AFFIDO ESCLUSIVO BOLOGNA QUANDO ? COME ?PERCHE? NELLE COPPIE DI FATTO FIGLI NATURALI CONVEVENZE

 

 

AFFIDO ESCLUSIVO BOLOGNA QUANDO ? COME ? PERCHE? NELLE COPPIE DI FATTO FIGLI NATURALI CONVEVENZE

 

Va richiamata la giurisprudenza :affido esclusivo figli Bologna

affido esclusivo figli Bologna cui occorre muovere dal presupposto che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo, avente copertura costituzionale assoluta, sicché il giudice deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre, prescindendo, anche a tutela dell’eguaglianza fra i genitori, da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome. Il provvedimento deve, in definitiva, tutelare l’interesse del figlio minore non ad avere un’apparenza di filiazione regolare, ma a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità (Cass. 12641/2006).

In tema di affidamento del minore, invero, il Collegio novarese assume che la regola da seguire sia quella dell’affidamento condiviso il figlio ad entrambi i genitori, nel rispetto del tenore letterale della norma vigente, lasciando l’affidamento esclusivo all’ipotesi in cui l’affidamento condiviso si palesi contrario all’interesse dei minori. Con ciò conformandosi l’orientamento assunto dalla Suprema Corti (cfr., ex multis, Cass. civ. Sez. I, 17/12/2009, n. 2658).

In ipotesi di conflittualità tra i genitori, l’orientamento mostrato dalla giurisprudenza è stato quello di ritenere che la conflittualità non possa essere di ostacolo ad un affidamento condiviso dei figli minori (cfr. App. Napoli Sez. minori, 19/03/2010; Cass. civ. Sez. I, 18/06/2008, n. 16593).

Vale però la pena di osservare che, pur nel rispetto di tale premessa ma specie a fronte di una Ctu, disposta in giudizio, la quale, proprio per l’elevata conflittualità tra i coniugi ha ritenuto che l’affidamento condiviso fosse sconsigliabile e che fosse invece preferibile l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori, il Tribunale di Novara abbia invece preferito appunto l’affidamento esclusivo, ritenendolo più tutelante, nella fattispecie, dei figli minori, proprio in considerazione della conflittualità dei medesimi genitori.

aseparazione-marito-moglie- 

CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA

Prima Sezione Civile

riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati:

dott. Giovanni Benassi – Presidente

dott.ssa Carla Fazzini – Consigliere relatore

dott. Andrea Lama – Consigliere

all’esito dell’udienza del 23/11/2018 ha pronunciato il seguente

D E C R E T O

nel procedimento per reclamo iscritto al n. r.g.v. 338/2018 

promosso da

YY, con il patrocinio dell’avv. Chiara Dore con domicilio in via Rubbiani, 1 Bologna

– reclamante – 

contro

XX, con il patrocinio dell’avv. Giovanna Fava con domicilio in via Della Veza, 3 Reggio nell’Emilia

– reclamata – 

e con

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA

– intervenuto – 

La Corte, decidendo a scioglimento della riserva sul reclamo contro il provvedimento del Tribunale di Reggio Emilia del 20.03.18

OSSERVA

1.

Il sig. YY impugna il provvedimento con cui sono stati regolati l’affidamento e il mantenimento del minore J nato il (omissis).(omissis).2010 dalla sua relazione con la sig.ra XX.

Afferma che il Tribunale di Reggio Emilia, pur rilevando che dalla relazione del CTU emergeva il miglioramento del rapporto tra i genitori, la loro collaborazione vicendevole nell’interesse del figlio, l’esistenza di un buon rapporto tra padre e figlio, e pur ritenendo che la situazione di conflittualità tra i genitori fosse in fase di completo recupero, con un dispositivo non conforme alle premesse affidava il minore in via esclusiva alla madre.

Con il primo motivo chiede l’affido condiviso, affermando che l’affido esclusivo alla madre non corrisponde agli interessi del minore; richiama la giurisprudenza secondo cui l’affidamento condiviso costituisce il regime ordinario, derogabile solo nei casi in cui sia pregiudizievole per l’interesse dei figli, potendo alterare o mettere in pericolo il loro equilibrio e sviluppo psicofisico, ipotesi qui non sussistente.

