- AVVOCATO ESPERTO CONTRATTI PRELIMINARI PER CHI COMPRA O VENDE CASA NON RISCHIARE SE NON CONOSCI LA MATERIA CHIAMA compravendita immobiliare Bologna caparra confirmatoria Bologna compromesso Bologna comprare casa Bologna rogito Bologna vendere casa Bologna contratto preliminare Bologna
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La caparra confirmatoria di cui all’art. 1385 c.c. assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge e in tal caso, essa è legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata; qualora, invece, detta parte abbia preferito agire per la risoluzione o l’esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno dovrà essere provato nell’an e nel quantum, secondo la regola generale prevista dall’art. 1223 c.c..
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La caparra confirmatoria è un patto contrattuale che si perfeziona con la consegna della somma nelle mani del venditore da parte del futuro acquirente. La caparra confirmatoria ha la funzione di prova dell’avvenuta conclusione del contratto preliminare, di parziale esecuzione della prestazione, di rafforzamento del vincolo contrattuale.
La caparra confirmatoria, inoltre, è comunemente indicata come sanzione contrattuale. Questo perché opera in caso di inadempimento di una delle parti del contratto e mira all’immediato risarcimento del danno. La caparra confirmatoria, principalmente, ha dunque la funzione di liquidare anticipatamente i danni derivanti dall’inadempimento di uno dei contraenti.
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AVVOCATO SERGIO ARMAROLI
ESPERTO CONTRATTI COMPRAVENDIT A IMMOBBILIARE
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cosa è la compravendita immobiliare?
Abbiamo una compravendita immobiliare quando si vuole vendere o comperare un immobile. Il contratto preliminare di compravendita è il principale strumento contrattuale con il quale le persone che intendono vendere o acquistare una casa di abitazione (o qualsiasi altro immobile)si impegnano, per iscritto a pena di nullità (il contratto nullo è invalido e non produce alcun effetto), a fare ciò.
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La caparra confirmatoria si versa solitamente al momento della redazione del compromesso di compravendita.
La Caparra confirmatoria è regolata dall’articolo 1385 del codice civile ed è la somma di denaro che al momento della conclusione del contratto preliminare la parte acquirente versa alla parte venditrice, a conferma della serietà dell’impegno assunto.
Sechi compera è inadempiente la caparra sarà trattenuta come forma di risarcimento dalla parte venditrice, mentre nel caso sia quest’ultima a non mantenere agli impegni presi, dovrà invece risarcire l’acquirente con il doppio della caparra.
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CAPARRA CONFIRMATORIA RITENZIONE CAPARRA
la facoltà di cui all’art. 1385 c.c., comma 2, poiché tale modificazione delle istanze originarie costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento, ed un’istanza di ampiezza più ridotta rispetto all’azione di risoluzione (Cass. Sez. 2, 11-1-1999 n. 186; Sez. 2, 23-9-1994 n. 7644). Tale decisione si fonda su una giurisprudenza di legittimità risalente nel tempo e dei tutto superata dalla decisione delle sezioni unite del 2009 da cui detta ordinanza si discosta senza contrastarne la motivazione con alcun argomento convincente e senza tenere conto dell’ulteriore rilievo che chi ammette una fungibilità tra le azioni lato sensu risarcitorie ignora che ciò si risolverebbe nella indiscriminata e gratuita opportunità di modificare, per ragioni di mera convenienza economica, la strategia processuale iniziale dopo averne sperimentato gli esiti ‘;
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 30 novembre 2015, n.24337 – Pres. Vivaldi – est. Armano
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’articolo 345 c.p.c.
li ricorrente sostiene che erroneamente il giudice d’appello ha ritenuto inammissibile, perché proposta per la prima volta nel giudizio di appello, la domanda di recesso volta ad ottenere il pagamento del doppio della caparra.
Il ricorrente afferma che nel giudizio di primo grado è stata proposta una domanda principale, volta a far dichiarare la nullità del preliminare, e una domanda subordinata di risoluzione e recesso, per sentir dichiarare la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento del promittente venditore con condanna ai sensi dell’articolo 1385 c.c. alla restituzione del doppio della caparra. Si sostiene, nell’illustrazione del motivo, che anche la sostituzione, in sede di appello, della domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento con quella di recesso ex art. 1385 2°comma c.c. non integrerebbe affatto gli estremi dello ius novorum (vietato), ma andrebbe configurata come esercizio di una perdurante facoltà del richiedente quale istanza processuale soltanto ridotta rispetto alla già proposta risoluzione.
2.Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 112 ,276 comma secondo e 277 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.. Nullità della sentenza.
