BANCAROTTA PER DISTRAZIONE :PROVA
BANCAROTTA PER DISTRAZIONE :PROVA Bancarotta fraudolenta per distrazione: cos’è, quando si configura e come difendersi
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Bancarotta fraudolenta per distrazione: cos’è, quando si configura e come difendersi
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La bancarotta fraudolenta per distrazione è uno dei reati più gravi in materia fallimentare e rappresenta una delle accuse più frequenti nei confronti di imprenditori, amministratori e liquidatori di società in crisi. Essere indagati o imputati per questo reato significa affrontare conseguenze penali pesanti, inclusa la reclusione fino a dieci anni.
In questo articolo ti spieghiamo cosa significa bancarotta per distrazione, quando si configura, cosa rischia l’imprenditore e come difendersi in modo efficace, anche alla luce delle più recenti sentenze della Cassazione.
Cos’è la bancarotta fraudolenta per distrazione
La bancarotta fraudolenta per distrazione è disciplinata dall’art. 216 del Regio Decreto 267/1942 (Legge Fallimentare), oggi assorbito nel Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019).
Il reato si configura quando:
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un imprenditore fallito;
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sottrae, dissimula, occulta o distrugge beni dell’impresa;
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con intenzione dolosa, ovvero consapevolmente e volontariamente;
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prima o dopo la dichiarazione di fallimento.
La parola “distrazione” indica proprio il distogliere beni dal patrimonio aziendale, destinandoli a usi personali, a soggetti terzi, o comunque sottraendoli alla garanzia dei creditori.
Esempi concreti di bancarotta per distrazione
La giurisprudenza ha chiarito che la bancarotta per distrazione può riguardare qualsiasi tipo di bene aziendale, inclusi:
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prelievi ingiustificati dal conto corrente dell’azienda;
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utilizzo di fondi aziendali per spese personali;
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cessione gratuita o sottocosto di beni aziendali a familiari o terzi;
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mancata restituzione di finanziamenti soci o prestiti infragruppo;
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vendita fittizia di beni a soggetti compiacenti (simulazione);
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affitto dell’azienda a prezzo simbolico o senza garanzie;
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intestazione fittizia di beni a parenti per sottrarli al fallimento.
Chi può essere accusato del reato
Non solo l’imprenditore può essere accusato di bancarotta per distrazione, ma anche:
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amministratori di società;
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liquidatori;
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coamministratori e consiglieri delegati;
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soci accomandatari nelle società in accomandita semplice;
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amministratori di fatto, anche se non formalmente investiti della carica.
Le pene previste per la bancarotta fraudolenta per distrazione
La bancarotta fraudolenta per distrazione è punita con:
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la reclusione da 3 a 10 anni.
A ciò si aggiungono effetti collaterali molto gravi, tra cui:
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interdizione dai pubblici uffici;
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incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione;
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confisca dei beni distratti o dei beni equivalenti.
La prova del reato: cosa dice la Cassazione
Secondo la recente Cass. Pen. n. 39116 del 2022, una volta accertata la fuoriuscita di un bene dal patrimonio aziendale, spetta all’imprenditore l’onere di giustificare la destinazione del bene.
In altre parole, è il soggetto indagato che deve dimostrare con documenti, tracciamenti bancari o testimonianze che non vi è stata alcuna distrazione dolosa.
Questo principio si basa sul concetto della vicinanza della prova: chi gestisce l’azienda è nella posizione migliore per spiegare cosa è accaduto ai beni aziendali.
Come difendersi dall’accusa di bancarotta per distrazione
Una strategia difensiva efficace si basa su alcuni pilastri fondamentali:
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Ricostruzione puntuale della contabilità: ogni spostamento di denaro o di beni deve essere tracciabile e motivato.
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Documentazione giustificativa: contratti, bonifici, relazioni interne, delibere societarie.
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Perizia contabile difensiva: far analizzare da un consulente tecnico di parte (CTP) la situazione aziendale.
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Esclusione dell’elemento soggettivo: dimostrare che non vi era dolo o volontà di arrecare pregiudizio ai creditori.
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Prova dell’effettività dell’operazione: mostrare che il bene non è stato “distratto”, ma utilizzato nell’interesse della società.
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Conclusioni
La bancarotta fraudolenta per distrazione è un reato complesso, ma difendibile, se affrontato con preparazione, metodo e tempestività. Le sentenze recenti della Cassazione hanno chiarito i confini della responsabilità, ma anche aperto spazi importanti per la difesa tecnica.
