ART 250 CC RICONOSCIMENTO PATERNITA’
Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento [30 Cost.]. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente [235].
Il riconoscimento(2) del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso
Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.
Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l’opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315 bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262(5).
Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio
Il riconoscimento del figlio naturale minore infrasedicenne, già riconosciuto da un genitore, è diritto soggettivo primario dell’altro genitore, costituzionalmente garantito dall’art. 30 Cost.: in quanto tale, esso non si pone in termini di contrapposizione con l’interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, atteso il diritto del bambino ad identificarsi come figlio di una madre e di un padre e ad assumere cosi una precisa e completa identità. Ne consegue che il secondo riconoscimento, ove vi sia opposizione dell’altro genitore che per primo ha proceduto al riconoscimento, può essere sacrificato — anche alla luce degli artt. 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (resa esecutiva con la legge 27 maggio 1991, n. 176) — solo in presenza di motivi gravi ed irreversibili, tali da far ravvisare la probabilità di una forte compromissione dello sviluppo psico-fisico del minore. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che costituissero impedimento al secondo riconoscimento l’età del padre naturale, la sua residenza in una località lontana da quella di residenza della minore, nonché la mancanza, dà parte sua, di un’attività lavorativa stabile e di un’autonoma abitazione).
In tema di autorizzazione al riconoscimento di figlio naturale, la mera diversità culturale, di origini, di etnia e di religione non può di per sé costituire elemento significativo ai fini dell’esclusione dell’interesse del minore all’acquisizione della doppia genitorialità. Tuttavia, il fanatismo religioso (nella specie, si trattava di genitori di nazionalità e religioni diverse) può assumere rilievo dirimente qualora si traduca in un’indebita compressione dei diritti di libertà del minore o in un pericolo per la sua crescita secondo i canoni generalmente riconosciuti dalle società civili.
Al pari di quanto accade in tema di controversie in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale di minori, anche nel procedimento previsto dall’art. 250, quarto comma, c.c., avente ad oggetto l’indagine sulla legittimità del rifiuto al secondo riconoscimento opposto dal genitore che per primo abbia riconosciuto il figlio, il termine breve per appellare è rispettato con il tempestivo deposito in cancelleria del ricorso entro trenta giorni dalla notifica della sentenza, mentre, nel caso in cui l’impugnazione sia stata proposta con citazione a udienza fissa, il gravame deve considerarsi tempestivo e validamente proposto purché il deposito della citazione avvenga entro il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza, essendo detto deposito l’atto con il quale, nei procedimenti camerali, l’impugnazione è proposta.
Il riconoscimento del figlio minore infraquattordicenne nato fuori dal matrimonio, già riconosciuto da un genitore, costituisce un diritto soggettivo dell’altro, tutelato nell’art. 30 Cost., che può, tuttavia, essere sacrificato in presenza del rischio della compromissione dello sviluppo psicofisico del minore stesso. In questo quadro, il necessario bilanciamento tra l’esigenza di affermare la verità biologica con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, impone di accertare quale sia, in concreto, l’interesse del minore, valorizzando primariamente i risultati della sua audizione, una volta accertatane da parte del giudice la capacità di discernimento.
riconoscimento di figlio naturale,
l’art. 250 c.c. (come modificato dall’art. 1, comma 2, lett. b, della l. n. 219 del 2012) subordina, nell’ipotesi di minore infraquattordicenne, la possibilità del secondo riconoscimento al consenso del genitore che detto riconoscimento ha già effettuato e dispone, altresì, che, al compimento del quattordicesimo anno, il minore (anche se nato o concepito prima dell’entrata in vigore della l. n. 219 del 2012 cit.) divenga titolare di un autonomo potere di incidere sul diritto del genitore al riconoscimento, configurando il suo assenso quale elemento costitutivo dell’efficacia della domanda stessa di riconoscimento. Ne consegue che il raggiungimento, da parte del minore, della “maggiore età” ritenuta dal legislatore adeguata ad esprimere un meditato giudizio, rilevabile d’ufficio, determina il venir meno della necessità del consenso del primo genitore al riconoscimento da parte dell’altro e, in difetto, dell’intervento del giudice. (Nella specie, la S.C., preso atto che il minore aveva compiuto quattordici anni nel corso del processo ed aveva rifiutato il suo assenso al riconoscimento, ha dichiarato, su ricorso della madre, cessata la materia del contendere, cassando senza rinvio la sentenza di riconoscimento della paternità.
