BOLOGNA IMOLA Diffamazione sui social: quando è reato e cosa puoi fare per difenderti subito

BOLOGNA IMOLA Diffamazione sui social: quando è reato e cosa puoi fare per difenderti subito

Quando un Incidente Ti Cambia la Vita, Il Risarcimento È un Tuo Diritto
Quando un Incidente Ti Cambia la Vita, Il Risarcimento È un Tuo Diritto

​L’ordinanza n. 2058/2025 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, depositata il 29 gennaio 2025, affronta il delicato equilibrio tra il diritto di critica del lavoratore e la tutela della reputazione dei superiori gerarchici, confermando la legittimità del licenziamento per giusta causa in caso di diffamazione.​

🔍 Contesto della vicenda

La controversia trae origine da comportamenti tenuti da una lavoratrice nel 2018, la quale aveva inviato e-mail dall’account aziendale e pubblicato post su Facebook contenenti affermazioni diffamatorie nei confronti dei propri superiori. Tali condotte, aggravate da precedenti episodi disciplinari, hanno portato al suo licenziamento per giusta causa. I ricorsi presentati dalla dipendente sono stati respinti sia in primo che in secondo grado, e la Cassazione ha confermato la decisione, escludendo la natura ritorsiva del licenziamento .​

⚖️ Principi giuridici affermati

La Corte ha ribadito che il diritto di critica del lavoratore non può sconfinare nella diffamazione. Quando le espressioni utilizzate superano i limiti della continenza formale, compromettendo il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente, il licenziamento per giusta causa è giustificato .​

📌 Implicazioni pratiche

Questa ordinanza sottolinea l’importanza per i lavoratori di mantenere un linguaggio rispettoso e conforme ai limiti del diritto di critica, sia nelle comunicazioni aziendali che sui social network. Per i datori di lavoro, rappresenta un precedente significativo per valutare la proporzionalità delle sanzioni disciplinari in casi simili.​

🔗 Approfondimenti

Per una lettura completa dell’ordinanza, è possibile consultare il testo ufficiale disponibile sul sito dell’ARAN:

​La sentenza n. 5235/2025 della Corte di Cassazione Penale, Sezione III, depositata il 3 febbraio 2025, affronta il reato di maltrattamento di animali in relazione alla somministrazione di farmaci antidolorifici a un cavallo destinato a partecipare a una competizione sportiva.​

⚖️ Contesto e decisione della Corte

Nel caso esaminato, un soggetto aveva somministrato a un cavallo, affetto da patologie muscolari, farmaci antidolorifici senza prescrizione medica, al fine di consentirne la partecipazione a una gara. La Corte ha ritenuto tale condotta configurabile come maltrattamento di animali, ai sensi dell’art. 544-ter del codice penale, sottolineando che la somministrazione di farmaci senza necessità terapeutiche e senza controllo medico può causare sofferenze ingiustificate all’animale .​

🔍 Principi giuridici affermati

La sentenza ribadisce che la tutela del benessere animale è garantita anche in ambito sportivo e che l’uso improprio di farmaci, soprattutto in assenza di prescrizione medica, costituisce una violazione penalmente rilevante. La Corte ha evidenziato l’importanza di rispettare le normative sanitarie e veterinarie per evitare trattamenti che possano arrecare danno agli animali.​Noi Radiomobile™

📌 Implicazioni pratiche

Questa pronuncia ha rilevanza per coloro che operano nel settore delle competizioni sportive con animali, sottolineando la necessità di adottare comportamenti conformi alle normative vigenti per garantire il benessere degli animali coinvolti. La sentenza funge da monito contro pratiche che, pur finalizzate al miglioramento delle performance, possono compromettere la salute e il benessere degli animali.​

​La sentenza n. 42783/2024 della Corte di Cassazione Penale, Sezione I, depositata il 21 novembre 2024, affronta il tema della diffamazione commessa tramite l’invio di un messaggio offensivo in una chat di gruppo WhatsApp.​

⚖️ Contesto del caso

Un militare è stato accusato di diffamazione aggravata per aver inviato un commento denigratorio in una chat WhatsApp denominata “181 ESEMPIO”, composta da 156 membri. Il messaggio ironizzava sull’accostamento tra una collega militare, destinataria di un encomio, e un’altra persona omonima ritratta in immagini succinte condivise da un altro utente del gruppo .​

