SPACCIO DROGA BOLOGNA CONDANNA CASSAZIONE  (Cass. 29108/24)

SPACCIO DROGA BOLOGNA CONDANNA CASSAZIONE

 (Cass. 29108/24)

 

Il reato di spaccio di sostanze stupefacenti in Italia è disciplinato principalmente dal D.P.R. n. 309/1990 (“Testo unico sulle droghe”). La pena varia a seconda della quantità e della tipologia di sostanza (leggera o pesante) e delle circostanze specifiche. Ecco alcune informazioni generali applicabili anche a Modica o qualsiasi altra località in Italia:

  1. Piccola quantità – Detenzione per uso personale
  • Non costituisce reato penale, ma un illecito amministrativo.
  • Conseguenze:
    • Sanzioni amministrative (es.: sospensione della patente, passaporto, porto d’armi).
    • Inserimento in programmi di recupero.

Nota: La distinzione tra “uso personale” e “spaccio” dipende da diversi fattori (quantità, confezionamento, contesto). Anche piccole quantità possono configurare spaccio se ci sono prove di cessione.

  1. Spaccio di lieve entità
  • Art. 73, comma 5 D.P.R. 309/1990:
    • Pena: reclusione da 6 mesi a 4 anni e multa da €1.032 a €10.329.
    • Applicato per episodi marginali o per piccole quantità (es.: pochi grammi di marijuana o hashish).
  1. Spaccio di sostanze stupefacenti (quantità rilevante)
  • Art. 73, comma 1 D.P.R. 309/1990:
    • Pena: reclusione da 6 a 20 anni e multa da €26.000 a €260.000.
    • Applicato per traffico, grandi quantità o sostanze pesanti (es.: eroina, cocaina).
  1. Circostanze aggravanti
  • Incremento delle pene in caso di:
    • Spaccio vicino a scuole, parchi, luoghi frequentati da minori.
    • Coinvolgimento di minori.
    • Appartenenza a un’organizzazione criminale.

Esempio per Modica

Se il reato avviene in una piccola città come Modica, i processi seguono le normative nazionali italiane. La competenza può variare in base alla gravità: per i casi più gravi, il tribunale di riferimento potrebbe essere quello di Ragusa.

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CONDOTTA E IMMEDIATEZZA DEL CONSUMO

Deve perciò ritenersi che la Corte ligure abbia fatto buon governo del principio univocamente affermato dalla giurisprudenza in tema di valutazione della destinazione della droga ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, secondo il quale il giudice è chiamato a valutare globalmente, sulla base degli ulteriori parametri normativi fissati dall’art. 73, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione (ex multis Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014 – dep. 12/11/2014, P.G. in proc. Salaman, Rv. 260991; Sez. 6 n.9723 del 17.1.2013, Serafino, Rv. 254695).

 

 

 

In questo caso sono le modalità di presentazione della droga ad aver nell’apprezzamento dei giudici del gravame impresso, unitamente alla diversa tipologia delle sostanze detenute e ad uno strumento deputato alla loro pesatura, la destinazione della merce al mercato, escludendone quanto meno in parte qua la correlazione all’uso esclusivamente personale.

Al riguardo deve, per completezza, osservarsi che nessuna incongruenza sia ravvisabile rispetto al mantenimento della sanzione sostitutiva della libertà controllata già disposta dal Tribunale – nella vigenza all’epoca dell’istituto, ora sostituito dalla detenzione domiciliare sostitutiva stanti le modifiche apportata all’art. 56 L. 689/1981 dall’art. 71 d.lgs. 150/2022 – e ridotta quanto alla durata dalla Corte di appello a seguito della disposta assoluzione dal reato di cui all’art. 648 secondo comma cod. pen.

Va rilevato, in primo luogo, che milita, a favore della congruenza tra il diniego del beneficio di legge e il riconoscimento di un trattamento sanzionatorio ben meno afflittivo rispetto alla reclusione, l’argomento testuale contenuto nell’art. 58 L. 689/1981 che consente al giudice, purché non abbia disposto la sospensione condizionale della penaci applicare le pene sostitutive “quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati”. E se è vero che tale locuzione fa parte del novellato testo dell’alt. 58 citato, ciò non significa che vi fosse un divieto in tal senso precedentemente alla riforma introdotta dal d.lgs. 150/2022, svolgendo le nuove disposizioni funzioni chiarificatrici in ordine ai limiti della discrezionalità attribuita al giudicante in un’ottica di maggior favore nei confronti dell’adozione di forme sanzionatorie alternative al regime custodiale domiciliare o carcerario.

