti erano tali e non ascrivibili ad una mera percezione soggettiva della vittima.
    1.2. Quanto all’evento, si e’ precisato che vi e’ prova della prescrizione di ansiolitici e del ricorso alla psicoterapia (deposizione del medico curante) e che tali prescrizioni non avvengono sulla base di una sintomatologia meramente dichiarata ma a seguito di una valutazione anamnestica e diagnostica, sicche’ e’ del tutto infondato l’argomento addotto dal ricorrente.
    La ritenuta credibilita’ della parte offesa ha indotto a ritenere provato anche il mutamento delle abitudini di vita da lei riferito, consistito nel cambiamento di lavoro, nella decisione di non frequentare piu’ certi luoghi, di non uscire sola.
    Sul punto, il ricorso si limita a contestare l’attendibilita’ della parte offesa in termini generici e senza allegare alcun dato che la incrini, con riferimento alle circostanze addotte.

La prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, e’ stata correttamente ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando la sua astratta idoneita’ a causare l’evento, in ossequio alla costante giurisprudenza di legittimita’, fra cui, da ultimo Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017 Rv. 269621.
1.3. Evidentemente, posto che la creazione di un profilo Facebook dai contenuti fortemente denigratori in danno della parte offesa rappresenta soltanto una delle modalita’ con cui si e’ estrinsecata la condotta persecutoria, il ritenere che si tratti o meno di una condotta idonea ad integrare il reato di cui all’art.612 bis c.p. assume scarso rilievo.
Va, comunque, osservato che la giurisprudenza ammette che messaggi o filmati postati sui social network integrino l’elemento oggettivo del delitto di atti persecutori (Sez. 6, n. 32404 del 16/07/2010 Rv. 248285) e l’attitudine dannosa di tali condotte non e’, ai fini che ci occupano, tanto quella di costringere la vittima a subire offese o minacce per via telematica, quanto quella di diffondere fra gli utenti della rete dati, veri o falsi, fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa.
Posto che l’imputato creo’ un profilo Facebook denominato “lapidiamo la rovina famiglie”, in cui erano postate foto, filmati e commenti con riferimenti impliciti ed espliciti alla parte offesa ed alla sua relazione con l’imputato, e’ del tutto irrilevante che la vittima potesse ignorarli semplicemente non accedendo al profilo, in quanto l’attitudine dannosa e’ riconducibile alla pubblicizzazione di quei contenuti.
2. I motivi di ricorso sono quindi, nella loro interezza, manifestamente infondati; alla declaratoria di inammissibilita’ segue, per legge (articolo 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Sez. 2, n. 35443 del 06/07/2007 Rv. 237957), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2.000.
2.1. Va, inoltre, disposta la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano in Euro 2.457 oltre accessori di legge, tenuto conto della natura della causa e dell’impegno professionale. Tale somma e’ liquidata in favore dell’Erario, poiche’ la parte civile e’ ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
2.2. La natura del reato impone particolari cautele nella diffusione del presente provvedimento, per il cui caso si dispone che siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonche’ alla rifusione, in favore dell’Erario, delle spese di parte civile che liquida in complessivi Euro 2.547 oltre accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma dell’articolo 52 Decreto Legislativo n. 196 del 2003.