- Sostiene il ricorrente che il giudice è tenuto a trattare le questioni secondo il loro naturale ordine logico oppure valutare tra due domande proposte congiuntamente quale di esse è prioritaria logicamente. Nel caso di specie il giudice avrebbe dovuto preliminarmente esaminare la domanda di recesso, per la quale non vi era alcuna necessità di approfondimento sul quantum e solo successivamente ampliare eventualmente la valutazione, esaminando la richiesta di risoluzione risarcimento.
- 3.Con il terzo motivo si denunzia vizio di motivazione ex art. 360 n.5 c.p.c. in relazione alla scelta del giudice di primo grado di provvedere solo sulla domanda di risoluzione per inadempimento e risarcimento del danno, mentre tale domanda era stata proposta congiuntamente alla domanda di recesso e pagamento del doppio della caparra. Il tribunale avrebbe dovuto esaminare entrambe le domande nel merito.
- 4.I tre motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico- giuridica che li lega e sono infondati.
- Il giudice di primo grado ha qualificato la domanda proposta dal M., in subordine alla domanda di nullità, come domanda di risoluzione per inadempimento con richiesta di risarcimento del danno.
Tale qualificazione giuridica non è stata censurata in appello dall’attuale ricorrente che, al contrario, nell’atto di impugnazione ha confermato che la domanda di recesso, con richiesta della restituzione del doppio della caparra ai sensi dell’articolo 1385 comma 2 c.c., era stata formulata in via subordinata rispetto alla domanda di risoluzione e doveva significare che, in difetto di una prova di un danno maggiore rispetto alla somma di cui alla caparra, il giudice di appello avrebbe dovuto accogliere la domanda di recesso, domanda di recesso che ha formulato in sede di appello. S.Di conseguenza sono inammissibili perché nuove, le censure relative alla qualificazione giuridica della domanda proposta in via subordinata rispetto alla nullità del contratto, ed alla scelta dell’ordine di trattazione della domande da parte del giudice di primo grado.
6.L.a Corte di appello ha rigettato la domanda volta ad ottenere il doppio della caparra confirmatoria sul rilievo che qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione ed il risarcimento del danno costituisce domanda nuova inammissibile in appello quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra o pagamento del doppio, avuto riguardo oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale funzionale tra ritenzione della caparra e domanda di risarcimento
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La corte di appello ha giustamente rilevato l’incompatibilità giuridica tra la domanda di risoluzione per inadempimento e quella di recesso e la contraddittorietà fra la richiesta di risarcimento dei danno e quella di ritenzione della caparra a seguito del recesso.
Sul punto la Corte si è attenuta alla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte che con la sentenza n.553/2009 , componendo un contrasto insorto sul punto, ha affermato che : i rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di ritenzione della caparra dall’altro, si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale: proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni asseritamente subiti, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra perché verrebbe così a vanificarsi la stessa funzione della caparra, quella cioè di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale dei danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, consentendosi inammissibilmente alla parte non inadempiente di ‘scommettere’ puramente e semplicemente sul processo, senza rischi di sorta;
l’azione di risoluzione avente natura costitutiva e l’azione di recesso si caratterizzano per evidenti disomogeneità morfologiche e funzionali che rendono inammissibile la trasformazione dell’una nell’altra ;
i rapporti tra l’azione di risarcimento integrale e l’azione di recesso, isolatamente e astrattamente considerate, sono, a loro volta, di incompatibilità strutturale e funzionale;
8.Questa Corte intende confermare i principi espressi dalla sentenza delle sezioni unite dei 2009,non condividendo quanto affermato nella isolata ordinanza di questa Corte n. 24.841 del 2011 dove si afferma che la parte, in sostituzione della domanda adempimento o di risoluzione contrattuale per inadempimento con domanda di risarcimento del danno, può legittimamente invocare (senza incorrere nelle preclusioni derivanti dalla proposizione dei ‘nova’ in sede di gravame) la facoltà di cui all’art. 1385 c.c., comma 2, poiché tale modificazione delle istanze originarie costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento, ed un’istanza di ampiezza più ridotta rispetto all’azione di risoluzione (Cass. Sez. 2, 11-1-1999 n. 186; Sez. 2, 23-9-1994 n. 7644). Tale decisione si fonda su una giurisprudenza di legittimità risalente nel tempo e dei tutto superata dalla decisione delle sezioni unite del 2009 da cui detta ordinanza si discosta senza contrastarne la motivazione con alcun argomento convincente e senza tenere conto dell’ulteriore rilievo che chi ammette una fungibilità tra le azioni lato sensu risarcitorie ignora che ciò si risolverebbe nella indiscriminata e gratuita opportunità di modificare, per ragioni di mera convenienza economica, la strategia processuale iniziale dopo averne sperimentato gli esiti ‘; dall’altro ancora, soltanto l’esclusione di una inestinguibile fungibilità tra rimedi consente di evitare situazioni di abuso e rende il contraente non inadempiente doverosamente responsabile delle scelte operate, impedendogli di sottrarsi ai risultati che ne conseguono, quando gli stessi non siano corrispondenti alle aspettative che ne hanno dettato la linea difensiva.
