AVVOCATO ESPERTO TRATTA SUCCESSIONI BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA

CORTE APPELLO BOLOGNA SENTENZA  SUCCESSIONI AVVOCATO ESPERTO TRATTA SUCCESSIONI BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA

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Della petizione di eredità

Dispositivo dell’art. 533 Codice civile

L’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari(2) a titolo di erede o senza titolo alcuno(3), allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi(4) [71, 73, 534, 535, 2652 n. 7 c.c., 22 c.p.c.].

L’azione è imprescrittibile [948, 2934 c.c.], salvi gli effetti dell’usucapione [1158 ss. c.c.] rispetto ai singoli beni(5). –

L’azione di petizione dell’eredità è intesa, innanzitutto, al riconoscimento della qualità di erede, la quale, costituendo un “prius” autonomo facente parte del “petitum” dell’azione rispetto al diritto all’acquisto dell’universalità dei beni del “de cuius” o di una quota di essi, importa, come conseguenza, che, ove sia proposta domanda di petizione di eredità, oltre che nei confronti di chi sia nel possesso dei beni ereditari dei quali si chiede la restituzione (e sia, perciò, passivamente legittimato rispetto ad essa), anche di altro soggetto che si dichiari erede, e formuli domanda riconvenzionale in tal senso, si dà luogo ad una situazione di cause scindibili ed autonome.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 16409 del 4 luglio 2017)

L’accoglimento dell’azione di petizione ereditaria comporta non già la semplice restituzione alla massa dei beni oggetto della domanda, ma la reintegrazione delle quote lese,

sicché, ove sia ordinata la restituzione di somme di denaro, sul relativo importo deve essere riconosciuta la rivalutazione, trattandosi di credito di valore. (Nella specie, il principio è stato affermato con riguardo al “quantum” in denaro, corrispondente alle somme portate da buoni fruttiferi incassati dal soggetto passivo della domanda di petizione ereditaria, del quale era stata ordinata la restituzione).

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 22005 del 31 ottobre 2016)

 

 

L’imprescrittibilità della petizione di eredità,

sancita dall’art. 533 c.c., non altera l’ordinario regime di prescrizione dei singoli diritti compresi nell’asse ereditario. (Principio affermato riguardo alla prescrizione di un credito ereditario).

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 22100 del 29 ottobre 2015)

 

 

 

La petizione di eredità e l’azione di accertamento della qualità di erede differiscono tra loro

pur condividendo l’accertamento della qualità ereditaria, la prima è azione necessariamente recuperatoria, volta ad ottenere la restituzione dei beni ereditari da chi li possegga a titolo di erede o senza titolo, mentre l’altra è azione essenzialmente dichiarativa, eventualmente corredata da domanda accessoria di condanna non attinente alla restituzione dei beni ereditari. Pertanto, l’azione di accertamento della qualità di coerede, proposta nei confronti di chi possegga i beni ereditari a titolo di erede, corredata dalla domanda di rendiconto della gestione e corresponsione dei relativi frutti, non integra “petitio hereditatis”, ma costituisce azione di accertamento con domanda accessoria di condanna.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 2148 del 31 gennaio 2014)

 

 

L’azione di petizione di eredità non esige l’integrale contraddittorio di tutti i coeredi

sicché il possessore dei beni ereditari, convenuto in giudizio da uno solo degli eredi, nulla può opporre al riguardo, essendo sempre tenuto alla restituzione dei beni per intero, in quanto appartenenti all’eredità, mentre nei rapporti interni tra i coeredi la rivendicazione vale per la quota spettante a ciascuno di essi; con la conseguenza che, ove uno dei coeredi sia rimasto contumace nel giudizio di primo grado promosso dall’altro coerede, gli eredi di entrambi hanno facoltà di intervenire, anche in appello, nel relativo giudizio, chiedendo l’estensione degli effetti della domanda originaria, senza che possa configurarsi novità della domanda.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 14182 del 27 giugno 2011)

 

Con l’azione di petizione ereditaria l’erede può reclamare soltanto i beni nei quali egli è succeduto “mortis causa” al defunto,

ossia i beni che, al tempo dell’apertura della successione, erano compresi nell’asse ereditario; ne consegue che tale azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che il “de cuius” abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo di assegni bancari, senza un’apparente causa di giustificazione, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto in disponibilità in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del “de cuius”.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 3181 del 9 febbraio 2011)

Cass. civ. n. 24034/2004

Qualora il convenuto non contesti la qualità di erede dell’attore, la petizione dell’eredità che, ai sensi dell’art. 533 c.c.,consente di chiedere sia la quota dell’asse ereditario sia il suo valore, può assumere natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria. (Nella specie, è stato ritenuto che la domanda di divisione dell’asse ereditario, configurando l’azione di cui all’art. 533 c.c., postulava l’accertamento, fra l’attivo ereditario,anche del credito di cui il de cuius era titolare nei confronti di altro coerede perle somme da questi illegittimamente prelevate dal conto cointestato prima della sua morte).