Lamenta che il Tribunale non ha motivato in ordine ad una sua eventuale incapacità genitoriale né in ordine all’interesse preminente del figlio, poggiando invece la decisione su argomenti insufficienti, ossia la litigiosità dei genitori (che, per stessa ammissione del giudicante, è notevolmente diminuita) e le convinzioni religiose, alimentari o sanitarie del padre, del tutto ininfluenti sui rapporti padre-figlio, scevre da rischi per l’equilibrata crescita del piccolo J. 

Con il secondo motivo impugna la decisione del Tribunale laddove dispone che il cognome “Y” sia aggiunto a quello della madre, cosicché il bambino ha assunto il cognome “X-Y”.

Afferma che:

– il Tribunale ha omesso di valutare la sua richiesta di attribuire a J il proprio cognome o, in subordine, il cognome “Y-X”;

– la richiesta era stata ben motivata in ricorso ed avrebbe meritato un’analisi approfondita, che non si limitasse ad affermare che il percorso di avvicinamento padre-figlio meritasse anche un riconoscimento esteriore;

– frettolosamente, il Tribunale afferma che il CTU si è espresso favorevolmente all’aggiunta del cognome paterno, mentre, sul punto, la dottoressa Cassani dava preferenza al cognome paterno;

– la Cassazione ha da tempo chiarito che la scelta del cognome da attribuire al figlio, ai sensi dell’art. 262 c. II e III c.c., è operata dal Giudice di merito, anche officiosamente, avendo quale solo criterio per la decisione l’interesse del minore: nessun criterio predefinito può essere posto a base della decisione, né il favor per il cognome già attribuito, né per il patronimico;

– il Tribunale non ha attentamente vagliato l’interesse del minore, anzi, sembra quasi, che abbia voluto dare un “contentino” al padre, perché ha instaurato un buon rapporto col figlio, come se questi non avesse lottato otto anni per potersi rapportare al proprio figlio, stante l’ostilità e opposizione della madre;

– che la scelta del cognome è importante per J, perché deve recuperare il senso di appartenenza alla famiglia paterna che gli è stata negata per anni; il cognome, così come determinato dal Tribunale, farà sì che a breve il secondo cognome venga abbandonato.

Con l’ultimo motivo rileva come “..il calendario degli incontri, tra padre e figlio, potrebbe essere meglio distribuito e avere maggior respiro..”. Chiede che, nella settimana in cui vede il figlio due giorni, le giornate siano quelle del martedì e giovedì, e non due giorni consecutivi; chiede di prevedere qualche pernottamento infrasettimanale, proponendo il martedì, e chiede che nelle domeniche di spettanza del padre il bambino possa restare anche a dormire, o almeno sino a dopo cena.

Il sig. YY ha così concluso:

– disporre l’affidamento condiviso del figlio con esercizio congiunto della responsabilità genitoriale su ogni aspetto della vita del figlio;

– attribuire a J il cognome “Y”, in subordine il cognome “Y-X”;

– modificare i tempi di permanenza di J presso il padre disponendo che questi passi con lo stesso il martedì di ogni settimana, con pernottamento, ed un giovedì su due, in aggiunta, che i fine settimana del padre abbiano inizio il venerdì e fine il lunedì, con l’accompagnamento a scuola del bambino o, in subordine, con rientro a casa dalla madre dopo la cena.

2.

Si è costituita la sig.ra XX, affermando:

– che J è nato da una breve relazione presto interrotta per le profonde divergenze nel credo e nelle convinzioni personali;

– che il YY ha avuto sempre un atteggiamento contraddittorio, reagendo negativamente

alla notizia della gravidanza, rifiutando la proposta della XX di sperimentare una convivenza, per le proprie convinzioni religiose, esprimendo senso di colpa per aver avuto rapporti fuori dal matrimonio;

– che alla nascita del bambino la XX avvertiva il YY, il quale si presentava ma dichiarava che non si sarebbe più fatto vedere, e dopo dieci mesi si faceva risentire per esprimere il dubbio che J fosse suo;

– che il YY, aderente alla dottrina dei “Testimoni di Geova“, proponeva alla madre di crescere lei il figlio per i primi anni, mentre dai sei anni in poi avrebbe provveduto lui “..secondo i giusti principi religiosi..”;

che il YY aveva ripetutamente pronunciato frasi farneticanti, offese e minacce, anche davanti al figlio, opponendosi alla richiesta della XX di sottoporsi ad un percorso di mediazione familiare;