Tale interpretazione è in armonia con il nuovo dettato dell’art. 111 Cost. di evitare rilevanti diseconomie processuali, non dimenticando come le domande di risoluzione e di risarcimento comportino spesso, sul piano probatorio, un’intensa e defatigante attività per le parti e per il giudice e che la modifica della domanda potrebbe risultare funzionale a riattivare il meccanismo legale di cui all’art. 1385 c.c., comma 2 (al recesso consegue, ex lege, il diritto alla ritenzione della caparra), ormai definitivamente caducato per via delle preclusioni processuali definitivamente prodottesi a seguito della proposizione della domanda di risoluzione sic et simpliciter. Il ricorso deve essere rigettato e le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori e spese generali come per legge.
I rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di ritenzione della caparra dall’altro, si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale: proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni asseritamente subiti, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra; diversamente verrebbe vanificata la stessa funzione della caparra, quella, cioè, di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 30 novembre 2015, n.24337 – Pres. Vivaldi – est. Armano
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’articolo 345 c.p.c.
li ricorrente sostiene che erroneamente il giudice d’appello ha ritenuto inammissibile, perché proposta per la prima volta nel giudizio di appello, la domanda di recesso volta ad ottenere il pagamento del doppio della caparra.
Il ricorrente afferma che nel giudizio di primo grado è stata proposta una domanda principale, volta a far dichiarare la nullità del preliminare, e una domanda subordinata di risoluzione e recesso, per sentir dichiarare la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento del promittente venditore con condanna ai sensi dell’articolo 1385 c.c. alla restituzione del doppio della caparra. Si sostiene, nell’illustrazione del motivo, che anche la sostituzione, in sede di appello, della domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento con quella di recesso ex art. 1385 2°comma c.c. non integrerebbe affatto gli estremi dello ius novorum (vietato), ma andrebbe configurata come esercizio di una perdurante facoltà del richiedente quale istanza processuale soltanto ridotta rispetto alla già proposta risoluzione.
2.Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 112 ,276 comma secondo e 277 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.. Nullità della sentenza.
Sostiene il ricorrente che il giudice è tenuto a trattare le questioni secondo il loro naturale ordine logico oppure valutare tra due domande proposte congiuntamente quale di esse è prioritaria logicamente. Nel caso di specie il giudice avrebbe dovuto preliminarmente esaminare la domanda di recesso, per la quale non vi era alcuna necessità di approfondimento sul quantum e solo successivamente ampliare eventualmente la valutazione, esaminando la richiesta di risoluzione risarcimento.
3.Con il terzo motivo si denunzia vizio di motivazione ex art. 360 n.5 c.p.c. in relazione alla scelta del giudice di primo grado di provvedere solo sulla domanda di risoluzione per inadempimento e risarcimento del danno, mentre tale domanda era stata proposta congiuntamente alla domanda di recesso e pagamento del doppio della caparra. Il tribunale avrebbe dovuto esaminare entrambe le domande nel merito.
4.I tre motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico- giuridica che li lega e sono infondati.
Il giudice di primo grado ha qualificato la domanda proposta dal M., in subordine alla domanda di nullità, come domanda di risoluzione per inadempimento con richiesta di risarcimento del danno.
Tale qualificazione giuridica non è stata censurata in appello dall’attuale ricorrente che, al contrario, nell’atto di impugnazione ha confermato che la domanda di recesso, con richiesta della restituzione del doppio della caparra ai sensi dell’articolo 1385 comma 2 c.c., era stata formulata in via subordinata rispetto alla domanda di risoluzione e doveva significare che, in difetto di una prova di un danno maggiore rispetto alla somma di cui alla caparra, il giudice di appello avrebbe dovuto accogliere la domanda di recesso, domanda di recesso che ha formulato in sede di appello. S.Di conseguenza sono inammissibili perché nuove, le censure relative alla qualificazione giuridica della domanda proposta in via subordinata rispetto alla nullità del contratto, ed alla scelta dell’ordine di trattazione della domande da parte del giudice di primo grado.
