La sentenza di nullità del matrimonio delibata dal Tribunale Ecclesiastico circa violazione degli obblighi matrimoniali deve essere delibata per avere effetti dinanzi al Giudice Ordinario?
La violazione degli obblighi matrimoniali, l’illecito endofamiliare è analogo a tutti gli altri illeciti aquiliani con conseguente risarcimento del danno non patrimoniale?
Quando dottrina e giurisprudenza si riferiscono al danno endofamiliare, derivante dalla violazione dei doveri specificati dall’art. 143, 2° comma c.c., lo intende come qualcosa di differente dalle ipotesi di danno alla salute, perché si ha riguardo alla violazione di determinati doveri derivanti dal matrimonio ai sensi e per gli effetti dell’art. 143 c.c. In tal senso l’illecito endofamiliare ha caratteristiche diverse rispetto a quello aquiliano, extracontrattuale. C’è una maggiore selettività di danni risarcibili. Ciò avviene in quanto oltre ai doveri sanciti e specificati dall’art. 143 c.c. vi è la libertà di autodeterminazione di ciascun individuo e, nello specifico, di ciascun coniuge. Non è punibile il legittimo cambio di sentimento. Il vero discrimine tra violazioni risarcibili e non risarcibili risiede nella ricerca del dolo da parte del coniuge che trasforma la condotta tenuta attraverso modalità offensive non necessarie per il raggiungimento dello scopo. L’altro principio è quello attinente alla solidarietà familiare che si concretizza in un continuo spirito di reciproca comprensione.
Il danno derivante da illecito endofamiliare come si quantifica?
Il criterio di quantificazione utilizzato per il computo da danno derivante dalla violazione dei doveri matrimoniali viene risarcito in via equitativa in applicazione dell’art. 1226 c.c. non potendo essere provato nel suo preciso ammontare. La Suprema Corte in una recente pronuncia ha riconosciuto al figlio di padre che rifiuta il riconoscimento e la prestazione degli alimenti lo stesso risarcimento per lesione di rapporto parentale dovuto alla morte del genitore.
Sì la sentenza di nullità del matrimonio emessa dal Tribunale Ecclesiastico per avere effetti nell’ordinamento giuridico italiano deve essere sottoposta al procedimento di delibazione al fine di verificare l’assenza di contrasto con l’ordine pubblico interno. Tre sono le forme attraverso cui è possibile instaurare il vincolo del coniugio: matrimonio religioso (ha effetti esclusivamente per la comunità cristiana e i nubendi sono considerati tali soltanto per l’ordinamento ecclesiastico), matrimonio civile (è celebrato dinanzi l’autorità civile e gli sposi sono legati esclusivamente per effetto della legge civile), matrimonio concordatario (i nubendi sono considerati tali sia dinanzi alle autorità ecclesiastiche che civili). In tale ultimo caso se la controversia è decisa per prima dal Tribunale Ecclesiastico si è al cospetto di sentenza emessa da un giudice straniero (provenendo da un ordinamento autonomo e distinto rispetto a quello italiano). Per far valere gli effetti di questa pronuncia anche nell’ordinamento interno è necessario un procedimento di riconoscimento.
Perché è necessario il procedimento di delibazione per riconoscere gli effetti della sentenza ecclesiastica nel nostro ordinamento se si parla di nullità matrimoniale, quindi, di vizio originario del rapporto/ atto?
Il procedimento di delibazione è necessario in quanto i casi di nullità ecclesiastica del matrimonio sono più ampi rispetto a quelli contemplati dal codice civile. Tale discrasia impone la necessità di una verifica formale e sostanziale di compatibilità del disposto della sentenza con l’ordine pubblico interno.
Può essere delibata la sentenza del Tribunale Ecclesiastico che dichiara la nullità di un matrimonio avente durata superiore ai tre anni di convivenza?
No. Recente giurisprudenza ha, infatti, affermato che la sentenza del Tribunale Ecclesiastico che dichiara la nullità di un matrimonio di durata superiore ai tre anni di convivenza non può essere delibata nell’ordinamento interno in quanto contraria all’ordine pubblico. Tale decisione argomenta partendo dall’esistenza di ipotesi di sanatoria del negozio nullo. Durante il triennio, infatti, il rapporto si stabilizza con conseguente sanatoria della nullità. La vera essenza del matrimonio risiede nel rapporto e non nell’atto.
Perché la giurisprudenza ai fini della mancata delibazione della sentenza di nullità del matrimonio ha posto quale vincolo proprio la convivenza coniugale protratta almeno per un triennio?
La giurisprudenza ha posto il vincolo triennale in base a diversi precedenti con precisi addentellati normativi. Il riferimento è alla legge del 1983 sull’adozione che presuppone come condizione legittimante alla relativa richiesta di adozione da parte dei coniugi una durata matrimoniale pari almeno ai tre anni di convivenza. Ancora la Corte Costituzionale con sentenza n. 281 del 1984 ha affermato che risulta ormai obsoleta l’idea di identificare il matrimonio con il rito. Esso costituisce esperienza matrimoniale con volontà perdurante di vivere insieme che si presume dal terzo anno di celebrazione.
violazione degli obblighi matrimoniali significa matrimonio atto e matrimonio rapporto?