– che il YY si era poi rivolto al Tribunale, il quale aveva incaricato i Servizi Sociali di verificare le competenze genitoriali del padre, di eventualmente effettuare incontri del padre con il figlio, di verificare l’opportunità di avviare un percorso di mediazione familiare, o di sostegno psicologico individuale;

– che le prime relazioni dei Servizi evidenziavano un atteggiamento di reticenza e ipercontrollo del padre, una forte rigidità del pensiero, la presenza di convinzioni devianti e la tendenza ad attribuire agli altri la colpa dei suoi problemi, con incapacità ad esplorare l’ambito del contatto emotivo, per cui la psicologa della ASL concludeva: “..Al momento lo spazio necessario al riconoscimento di un rapporto reale di contatto con J è occupato più dai bisogni di affermazione di sé e delle proprie scelte religiose, propri del signor YY, nonché dalla forte rabbia per l’offesa ricevuta, piuttosto che da un interesse/curiosità di vicinanza emotiva al bambino..”;

– che nella relazione di approfondimento del 25.6.2013 si evidenziava: “..L’esame di realtà presenta gravi deficit che possono portarlo a comportamenti disfunzionali e poco adattivi: l’analisi degli stimoli che peggiorano la sua lucidità evidenzia come le funzioni cognitive siano compromesse in tutti i contesti emozionali, elemento che potrebbe spiegare la forte coartazione emotiva che egli ha mantenuto lungo tutta la somministrazione del protocollo. … . Egli tende a mediare le risposte in maniera poco convenzionale e molto individualistica, anche in situazioni semplici o altamente strutturate. … . La presenza congiunta di questa variabile con lo scarso esame di realtà conferma il rischio di comportamenti atipici e inappropriati..”;

– che in seguito al supporto psicologico intrapreso dal YY, venivano ripristinati i rapporti con il figlio;

– che, quanto alla madre, le relazioni erano ampiamente positive, avendo l’assistente sociale e la psicologa messo in evidenza “..il lavoro svolto dalla madre per preservare il bambino dalla conflittualità tra i genitori..”, a smentire la dedotta opposizione ed ostilità della madre verso un proficuo rapporto padre-figlio, il cui tardivo inizio era dipeso solo dalla condotta del YY;

– che anche la CTU, disposta dal Tribunale per decidere sull’affidamento, aveva dato importanti elementi di conferma della capacità genitoriale della madre, giudicata consapevole e coerente, e aveva consigliato la prosecuzione degli incontri con i genitori con i propri consulenti di parte (sollecitata anche dal Tribunale nel provvedimento reclamato);

– che il YY, appena definito il procedimento, aveva ripreso i suoi comportamenti prepotenti ed autoritari, svalutando agli occhi del figlio la figura materna e il compagno della madre, le funzioni religiose cristiane, i sacramenti, l’alimentazione, creando nel bambino confusione e disagio, tenendo una condotta che non è stata condivisa neppure dal suo consulente di parte, che ha rinunciato all’incarico;

– che le convinzioni alimentari del YY vanno in senso contrario alle indicazioni del medico del bambino, mentre quelle religiose vanno in senso contrario alle chiare indicazioni della CTU nel senso di rispettare i riti e l’adesione di J e la partecipazione ai festeggiamenti quali Natale, Pasqua, compleanno, mentre il signor YY continua nell’opera di demolizione di ogni tipo di educazione (ivi compresa quella religiosa) che la madre sta dando al figlio e già ora, nonostante la cosa sia prematura, ha cominciato a dire a J, che lui non andrà alla sua comunione e a chiedergli se gli dispiace, creando ansia nel bambino e ovvi conflitti di lealtà.

Sul secondo motivo di reclamo la sig.ra XX insiste per la conferma del provvedimento, deducendo che dopo la nascita di J il padre è sparito per 10 mesi; che, anche dopo la sentenza che ha autorizzato il riconoscimento, egli era ancora indeciso se riconoscere o meno il figlio; che il piccolo è cresciuto nella famiglia della madre e si riconosce e identifica nel cognome “X”; che il padre pensa solo a se stesso e alla propria affermazione personale.