6.L.a Corte di appello ha rigettato la domanda volta ad ottenere il doppio della caparra confirmatoria sul rilievo che qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione ed il risarcimento del danno costituisce domanda nuova inammissibile in appello quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra o pagamento del doppio, avuto riguardo oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale funzionale tra ritenzione della caparra e domanda di risarcimento
7. La corte di appello ha giustamente rilevato l’incompatibilità giuridica tra la domanda di risoluzione per inadempimento e quella di recesso e la contraddittorietà fra la richiesta di risarcimento dei danno e quella di ritenzione della caparra a seguito del recesso.
Sul punto la Corte si è attenuta alla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte che con la sentenza n.553/2009 , componendo un contrasto insorto sul punto, ha affermato che : i rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di ritenzione della caparra dall’altro, si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale: proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni asseritamente subiti, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra perché verrebbe così a vanificarsi la stessa funzione della caparra, quella cioè di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale dei danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, consentendosi inammissibilmente alla parte non inadempiente di ‘scommettere’ puramente e semplicemente sul processo, senza rischi di sorta;
l’azione di risoluzione avente natura costitutiva e l’azione di recesso si caratterizzano per evidenti disomogeneità morfologiche e funzionali che rendono inammissibile la trasformazione dell’una nell’altra ;
i rapporti tra l’azione di risarcimento integrale e l’azione di recesso, isolatamente e astrattamente considerate, sono, a loro volta, di incompatibilità strutturale e funzionale;
8.Questa Corte intende confermare i principi espressi dalla sentenza delle sezioni unite dei 2009,non condividendo quanto affermato nella isolata ordinanza di questa Corte n. 24.841 del 2011 dove si afferma che la parte, in sostituzione della domanda adempimento o di risoluzione contrattuale per inadempimento con domanda di risarcimento del danno, può legittimamente invocare (senza incorrere nelle preclusioni derivanti dalla proposizione dei ‘nova’ in sede di gravame) la facoltà di cui all’art. 1385 c.c., comma 2, poiché tale modificazione delle istanze originarie costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento, ed un’istanza di ampiezza più ridotta rispetto all’azione di risoluzione (Cass. Sez. 2, 11-1-1999 n. 186; Sez. 2, 23-9-1994 n. 7644). Tale decisione si fonda su una giurisprudenza di legittimità risalente nel tempo e dei tutto superata dalla decisione delle sezioni unite del 2009 da cui detta ordinanza si discosta senza contrastarne la motivazione con alcun argomento convincente e senza tenere conto dell’ulteriore rilievo che chi ammette una fungibilità tra le azioni lato sensu risarcitorie ignora che ciò si risolverebbe nella indiscriminata e gratuita opportunità di modificare, per ragioni di mera convenienza economica, la strategia processuale iniziale dopo averne sperimentato gli esiti ‘; dall’altro ancora, soltanto l’esclusione di una inestinguibile fungibilità tra rimedi consente di evitare situazioni di abuso e rende il contraente non inadempiente doverosamente responsabile delle scelte operate, impedendogli di sottrarsi ai risultati che ne conseguono, quando gli stessi non siano corrispondenti alle aspettative che ne hanno dettato la linea difensiva.
Tale interpretazione è in armonia con il nuovo dettato dell’art. 111 Cost. di evitare rilevanti diseconomie processuali, non dimenticando come le domande di risoluzione e di risarcimento comportino spesso, sul piano probatorio, un’intensa e defatigante attività per le parti e per il giudice e che la modifica della domanda potrebbe risultare funzionale a riattivare il meccanismo legale di cui all’art. 1385 c.c., comma 2 (al recesso consegue, ex lege, il diritto alla ritenzione della caparra), ormai definitivamente caducato per via delle preclusioni processuali definitivamente prodottesi a seguito della proposizione della domanda di risoluzione sic et simpliciter. Il ricorso deve essere rigettato e le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori e spese generali come per legge.
COMPRAVENDITE IMMOBILIARI BOLOGNA AVVOCATO CONTRATTI AGENZIA DIFFIDA AD ADEMPIERE DOPPIO CAPARRA RISOLUZIONE DI DIRITTO
Ne consegue che il promissario acquirente di un contratto preliminare di vendita, dopo avere inutilmente formulato, nei confronti del promittente venditore, diffida ad adempiere, ed aver instaurato il conseguente giudizio per l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, ben può, ove non abbia contestualmente avanzato richiesta di risarcimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., instare per il semplice conseguimento del doppio della caparra versata, secondo la previsione dell’art. 1385 c.c., e sul presupposto della risoluzione di diritto verificatasi ex art. 1454 stesso codice (Sez. 1, Sentenza n. 319 del 11/01/2001).
