AFFIDO MINORI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA  Responsabilità genitoriale – Procedimenti in limitazione della responsabilità genitoriale – Diritto del minore di conservare rapporti significativi con i parenti del genitore scomparso – Comportamento ostativo del genitore superstite – Condotta pregiudizievole – Ragioni – Minore quale parte processuale – Conseguenze – Diritto all’ascolto (Cod. civ., art. 330).

AFFIDO MINORI AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA 

Responsabilità genitoriale – Procedimenti in limitazione della responsabilità genitoriale – Diritto del minore di conservare rapporti significativi con i parenti del genitore scomparso – Comportamento ostativo del genitore superstite – Condotta pregiudizievole – Ragioni – Minore quale parte processuale – Conseguenze – Diritto all’ascolto (Cod. civ., art. 330).

CORTE DI CASSAZIONE; sezione prima civile; sentenza 5 marzo 2014, n. 5097; Pres. CARNEVALE; Est. BISOGNI. P.M. (ZENO). Conferma Trib. minori Bari 15 giugno 2012.

«Nel procedimento finalizzato all’accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti del genitore scomparso, il comportamento ostativo del genitore superstite costituisce una condotta pregiudizievole secondo la previsione degli artt. 330 e segg. cod. civ., poiché comporta la rescissione, nella fase evolutiva della formazione della personalità del ragazzo, di una sfera affettiva e identitaria assolutamente significativa e lo espone a una vicenda esistenziale particolarmente dolorosa. In tale procedimento il minore assume la qualità di parte e, in quanto tale, come affermato anche dall’art. 315-bis cod. civ., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, ha diritto di essere ascoltato, purché abbia compiuto gli anni dodici, ovvero, sebbene di età inferiore, sia comunque capace di discernimento, cosicché la sua audizione non può – anche nel caso in cui il giudice disponga, secondo il suo prudente apprezzamento, che l’audizione avvenga a mezzo di consulenza tecnica – in alcun modo rappresentare una restrizione della sua libertà personale, ma costituisce, al contrario, un’espansione del diritto alla partecipazione nel procedimento che lo riguarda, quale momento formale deputato a raccogliere le sue opinioni ed i suoi effettivi bisogni» (massima ufficiale) (1)

Secondo il tradizionale orientamento della  Corte, i provvedimenti modificativi, ablativi o restitutivi della potestà dei genitori, resi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330, 332, 333 e 336 c.c. (oggi richiamato, come dianzi detto, anche dall’art. 317 bis c.c.), configurano espressione di giurisdizione volontaria non contenziosa, in quanto non risolvono conflitti fra diritti posti su un piano paritario, ma sono preordinati all’esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli e sono, altresì, soggetti alle regole generali del rito camerale, sia pure con le integrazioni e specificazioni previste dalle citate norme. Con la conseguenza che detti provvedimenti, sebbene adottati dalla corte d’appello in esito a reclamo, non sono idonei ad acquistare autorità di giudicato, nemmeno “rebus sic stantibus”, in quanto modificabili e revocabili non solo “ex nunc”, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche “ex tunc”, per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze. Di talchè – secondo tale indirizzo – essi esulano dalla previsione dell’art. 111 Cost. e non sono, pertanto, impugnabili neppure con ricorso straordinario per cassazione (cfr. ex plurimis, Cass., 17/06/2009, n. 14091; Cass., 14/05/2010, n. 11756; Cass., 31/05/2012, n. 8778; Cass., 13/09/2012, n. 15341; Cass., i 22/09/2016, n. 18562).

Non era mancata in verità, anche in passato, qualche sporadica pronuncia di segno contrario, nella quale si era affermato che sono impugnabili con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., i provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 330 c.c. e quelli resi in via provvisoria ed urgente ex art. 333 c.c., in quanto incidono comunque – sia pure non in una procedura contenziosa – su posizioni di diritto soggettivo in conflitto (Cass. Sez. U., 09/01/2001, n.1; Cass., 16/06/1983, n. 4128; Cass., 07/11/1985, n. 5408). Ma l’indirizzo successivo si è subito affrettato a smentire la tesi, tornando a rinchiudersi a riccio nella prescelta opzione di considerare non ricorribili i decreti in parola, poichè mancanti del requisito della definitività e della intangibilità, riconoscibile ai soli provvedimenti aventi attitudine al passaggio in cosa giudicata.

1.2. E tuttavia, tale indirizzo non ha incontrato il consenso della dottrina assolutamente prevalente, che più volte si è espressa in senso fortemente critico al riguardo, per diversi ordini di ragioni.