🧑‍⚖️ Iter giudiziario

  • Primo grado: Il GUP del Tribunale Militare di Roma ha assolto l’imputato, riconoscendo la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis c.p.​Appello: La Corte Militare d’Appello ha confermato la decisione, ritenendo però sussistente l’aggravante del “mezzo di pubblicità” per via del numero di partecipanti alla chat, rendendo il reato procedibile d’ufficio .​o giuridico+7misterlex.it+
  • Cassazione: L’imputato ha presentato ricorso, contestando l’applicazione dell’aggravante e l’identificazione della persona offesa.​

🔍 Decisione della Cassazione

La Corte ha accolto parzialmente il ricorso, escludendo l’aggravante del “mezzo di pubblicità”. Ha stabilito che una chat WhatsApp, anche con numerosi membri, mantiene una dimensione riservata, poiché i messaggi sono accessibili solo agli iscritti, previamente accettati nel gruppo. Pertanto, non è assimilabile a una piattaforma pubblica come Facebook, dove i contenuti possono raggiungere un pubblico indeterminato .​Con l’esclusione dell’aggravante, il reato è divenuto procedibile solo su querela di parte. In assenza di una querela valida, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, dichiarando il reato improcedibile .​

📌 Implicazioni della sentenza

Questa decisione sottolinea l’importanza di distinguere tra i diversi strumenti di comunicazione digitale nel valutare la configurabilità dell’aggravante del “mezzo di pubblicità” nella diffamazione. La natura riservata delle chat di messaggistica, come WhatsApp, le differenzia dalle piattaforme sociali aperte, influenzando la procedibilità e la gravità del reato.​T

​La sentenza n. 41956/2024 della Corte di Cassazione Penale, Sezione V, depositata il 14 novembre 2024, affronta il reato di diffamazione commesso tramite trasmissione televisiva, con particolare riferimento all’attribuzione di un fatto determinato e alla competenza territoriale.​

⚖️ Contesto del caso

Il procedimento riguarda un servizio televisivo trasmesso nel programma “Le Iene”, intitolato “Inter-Juve, il mistero dell’audio del V. ‘sparito’ sul caso Pjanic”, in cui venivano avanzate insinuazioni su una presunta frode sportiva a favore della Juventus Football Club durante l’incontro Inter-Juve del 28 aprile 2018. Nel servizio, i giornalisti attribuivano a tre soggetti (N.R., D.O., P.V.) comportamenti illeciti, configurando così una diffamazione aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato.​

Il Tribunale di Bologna, investito della questione, ha sollevato un conflitto di competenza territoriale, chiedendo alla Corte di Cassazione di determinare il foro competente.​De Iustitia

🧩 Elementi costitutivi del reato di diffamazione

La Corte ha ribadito gli elementi essenziali del reato di diffamazione, come previsto dall’art. 595 c.p.:​

  • Condotta: comunicazione con più persone di un contenuto lesivo della reputazione altrui.​
  • Elemento oggettivo: l’offesa alla reputazione di una persona non presente.​
  • Elemento soggettivo: dolo generico, ovvero la consapevolezza e volontà di comunicare a terzi un contenuto offensivo.​

Nel caso specifico, l’aggravante dell’attribuzione di un fatto determinato (art. 595, comma 3, c.p.) è stata riconosciuta, poiché nel servizio televisivo si faceva riferimento a un episodio specifico, presentato in modo tale da rendere credibile l’accusa di frode sportiva.​

📍 Competenza territoriale

La Corte ha affrontato la questione della competenza territoriale, stabilendo che, in caso di diffamazione commessa tramite trasmissione televisiva e aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato, la competenza spetta al giudice del luogo di residenza della persona offesa. Questo criterio, previsto dall’art. 30, comma 5, della legge n. 223/1990, è stato applicato per garantire una maggiore tutela alla vittima, permettendole di agire nel foro a lei più vicino.​La Corte ha inoltre chiarito che tale criterio si applica a chiunque commetta il reato, non solo ai soggetti indicati nel comma 1 dell’art. 30 della stessa legge.​De Iustitia

🔍 Conclusioni

La sentenza n. 41956/2024 conferma l’importanza di una corretta individuazione della competenza territoriale nei casi di diffamazione aggravata commessa tramite mezzi di comunicazione di massa. Ribadisce inoltre la necessità di valutare attentamente gli elementi costitutivi del reato, soprattutto quando si attribuisce un fatto determinato alla persona offesa, poiché ciò comporta un’aggravante significativa.​