Invero, la risoluzione di diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell’art. 1385 c.c., invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, con la conseguenza che, sebbene spetti al giudice di accertare che l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza, non è poi onere della parte adempiente provare anche il danno nell’an e nel quantum debeatur (Sez. 3, Sentenza n. 2999 del 28/02/2012
Non è contrastato il principio generale enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, a mente del quale, in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative (Sez. U, Sentenza n. 553 del 14/01/2009; conf. Sez. 2, Sentenza n. 20798 del 10/10/2011).
Trova, invece, applicazione l’orientamento, ormai consolidato, per cui la risoluzione del contratto di diritto per inosservanza del termine essenziale (art. 1457 c.c.) non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poichè dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa; in tal caso, però, si può considerare legittimo il recesso solo quando l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del recedente (Sez. 2, Sentenza n. 21838 del 25/10/2010).
Ne consegue che il promissario acquirente di un contratto preliminare di vendita, dopo avere inutilmente formulato, nei confronti del promittente venditore, diffida ad adempiere, ed aver instaurato il conseguente giudizio per l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, ben può, ove non abbia contestualmente avanzato richiesta di risarcimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., instare per il semplice conseguimento del doppio della caparra versata, secondo la previsione dell’art. 1385 c.c., e sul presupposto della risoluzione di diritto verificatasi ex art. 1454 stesso codice (Sez. 1, Sentenza n. 319 del 11/01/2001).
Invero, la risoluzione di diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell’art. 1385 c.c., invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, con la conseguenza che, sebbene spetti al giudice di accertare che l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza, non è poi onere della parte adempiente provare anche il danno nell’an e nel quantum debeatur (Sez. 3, Sentenza n. 2999 del 28/02/2012
AVVOCATO SERGIO ARMAROLI
ESPERTO CONTRATTI COMPRAVENDIT A IMMOBBILIARE
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Cassazione civile, sez. II, 27/10/2017, (ud. 15/06/2017, dep.27/10/2017), n. 25623
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente –
Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11592/2014 proposto da:
D.D., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO RAVERA;
– ricorrente –
contro
Società CASELLA S.r.l., (p.iva (OMISSIS)) in persona del legale
rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ASIAGO 8, presso lo studio dell’avvocato SILVIA VILLANI,
rappresentata e difesa dagli avvocati ILARIA GRECO, RICCARDO
SALVADORI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 212/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,
depositata il 17/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
15/06/2017 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato SILVIA VILLANI, con delega dell’Avvocato ILARIA
GRECO difensore della controricorrente, che ha chiesto il rigetto
del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
Il geom. D.D. conveniva in giudizio la Casella s.r.l. per sentire, in via principale, dichiarare la risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c. del preliminare sottoscritto in data 21.10.2005 dalle parti e condannare la convenuta, ex art. 1385 c.c., al pagamento della somma pari al doppio della caparra confirmatoria versata; in via subordinata, per sentir dichiarare la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. per inadempimento della convenuta e condannare quest’ultima al pagamento della somma pari alla caparra confirmatoria, nonchè al risarcimento del danno nella misura di Euro 15.000,00.
A sostegno della domanda adduceva:
– di aver stipulato con la Casella s.r.l. un contratto preliminare di vendita in data 21.10.2005, avente ad oggetto un appartamento sito in (OMISSIS), e porzione di terrazzo esterna per Euro 197.000,00, oltre IVA; che con il predetto contratto in suo favore era stato previsto il conferimento dell’uso esclusivo e perpetuo di una porzione del soprastante terrazzo di superficie pari all’appartamento; che la scelta dell’immobile era stata da lui effettuata, affinchè vi andasse ad abitare la figlia, proprio in funzione della garanzia di disporre del terrazzo soprastante, al quale sarebbe stato possibile accedere installando una scala nella porzione di terrazzo al piano, e dalla quale si godeva una stupenda vista a 360 sul golfo di Genova; che era stata prevista la stipulazione del rogito notarile entro il 30.11.2005 e, comunque, non prima dell’ultimazione dei lavori da eseguirsi espressamente indicati nel contratto, ultimazione anch’essa prevista per il 30.11.2005; che nelle more dell’esecuzione dei lavori era stato informato dalla Casella s.r.l. che il terrazzo di copertura non era nella disponibilità della prominente venditrice, come invece risultava dal preliminare, in quanto di proprietà della CONSAP s.p.a. che, a propria volta, si era obbligata a trasferirne l’uso alla Casella s.r.l.; che detta circostanza era stata ribadita per iscritto nel febbraio 2006, con contestuale proposta della società di immettere l’attore nel possesso dell’immobile e di differire la stipula del rogito entro un termine perentorio, prevedendo altresì che, nell’ipotesi in cui entro tale termine la Consap s.p.a. non avesse conseguito il diritto di uso del terrazzo soprastante, egli avrebbe avuto diritto ad uno sconto sul prezzo, fatto salvo l’obbligo di versare il prezzo originariamente pattuito ove entro due anni la Consap s.p.a. avesse adempiuto al suo obbligo, con esclusione di ogni forma di risarcimento; di non aver accettato tale proposta; che nel marzo 2006 aveva inviato lettera di diffida ad adempiere alla controparte e, quindi, perdurando l’inadempimento di quest’ultima, aveva comunicato il proprio recesso; che prima di essere informato che la proprietà del terrazzo soprastante era in capo ad altro soggetto, aveva fatto eseguire lavori nell’immobile ed aveva acquistato mobili su misura.
