BOLOGNA RAVENNA RIMINI CESENA FORLI VEDOVO VEDOVA ESTROMESSI DA EREDITA’ DIRITTI DEI VEDOVI VEDOVA ESTROMESSI DA EREDITA’
TROVARSI VEDOVI E’ UN GRAVE LUTTO (ALMENO PER MOLTI) MA TROVARSI VEDOVI SENZA AVERE I PROPRI DIRITTI E’ ANCHE PEGGIO. E ALLORA CHE FARE?
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l’art. 459 c.c, nel prescrivere che l’eredità si acquista con l’accettazione, si riferisce all’eredità in sé considerata, a prescindere dai titolo della chiamata, legittima o testamentaria, presupponendo quindi un concetto unitario di acquisto dell’eredità stessa.
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In tale contesto deve essere letto l’art. 480 c.c. che stabilisce il termine di decorrenza della prescrizione decennale del diritto di accettare l’eredità in ogni caso dal giorno dell’apertura della successione, e, in caso di istituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizione, senza porre quindi alcuna distinzione con riferimento al tipo di devoluzione; ai sensi del terzo comma della suddetta norma, poi, quando i primi chiamati abbiano accettato l’eredità, ma successivamente vengono rimossi gli effetti dell’accettazione, il suddetto termine non corre per gli ulteriori chiamati, decorrendo quindi dal giorno in cui costoro hanno la possibilità giuridica di accettare. VEDOVA ESTROMESSI DA EREDITA’
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La conferma della scelta del legislatore di stabilire un termine decennale di prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità decorrente dal giorno dell’apertura della successione sia in caso di successione legittima che testamentaria (fatte salve le espresse eccezioni previste dallo stesso art. 480 c.c.) è offerta dall’art. 483 c.c. che, dopo aver disposto al primo comma che l’accettazione dell’eredità non si può impugnare se viziata da errore, prevede al secondo comma che ‘se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità, o con pregiudizio della porzione legittima che gli è dovuta’.
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Invero tale disposizione – dalla quale si evince che, una volta accettata l‘eredità, non si pone più un problema di prescrizione del diritto di accettazione della stessa in base ad un testamento scoperto successivamente – attribuisce rilievo ad un testamento che sia stato rinvenuto a distanza di tempo dall’apertura della successione in quanto, temperando il rigore di quanto sancito al primo comma, ne prevede l’efficacia senza che esso debba essere accettato, sia nell’ipotesi che detto testamento sia più favorevole per il chiamato (qualora gli attribuisca una quota maggiore di eredità o altri beni) sia nell’ipotesi opposta, stabilendo il principio del limite dell’obbligo di soddisfare i legati entro il valore della dell’eredità; pertanto la norma in esame esclude due autonomi diritti di accettazione dell’eredità, in quanto, se così fosse, l’erede sarebbe tenuto a soddisfare i legati previsti nel testamento scoperto successivamente soltanto a seguito dell’accettazione di tale testamento; invece l’obbligo per l’erede di soddisfare i legati, sia pure nei limiti sopra enunciati, a seguito della scoperta di un testamento di cui non si aveva conoscenza al tempo dell’accettazione dell’eredità – e quindi il dettato legislativo secondo il quale l’accettazione sulla base della originaria delazione resta valida, ma alla prima successione si sovrappone quella testamentaria nei termini suddetti – inducono logicamente alla conclusione che l’accettazione è unica indipendentemente dal titolo della chiamata, conformemente all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il vigente ordinamento non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell’eredità, derivanti l’uno dalla devoluzione testamentaria e l’altro dalla legittima, ma prevede (con riguardo al patrimonio relitto dal defunto, quale che ne sia il titolo della chiamata) un unico diritto di accettazione che, se non viene fatto valere, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal giorno dell’apertura della successione (Cass. 25-1-1983 n. 697; Cass. 18-10-1988 n. 5666; Cass. 16-2-1993 n. 1933; Cass. 22-9-2000 n. 12575).
