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Come ottenere affido condiviso e assegno di mantenimento avvocato separazioni Bologna
I figli (nati sia fuori che dentro il matrimonio) hanno il diritto di essere mantenuti, educati, istruiti e assistiti da entrambi i genitori, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni; dunque, su madre e padre non grava un semplice dovere morale di prendersi cura dei figli, ma un vero e proprio dovere giuridico .
n tema di separazione personale, la regola prioritaria dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, prevista dall’art. 155 cod. civ., è, ai sensi dell’art. 155 bis, primo comma, cod. civ., derogabile solo ove la sua applicazione risulti contraria all’interesse del minore, interesse che costituisce esclusivo criterio di valutazione in rapporto alle diverse e specifiche connotazioni dei singoli casi dedotti in sede giudiziaria.
La mera conflittualità esistente tra i coniugi, che spesso connota i procedimenti separatizi, non preclude il ricorso a tale regine preferenziale solo se si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole; assume, invece, connotati ostativi alla relativa applicazione ove si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psicofisico dei figli e, dunque, tali da pregiudicare il loro superiore interesse.
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L’art. 337-ter, comma 4, c.c., invero, prevede che ciascuno dei genitori deve provvedere al mantenimento dei figli, sia con riferimento alle spese ordinarie che alle spese straordinarie, in misura proporzionale al proprio reddito, tenuto conto dei seguenti elementi: – le attuali esigenze del figlio; 3 – il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; – i tempi di permanenza presso ciascun genitore; – le risorse economiche di entrambi i genitori; – la valenza economica dei compiti domestici e di cura svolti da ciascun genitore. Il concorso dei genitori al mantenimento dei figli, in misura proporzionale al proprio reddito, viene poi ribadito dall’art. 316-bis c.c. (che, a seguito della riforma operata dal d.lgs. n. 154 del 2013, ha sostituito l’art. 148 c.c.), secondo il quale, per determinare le risorse economiche dei genitori, si devono considerare non solo i redditi, ma l’intero patrimonio di ciascuno di essi, nonché la rispettiva capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, dovendosi con ciò valorizzare anche le accertate potenzialità reddituali (ex multis, Cass. n. 3974/2002). La previsione di un assegno di mantenimento in favore del figlio contribuisce, quindi, a riequilibrare gli oneri di ciascun genitore nei casi di separazione, divorzio o cessazione della convivenza. Sul punto è stato, tuttavia, precisato che la determinazione del contributo, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell’assegno spettante al coniuge separato o divorziato, non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun genitore, per cui le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore (Cass. n. 18538/2013)
ASSEGNO DI MANTENIMENTO
L’obbligo di assistenza materiale nascente dal matrimonio non si estingue con la separazione e non si sospende neppure in corso di causa di separazione, ma si concretizza con la corresponsione dell’assegno di mantenimento che si verifica quando sussistono alcune condizioni:
deve esserne fatta esplicita richiesta nella domanda di separazione dal coniuge richiedente;
al coniuge che richiede l’assegno non deve essere addebitata la separazione;
il coniuge richiedente non deve avere “adeguati redditi propri”;
il coniuge obbligato al pagamento dell’assegno deve disporre di mezzi economici idonei.
L’assegno da corrispondere è periodico (con scadenza generalmente mensile) e può consistere in una somma di denaro unica o in voci di spesa (per esempio il canone di affitto o le spese condominiali).
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LA LEGGE SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO E LA NEGOZIALITÀ
II – BIGENITORIALITA’ E AFFIDAMENTO CONDIVISO
- 9. Il diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.
- 10. I rapporti con i nonni e gli altri parenti. Ricadute sul piano processuale.
- 11. L’affidamento alternato e quello a terze persone.
- 12. I poteri del giudice nell’affidamento condiviso.
- 13. Affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori.
- 14. Esercizio della potestà in capo ad entrambi i genitori.