La sig.ra XX così concludeva:

Voglia la Corte d’Appello:

1) respingere il reclamo presentato da YY;

2) confermare il decreto del Tribunale di Reggio Emilia e, attesa la condotta tenuta da YY ed il suo rifiuto a seguire i consigli del consulente di parte, ripristinare la supervisione dei Servizi Sociali sui rapporti padre-figlio.

Vinte le spese dei due gradi di giudizio e CTU.

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del reclamo.

SUL PRIMO MOTIVO DI RECLAMO

Ritiene la Corte che il primo motivo di reclamo debba essere respinto.

Le ragioni esposte dal consulente, recepite dal Tribunale, sono da condividere; rileva il CTU che nonostante il percorso di supporto svolto durante il processo, “..è ancora presente tra i genitori la difficoltà a negoziare, prendere accordi, affrontare le decisioni congiuntamente, in particolare su alcune questioni che necessitano guida e supporto esterno per essere affrontate … (pag. 30). L’esercizio della bigenitorialità (alla base del regime di affidamento condiviso) è praticabile da pochissimo tempo e soprattutto in forme non autonome, ma attraverso il supporto costante di un lavoro mirato in tal senso. Limiti personologici in particolare del padre, si riflettono in comportamenti genitoriali inadeguati e alcune aree della genitorialità risultano ancora molto intaccate dal conflitto e costituiscono un irrisolto – fuori controllo – dalla ragionevolezza necessaria per condividere le scelte educative. A fronte quindi di una precarietà ancora significativa (seppur oggi non più pervasiva ma piuttosto selettiva), l’affidamento esclusivo non è da intendersi come un atto punitivo nei confronti del padre, quanto piuttosto una modalità di affidamento che, tutelando il diritto di J e del padre alla continuità del loro rapporto, interviene maggiormente ad abbassare la contrattazione sulle scelte educative, ovviando alla necessità di pervenire ad accordi sulla totalità delle questioni, ancor più se non si è raggiunto il livello di maturità genitoriale che prevede l’interiorizzazione stabile dei modelli adeguati di interazione con il figlio. Il passaggio ad un regime di affidamento condiviso potrà a mio parere realizzarsi a fronte di una maggior solidità dei cambiamenti che sono iniziati da poco tempo, coerentemente con il raggiungimento di un livello di autonomia nell’esercizio genitoriale che non contempla più la necessità di aiuti esterni e con una capacità degli individui-genitori di regolare e subordinare le proprie istanze individuali a quelle prioritarie dei figli minori. ..”. (pag. 29).

La consulenza rende evidente che la madre è, allo stato, il genitore più idoneo all’affidamento; essa (pag. 19) “si presenta globalmente attrezzata e competente. Soddisfa tutti i criteri di buona genitorialità, mostrandosi un genitore presente sul piano dei bisogni fisici e psicologici del proprio figlio, nelle funzioni considerate – di base – nell’esercizio genitoriale. In differenti misure, presenta competenze relativamente a funzioni quali la comprensione delle esigenze primarie del figlio e capacità di chiedere e affidarsi all’aiuto esterno, supporto allo sviluppo cognitivo, all’apprendimento sociale e scolastico, promozione accompagnamento e sostegno ai processi di sviluppo e di socializzazione, riconoscimento dei bisogni emotivi e contenimento delle richieste, accudimento. Si dimostra inoltNel provvedimento reclamato effettivamente sono riconosciuti i progressi fatti dai genitori nel corso del procedimento giudiziale, ed è evidenziata l’instaurazione di un buon rapporto padre-figlio “..che ha visto una proficua regolamentazione degli incontri tra gli stessi e l’introduzione del pernottamento presso l’abitazione del padre..”.

