BOLOGNA CENTO Regime patrimoniale dei coniugi – Comunione legale – Caratteri e differenze dalla comunione ordinaria – Assenza di quote – BOLOGNA CENTO Nullità degli atti di disposizione della quota di un bene in comunioneCessazione comunione legale – Divisione beni – Restituzione somme prelevate dal patrimonio personale –
Interpretazione restrittiva – Esclusione restituzione – IpotesiFamiglia maternita’ ed infanzia – Regime patrimoniale – Contratti bancari – Regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria – Legge n. 154 del 1992 – Legge poi trasfusa nel t.u. n. 385 del 1993 – Pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale –
Clausola che faccia riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza – Clausola priva del carattere della sufficiente univocità – Difetto di univoca determinabilità dell’ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale – Clausola inidonea a giustificare la pretesa dell’istituto bancario al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale – Riferimento a parametri locali, mutevoli e non riscontrabili con criteri di certezza – Principio non valido laddove si rimandi ad una disciplina stabilita su scala nazionale in termini chiari e vincolanti – Disciplina che non deve essere a sua volta nulla in quanto integrante accordi di cartello – Accordi vietati dalla l. n. 287 del 1990 – FattispecieNella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla legge 19 maggio 1975 n. 151 l’obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l’altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Il suddetto principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell’invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 (nuovo testo) cod. civ.
In tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria del 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfusa nel T.U. n. 385 del 1993, si rileva come la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, per difetto di univoca determinabilità dell’ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale. Di talché, una siffatta clausola non può di certo giustificare la pretesa dell’istituto bancario al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale quando faccia riferimento a parametri locali, mutevoli e non riscontrabili con criteri di certezza. Ciò non vale laddove si rimandi ad una disciplina stabilita su scala nazionale in termini chiari e vincolanti, sempre che questa non sia a sua volta nulla in quanto integrante accordi di cartello, vietati dalla L. n. 287 del 1990. (Nella fattispecie, alla luce dei predetti principi, si è ritenuto fondato l’appello in ordine alle censure sollevate in riferimento al rinvio alle condizioni usualmente praticate dagli istituti di credito su piazza, stante il palese difetto di determinabilità del tasso da applicarsi; questione riguardante solo uno dei conti corrente oggetto di causa per il quale le parti non avevano stabilito il tasso di interesse, con la conseguenza che, ai fini della determinazione del saldo, si è disposta l’applicazione degli interessi legali per tutta la durata del rapporto).
In materia di divisione dei beni in seguito alla cessazione della comunione legale, ove il coniuge invochi il diritto alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio, si impone un’interpretazione restrittiva dell’espressione “patrimonio personale”. In ipotesi siffatte, invero, al fine di non vanificare la portata degli automatismi previsti dagli artt. 177, lett. a) e 179, lett. f), c.c., occorre escludere il diritto alla restituzione in seguito ad acquisti effettuati con frutti e proventi individuali, nonché con somme ricavate dalla vendita di beni personali. Ne deriva, in linea generale, che solo l’utilizzo di somme che costituiscono beni personali in base ad una delle altre lettere dell’art. 179 c.c. consente di richiederne la restituzione. In tal caso, in forza della presunzione di comunione posta dall’art. 195 c.c., il relativo onere probatorio è a carico di chi agisce per la restituzione. (Nel caso concreto, ove l’azione è prospettata dall’attrice allegando che si tratterebbe di beni pervenuti alla stessa in forza di donazione da parte dei genitori, dunque ai sensi dell’art. 179 lett. b) c.c., l’anzidetto onere non può ritenersi assolto, di talché la domanda va rigettata.)