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 24034 del 28 dicembre 2004)

La petitio hereditatis ha natura di azione reale,

volta a conseguire il rilascio dei beni ereditari da colui che li possegga, vantando un titolo successorio che non gli compete, ovvero senza alcun titolo, e presuppone l’accertamento della sola qualità ereditaria dell’attore o di diritti che a costui spettano iure hereditatis, qualora siano contestati dalla controparte; la petitio hereditatis, pertanto, si differenzia dalla rei vindicatio malgrado l’affinità del petitum, in quanto si fonda sull’allegazione dello stato di erede ed ha per oggetto beni riguardanti elementi costitutivi dell’universum ius o di una quota parte di esso. Ne consegue, quanto all’onere probatorio che, mentre l’attore in rei vindicatio deve dimostrare la proprietà dei beni attraverso una serie di regolari passaggi durante tutto il periodo di tempo necessario all’usucapione, nella petizione di eredità può invece limitarsi a provare la propria qualità di erede ed il fatto che i beni, al tempo dell’apertura della successione, fossero compresi nell’asse ereditario.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 10557 del 2 agosto 2001)

La petitio hereditatis è diretta all’accertamento della qualità di erede allo scopo di acquisire l’universum ius del defunto

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il quale è comprensivo anche dei diritti personali di godimento e delle detenzioni qualificate corrispondenti all’esercizio di essi. Conseguentemente deve ritenersi che detta azione possa proporsi contro il terzo sfornito di titolo per ottenere la consegna di beni detenuti in vita dal de cuius a titolo di locazione.

(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 954 del 18 febbraio 1986)

 

 

 

Il criterio differenziatore tra l’azione di petizione di eredità e quella di rivendica

consiste nella posizione del convenuto possessore, che — nel primo caso — non è in grado di opporre alcun titolo giustificativo, ovvero ne oppone uno che comporta l’attribuzione della qualità di erede, mentre — nell’altro — vanta un titolo diverso e specifico di legittimazione del proprio possesso.

(Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 1979 del 6 luglio 1974)

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La Cassa di Risparmio di (omissis) ha, infatti, precisato che fu proprio la Emma S(omissis), con una prima disposizione del 9 febbraio 1988, a smobilizzare n. 10.837 quote del “Fondo Libra” presenti nel dossier n. 20-13994 alla medesima intestato e disporre che il controvalore fosse accreditato sul conto corrente n. 20-949800 intestato ad essa e a Fidenzio Z(omissis) (per altro già deceduto). Con altra disposizione, sempre del 9 febbraio 1988, la Emma S(omissis) ha ordinato il prelievo dal conto corrente n. 20-949800 della somma di £ 155.862.016 e di bonificarla su un conto interno per il successivo acquisto di BOT a tre mesi, sul quale poi erano confluiti (l’1 marzo 1988) altri 5 milioni relativi a BOT scaduti custoditi sul dossier n. 20-7488, intestato Emma S(omissis) e XX. A seguito di ordine della Emma S(omissis) del 29 febbraio 1988, l’8 marzo 1988 (con data di contabilizzazione 11 marzo 1988) vengono acquistati nominali 164.000.000 di BOT a tre mesi con scadenza 30 maggio 1988 che sono inseriti, a custodia ed amministrazione, nel già citato dossier n. 20-7488 intestato, come già detto, a Emma S(omissis) e XX. Infine, XX, in qualità di cointestatario, il 17 maggio 1988 ha disposto il trasferimento dei 164 milioni nominali di BOT al 30 maggio 1988 dal dossier n. 20-7488 al dossier n. 20-12900 a lui solo intestato.

Secondo l’insegnamento della giurisprudenza (v. Cass. 3181/2011, pronunciata in sede di secondo rinvio in un caso molto simile a quello in esame), con l’azione di petizione ereditaria l’erede può reclamare soltanto i beni nei quali egli è succeduto “mortis causa” al defunto, ossia i beni che, al tempo dell’apertura della successione, erano compresi nell’asse ereditario; ne consegue che tale azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che il “de cuius” abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo di assegni bancari, senza un’apparente causa di giustificazione, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto in disponibilità in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del “de cuius“.