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La Corte di Cassazione ricorda come il delitto di bancarotta per distrazione occorra accertare diversi comportamenti : anzitutto è necessario verificare la «previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa» e ciò poiché «le condotte descritte all’art. 216, comma 1, n. 1hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto della garanzia che su di lui grava in vista della conservazione delle ragioni creditorie»; spetta poi all’imputato dimostrare eventualmente la diversa e «concreta destinazione dei beni o del loro ricavato».
Contesto e principio di diritto
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Nel nostro ordinamento, l’imprenditore riveste una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. La perdita ingiustificata del patrimonio o la sua diminuzione costituisce un vulnus alle aspettative dei creditori e integra, pertanto, l’evento giuridico presidiato dalla fattispecie della bancarotta fraudolenta.
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La Corte ha ribadito che, una volta accertata la fuoriuscita di un bene dal patrimonio societario, spetta all’imprenditore dimostrare la concreta destinazione dello stesso. Questo principio si fonda sulla regola generale dell’ordinamento processuale penale secondo cui, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, l’imputato deve allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali.
Rilevanza pratica
Questa pronuncia si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale che sottolinea l’importanza della “vicinanza della prova” nel processo penale. In particolare, nel reato di bancarotta per distrazione, l’imprenditore, in quanto gestore del patrimonio aziendale, è nella posizione migliore per fornire spiegazioni plausibili sulla destinazione dei beni usciti dal patrimonioPertanto, in assenza di giustificazioni adeguate da parte dell’imprenditore, la perdita di beni aziendali può essere considerata distrazione e, quindi, integrare il reato di bancarotta fraudolenta.
Conclusioni
La sentenza n. 39116 del 2022 rafforza l’orientamento giurisprudenziale che attribuisce all’imprenditore l’onere di fornire spiegazioni concrete sulla destinazione dei beni aziendali usciti dal patrimonio. Questo principio mira a tutelare le aspettative dei creditori e a preservare l’integrità del patrimonio aziendale, elemento fondamentale per la fiducia nel sistema economico e giuridico.
Tale indirizzo è stato recentemente confermato anche da altra pronuncia della Suprema Corte, Sez. V, 15.09.2022, n. 39116 che ha ribadito che deve essere proprio l’imprenditore a dimostrare, una volta accertata la fuoriuscita di un bene dal patrimonio societario, la concreta destinazione dello stesso poiché: «Nel nostro ordinamento, l’imprenditore assume una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Da qui, la diretta responsabilità dell’imprenditore, quale gestore di tale patrimonio, per la sua conservazione ai fini dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o la elisione della sua consistenza costituisce un vulnus alle aspettative dei creditori e integra, pertanto, l’evento giuridico presidiato dalla fattispecie della bancarotta fraudolenta»
prova della bancarotta per distrazione, attestati sulla Corte di Cassazione – copia non ufficiale 5 affermazione secondo cui ben può operare il meccanismo della presunzione dalla dolosa distrazione, rilevante, ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., al fine di affermare la responsabilità dell’imputato, nel caso di un ingiustificato mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010, Rv. 248425 Rv. 248425; Sez. 2, n. 5838 del 09/02/1995 Rv. 201517). 1.4. Non merita censure neppure lo scrutinio dell’elemento soggettivo, adeguatamente condotto dalla Corte di appello alla luce dell’insegnamento di questa Corte secondo cui l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico; pertanto, è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione dai causarlo ( Sez. 5 n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739). Come è stato precisato, oggetto del reato, in tale fattispecie, non è la consapevolezza del dissesto o la sua prevedibilità in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori ( Sez. 5 n. 40981 del 15/05/2014, Rv. 261367): oggetto di consapevolezza è, in relazione alla concreta situazione della società, l’incidenza dell’atto distrattivo sulle prospettive di soddisfacimento concorsuale dei creditori ( Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017 Rv. 269562 ). Come opportunamente evidenziato da Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763,
co secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti ( Sez. 5 n. 11095 del 13/02/2014, Rv. 262741; Sez. 5 n. 22894 del 17/04/2013, Rv. 255385; Sez. 5 n. 3400/05 del 15/12/2004 , Rv. 231411; Sez. 5 n. 7048 del 27/11/2008, Rv. 243295). L’indirizzo si fonda sulla considerazione che, nel nostro ordinamento, l’imprenditore assume una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Da qui, la diretta responsabilità dell’imprenditore, quale gestore di tale patrimonio, per la sua conservazione ai fini dell’ integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o la elisione della sua consistenza costituisce un vulnus alle aspettative dei creditori e integra, pertanto, l’evento giuridico presidiato dalla fattispecie della bancarotta fraudolenta. Tali considerazioni giustificano la, solo apparente, inversione dell’onere della prova incombente sul fallito, in caso di mancato rinvenimento di beni da parte della procedura e in assenza di giustificazione al riguardo ( nel senso di dare conto di spese, perdite o oneri compatibili con il fisiologico andamento della gestione imprenditoriale), poiché, anche in ragione dell’obbligo di verità gravante sul fallito ai sensi dell’art. 8 comma 3 della legge fallimentare con riferimento alla destinazione di beni di impresa al momento in cui viene interpellato da parte del curatore, obbligo presidiato da sanzione penale, si tratta di legittima sollecitazione affinché il diretto interessato dia adeguata dimostrazione, in quanto gestore dell’impresa, della destinazione dei beni o del loro ricavato (Sez. 5 n. 7588 del 26/01/2011, rv.249715), derivando dal prelievo di somme dalle casse sociali, la valida presunzione della loro dolosa distrazione, essendone pacifica la previa disponibilità, da parte dell’imputato, accertata nella loro esatta dimensione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010 Rv. 248425).
La decisione gravata si è, dunque, conformata ai principi accreditati dalla giurisprudenza prevalente in tema di prova della bancarotta per distrazione, attestati sulla Corte di Cassazione – copia non ufficiale 5 affermazione secondo cui ben può operare il meccanismo della presunzione dalla dolosa distrazione, rilevante, ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., al fine di affermare la responsabilità dell’imputato, nel caso di un ingiustificato mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010, Rv. 248425 Rv. 248425; Sez. 2, n. 5838 del 09/02/1995 Rv. 201517). 1.4.
Non merita censure neppure lo scrutinio dell’elemento soggettivo, adeguatamente condotto dalla Corte di appello alla luce dell’insegnamento di questa Corte secondo cui l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico; pertanto, è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione dai causarlo ( Sez. 5 n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739). Come è stato precisato, oggetto del reato, in tale fattispecie, non è la consapevolezza del dissesto o la sua prevedibilità in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori ( Sez. 5 n. 40981 del 15/05/2014, Rv. 261367): oggetto di consapevolezza è, in relazione alla concreta situazione della società, l’incidenza dell’atto distrattivo sulle prospettive di soddisfacimento concorsuale dei creditori ( Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017 Rv. 269562 ).
Come opportunamente evidenziato da Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763,
“la casistica giurisprudenziale consegna, non sporadicamente, casi in cui la fattispecie concreta dà conto, in termini di immediata evidenza dimostrativa (e al di fuori di qualsiasi logica presuntiva), della “fraudolenza” del patrimoniale e, dunque, non solo dell’elemento materiale, ma anche del dolo del reato in esame: ciò in ragione dei più vari fattori, quali, ad esempio, il collocarsi del singolo fatto in una sequenza di condotte di spoliazione dell’impresa poi fallita ovvero in una fase di già conclamata decozione della stessa”. Nel caso in scrutinio, la Corte di appello ha evidenziato, come si è già ricordato, quali “indici di fraudolenza“, la spoliazione dei beni della società – attraverso il fattivo e consapevole contributo della ricorrente – in un periodo di tempo immediatamente precedente e subito successivo alla dichiarazione di fallimento individuale dello Zattolo, in un arco temporale in cui era già palese la condizione di dissesto economico e finanziario della società, oltre all’ulteriore indice sintomatico della consapevole attività distrattiva, costituito dalla sottrazione delle scritture contabili. La sentenza impugnata resiste, dunque, anche sotto tale profilo, alle censure difensive avendo la Corte di appello ricostruito in capo alla ricorrente, attraverso un corretto ragionamento inferenziale, fondato sugli indici di fraudolenza adeguatamente rappresentati, la consapevolezza di porre in essere attività distrattive di consistente rilievo economico – e dunque necessariamente depauperative della garanzie del Corte di Cassazione – copia non ufficiale 6 ceto creditorio – in un momento di crisi econ