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Deve a tal punto essere esaminata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 480 secondo comma c.c. sollevata in via subordinata nella memoria di costituzione di nuovi difensori dell’A. del 10-5-2010 per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
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BOLOGNA RAVENNA RIMINI CESENA FORLI VEDOVO VEDOVA ESTROMESSI DA EREDITA’ DIRITTI DEI VEDOVI VEDOVA ESTROMESSI DA EREDITA’
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Sotto un primo profilo il ricorrente principale rileva che, ove si ritenesse avvenuta al momento dell’apertura della successione anche la vocazione dell’istituito ad opera di un testamento, rinvenuto soltanto in un momento posteriore alla iniziale delazione testamentaria e prima sconosciuto, la posizione di questa particolare figura di vocato verrebbe ad essere irragionevolmente deteriore rispetto a tutti gli altri chiamati, sia primi, sia ulteriori, sia istituiti ‘sub condicione’, potendo le prime due categorie esercitare immediatamente il diritto di accettare l’eredità, mentre per la terza categoria il termine per la prescrizione dell’accettazione decorrerebbe soltanto a partire dal giorno in cui la condizione si sia verificata; invece al chiamato per effetto di un testamento sconosciuto al momento dell’apertura della successione non sarebbe consentito accettare l’eredità perché sprovvisto del titolo su cui fondare il diritto di accettazione, con la conseguenza che la decorrenza del termine di prescrizione decorrerebbe per lui dall’apertura della successione senza trovarsi nella condizione giuridica di far valere il suo diritto all’accettazione; inoltre la disciplina del ‘dies a quo’ della prescrizione come interpretata dalla sentenza impugnata verrebbe a configurare la prescrizione del tutto sfornita del carattere, che pure le è proprio, di sanzione nei riguardi del comportamento inerte del titolare del diritto.
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l’art. 459 c.c, nel prescrivere che l’eredità si acquista con l’accettazione, si riferisce all’eredità in sé considerata, a prescindere dai titolo della chiamata, legittima o testamentaria, presupponendo quindi un concetto unitario di acquisto dell’eredità stessa.
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In tale contesto deve essere letto l’art. 480 c.c. che stabilisce il termine di decorrenza della prescrizione decennale del diritto di accettare l’eredità in ogni caso dal giorno dell’apertura della successione, e, in caso di istituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizione, senza porre quindi alcuna distinzione con riferimento al tipo di devoluzione; ai sensi del terzo comma della suddetta norma, poi, quando i primi chiamati abbiano accettato l’eredità, ma successivamente vengono rimossi gli effetti dell’accettazione, il suddetto termine non corre per gli ulteriori chiamati, decorrendo quindi dal giorno in cui costoro hanno la possibilità giuridica di accettare.
La conferma della scelta del legislatore di stabilire un termine decennale di prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità decorrente dal giorno dell’apertura della successione sia in caso di successione legittima che testamentaria (fatte salve le espresse eccezioni previste dallo stesso art. 480 c.c.) è offerta dall’art. 483 c.c. che, dopo aver disposto al primo comma che l’accettazione dell’eredità non si può impugnare se viziata da errore, prevede al secondo comma che ‘se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità, o con pregiudizio della porzione legittima che gli è dovuta’.
Invero tale disposizione – dalla quale si evince che, una volta accettata l’eredità, non si pone più un problema di prescrizione del diritto di accettazione della stessa in base ad un testamento scoperto successivamente – attribuisce rilievo ad un testamento che sia stato rinvenuto a distanza di tempo dall’apertura della successione in quanto, temperando il rigore di quanto sancito al primo comma, ne prevede l’efficacia senza che esso debba essere accettato, sia nell’ipotesi che detto testamento sia più favorevole per il chiamato (qualora gli attribuisca una quota maggiore di eredità o altri beni) sia nell’ipotesi opposta, stabilendo il principio del limite dell’obbligo di soddisfare i legati entro il valore della dell’eredità; pertanto la norma in esame esclude due autonomi diritti di accettazione dell’eredità, in quanto, se così fosse, l’erede sarebbe tenuto a soddisfare i legati previsti nel testamento scoperto successivamente soltanto a seguito dell’accettazione di tale testamento; invece l’obbligo per l’erede di soddisfare i legati, sia pure nei limiti sopra enunciati, a seguito della scoperta di un testamento di cui non si aveva conoscenza al tempo dell’accettazione dell’eredità – e quindi il dettato legislativo secondo il quale l’accettazione sulla base della originaria delazione resta valida, ma alla prima successione si sovrappone quella testamentaria nei termini suddetti – inducono logicamente alla conclusione che l’accettazione è unica indipendentemente dal titolo della chiamata, conformemente all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il vigente ordinamento non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell’eredità, derivanti l’uno dalla devoluzione testamentaria e l’altro dalla legittima, ma prevede (con riguardo al patrimonio relitto dal defunto, quale che ne sia il titolo della chiamata) un unico diritto di accettazione che, se non viene fatto valere, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal giorno dell’apertura della successione (Cass. 25-1-1983 n. 697; Cass. 18-10-1988 n. 5666; Cass. 16-2-1993 n. 1933; Cass. 22-9-2000 n. 12575).