La comunione legale tra coniugi, a differenza della comunione ordinaria, è caratterizzata dall’assenza di quote, ed è per tale ragione anche denominata di tipo “germanico” o “a mani riunite”. Nella comunione legale ciascun coniuge è titolare del diritto avente ciascuno e tutti i beni di essa, e ciò in ragione del fatto che l’interesse individuale del singolo partecipe è subordinato all’interesse sociale del gruppo (famiglia). Per tali ragioni non è ammessa la cedibilità della quota e dunque la partecipazione di estranei, in quanto la quota, a differenza della comunione ordinaria, non rileva nella fase fisiologica, bensì in quella patologica di scioglimento. Ne deriva che gli atti di disposizione della quota di un bene in comunione legale sono affetti da nullità per impossibilità dell’oggetto, in quanto i diritti sui beni acquistati in comunione legale non sono giuridicamente disponibili in quote indivise, appartenenti a ciascuno dei coniugi, come nella comunione ordinaria. L’amministrazione dei beni oggetto della comunione legale è esercitata in comune da parte dei coniugi e gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, devono essere compiuti congiuntamente dagli stessi.
La Cassazione ha affermato che il passaggio dal vecchio al nuovo regime patrimoniale tra i coniugi (art. 228, legge n. 151 del 1975), che individua nella comunione il sistema legale preferenziale, in assenza di un diverso regime convenzionale, non prevede automatismi volti a modificare il regime dei beni acquistati prima della data del 15 gennaio 1978 (termine così modificato dall’art. 1 del d.l. n. 688 del 1977), ma subordina alla concorde volontà delle parti il nuovo assetto. Pertanto, la precedente comunione convenzionale, che sussista tra i coniugi al riguardo di un bene, non si trasforma in comunione legale, ma continua ad essere disciplinata dagli artt. 1100 e ss. cod. civ. ove non venga posta in essere la convenzione prevista dall’art. 228 cit. e così manifestata una specifica volontà dei coniugi (Cass. n. 2183 del 1991, che precisa, altresì, come il legislatore con tale disposizione abbia contemperato l’esigenza di estendere per il futuro il criterio preferenziale anche alle famiglie già costituite, salva la difforme volontà di uno solo dei coniugi, con il rispetto dell’autonomia e degli assetti dei medesimi realizzati in un tempo in cui esisteva nell’ordinamento la comunione quale regime legale dei rapporti patrimoniali, subordinando alla concorde volontà delle parti la sottoposizione di detti assetti al nuovo sistema). Quello che rileva dalla decisione (al di là della già evidenziata diversità della fattispecie) è il principio generale secondo cui, ai beni acquistati in un previgente regime patrimoniale, continuino ad applicarsi (salva diversa volontà dei coniugi) le norme proprie di siffatto regime e non quelle del successivo e sopravvenuto regime 16 coniugale. Il che significa che, nel caso in oggetto, il fondo acquistato dai coniugi in comunione legale dei beni continua a mantenere il suo specifico assetto giuridico, fino allo scioglimento della comunione, anche se successivamente detto regime muti, per volontà dei medesimi, in quello di separazione dei beni. In particolare, questa Corte osserva che la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi permane sino al momento del suo scioglimento, per le cause di cui all’art. 191 c.c., allorquando i beni cadono in comunione ordinaria e ciascun coniuge, che abbia conservato il potere di disporre della propria quota, può liberamente e separatamente alienarla, essendo venuta meno l’esigenza di tutela del coniuge a non entrare in rapporto di comunione con estranei (Cass. n. 8803 del 2017). 3.4. –
Ciò determina evidentemente che, in diritto, il regime di comunione legale tra i coniugi, sussistente al momento dell’acquisto del fondo, e mantenuto (per il pregresso) nonostante la successiva separazione dei beni, fa sì che la questione della edificazione del fondo medesimo debba essere affrontata e risolta sula base delle disposizioni speciali di cui agli artt. 180 e ss. c.p.c. e non già di quelle disciplinanti la comunione ordinaria. In particolare, l’art. 180 c.c. dispone che «L’amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi» (primo comma). «Il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi» (secondo comma). Il successivo art. 181 c.c. prevede che «Se uno dei coniugi rifiuta il consenso per la stipulazione di un atto di straordinaria 17 amministrazione o per gli altri atti per cui il consenso é richiesto, l’altro coniuge può rivolgersi al giudice per ottenere l’autorizzazione nel caso in cui la stipulazione dell’atto é necessaria nell’interesse della famiglia o dell’azienda che a norma della lettera d) dell’articolo 177 fa parte della comunione». Infine, l’art. 184 c.c. sancisce che «Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’articolo 2683» (primo comma). «L’azione può essere proposta dal coniuge il cui consenso era necessario entro un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto e in ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione.