Applicando tale principio al caso in esame, non vi è dubbio alcuno che la disposizione di inserire i 164 milioni nominali di BOT al 30 maggio 1988 nel dossier titoli n. 20-7488, intestato a Emma S(omissis) e XX, venne impartita dalla signora Emma S(omissis) e che, di conseguenza, lo XX poteva legittimamente disporre il trasferimento di tutti i titoli in altro dossier, anche se solo a lui intestato, come poi effettivamente avvenuto.

 

 

 

Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, in parziale riforma della sentenza n. 3588/2011 del Tribunale di Bologna depositata il 23/12/2011 ed in accoglimento dello spiegato appello

– Dato atto della qualità di erede della Sig.ra Maria L(omissis) Z(omissis), nata a (omissis), (Bologna), il (omissis)/(omissis)/1938 nella successione Emma S(omissis), nata il (omissis)/(omissis)/1915 e deceduta il (omissis)/(omissis)/1988;

– Accertato che i titoli “bot” nominali £. 164.000.000, cointestati Emma S(omissis) – XX, depositati presso la Cassa di Risparmio di (omissis) (dossier n. 20-7488) e corrispondenti al conto corrente n. 0999800 erano di proprietà esclusiva di Emma S(omissis) e Fidenzio Z(omissis);

– Accertato che dei suddetti titoli e delle somme presenti nei conti correnti di riferimento dei coniugi Fidenzio Z(omissis) e Emma S(omissis) è di pertinenza dell’eredità Emma S(omissis) la somma di € 45.036,20 al 20/05/1988; A) Dichiarare, e conseguentemente condannare XX a reintegrare l’asse ereditario di Emma S(omissis) della somma di €. 45.036,20, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 20/05/1988 all’effettivo reintegro; B) Procedere alla divisione dell’asse ereditario mediante assegnazione a ciascuno degli eredi – Maria L(omissis) Z(omissis), XX e WW – della quota di pertinenza e, conseguentemente C) Liquidare a favore del sig. YY quale unico erede della Sig.ra Maria L(omissis) Z(omissis), la somma di €. 44.610,00 (somma accertata dal CTU al 13/10/2009) pari al 50% della quota di eredità spettante a quest’ultima. In ogni caso oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal 13/10/2009 all’effettivo saldo.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA

PRIMA SEZIONE CIVILE

La Corte d’Appello di Bologna, prima sezione civile, composta dai signori Magistrati

Dott. Giovanni Benassi – Presidente relatore

Dott. Mariapia Parisi – Consigliere

Dott. Melania Bellini – Consigliere

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile iscritta al n. 451 del Ruolo Generale dell’anno 2012, promossa da:

YY, quale unico erede della madre, sig.ra Maria L(omissis) Z(omissis), deceduta il 24 marzo 2014, rappresentato e difeso in forza di procura speciale alle liti posta a margine del foglio di precisazione delle conclusioni depositato all’udienza del 13 giugno 2017, dall’Avvocato Ezio Torrella, presso il cui studio è pure elettivamente domiciliato in Bologna, via Montegrappa 22

APPELLANTE

contro

XX e WW, rappresentati e difesi per procura speciale alle liti posta in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dagli Avvocati Giuseppina Verricchio e Barbara Rossi, presso il cui studio sono pure elettivamente domiciliati, in Bologna, via Boldrini 5/2

APPELLATI

Avente ad oggetto

Divisione di beni caduti in successione”

CONCLUSIONI

Il procuratore dell’appellante chiede e conclude:

Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, in parziale riforma della sentenza n. 3588/2011 del Tribunale di Bologna depositata il 23/12/2011 ed in accoglimento dello spiegato appello

– Dato atto della qualità di erede della Sig.ra Maria L(omissis) Z(omissis), nata a (omissis), (Bologna), il (omissis)/(omissis)/1938 nella successione Emma S(omissis), nata il (omissis)/(omissis)/1915 e deceduta il (omissis)/(omissis)/1988;

– Accertato che i titoli “bot” nominali £. 164.000.000, cointestati Emma S(omissis) – XX, depositati presso la Cassa di Risparmio di (omissis) (dossier n. 20-7488) e corrispondenti al conto corrente n. 0999800 erano di proprietà esclusiva di Emma S(omissis) e Fidenzio Z(omissis);

– Accertato che dei suddetti titoli e delle somme presenti nei conti correnti di riferimento dei coniugi Fidenzio Z(omissis) e Emma S(omissis) è di pertinenza dell’eredità Emma S(omissis) la somma di € 45.036,20 al 20/05/1988; A) Dichiarare, e conseguentemente condannare XX a reintegrare l’asse ereditario di Emma S(omissis) della somma di €. 45.036,20, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 20/05/1988 all’effettivo reintegro; B) Procedere alla divisione dell’asse ereditario mediante assegnazione a ciascuno degli eredi – Maria L(omissis) Z(omissis), XX e WW – della quota di pertinenza e, conseguentemente C) Liquidare a favore del sig. YY quale unico erede della Sig.ra Maria L(omissis) Z(omissis), la somma di €. 44.610,00 (somma accertata dal CTU al 13/10/2009) pari al 50% della quota di eredità spettante a quest’ultima. In ogni caso oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal 13/10/2009 all’effettivo saldo.

