Abuso edilizio sanzione penale art 44 testo edilizia penale avvocato difende

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avvocato a Bologna
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  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:
  2. a) l’ammenda fino a 10329 euro per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;
  3. b) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5164 a 51645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione;
  4. c) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15493 a 51645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell’articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso.
  5. La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari.

2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell’articolo 23, comma 01, eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa.

Sanzioni penali

Abuso edilizio, reato penale

L’abuso edilizio in Italia è disciplinato principalmente dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico dell’Edilizia). Le sanzioni penali per gli abusi edilizi sono previste dagli articoli 44 e seguenti del suddetto Testo Unico.

Mutuo – consumatore – tasso floor MUTUI TASSI CONSUMATORE: NULLA LA CLAUSOLA FLOOR
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Sanzioni penali per abuso edilizio

L’articolo 44 del Testo Unico dell’Edilizia prevede le seguenti sanzioni penali:

Reclusione fino a due anni e ammenda da 10.328 a 103.290 euro per chiunque esegua opere edilizie in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al permesso rilasciato.

Arresto fino a due anni e ammenda da 3.086 a 30.987 euro per chi esegue lavori in contrasto con le norme urbanistiche e paesaggistiche.

Ammenda da 1.032 a 10.329 euro per chi esegue opere in assenza o difformità da una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), quando necessaria.

Reati collegati all’abuso edilizio

Oltre all’art. 44, altre norme che prevedono sanzioni penali in ambito edilizio includono:

Art. 323 c.p. (Abuso d’ufficio): per pubblici ufficiali che autorizzano opere abusive con dolo.

Art. 734 c.p. (Distruzione di bellezze naturali): per abusi edilizi in aree vincolate paesaggisticamente.

D.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio): sanzioni per costruzioni abusive in zone tutelate.

L’art 29 del DPR 380/2001 definisce i responsabili dell’abuso edilizio e ripartisce tra loro le responsabilità. Si tratta delle seguenti figure:

il titolare del permesso di costruire;

il committente;

il costruttore;

il direttore dei lavori..

Il titolare (generalmente coincide con il committente, ma non necessariamente: si pensi ad un immobile con abuso ceduto), è corresponsabile con il committente e il costruttore per ciò che attiene alla violazione delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano.

Il direttore dei lavori, invece, è corresponsabile agli altri per ciò che attiene alle modalità esecutive dei lavori, quando difformi dal quanto prescritto dai permessi.

Tali soggetti sono, altresì, tenuti al pagamento in solido delle sanzioni pecuniarie alle spese per l’esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso. Quindi la responsabilità e di tutti che pagano in solido le sanzioni.

L’art. 44 lett b) T.U. punisce con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da 5.164 a 51.645 euro l’esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso, o la prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione, salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme restando le sanzioni amministrative.

L’ipotesi di reato delineata si configura come speciale rispetto a quella di cui alla lettera a) del medesimo articolo.

Ne consegue che la nozione di costruzione va intesa in senso ampio, ricomprendendo tutti quei manufatti che, comportando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale e non avendo il carattere di assoluta precarietà, alterano lo stato dei luoghi, essendo destinati a durare nel tempo [16].

Particolarmente dibattuta si presenta la questione della necessarietà o meno del permesso di costruire per gli interventi previsti dall’art. 3, co.1., lett. e. 5), T.U., ovvero per l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, ed in genere per l’installazione di strutture quali roulottes, campers, case mobili, ecc., quando vengano adibite ad abitazioni, ambienti di lavoro, deposito, ecc., e siano dirette a soddisfare esigenze di lungo periodo.

Per tale categoria occorre individuare i criteri che consentono di qualificare le opere come precarie e, come tali, non assoggettate alla disciplina del permesso di costruire.

La nozione di costruzione non presuppone necessariamente l’ancoraggio al suolo del fabbricato, a determinate condizioni la cui valutazione di sussistenza è demandata al giudice del merito.

Di recente, la Suprema Corte è intervenuta a dirimere la questione, chiarendo che [Omissis – versione integrale presente nel testo].

È opportuno evidenziare che l’assoggettamento al regime di cui all’art. 10 T.U. prescinde del tutto dalle caratteristiche del manufatto prefabbricato. Difatti, non rileva che si tratti o meno di opere in muratura o incorporate nel suolo con fondazioni, oppure che si tratti di elementi prefabbricati, ricomposti e poggiati su strutture emergenti dal suolo o direttamente sul suolo [22].