ASSEGNAZIONE CASA CONIUGALE
L’assegnazione della casa familiare prevista dall’art. 155 quater, cod. civ., ratione temporis applicabile, viene attribuita “tenendo conto prioritariamente dell’interesse dei figli”. La norma, rimasta immutata anche nell’attuale formulazione, contenuta nell’art. 337 sexies cod. civ., indica un criterio: “l’interesse dei figli” sulla base del quale stabilire a quale dei genitori dovrà essere attribuito il godimento dell’abitazione coniugale ma non determina le caratteristiche identificative di tale peculiare destinazione. Pertanto, se risulta del tutto agevole desumere dalla norma che la casa familiare sia assegnata al genitore collocatario dei figli minori (o maggiorenni non autosufficienti) o affidatario esclusivo, più complessa può apparire la qualificazione giuridica di un immobile come abitazione familiare in tutte le ipotesi in cui non risulti in modo inequivoco che la situazione preesistente al conflitto giudiziale sia caratterizzata da una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso come abitazione del nucleo familiare, composto dai genitori e dai figli minori o maggiorenni ma non autosufficienti. Le situazioni di confine possono essere molteplici. Tendenzialmente le criticità sorgono quando non venga utilizzato un solo immobile dal nucleo familiare o come nella specie, il conflitto sia sorto prima della stabilizzazione del nucleo familiare costituito dai genitori e dal figlio nell’immobile. I criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, tuttavia, contengono indicatori adeguati anche per le situazioni che possano apparire d’incerta soluzione.
In primo luogo deve escludersi che possa essere qualificata “casa familiare” l’immobile in cui la coppia coniugata o non coniugata non abbia mai convissuto prima della nascita del figlio.
La mera destinazione dell’immobile ad un progetto di coabitazione è insufficiente a fondarne il godimento in funzione del prioritario interesse del minore, quando né i genitori né quest’ultimo vi abbiano mai abitato.
Diversa tuttavia deve ritenersi la soluzione quando, come nella specie, i genitori del minore abbiano non solo destinato di comune accordo e con impegno economico comune un immobile a loro abitazione familiare ma vi abbiano anche convissuto stabilmente prima del conflitto, deflagrato con la nascita del figlio. In questa ipotesi la casa familiare preesisteva alla nascita del figlio minore ed il temporaneo allontanamento dovuto al conflitto del nucleo genitori figli non ha mutato tale preesistente destinazione.
L’abitazione nella quale la coppia di genitori ha convissuto, per cinque anni circa (secondo quanto risulta dagli atti) costituisce nella specie l’habitat domestico, ovvero il “centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui sì esprime e si articola la vita familiare” (Cass.8867 del 1992). Nella specie l’immobile assegnato al genitore collocatario ha costituito per la fase della stabile convivenza delle parti “il centro di aggregazione della famiglia” (Cass. 14553 del 2011, con la quale è stata esclusa la destinazione a casa familiare di un immobile acquistato allo stato di rustico e solo occasionalmente utilizzato per il periodo estivo dal nucleo familiare).
Ne consegue che la destinazione a casa familiare deve ritenersi univocamente impressa all’immobile dalle parti non solo in astratto (con l’acquisto in comunione) ma anche in concreto per mezzo della loro convivenza. Per queste ragioni la fruizione dell’abitazione da parte del minore con il genitore collocatario è stata, fondatamente, ritenuta la scelta più coerente con il suo prioritario interesse secondo il criterio dettato dalla norma.
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È stato, affermato il principio secondo cui (Cass., 10 dicembre 2014, n. 26060; Cass., 29 luglio 2011, n. 16376; Cass., 18 agosto 2006 n. 18187) l’affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori – previsto dalla legge sul divorzio, art. 6 (1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 11), analogicamente applicabile anche alla separazione personale dei coniugi – è istituto che, in quanto fondato sull’esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l’istituto stesso implichi, come conseguenza ‘automatica’, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze. È stato altresì precisato che il richiamato principio trova conferma nelle nuove previsioni in tema di affido condiviso di cui alla L. n. 54 del 2006.
È stato poi precisato che l’assegno disposto in favore del genitore presso il quale la prole è prevalentemente collocata non contrasta con il contenuto dell’art. 155 cod. civ., che fornisce alcune indicazioni sui presupposti e caratteri dell’assegno, introducendo il principio generale, già elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. L’ulteriore previsione che il giudice possa disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico, al fine di realizzare tale principio di ‘proporzionalità’, esclude che la Corte territoriale abbia violato detta disposizione, in quanto la previsione di un assegno si rivela quantomeno opportuna, se non necessaria, quando, come nella specie, l’affidamento condiviso preveda un collocamento prevalente presso uno dei genitori: assegno da porsi a carico del genitore non collocatario. Del resto il ricordato art. 155 c.c., fornisce indicazioni specifiche sulla determinazione dell’assegno, considerando, tra l’altro, ‘i tempi di permanenza presso ciascun genitore’.
La Corte ha per altro precisato (Cass., 4 novembre 2009, n. 23411) che il genitore collocatario, essendo più ampio il tempo di permanenza presso di lui, avrà necessità di gestire, almeno in parte, il contributo al mantenimento da parte dell’altro genitore, dovendo provvedere in misura più ampia alle spese correnti e all’acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle spese straordinarie (indumenti, libri, ecc.).
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