AFFIDO CONGIUNTO ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI PUOI SAPERE DELL’AFFIDO CONGIUNTO E DELL’AFFIDO ESCLUSIVO ?
L’affido congiunto e l’affido condiviso dei figli sono concetti legali che riguardano la responsabilità genitoriale dopo una separazione o un divorzio. Entrambi si riferiscono alla condivisione delle decisioni e delle responsabilità riguardanti i figli, ma ci sono alcune differenze significative tra i due.
- Affido Congiunto: Con l’affido congiunto, entrambi i genitori mantengono la responsabilità condivisa per prendere decisioni importanti riguardanti i figli, come educazione, salute e benessere. Inoltre, i figli di solito trascorrono tempi significativi con entrambi i genitori. Questo tipo di affido richiede una cooperazione stretta tra i genitori, poiché entrambi devono lavorare insieme per prendere decisioni che riguardano i figli.
- Affido Condiviso: L’affido condiviso è simile all’affido congiunto, ma potrebbe non implicare necessariamente una divisione equa del tempo tra i genitori. Invece, si concentra sulla condivisione delle decisioni riguardanti i figli. Uno dei genitori potrebbe avere il bambino per la maggior parte del tempo, ma entrambi i genitori condividono la responsabilità per prendere decisioni importanti.
Entrambi i tipi di affido sono progettati per promuovere il coinvolgimento di entrambi i genitori nella vita dei loro figli dopo una separazione o un divorzio, riducendo al minimo l’impatto emotivo e psicologico sui bambini. Tuttavia, le specifiche leggi e prassi relative all’affido possono variare da giurisdizione a giurisdizione. È sempre consigliabile consultare un avvocato specializzato in diritto familiare per comprendere appieno i propri diritti e obblighi in materia di affido dei figli.
Il regime legale dell’affidamento condiviso, tutto orientato alla tutela dell’interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio, tuttavia nell’interesse di quest’ultimo il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena.
Cassazione civile sez. I, 17/09/2020, n.19323 AFFIDO CONGIUNTO ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI
In tema di affido condiviso del minore, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dall’esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all’esplicazione del loro ruolo educativo.
Deriva da quanto precede, pertanto, che se è vero che la condivisione – in mancanza di serie ragioni ostative – deve comportare una frequentazione dei genitori tendenzialmente paritaria, la cui significatività non sia vanificata da frammentazioni, è altrettanto vero che nell’interesse del minore, in presenza di serie ragioni (ad esempio, come nel caso di specie, ove la distanza esistente tra i luoghi di vita dei genitori imponga al minore di sopportare tempi e sacrifici di viaggio tali da comprometterne gli studi, il riposo e la vita di relazione) il giudice può individuare un assetto nella frequentazione che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare al bambino la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena.
Cassazione civile sez. I, 17/09/2020, n.19323- AFFIDO CONGIUNTO ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI
AFFIDO CONGIUNTO AFFIDO CONDIVISO ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Castel san Pietro Terme Imola Bologna Assegno di mantenimento , assegno divorzile, avvocato divorzista
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NELLA SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO COSA SONO L’ AFFIDO CONGIUNTO E AFFIDO CONDIVISO
Con l’approvazione della legge 8 febbraio 2006 n. 54 l’ Italia si è adeguata alla normativa della maggior parte dei paesi Europei, nonché alla Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 Novembre 1989, introducendo l’istituto dell’affido condiviso fondato sul principio della c.d. bigenitorialità.
L’affidamento congiunto prevede che i genitori cooperino totalmente all’allevamento dei figli, agendo nel loro interesse primario che è sempre ciò che più interessa anche al Giudice. Naturalmente anche in regime di affidamento congiunto è previsto il versamento di un assegno di mantenimento da parte del genitore non collocatario ove necessario.
Tale scelta comporta, all’atto pratico, l’obbligo per entrambi i genitori:
– di esercitare la responsabilità genitoriale sulla prole e
– di condividere le decisioni di maggiore importanza riguardanti i figli.