Non si è mancato, anzitutto, di osservare che l’opzione interpretativa prescelta dall’indirizzo maggioritario della Corte Suprema non terrebbe conto della tendenziale definitività, rebus sic stantibus, dei provvedimenti in parola, essendo tutt’altro che scontata la possibilità di modificarli o revocarli anche ex tunc, in forza della mera rivalutazione delle circostanze preesistenti alla pronuncia. La limitazione – sostenuta da tale dottrina – della modifica e della revoca di detti provvedimenti alle sole sopravvenienze – o, al più, anche alle circostanze preesistenti, ma soltanto se non dedotte in precedenza dalla parte interessata – con la conseguente incisione sui decreti camerali esclusivamente ex 1 nunc, comporterebbe, pertanto, un’indiscutibile stabilità degli stessi, allo stato degli atti, aprendo la strada al ricorso ex art. 111 Cost.

Si è rilevato, poi, che il predetto orientamento di legittimità sarebbe inspiegabilmente ed irragionevolmente distonico rispetto a quello adottato dalla stessa Corte nella materia dell’affidamento dei minori, nella quale la ricorribilità per cassazione del provvedimenti emessi in sede di reclamo è pacifica, sebbene l’art. 337 quinquies c.c. e art. 710 c.p.c. lascino intravedere nel loro tenore letterale – ben più dei provvedimenti de potestate – una modificabilità e revocabilità “piene”.

Nell’ottica del bilanciamento degli interessi in gioco, si è, da ultimo, osservato che l’incisione dei provvedimenti in parola su diritti, anche costituzionalmente garantiti (artt. 2 e 30 Cost.), e su status, renderebbe senz’altro preferibile ed auspicabile una soluzione più garantistica, che riconosca la possibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost..

1.3. L’impostazione tradizionale seguita dalla giurisprudenza di legittimità è stata, alla fine, sottoposta a revisione critica da questa Corte, che ha sostanzialmente recepito le summenzionate sollecitazioni provenienti dalla dottrina pressochè unanime.

Si è, per vero, affermato che – anche alla luce delle recenti modifiche apportate all’art. 38 disp. att. c.c. dalla L. n. 219 del 2012, che ha attribuito al giudice ordinario anche i procedimenti ex artt. 330 e 333 c.c., “nell’ipotesi in cui sia in corso tra le stesse parti giudizio di separazione o divorzio”, con conseguente pacifica ammissibilità, in tal caso, del ricorso per cassazione – deve essere superato l’orientamento secondo il quale i provvedimenti “de potestate” che attengono alla compressione della titolarità della responsabilità genitoriale (ovvero i provvedimenti di decadenza o limitativi di cui, rispettivamente, agli artt. 330 e 333 c.c.), poichè vengono assunti nell’interesse del solo minore, a prescindere dalle richieste dei genitori, non sono idonei ad acquisire valenza di giudicato rebus sic stantibus. Con la conseguenza che il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., avverso il decreto emesso in sede di reclamo dalla Corte d’appello, deve essere dichiarato inammissibile.

, va osservato che, secondo la Corte EDU, l’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) tende sostanzialmente a premunire l’individuo dalle ingerenze arbitrarie delle pubbliche autorità e può anche generare obblighi positivi inerenti a un “rispetto” effettivo della vita familiare. Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti per lo Stato da questa disposizione non si presta ad una definizione ben precisa; i principi applicabili sono comunque comparabili. In entrambi i casi, si deve avere riguardo, invero, al giusto equilibrio da garantire tra gli interessi concomitanti dell’individuo e della società nel suo insieme, tenendo conto in ogni caso che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori o degli altri familiari (Corte EDU, 09/02/2017, Solarino c. Italia).

Con specifico riferimento alla posizione dei nonni, la Corte Europea ha, poi, affermato che l’art. 8 CEDU ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri. Esso non si limita, peraltro, ad imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze, giacchè a tale impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Questi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare nelle relazioni degli individui tra loro, tra cui la predisposizione di un “arsenale giuridico” adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati, nonchè il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle misure specifiche appropriate. Questo “arsenale” deve permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire il genitore e il figlio, anche in caso di conflitto che oppone i due genitori, e lo stesso vale quando si tratta, come nel caso di specie, delle relazioni tra il minore e i nonni, dovendo lo Stato attivarsi per favorire la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate, tenendo conto – in particolare – degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti allo stesso dall’articolo 8 della Convenzione” (Corte EDU, 20/01/2015, Manuello e Nevi c. Italia; Corte EDU, 07/12/2017, Beccarini e Ridolfi c. Italia).