Se l’atto non sia stato trascritto e quando il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione l’azione non può essere proposta oltre l’anno dallo scioglimento stesso» (secondo comma). «Se gli atti riguardano beni mobili diversi da quelli indicati nel primo comma, il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell’altro è obbligato su istanza di quest’ultimo a ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell’atto o, qualora ciò non sia possibile, al pagamento dell’equivalente secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione della comunione» (terzo comma). 3.5. – E’ del tutto evidente che, nella specie, la realizzazione da parte di uno solo dei coniugi dei tre fabbricati sul fondo in comunione legale, debba essere configurato quale atto eccedente l’ordinaria amministrazione, il compimento del quale spetta congiuntamente ad entrambi i coniugi (ai sensi del secondo comma dell’art. 180 c.c.); e che l’eventuale mancanza di necessario consenso dell’altro coniuge si traduce in vizio di annullabilità dell’atto (art. 184, primo comma, c.c.), da farsi valere in giudizio entro un anno dalla data in cui questo è venuto a conoscenza 18 dell’atto (ovvero da quando l’atto sia stato trascritto, o da quando si sia sciolta la comunione: art. 184, secondo comma, c.c.). Orbene, nella specie, non solo non risulta esser stata azionata, nel termine annuale, la domanda di annullamento dell’atto eccedente l’ordinaria amministrazione del fondo in comunione, ma soprattutto non si rinviene in alcun modo che la controricorrente, nei circa 13 anni intercorsi tra l’inizio dei lavori di costruzione e la separazione personale, abbia in qualche modo appalesato (neppure implicitamente ovvero per fatti concludenti) il proprio dissenso rispetto alla edificazione del fondo. Laddove – in virtù del principio di libertà delle forme ed in mancanza di espressa previsione normativa, tanto più in considerazione dell’ambito di incidenza degli effetti, tutti interni rispetto allo svolgimento del rapporto di comunione legale, esclusivo dei coniugi – il consenso di cui all’art. 181 c.c. non necessita di forma scritta. In una comunione legale tra i coniugi, costituente una comunione senza quote, nella quale i coniugi stessi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto i beni di essa (e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei) il consenso dell’altro coniuge, quale negozio unilaterale autorizzativo (senza vincolo di forma) che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene, rappresenta dunque un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione (non solo nei confronti dei terzi, ma) innanzitutto nei riguardi dei coniugi stessi (Cass. n. 14093 del 2010; cfr. altresì Cass. n. 284 del 1997; e n. 16177 del 2001)
Ne deriva che gli atti di disposizione della quota di un bene in comunione legale sono affetti da nullità per impossibilità dell’oggetto, in quanto i diritti sui beni acquistati in comunione legale non sono giuridicamente disponibili in quote indivise, appartenenti a ciascuno dei coniugi, come nella comunione ordinaria. L’amministrazione dei beni oggetto della comunione legale è esercitata in comune da parte dei coniugi e gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, devono essere compiuti congiuntamente dagli stessi.
In materia di divisione dei beni in seguito alla cessazione della comunione legale, ove il coniuge invochi il diritto alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio, si impone un’interpretazione restrittiva dell’espressione “patrimonio personale”. In ipotesi siffatte, invero, al fine di non vanificare la portata degli automatismi previsti dagli artt. 177, lett. a) e 179, lett. f), c.c., occorre escludere il diritto alla restituzione in seguito ad acquisti effettuati con frutti e proventi individuali, nonché con somme ricavate dalla vendita di beni personali