Osserva tuttavia il Tribunale che, in base alla consulenza, permane un rilevante dissidio tra i genitori, soprattutto in ordine alle scelte religiose e medico-sanitarie riguardanti il figlio, dissidio che necessita di altro tempo per poter essere superato e allo stato costituisce motivo per il riaccendersi di reazioni eccessive da parte del padre e per il riproporsi di modalità relazionali conflittuali pregiudizievoli per il minore; il primo Giudice ha quindi condiviso le conclusioni cui è pervenuta la CTU in ordine all’opportunità, nell’interesse del figlio, dell’affidamento esclusivo alla madre, onde abbassare la contrattazione sulle scelte educative.

re capace di riflettere sulla storia personale, di coppia e sul rapporto con J, con un atteggiamento aperto al dubbio e alla messa in discussione di sé, disponendosi nelle diverse occasioni in cui si è verificato, a un confronto con figure esterne (operatori SS, Psicologa infantile), non ultimo con i consulenti in CTU, con interesse e apertura alle soluzioni proposte e alle indicazioni impartite, fiduciosa nel poter apprendere e accogliere contributi orientati al cambiamento di modalità considerate non consone. ..”.

La valutazione positiva della madre trova pieno riscontro nella descrizione del bambino, a pag. 23 della CTU, ove si legge che J è un bambino intelligente, molto aperto, disponibile al dialogo e interessato all’interazione con l’interlocutore, che si rapporta adeguatamente con l’adulto, che non è prolisso ma risponde alle domande, che mantiene costante attenzione al dialogo senza chiedere di fare altro o mostrare segni di stanchezza, con sviluppo verbale superiore ai parametri di età; la serenità del bambino è certamente dovuta alle capacità affettive ed educative della madre, avendo essa da sola cresciuto il figlio. Al corretto e maturo esercizio della genitorialità da parte della madre è anche dovuto il positivo atteggiamento di J verso il padre, evidenziato prima dai Servizi (“..fin dai primi incontri il minore non ha avuto difficoltà a relazionarsi con la figura paterna, riconoscendola ed esprimendo il piacere di poter passare del tempo insieme. Data la tenera età del bambino è risultato evidente il lavoro svolto dalla madre di J per preservare il bambino dalla conflittualità tra i genitori..”) poi dal CTU (“..La figura del padre è ben presente nella sua mente e non confusa con quella del compagno della mamma con cui lui vive. … . Esprime affetto ed orgoglio nei confronti del papà..”.).

Non altrettanto positiva la valutazione del padre, che “..presenta caratteristiche di personalità che descrivono un quadro di funzionamento non francamente psicopatologico, ma comunque indicativo di un’organizzazione di personalità non matura, con problematiche importanti nell’area affettiva, dell’identità e delle relazioni interpersonali. Spicca la caratteristica di rigidità del pensiero, di adesione totalmente acritica dei propri punti di vista con inevitabile chiusura al dialogo e all’ascolto delle idee altrui; spesso il sig. YY, si esprime muovendo forti opposizioni in situazioni di confronto, con picchi emotivi di rabbia e collera ingiustificati per misura e per ragioni di contesto. In momenti e in setting di forte carica stressogena, come anche si è potuto riscontrare negli incontri di CTU, la modalità con cui si esprime la rigidità cognitiva comprende comportamenti poco adattivi e/o francamente disfunzionali, che in coincidenza con carica emotiva intensa, si esprimono con rotture momentanee dell’esame di realtà (può arrivare a dire assurdità e/o le manifestazioni emotive risultano incongrue al contesto e per intensità). Tali modalità originano da un senso del valore di sé deficitario (bassa autostima), che trova compenso nell’assumere rigidamente posizioni in contrasto a quelle altrui, fino al punto da adottare stili autoritari e svalutanti, presumibilmente difensivi al senso profondo della propria fragilità e vulnerabilità identitaria. Sembra infatti che necessiti di creare contesti di sfida, provocazione e lotta, più di quanto la realtà non lo richieda, al solo scopo di sentir affermata la propria identità (pag. 14). … La funzione empatica è la funzione che risulta più compromessa. Per quanto il sig. YY ami il proprio figlio e sia molto impegnato ad offrirgli tutto ciò che è necessario, presenta serie difficoltà nell’operazione di decentramento da se stesso e quindi nel riconoscimento degli autentici bisogni emotivi/affettivi del figlio. Il padre sembra riconoscere le difficoltà, gli stati emotivi, i bisogni che J esprime, ma tali condizioni sono interpretate in modo distorto e unilaterale, a conferma delle proprie teorie. Respinge e/o aderisce solo superficialmente ad una visione più complessa del funzionamento infantile e dei comportamenti di J che vengono analizzati, esponendosi a letture distorte e parziali che impediscono una autentica empatia, venendo a mancare il presupposto di base, nella possibilità di accogliere profondamente l’altro attraverso il riconoscimento della sua diversità. ..”. (pag. 18).