Con rifusione delle spese, competenze, onorari di lite ed accessori di legge, anche di primo grado.“;

Il procuratore degli appellati chiede e conclude:

Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello, respinta ogni contraria istanza od eccezione, confermare la sentenza n. 3588/2011 emessa dal Tribunale di Bologna in data 06/12/2011 e depositata in data 23.12.2011 con rigetto di tutte le istanze/conclusioni di parte appellante. Vittoria di spese, competenze e onorari di giudizio.“.

LA CORTE D’APPELLO

Udita la relazione della causa fatta dal Presidente Relatore dott. Giovanni Benassi;

Udita la lettura delle conclusioni assunte dai procuratori delle parti;

Esaminati gli atti e i documenti di causa, ha ritenuto:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Con atto di citazione, notificato il 18 luglio 2005, YY, in proprio e quale procuratore generale della madre Maria L(omissis) Z(omissis), ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, JJ, XX e WW, formulando due distinte domande, la prima relativamente alla eredità relitta da Fidenzio Z(omissis) (nonno del YY e padre della sig.ra Maria L(omissis) Z(omissis)) deceduto il (omissis) (omissis) 1986 e la seconda relativamente alla eredità relitta da Emma S(omissis) (nonna del YY, madre della Maria L(omissis) Z(omissis) e moglie di Fidenzio Z(omissis)) deceduta il (omissis) (omissis) 1988.

Relativamente alla successione di Fidenzio Z(omissis), il YY ha chiesto che, accertata la sua qualità di erede in rappresentanza della madre, Maria L(omissis) Z(omissis), venisse dichiarata la nullità della rinuncia all’eredità dallo stesso formulata perché sottoposta a condizione e che, in conseguenza, l’asse ereditario, fatto salvo il 50% di proprietà di Emma S(omissis), fosse diviso in parti eguali, con l’attribuzione della quota del 25% a YY e del 25% a XX e WW; in via subordinata, e per il caso in cui gli eredi avessero riconosciuto di dare valore alla volontà del defunto Fidenzio Z(omissis), ha chiesto venisse accertata la sua qualità di erede con la condanna dei convenuti XX e WW a versargli la somma di £ 200.000.000, pari ad € 103.291,38, oltre interessi legali dal 23 febbraio 1986 al saldo.

Relativamente alla successione di Emma S(omissis), il YY ha chiesto che venisse accertato che i titoli BOT per nominali £ 164.000.000 (pari ad € 84.698,93) cointestati a Emma S(omissis) e XX, presso la Cassa di Risparmio di (omissis), nel dossier titoli n. 20-7488 ed appoggiati al conto corrente n. 0999800, erano di proprietà esclusiva di Emma S(omissis) e che pertanto erano stati illegittimamente sottratti da XX in data 17 maggio 1988; in conseguenza, ha chiesto la condanna di XX a reintegrare l’asse ereditario della suddetta somma, oltre interessi e rivalutazione monetaria, e che si procedesse alla divisione dell’asse ereditario, così come integrato, con assegnazione a ciascuno degli eredi della quota di pertinenza.

Nel costituirsi in giudizio, JJ ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo che aveva rinunciato all’eredità relitta da Fidenzio Z(omissis).

XX e WW, costituendosi, hanno eccepito il difetto di legittimazione attiva del YY, sostenendo che l’attore aveva agito non in rappresentanza della madre, bensì in nome della madre ma per far valere diritti propri; nel merito hanno chiesto il rigetto delle domande.

Espletata l’istruttoria, con sentenza n. 3588/2011 del 23 dicembre 2011 il Tribunale di Bologna ha, preliminarmente, accolto l’eccezione di legittimazione passiva sollevata da JJ e, nel merito, ha respinto le domande dell’attore, che ha condannato al rimborso delle spese di lite.

Avverso la suddetta decisione, YY, quale procuratore generale di Maria L(omissis) Z(omissis), ha proposto tempestivo appello affidato a quattro motivi, cui resistono XX e WW, chiedendone il rigetto.

All’udienza del 13 giugno 2017, il difensore dell’appellante ha dichiarato il sopravvenuto decesso della sig.ra Maria L(omissis) Z(omissis) e, contestualmente, si è costituito in giudizio in prosecuzione per conto di YY, nella qualità di unico erede della madre.