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Deve a tal punto essere esaminata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 480 secondo comma c.c. sollevata in via subordinata nella memoria di costituzione di nuovi difensori dell’A. del 10-5-2010 per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
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Sotto un primo profilo il ricorrente principale rileva che, ove si ritenesse avvenuta al momento dell’apertura della successione anche la vocazione dell’istituito ad opera di un testamento, rinvenuto soltanto in un momento posteriore alla iniziale delazione testamentaria e prima sconosciuto, la posizione di questa particolare figura di vocato verrebbe ad essere irragionevolmente deteriore rispetto a tutti gli altri chiamati, sia primi, sia ulteriori, sia istituiti ‘sub condicione’, potendo le prime due categorie esercitare immediatamente il diritto di accettare l’eredità, mentre per la terza categoria il termine per la prescrizione dell’accettazione decorrerebbe soltanto a partire dal giorno in cui la condizione si sia verificata; invece al chiamato per effetto di un testamento sconosciuto al momento dell’apertura della successione non sarebbe consentito accettare l’eredità perché sprovvisto del titolo su cui fondare il diritto di accettazione, con la conseguenza che la decorrenza del termine di prescrizione decorrerebbe per lui dall’apertura della successione senza trovarsi nella condizione giuridica di far valere il suo diritto all’accettazione; inoltre la disciplina del ‘dies a quo’ della prescrizione come interpretata dalla sentenza impugnata verrebbe a configurare la prescrizione del tutto sfornita del carattere, che pure le è proprio, di sanzione nei riguardi del comportamento inerte del titolare del diritto.
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EREDE ACCETTAZIONE CON BENEFICIO INVENTARIO DEBITI ERARIO
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Non v’è dubbio che l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario sia condizione di ammissibilità dell’azione di riduzione delle liberalità in favore di persone non chiamate alla successione come eredi, e come tale debba essere accertata d’ufficio dal giudice, anche in grado di appello (ex plurimis, Cass., sez. 2, sent. n. 18068 del 2012).
Tuttavia nel caso in esame si desume ex actis, dallo svolgimento del processo di appello come riportato nelle sentenze non definitive e definitiva, che gli originari attori agirono nella qualità di legittimari totalmente pretermessi, per inesistenza di relictum al momento dell’apertura della successione. È vero, infatti, che gli accertamenti disposti dalla Corte d’appello, preordinati alla divisione, e quindi la divisione stessa hanno ad oggetto esclusivamente il compendio immobiliare del quale il defunto z.g. aveva trasferito la proprietà al figlio G. e al nipote T. con l’atto di compravendita in data 24 dicembre 1991, di cui la Corte d’appello ha accertato la parziale simulazione. Sul valore dei 5/6 del suddetto compendio al momento dell’apertura della successione è stata determinata, infatti, la quota disponibile e quella di riserva, e poi si è proceduto alla divisione.
L’assenza di relictum rendeva quindi inapplicabile nel caso di specie la previsione contenuta nell’art. 564 cod. civ., in quanto, come ripetutamente affermato da questa Corte, la condizione della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario – richiesta dall’art. 564 cod. civ. per la proposizione dell’azione di riduzione delle donazioni e dei legati – non si applica al legittimario che sia stato totalmente pretermesso dall’eredità (anche nel caso in cui abbia ricevuto beni dal de cuius ‘a titolo di donazione ovvero si sia impossessato, dopo la sua morte, di beni ereditari), atteso che egli acquista la qualità di erede soltanto a seguito del favorevole esercizio dell’azione proposta (ex plurimis, Cass., sez. 2, sent. N. 13804 del 2006).VEDOVA ESTROMESSI DA EREDITA’
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– Con i motivi dal settimo al decimo si contesta, con riferimento alla sentenza non definitiva n. 484 del 2011 e alla sentenza definitiva, la divisione del compendio ereditario, e in particolare si denuncia: a) violazione o falsa applicazione degli artt. 556 e 747 cod. civ., avuto riguardo all’assegnazione delle quote (motivo sub 7); b) contraddittorietà della motivazione, avuto riguardo alla determinazione del valore dei beni oggetto della divisione (motivo sub 8); c) vizio di motivazione nonché violazione o falsa applicazione degli artt. 556 e 747 cod. civ., avuto riguardo alla formazione della massa ereditaria dalla quale non erano state considerate le spese sostenute dai ricorrenti (motivo sub 9); d) violazione o falsa applicazione degli artt. 746 e 747 cod. civ. per avere la Corte d’appello disposto l’assegnazione in natura delle quote.