Il matrimonio- atto è inteso come negozio giuridico e non come contratto perché non ha contenuto patrimoniale. Un’impostazione ne afferma la trilateralità in quanto aggiunge la volontà del celebrante (si tratta di tesi del tutto minoritaria e isolata). Il matrimonio come rapporto, invece, indica l’insieme dei doveri e degli obblighi reciproci ispirati all’assoluta parità tra moglie e marito come disposto dall’art. 143 c.c.
In caso di violazione degli obblighi che derivano dal matrimonio che natura ha il conseguente risarcimento chiesto in sede di separazione o divorzio?
Il tema sotteso all’interrogativo posto riguarda la natura giuridica degli obblighi matrimoniali. Diverse sono le tesi sorte al riguardo. Per una prima impostazione il riferimento è alla responsabilità contrattuale perché il matrimonio è inteso come negozio. Si è, però, osservato in senso contrario che le norme sulla responsabilità contrattuale presuppongono un contenuto patrimoniale. La tesi prevalente, argomentando dai rilievi critici menzionati, opta per la natura extracontrattuale della violazione degli obblighi matrimoniali anche se nascenti da un negozio. Ciò è possibile in quanto il matrimonio è inteso soprattutto come rapporto. I doveri esistono in quanto si diventa parti di una formazione sociale. Gli obblighi matrimoniali solo occasionalmente nascono dal negozio essendo funzionali alla famiglia.
La rottura della promessa matrimoniale è fonte di risarcimento dei danni?
La promessa di matrimonio è irrilevante sul piano giuridico. I requisiti per far sorgere il diritto al risarcimento del danno sono:
- violazione degli obblighi matrimoniali vicendevolezza
- forma
- maggiore età o emancipazione minorile
Il legislatore all’interno del Codice Civile distingue tra promessa semplice, senza alcun particolare formalismo, e promessa qualificata ai sensi e con gli effetti descritti dall’art. 81 c.c. In tale ultima ipotesi il risarcimento dei danni è limitato a quelli emergenti ovvero alle perdite effettivamente subite senza tener conto del lucro cessante, del mancato guadagno conseguente alla rottura della promessa matrimoniale.
La rottura ingiustificata della promessa matrimoniale al cospetto di una promessa qualificata costituisce un fatto illecito. Quale la natura di tale forma di responsabilità? È collocabile in ambito contrattuale o extracontrattuale?
In caso di rottura ingiustificata di promessa di matrimonio qualificata la natura della responsabilità che ne deriva non può essere ricondotta nel medesimo ambito di quella contrattuale in quanto vale il disposto dell’art. 79 c.c. che attribuisce carattere non vincolante all’istituto in esame. Non ci può essere neanche risarcimento del danno da inadempimento in quanto dalla promessa non nasce alcun obbligo. Qualche impostazione esegetica sia dottrinaria che giurisprudenziale fa riferimento alla responsabilità precontrattuale collocandosi in un momento anteriore rispetto al matrimonio. L’orientamento più recente riconduce la responsabilità per rottura ingiustificata di promessa matrimoniale qualificata tra le ipotesi di responsabilità extracontrattuale, aquiliana. Il fatto illecito, in tale ottica, risiede nell’aver operato un recesso senza giustificato motivo con conseguente lesione dell’affidamento della controparte che costituisce un diritto soggettivo. L’esegesi menzionata non è scevra da criticità logiche e ontologiche. I fautori di opposta impostazione hanno, infatti, osservato come i sostenitori dell’interpretazione in esame hanno trascurato la circostanza per cui la rottura della promessa non può mai costituire un illecito in quanto esercizio e esplicazione della libertà matrimoniale di ciascuno con annessa possibilità di tirarsi indietro fino alla fine. Il risarcimento non è possibile mancando la fonte generatrice dello stesso ovvero il fatto illecito come descritto e voluto dall’art. 2043 c.c. La giurisprudenza più evoluta e la dottrina maggiormente avveduta attribuiscono al ristoro dovuto per rottura della promessa di matrimonio qualificata natura non di vero e proprio risarcimento, ma di semplice rimborso rientrante latamente nell’indebito oggettivo ai fini della ripetizione.
È possibile chiedere la restituzione delle donazioni tra fidanzati?
Si distingue tra donazioni tra fidanzati, donazioni prenunziali e donazioni obnuziali. Le donazioni prenunziali sono disciplinate dall’art. 80 c.c. e sono liberalità d’uso. Non richiedono la forma pubblica e, di sovente, hanno modico valore. Quando l’ammontare è di rilevante entità si è al cospetto di una donazione vera e propria. La donazione obnuziale è disciplinata dall’art. 785 c.c. ed è fatta riguardo un determinato e futuro matrimonio sia dagli sposi tra loro che da altri. Si perfeziona senza bisogno dell’accettazione essendo unica nel suo genere unilaterale e ed sottoposta alla condizione sospensiva della celebrazione del matrimonio la cui nullità invalida anche il contratto donativo con salvezza dei diritti acquistati dai terzi tra il giorno della celebrazione e quello del passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità. Richiede la forma dell’atto pubblico ad substantiam. Per la perfezione non è necessario il donatario. Le donazioni tra i fidanzati, al contrario, prescindono dalla celebrazione del futuro matrimonio e non rientrano né nell’ambito applicativo dell’art. 80 c.c. né in quello dell’art. 785 c.c. Il loro regime è quello proprio delle liberalità d’uso se contenute in limiti quantitativi usuali avendosi una donazione vera e propria in caso contrario. In relazione alla possibilità di richiederne la restituzione i precedenti giurisprudenziali hanno applicato in via analogica il disposto di cui all’art. 80 c.c.