Le conclusioni della CTU non sono state efficacemente contestate, e neppure sono state contestate le affermazioni della madre circa l’abbandono, da parte del padre, del supporto psicologico che era stato fondamentale, durante il processo, per la buona riuscita dell’instaurazione del rapporto padre-figlio, e che era necessario proseguire (come concordemente ritenuto dal CTU, dai CCTTPP e dal Tribunale), in ragione della situazione di conflitto tra i genitori, pregiudizievole per il minore, attenuata ma non scomparsa, causata in gran parte dalla rigidità del funzionamento mentale e dalle reazioni eccessive del padre.

Si può aggiungere, in conclusione, che neppure è stata contestata l’affermazione della madre secondo cui il padre non ha mai versato alcuna somma per il mantenimento del figlio.

L’affidamento esclusivo alla madre va dunque, allo stato, confermato.

SUL SECONDO MOTIVO DI RECLAMO

Va richiamata la giurisprudenza secondo cui occorre muovere dal presupposto che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo, avente copertura costituzionale assoluta, sicché il giudice deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre, prescindendo, anche a tutela dell’eguaglianza fra i genitori, da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome. Il provvedimento deve, in definitiva, tutelare l’interesse del figlio minore non ad avere un’apparenza di filiazione regolare, ma a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità (Cass. 12641/2006).

Va allora considerato che nel momento in cui si è posta la questione del cognome il piccolo J era già abbastanza grande da riconoscersi con il cognome materno che aveva sempre portato; aveva già iniziato la scuola elementare, ed era quindi identificato con quel cognome non solo nel contesto personale e familiare, ma anche in quello sociale ed esterno, degli insegnanti, dei compagni di classe, dei genitori dei compagni.

Il fatto, dunque, che il cognome del padre sia stato aggiunto a quello della madre, e non ad esso anteposto o sostituito, non solo corrisponde al tempo (diverso) del riconoscimento (potendosi escludere che il riconoscimento da parte del padre sia stato impedito dalla madre, come risulta anche dalle considerazioni svolte a pag. 12 della CTU), ma appare rispettoso di un’identità già formata e consolidata anche nelle relazioni sociali.

SUL TERZO MOTIVO DI RECLAMO

Va rilevato, quanto alle modalità di frequentazione padre-figlio, che soltanto il conflitto genitoriale — acuito dopo la pronuncia, per l’abbandono, da parte del padre, della necessaria attività di supporto e mediazione del consulente — impedisce quella libertà di “diversi accordi” che il Tribunale indica nella premessa al calendario.

Ciò significa che il regime di incontri dettagliato nel provvedimento ben poteva essere modificato per accordo tra i genitori, continuando, però, l’attività di mediazione intrapresa.

Ad avviso della Corte, deve allo stato escludersi la possibilità di un regime più libero, rimesso, appunto, ad improbabili accordi tra i genitori, e deve anche escludersi ogni modifica, almeno sino a quando non sarà ripristinato quel sostegno che ha consentito l’instaurarsi di un sano e proficuo rapporto del padre con il figlio, e, allo stesso tempo, la diminuzione del conflitto genitoriale.

A tal fine, va accolta la richiesta dalla madre di monitoraggio del rapporto padre-figlio attraverso i Servizi Sociali, al fine di proseguire l’opera di mediazione parentale, anche allo scopo di pervenire, in futuro, ad una maggiore frequentazione padre-figlio, anche più elastica, ed eventualmente ad un affido congiunto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate in € 980,00 per fase di studio, € 675,00 per introduzione, € 900,00 per fase decisoria semplificata.

P.Q.M.

la Corte rigetta il reclamo; dispone che i Servizi Sociali competenti effettuino il monitoraggio della frequentazione di YY con il figlio J, riferendo ogni sei mesi al Giudice Tutelare presso il Tribunale di Reggio Emilia; condanna il reclamante al pagamento delle spese del grado. che liquida in € 2.555,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile il 23 novembre 2018.

Il Presidente

dott. Giovanni Benassi

Il Consigliere estensore

dott.ssa Carla Fazzini

 

Depositato in Cancelleria il Pubblicazione del 3 Dicembre 2018