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L’azione esercitata era e resta un’azione di riduzione, di natura patrimoniale legittimamente esercitata dal curatore fallimentare non già in via surrogatoria, ma per effetto dello spossessamento fallimentare (art. 42 L.F.) che priva il fallito della disponibilità dei suoi beni (tra i quali sono da ricomprendere i diritti patrimoniali spettanti al fallito quale legittimario) e per effetto della legittimazione a stare in giudizio per i rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento, attribuita al curatore dall’art. 43 L.F. Nella specie, essendo stato rilevato che delle donazioni di somme di denaro enunciate nel testamento non v’era prova alcuna ed essendo stata esercitata l’azione di riduzione, non era in discussione e non formava oggetto di impugnazione la volontà del testatore di considerare l’erede soddisfatta con le pregresse donazioni, ma la veridicità del suo presupposto, ossia l’esistenza stessa delle donazioni. Il legislatore, prevedendo la successione necessaria, si è preoccupato di far sì che ad ognuno del legittimari considerati venga garantita una porzione del patrimonio del de cuius anche contro la volontà di quest’ultimo e pertanto così come non è consentito al testatore sottrarre al legittimario la quota di riserva, allo stesso modo non gli è consentito ottenere lo stesso risultato attraverso la mera enunciazione di avere già tacitato il legittimario per la quota di riserva; entrambe le situazioni rientrano nell’ambito dell’azione di riduzione e non attengono al contenuto tipico del testamento.
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La dichiarazione del testatore di avere già soddisfatto il legittimario con donazioni costituisce dichiarazione che neppure potrebbe essere assimilata ad una confessione stragiudiziale ex art. 2935 c.c. in quanto nell’azione di riduzione il legittimario è terzo e tale dichiarazione sarebbe invece favorevole al testatore e ai suoi eredi e, invece, sfavorevole al legittimario.
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Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge in ordine alla distribuzione degli oneri probatori e l’erronea inversione dell’onere di cui all’art. 2697 c.c. circa la veridicità dell’affermazione del testatore di intervenuta tacitazione della legittimarla.
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Il ricorrente sostiene che, siccome l’eccezione di non veridicità dell’intervenuta tacitazione della legittimarla era stata sollevata dal curatore del fallimento della legittimarla, su questo incombeva l’onere di smentire il testatore e chiede affermarsi il principio di diritto secondo cui, qualora dovesse ritenersi ricompresa nell’azione di riduzione anche l’impugnazione del testamento, su chi lo impugna ricade l’onere di provare l’eccezione di non veridicità della tacitazione della legittimarla, come affermato dal testatore in presenza del notaio rogante e di due testi.
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2.1 Il motivo è manifestamente infondato. La dichiarazione di avvenuta tacitazione delle ragioni della legittimarla con donazioni in denaro costituisce una mera dichiarazione che non attiene alla volontà testamentaria in quanto la volontà del testatore non può incidere sulla quota di riserva; al contrario, essendo provato che le disposizioni testamentarie erano lesive della legittima, era onere di chi aveva interesse a negare la violazione dei diritti del legittimario, provare l’esistenza di donazioni idonee ad escluderla.
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Siccome nell’azione di riduzione promossa dal legittimario preterito, questi deve considerarsi terzo(Cass. 20868/04; n. 6632/06; n. 7834/08) anche rispetto al testatore, la sua dichiarazione non gli è opponibile, neppure se resa davanti ad un notaio, posto che gli atti notarili, in quanto atti pubblici, fanno piena prova della provenienza del documento e delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza (art. 2700 c.c.), ma non dei fatti o dei contratti che si assumono anteriormente avvenuti (nella specie, precedenti donazioni di somme di denaro)e rispetto ai quali nulla può attestare il notaio se non che tale dichiarazione gli è stata resa.
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Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione degli artt. 553 u.p., 554, 556 e 558 c.c. e il vizio di motivazione. Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello ha immotivatamente ritenuto violata la legittima, senza considerare le donazioni ricevute da A.G. che non è stata pretermessa, ma considerata e tacitata; aggiunge che nessuna indagine sarebbe stata fatta sulla congruità del legato di usufrutto al coniuge e sulla incidenza negativa a carico della disponibile assegnata ad esso ricorrente; l’accertamento della violazione della legittima non poteva prescindere dalla formazione della massa attiva esistente al momento della morte, riunendo il donatum al relictum.
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