Si costituiva la convenuta, opponendo di non aver promesso di trasferire l’uso del terrazzo entro la data del rogito, e che, anzi, nel preliminare era previsto che il trasferimento di detto uso sarebbe avvenuto successivamente, all’atto della redazione delle tabelle millesimali da parte della società proprietaria dell’intero edificio; che il contrato definitivo non era stato stipulato solo perchè il D. non aveva comunicato il nominativo del notaio che avrebbe dovuto rogare l’atto; che l’attore aveva ottenuto le chiavi dell’appartamento nei primi giorni successivi alla stipula del preliminare dalla ditta esecutrice dei lavori, entrando nel possesso dell’immobile senza l’autorizzazione di essa convenuta; che, pertanto, aveva occupato indebitamente l’alloggio dal novembre 2005 al 3 maggio 2006; che l’appartamento era stato modificato su espressa richiesta dell’attore con maggiori esborsi da parte di essa convenuta; che, comunque, l’inadempimento lamentato era di scarsa importanza; che anche dopo l’invio della bozza di transazione l’attore aveva continuato a detenere l’immobile ed a sollecitare l’ultimazione dei lavori; che, dunque, il contratto doveva risolversi per grave inadempimento del D.; che, in ogni caso, essa convenuta, in quanto esente da ogni responsabilità, doveva essere condannata alla restituzione solo della somma di Euro 30.000,00. In via riconvenzionale, instava per la dichiarazione di risoluzione del preliminare per grave inadempimento dell’attore, con dichiarazione del suo diritto di trattenere la caparra ricevuta, e per sentir condannare la controparte al pagamento dell’indennità di indebita occupazione; in via subordinata, per sentir condannare l’attore al versamento di Euro 6.620,00, eventualmente da compensare con il credito ex adverso vantato.
All’esito dell’istruttoria, il Tribunale, con sentenza n. 782 del 23.2.2009, dichiarava la risoluzione di diritto del contratto preliminare intercorso tra le parti, rigettava la domanda dell’attore di condanna della Casella s.r.l. al pagamento del doppio della caparra confirmatoria, dichiarava di non esaminare la domanda risarcitoria formulata dall’attore in via subordinata, in quanto proposta per la sola ipotesi, non realizzatasi, di mancato accoglimento di quella principale di risoluzione di diritto, condannava la convenuta alla restituzione, in favore dell’attore, della somma di Euro 30.000,00 e rigettava la domanda riconvenzionale della Casella s.r.l..
Avverso questa pronunzia proponeva impugnazione D.D..
La Casella s.r.l. si costituiva, chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 17.2.2014, ha rigettato l’appello sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:
1) alla luce di quanto chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia n. 533/2009 (secondo cui, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione, alla quale consegue il risarcimento del danno – da provarsi nell’an e nel quantum -, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra, essendovi incompatibilità strutturale e funzionale tra la domanda di risarcimento e la ritenzione della caparra), la originaria domanda attorea di risoluzione del contratto ex art. 1454 c.c. non poteva essere trasformata in grado d’appello in una irrituale domanda di recesso;
2) pertanto, l’appellante non poteva chiedere il doppio della caparra, spettandogli solo, quale effetto della risoluzione, la restituzione della caparra versata già attribuitagli dal primo giudice;
3) non poteva essere accolta la domanda subordinata, essendo stata accolta quella principale;
4) il D. non aveva, invece, provato di aver subito ulteriori danni.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.D., sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria. La Casella s.r.l. ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
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Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1385,1453 e 1454 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte territoriale considerato che il diritto al pagamento del doppio della caparra confirmatoria ricorre quando la parte non inadempiente, come nel caso di specie, eserciti un’azione di accertamento della risoluzione di diritto del contratto già stragiudizialmente verificatasi e chieda, ai sensi dell’art. 1385 c.c., comma 2, che il risarcimento del danno sia quantificato e contenuto nell’ammontare predeterminato in forza della pattuizione concernente la dazione della caparra medesima, senza invocare il risarcimento di un danno ulteriore rispetto a quest’ultima.