​La sentenza n. 1435/2024 della Corte di Cassazione Penale affronta il reato di diffamazione aggravata commessa tramite social media, in particolare su Facebook.​

⚖️ Contesto della sentenza

La Corte ha esaminato un caso in cui l’imputato aveva pubblicato su Facebook contenuti offensivi nei confronti di una persona, senza menzionare esplicitamente il suo nome. Tuttavia, la vittima era comunque riconoscibile attraverso elementi indiretti, come immagini, commenti o altri dettagli presenti nel post.​

🧩 Elementi costitutivi del reato di diffamazione

Secondo l’articolo 595 del Codice Penale, il reato di diffamazione si configura quando:​

  • Condotta diffamatoria: comunicazione con più persone di un contenuto lesivo della reputazione altrui.​
  • Offesa alla reputazione: l’offesa deve essere idonea a ledere concretamente la reputazione della persona offesa.​
  • Assenza della persona offesa: la persona offesa non deve essere presente al momento della comunicazione.​
  • Dolo generico: consapevolezza e volontà di comunicare a terzi un contenuto offensivo.​

Nel caso in esame, la Corte ha sottolineato che l’individuabilità della vittima, anche senza la menzione esplicita del nome, è sufficiente per configurare il reato di diffamazione aggravata. L’utilizzo di strumenti come Google Lens o l’analisi dei commenti può rendere riconoscibile la persona offesa, aggravando così il reato .​

📌 Implicazioni pratiche

Questa sentenza evidenzia l’importanza di prestare attenzione ai contenuti pubblicati sui social media. Anche senza menzionare direttamente una persona, è possibile incorrere in responsabilità penale se la vittima è comunque identificabile e il contenuto è offensivo.​

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Diffamazione sui social: quando è reato e cosa puoi fare per difenderti subito

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Se ti hanno diffamato su Facebook, Instagram o WhatsApp, potresti avere diritto a una denuncia e a un risarcimento. Scopri come tutelarti legalmente e cosa può fare per te un avvocato esperto in diffamazione online.

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🛑 Sei stato diffamato sui social? Forse non è solo un’offesa: è un reato.

Nel mondo iperconnesso di oggi, basta un commento, una storia o un post per rovinare la reputazione di una persona. Ma attenzione: la diffamazione sui social network è un reato punito dal codice penale e può comportare conseguenze gravi per chi l’ha commessa.

⚖️ Cos’è la diffamazione sui social network?

Secondo l’art. 595 del Codice Penale, si ha diffamazione quando una persona, comunicando con più persone, offende la reputazione di qualcuno che non è presente.
Sui social network (Facebook, Instagram, TikTok, WhatsApp, X/Twitter, ecc.), la diffamazione si verifica quando:

  • vengono pubblicati post, commenti o storie con frasi offensive;
  • si diffondono immagini o video per screditare una persona;
  • si lasciano recensioni false o denigratorie;
  • si fanno allusioni riconoscibili anche senza citare direttamente il nome.

📌 Attenzione: anche se il nome non è scritto, se la vittima è identificabile, il reato è comunque configurato.

🚨 Quando la diffamazione è aggravata?

Il reato di diffamazione diventa aggravato quando:

  • si attribuisce un fatto preciso e infamante (es. “è un ladro”);
  • viene commesso con un mezzo di pubblicità, come i social media.

In questi casi, le pene sono più severe: fino a 3 anni di reclusione e una multa salata, oltre al risarcimento del danno alla persona offesa.

📲 Esempi pratici: cosa dice la Cassazione

  • Cassazione Penale n. 1435/2024: anche se il nome della vittima non è indicato, la persona è riconoscibile tramite post e immagini → diffamazione aggravata.
  • Cass. Pen. n. 41956/2024: diffamare tramite mezzi come TV e social comporta aggravante per mezzo di pubblicità → competente è il giudice del luogo della vittima.
  • Cass. Pen. n. 42783/2024: una chat WhatsApp con molte persone può costituire reato, ma non sempre integra l’aggravante della pubblicità.

👨‍⚖️ Cosa può fare per te un avvocato esperto in diffamazione online?

Se sei vittima di diffamazione sui social, non restare in silenzio. Un avvocato può:

  • presentare querela nei termini di legge (3 mesi);
  • richiedere il risarcimento danni morali e materiali;
  • ottenere la rimozione dei contenuti offensivi;
  • seguire l’eventuale causa penale o civile.

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