All’udienza del 28 novembre 2017, le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione.

  1. Per quanto ancora qui interessa, il Tribunale di Bologna ha in primo luogo riconosciuto il difetto di legittimazione passiva di JJ, avendo quest’ultimo rinunciato alle eredità relitte da entrambi i genitori.

Con riferimento all’eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo all’attore sollevata dai convenuti, il primo giudice ha dichiarato inammissibili, perché diverse da quelle originariamente introdotte, le conclusioni — sulle quali i convenuti non avevano accettato il contraddittorio — che l’attore aveva modificato nella comparsa di cui all’art. 183, comma 5, cpc, nelle quali aveva sostituito il soggetto agente (se stesso) con la madre, osservando che il YY, pur formalmente utilizzando il termine rappresentanza, si era voluto in realtà riferire al diverso istituto della rappresentazione. 

Nel merito, il giudice di prime cure ha ritenuto l’atto di rinuncia all’eredità pienamente valido ed efficace, sostenendo che dallo stesso emergeva in maniera chiara ed univoca la volontà di rinunciare all’eredità relitta da Fidenzio Z(omissis); ha sottolineato, inoltre, come l’attore avrebbe dovuto sollevare eventuali falsità relative alla rinuncia mediante querela di falso, trattandosi di atto pubblico, osservando infine che era necessario valutare anche la condotta dell’attore che aveva proposto il giudizio a distanza di ben diciannove anni dalla stesura dell’atto di rinuncia.

Per quanto attiene l’eredità della Emma S(omissis), il Tribunale ha ritenuto che l’azione esperita dall’attore difettasse dei presupposti tipici dell’azione di petizione ereditaria, poiché non vi era dubbio, né mai era stato contestato dai convenuti, che Maria L(omissis) Z(omissis) fosse qualificabile come erede della Emma S(omissis).

Quanto infine alla domanda di restituzione dei beni sottratti da XX all’asse ereditario, il primo giudice ha sostenuto che l’attore non aveva dato prova dell’appartenenza di quelle somme al patrimonio del de cuius al momento della morte, e che tali somme devono pertanto considerarsi estranee all’asse ereditario. Al riguardo il primo giudice ha osservato che l’attore avrebbe dovuto, eventualmente, promuovere un’azione di reintegrazione della propria quota di legittima.

  1. Preliminare all’esame dei motivi di merito, è chiarire la situazione venutasi a creare a seguito della morte di Fidenzio Z(omissis), avvenuta il (omissis) (omissis) 1986, e di Emma S(omissis), avvenuta il (omissis) (omissis) 1988.

Alla morte di Fidenzio Z(omissis), gli eredi e, cioè, la moglie Emma S(omissis), e i figli JJ e Maria L(omissis) Z(omissis) hanno rinunciato all’eredità. Anche il figlio di Maria L(omissis) Z(omissis), ha rinunciato alla eredità. L’eredità è stata invece accettata dai nipoti, XX e, con beneficio d’inventario, WW, allora di minore età.

Alla morte di Emma S(omissis) risultavano chiamati alla eredità i due figli, JJ e Maria L(omissis) Z(omissis); il primo, però, rinunciava alla eredità che veniva quindi devoluta per rappresentazione ai di lui figli, XX e WW. Invece, Maria L(omissis) Z(omissis) ha accettato l’eredità materna.

Pertanto, l’eredità di Emma S(omissis), all’atto dell’apertura della successione, è stata ripartita tra gli eredi, Maria L(omissis) Z(omissis), XX e WW, come non è in contestazione tra le parti e comunque si evince dalla denuncia di successione prodotta agli atti nel corso del primo grado del giudizio.

  1. Con il primo motivo, l’appellante lamenta erroneità della sentenza emessa dal Tribunale di Bologna nella parte in cui ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva di YY, sostenendo che il difetto di legittimazione attiva, pur erroneamente rilevato, vada riferito alle sole domande svolte in relazione all’eredità di Fidenzio Z(omissis), nel presente giudizio abbandonate e non oggetto di gravame.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse ad agire.

La Corte ricorda che l’interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (v. fra le tante, Cass. n. 15353/2010; n. 26921/2008).

Nel caso di specie, poiché l’appellante ha, in modo chiaro ed esplicito, definitivamente abbandonato le domande proposte in primo grado in relazione all’eredità di Fidenzio Z(omissis), è venuto meno in capo a YY l’interesse ad impugnare le statuizioni che il Tribunale di Bologna ha emesso sulle suddette domande, dal momento che la questione prospettata con il primo motivo d’appello risulta essere priva di qualsivoglia risvolto pratico.