La competenza a provvedere sull’autorizzazione al riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio richiesta, ex art. 250, comma 5, c.c., dal genitore non ancora sedicenne, appartiene al tribunale ordinario. (Principio di diritto enunciato ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c.).
Il potere, spettante in via esclusiva al genitore che per primo ha riconosciuto il figlio infraquattordicenne, di esprimere il consenso al successivo riconoscimento, da parte dell’altro genitore, costituisce un corollario della paternità (o maternità) e non della legale rappresentanza del minore nell’esercizio della potestà genitoriale, la cui sospensione, quindi, non gli impedisce di acconsentire al suddetto secondo riconoscimento, legittimando, in caso contrario, l’altro genitore a promuovere, ex art. 250 cod. civ., l’azione per ottenere la sentenza sostitutiva, in un procedimento nel quale il primo è litisconsorte necessario insieme al minore, rappresentato dal tutore.
Nel procedimento previsto dall’art. 250, quarto comma, c.c. per conseguire una pronuncia che tenga luogo del mancato consenso del genitore, che abbia già riconosciuto il figlio infrasedicenne, al riconoscimento dello stesso minore da parte dell’altro genitore, deve essere disposta obbligatoriamente l’audizione del minore, atteso che questi assume la qualità di parte, come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 83 del 2011
Nel procedimento previsto dall’art. 250, quarto comma, c.c. il minore infrasedicenne non assume la qualità di parte, divenendo tale solamente all’esito della nomina del curatore speciale ai sensi dell’art. 78, secondo comma, c.p.c. in presenza di un conflitto d’interessi con il genitore legale rappresentante che si oppone al riconoscimento da parte dell’altro genitore naturale, determinandosi in tal caso una sorta di intervento iussu iudicis del minore stesso, a mezzo del suddetto curatore. Ne consegue che la sentenza emessa a chiusura del procedimento deve essere notificata, ai fini della decorrenza del termine breve per la relativa impugnazione, anche al suddetto curatore, non determinandosi in difetto il passaggio in giudicato e la conseguente definitività della decisione, in ragione del mancato decorso di detto termine rispetto a tutte le parti in causa. [Principio enunciato nell’ambito di un giudizio concernente la domanda di equa riparazione dei danni (lamentati per effetto di una durata del giudizio ex art. 250, quarto comma, c.c. prolungatasi, anche in ragione della condotta degli addetti alla cancelleria, per quattro anni e cinque mesi e dedotta come irragionevole in considerazione pure della particolare semplicità del rito camerale e della delicatezza della vicenda in questione), proposta seppur in difetto di notificazione della sentenza emessa a conclusione del giudizio (anche) al curatore speciale nominato alla minore, e dal giudice di merito dell’impugnazione nondimeno ritenuta conclusiva del procedimento all’esito del decorso del termine breve per l’impugnazione fatto decorrere dalla relativa notifica effettuata solamente ai genitori e al P.M.].
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Nel giudizio promosso per il riconoscimento della paternità o della maternità di un minore infraseadicenne, l’interesse del minore costituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della valutazione della legittimità del rifiuto del consenso eventualmente opposto dall’altro genitore, interesse la cui esistenza, prescindendo dai rapporti tra i genitori, deve ritenersi predicabile tutte le volte in cui, dal secondo riconoscimento, non derivi al minore un pregiudizio tale da incidere sul suo sviluppo psicofisico, ed a prescindere, dunque, dalla concreta dimostrazione che esso risulti per lui vantaggioso. (Nell’affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha, così, ritenuto illegittimo il rifiuto del consenso al riconoscimento di un minore infrasedicenne opposto alla madre che aveva fondato tale decisione motivandola con l’aver più volte, in precedenza, inutilmente invitato il padre naturale a tale riconoscimento, sia durante la gravidanza sia dopo il parto, mentre, al momento, ella era sul punto di contrarre matrimonio con altro uomo, cui il minore risultava legato da uno stabile e valido rapporto affettivo).