Per la corretta qualificazione dell’opera come precaria alcuni parametri sono stati dettati dalla Suprema Corte. Essa ha ribadito che col termine “opera precaria si intende fare riferimento non già alla composizione materiale dell’opera, vale a dire alla sua struttura intrinseca, ma alle caratteristiche funzionali intese come destinazione dell’opera al soddisfacimento di esigenze permanenti e/o durevoli nel tempo: è, dunque, necessario che l’autorità competente, ogni volta che ne ravvisi la necessità in relazione a specifiche ragioni di tutela ambientale, possa essere in grado di operare una valutazione idonea a consentire (o negare) la realizzazione di un’opera – quale che sia la sua struttura intrinseca – in una determinata area territoriale.

Nella materia edilizia, quindi, il concetto di precarietà non va riferito alle caratteristiche costruttive o alla natura e qualità dei materiali impiegati o, ancora, all’agevole rimovibilità (o amovibilità), venendo in rilievo, invece, le esigenze temporanee alle quali l’opera eventualmente debba assolvere. Ne deriva che il carattere stagionale dell’opera non comporta ex se la sua precarietà laddove l’opera venga destinata al soddisfacimento di esigenze durevoli nel tempo, coincidendo i due concetti della precarietà e stagionalità solo con la intrinseca destinazione dell’opera per un uso specifico e limitato nel tempo, cui è correlata la eliminazione dell’opera dopo la cessazione dell’uso” [23].

Al contrario, le opere di assoluta ed evidente precarietà, diversamente dai prefabbricati, non sono soggette alla necessità del preventivo permesso di costruire, purché siano destinate a far fronte ad esigenze momentanee e, comunque, in grado di essere eliminate in breve tempo. Il carattere di provvisorietà deve essere desunto dall’uso realmente precario o temporaneo per fini specifici e cronologici delimitati, non essendo sufficiente che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo [24].

Occorre, dunque, un criterio obiettivo, svincolato dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, dovendosi trattare di un intervento oggettivamente finalizzato ad un uso temporaneo e limitato.

Sono assoggettati alla disciplina del permesso di costruire sia i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, sia le opere che, quale che ne sia il genere, comportano un intervento sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilità è cosa diversa dall’irremovibilità o dalla precarietà della funzione assegnata alla struttura, estrinsecandosi, piuttosto, nell’oggettiva destinazione del bene a soddisfare bisogni non provvisori, temporanei e contingenti [25].

Quanto all’impianto sanzionatorio, gli interventi di cui all’art. 10, co.1, T.U. eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso sono rimossi ovvero demoliti, e gli edifici resi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il termine stabilito dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale essa è eseguita a cura del comune e a spese del responsabile dell’illecito.

Nel caso in cui, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello status quo ante non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore del bene, tenuto conto della realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri dettati dalla legge [26].

Un regime sanzionatorio attenuato è dettato dall’art. 33 T.U. per gli interventi di ristrutturazione realizzati in assenza del permesso di costruire o in totale difformità, in ragione del minor impatto urbanistico di questi rispetto alla creazione ex novo dell’opera.

Non è prevista, infatti, l’acquisizione gratuita al patrimonio dell’ente, risultando comminata, in via principale, la sanzione ripristinatoria e, soltanto in via subordinata, quella pecuniaria.

La ristrutturazione può essere urbanistica o edilizia.

Gli interventi di ristrutturazione urbanistica sono definiti dall’art. 3, co. 1, lett. f), come “quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale”.

Si tratta di un’attività di trasformazione di carattere complessivo, che può interessare una pluralità di fabbricati, oppure un insediamento unitario di rilevanti dimensioni, e che ricomprende anche opere di urbanizzazione, per le quali viene espressamente previsto il rilascio del permesso di costruire, quando non eseguite direttamente dall’amministrazione comunale [27].

La Suprema Corte ha stabilito che la norma impone la collocazione degli interventi di demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato tra gli interventi di ristrutturazione urbanistica assoggettati, come tali, a concessione edilizia.

Pertanto, nell’ipotesi in cui, ottenuta la concessione per eseguire la ristrutturazione di un fabbricato, si demolisca lo stesso e lo si ricostruisca integralmente, deve ritenersi sussistere il reato di costruzione in assenza di permesso a costruire, perché lo stabile preesistente è sostituito con altro stabile completamente nuovo, per cui non si deve ravvisare alcun riferimento alla precedente situazione edilizia.

Gli interventi di ristrutturazione edilizia sono definiti dall’art. 3, co. 1, lett. d), T.U, come quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente.

Essi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica o l’inserimento di nuovi elementi ed impianti.

In quest’ambito sono ricompresi anche le attività di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell’organismo preesistente, fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti [28].