  1. Con il secondo motivo, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l’azione di petizione ereditaria perché priva dei presupposti, sostenendo che tale azione è uno strumento previsto a favore dell’erede che voglia far valere la propria qualità contro chi possieda beni ereditari a titolo di erede o senza alcun titolo.

Ritiene l’appellante che nell’ipotesi di possesso di beni ereditari senza alcun titolo il riconoscimento della qualità di erede sia strumentale all’ottenimento dei beni, con la conseguenza che l’attore deve soltanto provare che i beni sottratti facciano parte dell’asse ereditario. Nel caso di specie il convenuto XX si è impossessato di somme di denaro di proprietà della Emma S(omissis) pochi giorni prima del suo decesso al fine di sottrarle all’asse ereditario.

Con il terzo motivo l’appellante denuncia l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda di restituzione delle somme illecitamente sottratte all’asse ereditario da XX, perché non sufficientemente provata. Il YY sostiene che facciano piena prova di quanto da lui affermato i documenti prodotti in primo grado, nonché la testimonianza resa da S(omissis) S(omissis) nel corso dell’istruttoria e la CTU espletata. In particolare, dalla CTU emergerebbe che la metà dei depositi bancari e dei risparmi in denaro, pari ad € 45.036,20, erano parte dell’asse ereditario della Emma S(omissis), di cui gli spetterebbe la metà. Assume, infine, che il giudice di prime cure ha ingiustamente tralasciato il comportamento tenuto dai convenuti durante il procedimento e, in particolare, il loro rifiuto a sottoporsi ad interrogatorio formale, non supportato da alcun giustificato motivo.

Entrambi i motivi, che vanno esaminati congiuntamente perché logicamente connessi, sono infondati.

Per quanto concerne il primo aspetto, la Corte premette, come è pacifico tra le parti, che, all’atto dell’apertura della successione di Emma S(omissis), sono stati chiamati all’eredità la figlia Maria L(omissis) Z(omissis), e il figlio JJ. Maria L(omissis) Z(omissis) ha accettato l’eredità; invece, JJ ha rinunciato e, quindi, al chiamato, sono subentrati per rappresentazione i figli (nipoti in linea retta della defunta) XX e WW.

Risulta, poi, provato (v. in particolare la denuncia di successione presentata a seguito della morte di Emma S(omissis) – doc. 4 fasc. I grado appellante) che la qualifica di erede di Maria L(omissis) Z(omissis) non è mai stata contestata e che tutti i beni che erano presenti nel patrimonio della de cuius, all’atto dell’apertura della successione, sono stati divisi tra gli eredi, nella misura del 50% a favore della Maria L(omissis) Z(omissis) e nella misura del 50% a favore degli XX e WW (25% a testa).

Anche dalla consulenza tecnica d’ufficio, espletata nel primo grado del giudizio, con la quale sono stati ricostruiti nel dettaglio gli assi ereditari di Fidenzio Z(omissis) e di Emma S(omissis), risulta che Maria L(omissis) Z(omissis) è stata riconosciuta come erede della Emma S(omissis) e che in tale qualità è succeduta alla de cuius (relativamente al patrimonio immobiliare e mobiliare presente all’atto del decesso) secondo la quota di sua spettanza unitamente agli appellati, XX e WW, ciascuno per le quote di rispettiva competenza.

Alla luce di quanto esposto, il Tribunale ha correttamente respinto la domanda di petizione ereditaria proposta dal YY quale procuratore generale di Maria L(omissis) Z(omissis), essendo pacifico che quest’ultima fosse qualificabile come erede di Emma S(omissis) unitamente ai nipoti XX e WW.

La giurisprudenza (v. Cass. n. 22915/13) ha, al riguardo, affermato che la petizione di eredità ha come presupposto indefettibile che la qualità di erede, al cui riconoscimento è preordinata, sia oggetto di contestazione da parte di chi detiene i beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, poiché, ove tale contestazione manchi, vengono meno le ragioni di specificità dell’azione di petizione rispetto alla comune rivendicazione, che ha, invero, lo stesso “petitum“.

In altra decisione, il supremo Collegio (v. Cass. 2148/14) ha puntualizzato che la petizione di eredità e l’azione di accertamento della qualità di erede differiscono tra loro in quanto, pur condividendo l’accertamento della qualità ereditaria, la prima è azione necessariamente recuperatoria, volta ad ottenere la restituzione dei beni ereditari da chi li possegga a titolo di erede o senza titolo, mentre l’altra è azione essenzialmente dichiarativa, eventualmente corredata da domanda accessoria di condanna non attinente alla restituzione dei beni ereditari. Pertanto, l’azione di accertamento della qualità di coerede, proposta nei confronti di chi possegga i beni ereditari a titolo di erede, corredata dalla domanda di rendiconto della gestione e corresponsione dei relativi frutti, non integra “petitio hereditatis“, ma costituisce azione di accertamento con domanda accessoria di condanna.