In tema di riconoscimento di figli naturali, l’indagine sulla legittimità del rifiuto del consenso al secondo riconoscimento opposto dal tutore del minore (nominato a seguito della morte del genitore che aveva per primo riconosciuto il figlio) va condotta alla luce della presunzione (semplice) della esistenza di un interesse del minore al richiesto riconoscimento sotto il profilo spirituale non meno che sotto quello dei diritti all’istruzione, educazione mantenimento ad esso conseguenti. Un eventuale rifiuto del consenso deve ritenersi, pertanto, del tutto ingiustificato in assenza di seri e specifici motivi che evidenzino la contrarietà del riconoscimento all’indicato interesse del minore (nell’affermare il suindicato principio di diritto la Corte ha ritenuta legittima la sentenza sostitutiva del consenso non prestato, emessa dal giudice di merito ai sensi dell’art. 250, terzo comma c.c., in relazione ad una vicenda di riconoscimento richiesto dal padre naturale di un minore la cui madre era deceduta il giorno successivo al parto, ed il cui tutore, zio materno, aveva rifiutato il consenso al detto riconoscimento deducendo, tra l’altro, che non vi fosse alcuna prova certa della asserita paternità del richiedente, mentre le prove genetiche avevano evidenziato un risultato probabilistico, in tal senso, superiore al 99,99 per cento).
Nel giudizio previsto dall’art. 250, quarto comma c.c. — diretto ad ottenere, da parte di chi vuole effettuare il riconoscimento, una sentenza che tenga il luogo del consenso rifiutato dal genitore che per primo ha riconosciuto il figlio naturale minore di sedici anni — sono contraddittori necessari il genitore che si oppone ed il P.M., ma non anche il minore, il quale non assume la veste di parte e al quale, quindi, non deve essere nominato un curatore speciale per il giudizio medesimo, non essendo egli considerato, a causa della sua non ancora raggiunta maturità, portatore di una posizione soggettiva autonomamente tutelata ed essendo soltanto prevista la sua audizione per ragioni istruttorie al fine di stabilire se il riconoscimento sia conforme al suo interesse. La disparità di tale trattamento rispetto ai figli ultrasedicenni non si pone in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza trovando razionale giustificazione nella presunzione, correlata all’età, del raggiungimento da parte degli ultrasedicenni di un grado di maturità da consentire un meditato giudizio sul proprio interesse al riconoscimento.
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Poiché per l’art. 250 c.c. il genitore che ha per primo riconosciuto il figlio naturale non può rifiutare il consenso al riconoscimento dell’altro genitore ove tale riconoscimento risponda all’interesse del figlio, a rendere non conveniente il riconoscimento stesso non è decisivo che íl minore si sia inserito stabilmente nella famiglia del primo, dovendo tale elemento essere valutato unitamente ad altri, con riguardo principalmente agli effetti che il riconoscimento di entrambi i genitori può produrre in termini di, educazione, istruzione e mantenimento del minore e tenuto, in ogni caso, presente che l’esigenza di evitare turbamenti o conflittualità psicologiche pregiudizievoli all’armonioso sviluppo della personalità dello stesso deve prevalere sul fatto oggettivo della generazione.
Il divieto per il minore infrasedicenne di riconoscere il figlio, ai sensi dell’art. 250 quinto comma c.c., non priva il minore stesso della condizione di genitore, con la conseguenza che, quando, divenuto sedicenne, provveda al riconoscimento del figlio stesso, acquista tutti i diritti sostanziali e processuali previsti dalla legge per il genitore fin dalla nascita del figlio.