1.1. Il motivo è fondato.
Nella fattispecie in esame l’attore ha, nell’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio, chiesto (cfr. pag. 37 del ricorso), in via principale, dichiararsi la risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c. del contratto preliminare stipulato in data 21.10.2005 per inadempimento grave e, comunque, di non scarsa importanza della Casella s.r.l. e condannarsi, per l’effetto, quest’ultima al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 60.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria; in via subordinata (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata), ha chiesto dichiararsi la risoluzione ex art. 1453 c.c. del contratto per inadempimento della convenuta e condannarsi la stessa al pagamento della somma pari alla caparra confirmatoria (ammontante ad Euro 30.000,00) ed al risarcimento del danno nella misura ulteriore di Euro 15.000,00.
Non è contrastato il principio generale enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, a mente del quale, in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative (Sez. U, Sentenza n. 553 del 14/01/2009; conf. Sez. 2, Sentenza n. 20798 del 10/10/2011).
Trova, invece, applicazione l’orientamento, ormai consolidato, per cui la risoluzione del contratto di diritto per inosservanza del termine essenziale (art. 1457 c.c.) non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poichè dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa; in tal caso, però, si può considerare legittimo il recesso solo quando l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del recedente (Sez. 2, Sentenza n. 21838 del 25/10/2010).
Ne consegue che il promissario acquirente di un contratto preliminare di vendita, dopo avere inutilmente formulato, nei confronti del promittente venditore, diffida ad adempiere, ed aver instaurato il conseguente giudizio per l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, ben può, ove non abbia contestualmente avanzato richiesta di risarcimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., instare per il semplice conseguimento del doppio della caparra versata, secondo la previsione dell’art. 1385 c.c., e sul presupposto della risoluzione di diritto verificatasi ex art. 1454 stesso codice (Sez. 1, Sentenza n. 319 del 11/01/2001).
Invero, la risoluzione di diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell’art. 1385 c.c., invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, con la conseguenza che, sebbene spetti al giudice di accertare che l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza, non è poi onere della parte adempiente provare anche il danno nell’an e nel quantum debeatur (Sez. 3, Sentenza n. 2999 del 28/02/2012).
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Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la corte territoriale considerato che nei due gradi di giudizio il petitum e la causa petendi della domanda principale erano rimasti identici e che non vi era un interesse giuridico per impugnare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accolto la sua domanda di declaratoria della intervenuta risoluzione di diritto del contratto preliminare ex art. 1454 c.c..
2.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.
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Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essersi la corte locale pronunciata sulla sua richiesta subordinata di risarcimento del danno da inadempimento secondo le regole generali, nonostante egli l’avesse proposta in forza sia dell’art. 1385 c.c., comma 2, che dell’art. 1453 c.c. e la domanda principale fosse stata accolta limitatamente al profilo dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, e non con riferimento al profilo, strettamente connesso, del risarcimento del danno secondo il meccanismo semplificato disciplinato dall’art. 1385 c.c., comma 2.
3.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.
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Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver la corte di merito ritenuto che egli non avesse fornito la prova di aver subito ulteriori danni, laddove il giudice di primo grado non gli aveva accordato alcun risarcimento non già perchè non era stato provato, bensì in quanto era stata già accolta la domanda principale.
4.1. Anche tale motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.
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Con il quinto motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver la corte locale omesso di valutare, nel pronunciarsi sulla domanda risarcitoria, le prove documentale e le istanze istruttorie (prove testimoniali), rispettivamente, prodotte ed articolate.
5.1. Anche tale motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.
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In definitiva, il ricorso è meritevole di accoglimento, con la conseguenza che la sentenza va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, anche per la pronuncia sulle spese processuali.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Genova, altra sezione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017
Articolo 1385. Se al momento della conclusione (1326) del contratto una parte d all’altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantit di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta (1194).
Se la parte che ha dato la caparra inadempiente (1218), l’altra pu recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra (1386,1826; att. 164).
Se per la parte che non inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione (1453 e seguenti) del contratto, il risarcimento del danno regolato dalle norme generali (1223 e seguenti; att. 164).