L’art. 147 c.c., imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, e che il parametro di riferimento, ai fini della determinazione del concorso negli oneri finanziari, è costituito, secondo il disposto dell’art. 148 c.c., non soltanto dalle sostanze, ma anche dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, ciò che implica una valorizzazione anche delle accertate potenzialità reddituali. (cfr. Cass. 19.3.2002, n. 3974; Cass. 24/04/2007, n.9915; Cass. 22/03/2005, n.6197; Cass. 6.11. 2012 n. 19113). Lo S. non può esimersi, data la inderogabilità degli obblighi parentali, dal mettere a frutto le sue capacità lavorative per contribuire al mantenimento dei figli. Quanto alla partecipazione alle c.d. spese straordinarie, si deve osservare che spese straordinarie in senso stretto possono considerarsi solo le spese che per la loro rilevanza, la imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli, considerato anche il contesto socio economico in cui sono inseriti (Cass. 8 giugno 2012 n. 2372); e cioè quelle spese che sono imprevedibili sull’an o sul quantum, oppure rilevanti come peso economico, esorbitando dal consueto budget domestico, poiché il contributo di mantenimento è determinato in misura tale da contemperare le contrapposte necessità dell’obbligato e dei beneficiati in regime di normalità: e quindi l’apporto si rivela inadeguato per fronteggiare le spese, tante volte ingenti, dipendenti da situazioni, scelte o fatti che a quel criterio di normalità, intesa sia come prevedibilità che come normalità economica relativa, sfuggono. (cfr. Corte d’appello di Messina 5 luglio 2004,
Corte d’appello Napoli 6 giugno 2008 n. 2201) In questo caso alcune spese, pur ragionevolmente prevedibili, possono però definirsi straordinarie per il loro onere economico, in relazione alle condizioni delle parti, ed alla misura del contributo di mantenimento: ad esempio, senza pretesa di fare elenco esaustivo, le spese annuali per libri scolastici, presidi correttivi come gli occhiali, tasse scolastiche o retta per la pratica di uno sport. In ogni caso deve essere rispettato il principio di proporzionalità, perché aggiungere all’assegno le spese straordinarie rientra, se non vi è accordo tra le parti, nella discrezionalità del giudice, pur in difetto di espressa disposizione normativa, in quanto serve a realizzare compiutamente il principio di proporzionalità nell’attuare il diritto della prole a ricevere quanto necessario (nei limiti del tenore di vita familiare) alla cura, educazione, istruzione (Cass. 2 luglio 2007 n. 14965; Cass. 28 gennaio 2008 n. 1758, Cass. 8 giugno 2012 n. 2372). Appare dunque adeguata la ripartizione delle spese straordinarie in misura pari tra i coniugi, una volta che, come sopra esposto, ne è stato precisato il contenuto; deve tuttavia osservarsi che, verosimilmente per una svista, il dispositivo della sentenza impugnata non riporta l’obbligo di partecipazione alle spese straordinarie, pur indicato in motivazione, ed in tal senso pertanto il provvedimento deve essere integrato e precisato, anche per evitare contestazioni in sede esecutiva.
Ciò posto ed al fine di inquadrare giuridicamente la problematica posta dalla fattispecie concreta, occorre rilevare che nell’ambito della recente riforma del diritto di famiglia e, più in particolare, della disciplina della filiazione, introdotta dalla legge n. 219/2012 e dal successivo decreto legislativo n. 154/2013, è stato esplicitamente previsto con riferimento alla questione circa la scelta della residenza abituale dei minori ed in linea con il dizionario europeo (che include nella nozione di “affidamento” la scelta condivisa circa il luogo di residenza abituale del minore) che la residenza abituale del fanciullo è scelta dai genitori di “comune accordo” (artt. 316 c.c. e 337 ter comma terzo c.c.) e in caso di disaccordo la scelta è rimessa al Giudice. La residenza abituale del minore, intesa come luogo in cui questi ha stabilito la sede prevalente dei suoi interessi e affetti, costituisce, dunque, anche per espresso richiamo normativo, uno degli «affari essenziali» (arg., ex art. 145, comma II, cod. civ.) per la vita del fanciullo. Il luogo di residenza abituale dei minori, pertanto, deve essere stabilito dai genitori «di comune accordo» (art. 316, comma I cod. civ.). Trattandosi di una delle questioni di maggiore importanza per la vita del minore, anche in caso di disgregazione del nucleo familiare la scelta della residenza abituale deve essere assunta «di comune accordo» da padre e madre (art. 337-bis, comma III, cod. civ.) e ciò pure là dove sia stato fissato un regime di affidamento monogenitoriale (art. 337- quater, comma III, cod. civ.). In caso di disaccordo, è dato ricorso al giudice: non è, cioè, ammissibile una decisione unilaterale del singolo genitore, salvo il caso eccezionale dell’affidamento monogenitoriale con concentrazione delle competenze genitoriali (cd. affido esclusivo rafforzato: art. 337-quater, comma III, c.c.: v.,