Da ultimo, la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha affermato che la nozione di “diritto di visita”, contenuta all’art. 1, paragrafo 2, lett. a), nonchè all’art. 2, punti 7 e 10, del Regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale), deve essere interpretata nel senso che essa comprende anche il diritto di visita dei nonni nei confronti dei loro nipoti minorenni. Sulla scorta del documento di lavoro della Commissione relativo al riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale (COM 2001 166 definitivo), in data 27 marzo 2001, la Corte ha, per vero, osservato che il progetto del Consiglio d’Europa di convenzione sulle relazioni personali riguardanti i minori, riconosce il diritto per questi ultimi di intrattenere relazioni personali non soltanto con i loro genitori, ma anche con altre persone aventi legami familiari con loro, come i nonni. In definitiva, il legislatore dell’Unione ha scelto l’opzione secondo cui nessuna disposizione deve restringere il numero di persone possibili titolari della responsabilità genitoriale o di un diritto di visita, sempre che sia importante che il minore intrattenga relazioni personali con tali persone, dovendo comunque privilegiarsi “l’interesse superiore del minore” medesimo (Corte Giustizia, 31/05/2018, Valcheva c. Babanarakis).

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Se, dunque, la giurisprudenza Europea succitata ha evidenziato la necessità di ampliare il più possibile i contatti del minore con persone appartenenti al suo nucleo familiare allargato, nella misura in cui tali relazioni si traducono in un beneficio per l’equilibrio psico-fisico del medesimo, è la nozione stessa di nucleo familiare ad essere stata rivisitata ed ampliata dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Giustizio della U.E. Si è, invero, affermato – al riguardo – che la questione dell’esistenza o dell’assenza di una vita familiare è essenzialmente una “questione di fatto”, che dipende dalla sussistenza di legami personali stretti tra i soggetti che appartengono ad un certo nucleo familiare (Corte EDU, 13/06/1979, Marckx c. Belgio).

Il concetto di “famiglia” di cui all’articolo 8 della Convenzione riguarda, infatti, le relazioni basate sul matrimonio ed anche altri legami familiari “de facto”, in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio, o in cui altri fattori dimostrano che la relazione è sufficientemente stabile (Corte EDU, 24/01/2017 Grande Camera, Paradiso e Campanelli c. Italia; Corte EDU, 27/10/1994, Kroon e altri c. Paesi Bassi; Corte EDU, 18/12/1986, Johnston e altri c. Irlanda).

Nello stesso senso si è pronunciata, da ultimo, la Corte di Giustizia, con riferimento al caso di un cittadino dell’Unione che aveva esercitato la sua libertà di circolazione, recandosi e soggiornando in modo effettivo, conformemente alle condizioni di cui all’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, in uno Stato membro diverso da quello di cui aveva la cittadinanza, e in tale occasione aveva “sviluppato o consolidato una vita familiare” con un cittadino di uno Stato terzo dello stesso sesso, al quale si era, poi, unito con un matrimonio legalmente contratto nello Stato membro ospitante.

La Corte ha affermato – in proposito – che, a norma l’art. 21, paragrafo 1, TFUE le autorità competenti dello Stato membro di cui il cittadino dell’Unione aveva la cittadinanza non potevano rifiutarsi di concedere un diritto di soggiorno sul territorio di detto Stato membro al suddetto cittadino di uno Stato terzo (dapprima compagno, poi, coniuge del primo), per il fatto che l’ordinamento di tale Stato membro non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso, dovendo lo Stato destinatario della richiesta riconoscere comunque la stabile relazione affettiva venuta a crearsi tra il suo cittadino e l’altro soggetto, e non ostacolare il diritto di quest’ultimo di esercitare il diritto, sancito dall’art. 21, paragrafo 1, TFUE, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (Corte Giustizia, 05/06/2018, Coman e Hamilton).

2.2.5. L’accezione più ampia, attribuita dalla giurisprudenza Europea al concetto di “famiglia”, si ripercuote – com’è ovvio, stante la preminenza dell’interesse dei minori, sancita a livello internazionale – soprattutto sul rapporto dei genitori con i figli, in relazione al quale la Corte EDU non opera, tuttavia, alcuna distinzione tra legami di sangue e rapporti “sociali”, purchè connotati da una stabile relazione affettiva tra l’adulto ed il minore.