Ora, nella specie, come posto in evidenza dagli appellati, a Maria L(omissis) Z(omissis) non è mai stata negata la qualifica di erede e non è stato sottratto alcun bene ereditario, dal momento che, come risulta anche dalla lettura — giuridicamente — corretta della CTU, gli eredi di Emma S(omissis) hanno diviso tutto ciò che era presente nel patrimonio della de cuius all’atto dell’apertura della successione.

L’appellante sostiene che XX aveva sottratto delle somme di proprietà di Emma S(omissis) quando la stessa era ancora in vita e, sulla base di questo presupposto, ha formulato l’azione di petizione ereditaria oggetto di causa.

Tuttavia la suddetta azione è stata esercitata per il riconoscimento di una qualifica — erede di Emma S(omissis) — che non è mai stata negata a Maria L(omissis) Z(omissis) e per la restituzione di somme che, non essendo parte del patrimonio della de cuius all’atto della morte, non possono essere considerate in senso tecnico come beni ereditari.

Il YY ha atteso diversi anni (ben 17 dall’apertura della successione di Emma S(omissis)) per far valere le sue ragioni e ha optato, tra le tante azioni cui avrebbe potuto fare ricorso, per l’esercizio della petizione ereditaria, presumibilmente, per superare eventuali eccezioni che avrebbero potuto essergli opposte in ragione del significativo lasso di tempo trascorso.

Tuttavia, nella specie, la petizione ereditaria non può essere accolta difettando la contestazione della qualità di erede di Maria L(omissis) Z(omissis) e il possesso, a titolo di erede o senza titolo, di beni ereditari in capo agli odierni appellati.

  1. Infondata è anche la domanda di restituzione della somma che XX avrebbe indebitamente sottratto dall’asse ereditario di Emma S(omissis), almeno per come è stata formulata dell’odierno appellante.

Sostiene il YY che tra i beni ereditari avrebbero dovuto essere ricompresi dei titoli per un valore di £ 164.000.000.

Espone al riguardo l’appellante che con fissato bollato n. 6173 dell’8 marzo 1988, la Cassa di Risparmio di (omissis) aveva venduto alla Emma S(omissis) dei BOT per un capitale nominale di £ 164.000.000 (suo fasc. I grado, doc. 5-7).

All’atto della morte della Emma S(omissis) (20 maggio 1988), la Cassa di Risparmio di (omissis) aveva, però, comunicato che l’unico rapporto in essere presso l’Istituto era un conto corrente di corrispondenza (n. 0094800), cointestato Emma S(omissis) e Fidenzio Z(omissis) (per altro già deceduto) con un saldo attivo di £ 660.735 (doc. 10 fasc. I grado appellante).

Successivamente, la medesima Banca aveva chiarito che, in data 8 marzo 1988, i titoli acquistati dalla Emma S(omissis) erano stati inseriti nel dossier n. 20-7488 intestato a Emma S(omissis) e XX (doc. 12 e 13 fasc. I grado appellante) e che, poi, lo XX, quale contestatario del conto, il 17 maggio 1988 aveva disposto il trasferimento dei titoli sul dossier n. 20-12900 intestato a lui solo (doc. 14 fasc. I grado appellante).

Alla luce delle allegazioni dell’appellante nonché dei chiarimenti contenuti nella missiva della Cassa di Risparmio di (omissis) del 22 giugno 1998 (doc. 13 appellante) va confermata l’infondatezza della domanda, così come proposta dal YY.

La Cassa di Risparmio di (omissis) ha, infatti, precisato che fu proprio la Emma S(omissis), con una prima disposizione del 9 febbraio 1988, a smobilizzare n. 10.837 quote del “Fondo Libra” presenti nel dossier n. 20-13994 alla medesima intestato e disporre che il controvalore fosse accreditato sul conto corrente n. 20-949800 intestato ad essa e a Fidenzio Z(omissis) (per altro già deceduto). Con altra disposizione, sempre del 9 febbraio 1988, la Emma S(omissis) ha ordinato il prelievo dal conto corrente n. 20-949800 della somma di £ 155.862.016 e di bonificarla su un conto interno per il successivo acquisto di BOT a tre mesi, sul quale poi erano confluiti (l’1 marzo 1988) altri 5 milioni relativi a BOT scaduti custoditi sul dossier n. 20-7488, intestato Emma S(omissis) e XX. A seguito di ordine della Emma S(omissis) del 29 febbraio 1988, l’8 marzo 1988 (con data di contabilizzazione 11 marzo 1988) vengono acquistati nominali 164.000.000 di BOT a tre mesi con scadenza 30 maggio 1988 che sono inseriti, a custodia ed amministrazione, nel già citato dossier n. 20-7488 intestato, come già detto, a Emma S(omissis) e XX. Infine, XX, in qualità di cointestatario, il 17 maggio 1988 ha disposto il trasferimento dei 164 milioni nominali di BOT al 30 maggio 1988 dal dossier n. 20-7488 al dossier n. 20-12900 a lui solo intestato.