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L’acquisto di una proprietà immobiliare rappresenta uno dei momenti più significativi nella vita di una persona. Prima di completare l’operazione, è essenziale sottoscrivere un contratto preliminare di vendita, spesso denominato “compromesso” o “contratto preliminare”. Questo accordo vincolante tra acquirente e venditore stabilisce le condizioni di base dell’affare e prepara la strada per il contratto definitivo. Nel presente articolo, esploreremo l’importanza del contratto preliminare di vendita, le sue caratteristiche fondamentali, i diritti e gli obblighi delle parti coinvolte e i passi per garantirne la validità legale.
- Cos’è un Contratto Preliminare di Vendita? (300 parole)
Il contratto preliminare di vendita è un documento giuridico, negoziato tra acquirente e venditore di una proprietà immobiliare, che stabilisce i termini e le condizioni generali dell’affare. Spesso, questo accordo è sottoscritto prima del contratto definitivo, in quanto permette alle parti di concordare i principali aspetti dell’acquisto prima di impegnarsi ufficialmente. Nonostante il nome “preliminare”, il contratto ha una rilevanza legale significativa e può avere conseguenze giuridiche vincolanti.
- Importanza e Vantaggi del Contratto Preliminare di Vendita (300 parole)
Il contratto preliminare offre vantaggi importanti sia all’acquirente che al venditore. Per l’acquirente, consente di assicurarsi che la proprietà sia riservata in sua attesa e previene eventuali aumenti di prezzo o altre trattative con terze parti. Inoltre, la sottoscrizione del contratto preliminare dimostra la serietà dell’acquirente nell’acquistare la proprietà.
Per il venditore, il contratto preliminare stabilisce il prezzo concordato e gli impegni dell’acquirente nei confronti dell’affare. Questo offre una maggiore sicurezza al venditore e gli permette di valutare l’effettiva disponibilità finanziaria dell’acquirente. Inoltre, il venditore può ritirarsi da ulteriori trattative e cercare altri potenziali acquirenti solo se l’acquirente rinuncia all’acquisto dopo la stipula del contratto preliminare.
- Elementi Essenziali del Contratto Preliminare di Vendita (400 parole)
Il contratto preliminare di vendita dovrebbe includere una serie di elementi essenziali per garantire la sua validità legale e proteggere i diritti di entrambe le parti. Questi elementi includono:
a. Identificazione delle Parti: Il contratto deve chiaramente indicare le parti coinvolte, ossia l’acquirente e il venditore, con i loro dati identificativi completi.
b. Descrizione della Proprietà: È fondamentale fornire una dettagliata descrizione dell’immobile oggetto della vendita, comprensiva di indirizzo, dimensioni, caratteristiche e altri dettagli rilevanti.
c. Prezzo e Modalità di Pagamento: Il contratto deve specificare il prezzo di vendita concordato e le modalità di pagamento, inclusi eventuali pagamenti anticipati o rateizzazioni.
d. Condizioni Generali: Devono essere elencate le condizioni generali dell’affare, come ad esempio eventuali clausole di recesso o di risoluzione anticipata.
e. Scadenze: Il contratto dovrebbe stabilire date chiare per il completamento dell’affare, il pagamento del saldo e il passaggio di proprietà.
f. Clausole Speciali: Se applicabile, possono essere incluse clausole speciali riguardanti eventuali aspetti particolari dell’affare, come ad esempio la presenza di arredi inclusi nella vendita.
g. Penalità e Risarcimenti: Il contratto può prevedere eventuali penalità in caso di inadempienza da parte di una delle parti e le procedure per la risoluzione delle controversie.
- Validità Legale del Contratto Preliminare di Vendita (250 parole)
Affinché il contratto preliminare di vendita sia legalmente valido, deve essere redatto in forma scritta e sottoscritto da entrambe le parti coinvolte. La forma scritta è essenziale per evitare controversie riguardanti le condizioni concordate e le intese verbali. Inoltre, il contratto deve essere registrato presso l’ufficio competente delle imposte di registro per garantire la sua opponibilità a terzi.
Tuttavia, è importante notare che il contratto preliminare di vendita non trasferisce ancora la proprietà dell’immobile; questo avverrà solo con il contratto definitivo di vendita, a seguito del pagamento completo del prezzo concordato e del completamento delle procedure di passaggio di proprietà.
In conclusione, il contratto preliminare di vendita rappresenta un passo cruciale nel processo di acquisto di una proprietà immobiliare. Questo documento giuridico offre protezione e certezza sia all’acquirente che al venditore, stabilendo le condizioni di base dell’affare e dimostrando la serietà delle parti coinvolte. Prima di sottoscrivere il contratto preliminare, è fondamentale consultarsi con un professionista legale o un notaio per garantire che il documento sia accurato, completo e in conformità con le leggi locali. La corretta gestione di questa fase preliminare può facilitare un’esperienza di acquisto immobiliare positiva e senza intoppi.