Nonostante l’assenza di un legame biologico e di un legame di filiazione giuridicamente riconosciuto dallo Stato convenuto, la Corte Europea ha, invero, ritenuto che possa esistere un vita familiare tra genitori affidatari che si siano presi cura di un minore per un certo periodo di tempo ed il minore in questione, sulla base degli stretti legami personali tra loro, del ruolo rivestito dagli adulti nei confronti del figlio e del tempo trascorso insieme (Corte EDU, 27/04/2010, Moretti e Benedetti c. Italia; Corte EDU, 17/01/2012, Kopf e Liberda c. Austria; Corte EDU, 24/01/2017, cit.).

Nella medesima prospettiva – di allargamento del concetto di famiglia nell’accezione di cui all’art. 8 CEDU e di tutela preminente dell’interesse dei minori, in conformità all’art. 24 della Carta di Nizza, secondo cui tutti gli atti relativi ai minori debbono privilegiare l’interesse preminente dei medesimi – si è, peraltro, sostanzialmente posta anche la giurisprudenza di questa Corte.

Si è, invero affermato che, in tema di adozione in casi particolari, la L. n. 183 del 1984, art. 44, comma 1, lett. d), integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante il concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti (non familiari) che se ne prendono cura; con l’unica previsione della “condicio legis” della “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” (Cass., 22/06/2016, n. 12962; nello stesso senso, Cass., 20/06/2017, n. 15202, in cui si fa riferimento “all’esistenza di un nucleo familiare di fatto che vede la minore accudita in modo esemplare dalla madre biologica e dall’adottante (compagna della madre) alla quale la minore riconosce ruolo genitoriale”).

Tutto ciò premesso in via di principio, va rilevato che, nel caso di specie, la stessa Corte d’appello ha più volte operato – come esattamente dedotto dai ricorrenti – riferimenti del tutto significativi al fatto che le minori avessero una frequentazione abituale con entrambi i nonni. Il decreto menziona, invero, il fatto che le bambine trascorrevano del tempo “dai nonni”, nella cui abitazione vi è perfino una stanza destinata alle nipoti, piena di giochi, e che nella casa degli stessi vi sono diverse “foto raffiguranti i nonni con le nipoti” (p. 5). La Corte ha fatto, inoltre, riferimento anche alla disponibilità dei genitori – sia pure con le modalità da essi imposte, ossia esclusivamente in loro presenza – “a far vedere le bambine ai nonni” (p. 6), atteggiamento certamente significativo di un riconoscimento dell’esistenza di un interesse affettivo reciproco tra la coppia di anziani e le due bambine.

Il giudice di seconde cure ha affermato, infine, che “non sono state dedotte nè sono emerse ragioni specifiche indicative della necessità che il B. e la moglie non abbiano contatti con le minori, se non la conflittualità esistente tra padre e figlio” (p. 6), ed ha stabilito che il nonno possa incontrare le nipoti e “tenerle con sè, nel suo nucleo familiare(…)” (p. 7), ma non ne ha tratto la logica conseguenza che fosse necessario preservare tale nucleo familiare consentendo anche alla P. – ancorchè non sia una “nonna biologica” delle bambine – di agire in giudizio per ottenere il riconoscimento del suo diritto a mantenere rapporti significativi con le nipoti. E’, di conseguenza, necessario che la delicata vicenda oggetto del presente procedimento venga approfonditamente riesaminata dalla Corte territoriale, alla luce dei principi di diritto, nazionale ed Europeo, in precedenza esposti.

2.3. Per tali ragioni, pertanto, le doglianze in esame devono essere accolte.

  1. Restano assorbiti il primo (omessa pronuncia sull’attivazione, anche ufficiosa, da parte del giudice di secondo grado, del procedimento ex art. 333 c.p.c.) ed il terzo motivo di ricorso (nullità dell’impugnato decreto sotto i profili sopra esposti), formulato, a detta degli stessi istanti, per mera completezza.

L’accoglimento del secondo e quarto motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: “i provvedimenti che incidono sul diritto degli ascendenti ad instaurare ed a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, ai sensi dell’art. 317 bis c.c., nel testo novellato dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 42, al pari di quelli ablativi della responsabilità genitoriale emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 336 c.c., hanno attitudine al giudicato “rebus sic stantibus”, in quanto non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, sicchè il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i predetti provvedimenti, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7″; “alla luce dei principi desumibili dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, dall’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dagli artt. 2 e 30 Cost., il diritto degli ascendenti, azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall’art. 317 bis c.c., cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, ai sensi dell’art. 315 bis c.c., non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psicofisico”.