Trib. Milano, sez. IX civ., ordinanza 20 marzo 2014). La normativa sopra richiamata si inserisce, come detto, nell’ambito della novella legislativa di cui alla legge n. 219/2012, il cui fondamentale principio ispiratore è quello della prevalenza dell’interesse del figlio, specie se minore, su ogni altro interesse giuridicamente rilevante che vi si ponga in contrasto; pertanto le disposizioni in esame devono essere interpretate ed applicate in conformità al principio sopra evidenziato. Conseguentemente, sebbene la scelta della residenza da parte del genitore collocatario costituisca l’esercizio di un diritto di libertà garantito dall’art. 16 della Costituzione, deve rilevarsi che rispetto a tale diritto l’altro genitore può opporre ragioni direttamente collegate all’interesse della prole, come nel caso di un evidente ostacolo all’esercizio del proprio diritto di visita, ed il Giudice dovrà valutare, nella persistenza del disaccordo fra i genitori, se il trasferimento di residenza dei minori si ponga o meno in contrasto con l’interesse degli stessi ad un equilibrato ed armonico sviluppo della personalità, che si sostanzia anche nel diritto a conservare un rapporto significativo e continuativo con l’altro genitore, che potrebbe essere compromesso dal trasferimento della prole in un luogo distante dalla residenza del genitore non collocatario o, comunque, non facilmente raggiungibile. Invero, il diritto di un genitore di spostare la propria residenza insieme al figlio, pur trattandosi di diritto di rilievo costituzionale, deve essere bilanciato con il diritto del minore (di pari rango costituzionale) ad una sana crescita e ad uno sviluppo armonico della personalità, nonché a mantenere, pur in caso di disgregazione della famiglia, equilibrati ed adeguati contatti e rapporti con entrambi i genitori. Con la conseguenza che il diritto del genitore di trasferire la propria residenza insieme al figlio può trovare tutela giudiziale solo ove il trasferimento suddetto garantisca il soddisfacimento del diritto del minore come sopra evidenziato.
FIGLI NATI FUORI DAL MATRIMONIO
In merito, deve preliminarmente osservarsi che, in tema di affidamento di figli nati fuori dal matrimonio, la legge 54/06, dichiarando applicabili ai relativi procedimenti le regole da essa introdotte in materia di separazione personale e divorzio, ha espresso, per tale aspetto, un’evidente equiparazione della posizione dei figli dei genitori non coniugati a quelli dei figli nati dal matrimonio, senza che alcun rilievo assuma la forma del rito camerale previsto (Cass. 30.10.2009 n. 23032), assimilazione del resto confermata dalla attribuzione dei procedimenti in questione, ex legge 219/12, al Tribunale Ordinario. Ne deriva che l’impianto normativo di cui alla citata legge 54/06 sull’esercizio della potestà – oggi responsabilità, a seguito dell’entrata in vigore del D. L.vo 154/13 – e sull’affidamento condiviso, in caso di crisi della coppia genitoriale, ha riplasmato gli artt. 155 e ss. c.c., onde le misure applicabili – sia sotto i citati profili quanto sotto il profilo economico – risultano essere state in tal senso modificate ed oggi ulteriormente aggiornate, quanto alla soluzione dei confitti sull’esercizio della responsabilità genitoriale, a seguito del D. L.vo 154/13, con la previsione normativa di cui agli artt. 316 e 337 bis e segg. c.c. Va altresì premesso che la normativa di cui alla legge 54/2006 prevede l’affidamento dei figli minori ad entrambi i genitori quale regola generale, derogabile solo laddove tale affidamento sia contrario agli interessi dei minori e ciò in considerazione del primario interesse dei figli a continuare ad avere stabili rapporti sia con il padre che con la madre, i quali devono entrambi farsi carico delle responsabilità inerenti alla prole e all’educazione di essa.
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