Tale interventi si differenziano dal restauro e risanamento conservativo poiché non si esauriscono in una mera attività di conservazione, ma comportano la realizzazione di un manufatto in tutto o in parte diverso dal precedente.

La ristrutturazione comprende tutti gli interventi diretti a trasformare gli organismi edilizi in altri, anche diversi dai precedenti, ma essa presuppone sempre l’esistenza e la conservazione dell’immobile da assoggettare a trasformazione.

Gli interventi di restauro hanno carattere conservativo e, per definizione, presuppongono che il manufatto non sia demolito. La demolizione prevede un’opera edile, e come tale necessita del permesso di costruire.

Il TAR Campania, Salerno, con sentenza n. 2060 del 21.11.2006 ha inoltre statuito che [Omissis – versione integrale presente nel testo].

Tale attività può attuarsi anche attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, potrebbero ricondursi a quelli di restauro o risanamento conservativo. Il discrimine è dato dalla connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere analizzate per sé sole, ma valutate nel loro complesso, al fine di individuare se siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo [29].

Sulla scorta dei principi suesposti, sono stati ricondotti nella categoria della ristrutturazione edilizia i seguenti interventi:

realizzazione di un balcone;

diversa dislocazione delle unità commerciali ed abitative, con inserimento di un vano scala e di gruppi di servizi e con mutamento delle facciate interne ed esterne;

trasformazione di un sottotetto in unità abitativa con innalzamento e modifica dei prospetti del tetto:

sostituzione della originaria copertura a tetto con altra costituita in parte da tetto e in parte da terrazzo;

opere in conglomerato cementizio in un vecchio caseggiato, con rafforzamento dei muri perimetrali;

svuotamento dell’originario manufatto al fine di ricavarne un nuovo edificio con incremento della volumetria, sostituzione delle mura perimetrali ed abbattimento di quelle originaria;

realizzazione di un porticato in cemento armato al servizio di un albergo ristorante [32].

Diversamente, sono stati qualificati non di ristrutturazione edilizia, ma di manutenzione straordinaria, e quindi, non soggetti a permesso di costruire, gli interventi di:

demolizione e nuova collocazione di un muro portante e di una scala;

rifacimento di parti di solaio e costruzione di una serie di pilastri all’interno di un fabbricato;

rifacimento della copertura di un cortile interno crollata per cause accidentali;

abbattimento di tramezzi e creazione di scale all’interno di un fabbricato, senza comportare aumento di volumetria e mutamento della destinazione d’uso;

modifica delle luci di un fabbricato, senza modifica dell’originaria volumetria e della destinazione d’uso nel caso in cui, per la loro modesta entità, non alterino il rapporto dell’edificio con l’ambiente circostante, né cambino la fisionomia dell’immobile e l’aspetto di esso nelle sue linee generali;

opere di mero accomodamento che non mutino la consistenza fisica delle singole unità immobiliari [33].

L’elemento di differenziazione tra le categorie succitate è da rintracciarsi nel fatto che gli interventi di manutenzione straordinaria sono segnati da due limiti: uno di ordine funzionale, in virtù del quale i lavori devono tendere solo alla rinnovazione e alla sostituzione di parti dell’edificio, oppure alla realizzazione di servizi igienico-sanitari; l’altro di ordine strutturale, per effetto del quale è fatto divieto di modificare i volumi, le superfici e la destinazione d’uso delle singole unità immobiliari.

Pertanto, essi sono quelli finalizzati alla conservazione del manufatto preesistente o ad un suo migliore rendimento in dipendenza degli sviluppi tecnologici, e si caratterizzano per la sostituzione del materiale impiegato o per una diversa distribuzione dei vani. Non determinano, però, alterazione dei volumi, rilevanza esterna e mutamento di destinazione d’uso.

Invece, devono qualificarsi di ristrutturazione edilizia e non mera manutenzione straordinaria, gli interventi che [Omissis – versione integrale presente nel testo].

Per ragioni di completezza, è opportuno richiamare quanto disposto dall’art. 22 T.U., che consente di scegliere tra permesso di costruire e denuncia di inizio attività (c.d. superdia) nei casi di:

ristrutturazione edilizia, comprensiva della demolizione e ricostruzione senza alterazione della volumetria e della sagoma;

interventi altrimenti sottoposti a permesso di costruire, ove siano disciplinati da piano attuativi aventi precise disposizioni planovolumetriche, tipologiche, formali e costruttive, di cui il consiglio comunale abbia espressamente affermato la sussistenza mediante approvazione degli stessi piani o la ricognizione di quelli vigenti;

i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e i nuovi interventi realizzati sulla base di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli di cui al punto precedente, ma caratterizzati da analoghe previsioni di dettaglio.