Secondo l’insegnamento della giurisprudenza (v. Cass. 3181/2011, pronunciata in sede di secondo rinvio in un caso molto simile a quello in esame), con l’azione di petizione ereditaria l’erede può reclamare soltanto i beni nei quali egli è succeduto “mortis causa” al defunto, ossia i beni che, al tempo dell’apertura della successione, erano compresi nell’asse ereditario; ne consegue che tale azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che il “de cuius” abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo di assegni bancari, senza un’apparente causa di giustificazione, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto in disponibilità in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del “de cuius“.

Applicando tale principio al caso in esame, non vi è dubbio alcuno che la disposizione di inserire i 164 milioni nominali di BOT al 30 maggio 1988 nel dossier titoli n. 20-7488, intestato a Emma S(omissis) e XX, venne impartita dalla signora Emma S(omissis) e che, di conseguenza, lo XX poteva legittimamente disporre il trasferimento di tutti i titoli in altro dossier, anche se solo a lui intestato, come poi effettivamente avvenuto.

In altri termini, poiché lo XX aveva avuto la disponibilità dei titoli in forza di un titolo giuridico preesistente e del tutto indipendente rispetto alla morte della Emma S(omissis), non era l’azione di petizione ereditaria lo strumento giuridico con il quale la Maria L(omissis) Z(omissis) e, per esso, il YY avrebbe potuto far valere i propri eventuali diritti sulla somma di £ 164.000.000.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, ciò che l’erede può reclamare con l’hereditatis petitio — azione nella quale l’erede non subentra al de cuius, ma che a lui viene attribuita ex novo — sono i beni nei quali egli è succeduto mortis causa al defunto, ossia i beni che, al tempo dell’apertura della successione, erano compresi nell’asse ereditario (cfr. Cass., Sez. Il, 2 agosto 2001, n. 10557; Cass., Sez. Il, 16 gennaio 2009, n. 1074); ne consegue che l’azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che l’ereditando abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo assegni bancari, senza una apparente causa giustificativa, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto nella disponibilità, non già a titolo di erede o senza titolo alcuno, bensì in forza di un titolo giuridico preesistente ed indipendente rispetto alla morte del de cuius (cfr. Cass., Sez. Il , 23 ottobre 1974, n. 3067; Cass., Sez. Il, 19 marzo 2001, n. 3939).

  1. Con il quarto motivo, l’appellante impugna la condanna alle spese disposta dal Tribunale di Bologna, sostenendo che la suddetta decisione è dipesa dall’ingiusto rigetto delle sue domande; rileva, poi, che il primo giudice non ha comunque tenuto conto del comportamento dei convenuti durante il processo, ed in particolare del fatto che essi non hanno cercato di concludere una transazione per la liquidazione della quota di spettanza di Maria L(omissis) Z(omissis), nonostante fosse pacifica la sua qualità di erede e del loro rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad interrogatorio formale.

Il motivo non è fondato.

La statuizione di condanna del YY al rimborso delle spese processuali del primo grado disposta dal Tribunale di Bologna trova solido fondamento giuridico nel principio della soccombenza sancito dall’art. 91 cpc, dal momento che le domande formulate dalla parte attrice sono state in quella sede integralmente respinte. Né ad avviso della Corte possono nella specie ravvisarsi una soccombenza reciproca o il concorso di altre gravi ed eccezionali ragioni che, secondo l’art. 92 cpc, nel testo vigente all’epoca dell’emanazione della sentenza di primo grado, avrebbero potuto giustificare la compensazione anche parziale delle spese. 

L’appello proposto da YY va, dunque, respinto.

Anche le spese del giudizio di appello, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza ex art. 91 cpc e sono poste a carico del soccombente YY.

P.Q.M.

La Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, respinge l’appello proposto da YY, quale unico erede di Maria L(omissis) Z(omissis), avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 3588/2011 del 23 dicembre 2011; condanna YY al rimborso delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi € 6.200,00 per compenso professionale, oltre IVA e CPA e 15% rimborso forfettario spese generali.

Così deciso in Bologna in data 27 febbraio 2018 nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile della Corte d’Appello

IL PRESIDENTE ESTENSORE

Dott. Giovanni Benassi