Cassazione penale

sez. III, sent., ud. 22 maggio 2024 (dep. 18 luglio 2024), n. 29108
Presidente Andreazza – Relatore Galterio

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza in data 12.9.2023 la Corte di Appello di Genova ha confermato la penale responsabilità di M.M.M.J. per il reato di cui all’art. 73 quinto comma d.P.R. 309/1990 per la detenzione a fini di spaccio di 5,6, grammi di cannabis pari a 27 dosi medie singole e di 0,5 gr. di cocaina pari a mezza dose, condotta per la quale ha ridotto, stante la contestuale assoluzione dal reato di ricettazione di cui al capo 2), la sanzione sostituiva di 16 mesi in regime di libertà controllata inflittagli all’esito del primo grado di giudizio in otto mesi
  2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.

2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge riferito all’art. 73 quinto comma d.P.R. 309/1990 per avere la Corte di appello desunto la finalità di spaccio da elementi o travisati, come il dedotto precedente penale specifico a suo carico laddove egli era incensurato e gravato solo da pregiudizi di polizia, di valenza del tutto neutra quali il bilancino di precisione come tale qualificato dalla stessa sentenza gravata, l’eterogeneità delle sostanze (ancorché si trattasse di sostanziale detenzione di cannabis riducendosi quella della cocaina a mezza dose) e le modalità di detenzione che per la marijuana era costituito, ad eccezione di due piccoli pacchettini tenuti nella tasca dei pantaloni, da un unico grande involucro, che oltre ad essere di per sé già poco compatibile, stante la mancata suddivisione in dosi, con la finalità di spaccio, corrispondeva a 27 dosi medie costituente una scorta del tutto idonea per un consumatore di cannabinoidi quale il M.M.M.J. è stato certificato di essere. Lamenta pertanto, in conseguenza dell’omessa dimostrazione della finalità di spaccio, la mancanza di un elemento costitutivo della fattispecie astratta.

2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di cui all’art. 606 lett. e 9 cod. proc. pen., sia la carenza di motivazione in ordine agli ulteriori elementi che la stessa sentenza impugnata elenca indicatori di segno univoco, quali la detenzione di sostanze da taglio, il confezionamento in dosi, il rinvenimento di denaro contante, la presenza di attrezzature – da queste ultime non dovendo essere considerato il bilancino di cui la stessa Corte esclude la pregnanza probatoria -, sia la manifesta illogicità delle argomentazioni spese per essere stati esaminati tra tutti i fattori concorrenti a delineare la fattispecie delittuosa, seppur correttamente individuati, solo quelli che asseverano la prospettazione accusatoria senza aver dato conto della ragione di esclusione degli altri che avrebbero eliminato la valenza dei primi, in tale carente analisi annidandosi l’intrinseca debolezza del ragionamento probatorio inidoneo a superare la soglia del ragionevole dubbio, e per essere stati al contempo ingiustificatamente ignorati gli elementi a discarico evidenziati dalla difesa, quali il superamento soltanto minimale del limite previsto per l’uso personale, il mancato rinvenimento di materiale per il taglio o per il confezionamento delle sostanze, l’assenza di somme di danaro sospette, le spontanee dichiarazioni dell’imputato in ordine al consumo personale della droga rinvenuta in suo possesso, la circostanza che svolgesse un’attività lavorativa risultante dall’istanza di ammissione alla messa alla prova.

2.3. Con il terzo motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta della sospensione condizionale della pena articolata tanto nel giudizio di primo grado quanto in sede di gravame, rispetto alla quale la Corte di appello si era limitata a richiamare per relationem la pronuncia del Tribunale che aveva invece costituito oggetto di specifica censura con l’atto di appello, essendosi lamentato che il diniego della sospensione condizionale della pena, oltre ad essere privo di motivazione, era incongruente con l’applicata conversione della pena in libertà controllata.

Considerato in diritto

  1. I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente attenendo entrambi all’impianto motivazionale afferente all’affermazione di responsabilità per il reato in esame, non possono ritenersi fondati.

Se è vero che la Corte territoriale ha omesso di considerare tutti gli specifici indicatori della destinazione della merce allo spaccio menzionati nelle premesse del suo stesso ragionamento probatorio, va tuttavia rilevato che quelli di seguito posti a fondamento della ritenuta finalità allo smercio non perdono la loro pregnanza per il fatto di non essere, ove isolatamente considerati, espressione di un univoco intento: è infatti dalla loro valutazione complessiva che scaturisce la linearità della correlazione della condotta allo spaccio.

Ed invero, a fronte di un dato ponderale che, benché esiguo, era comunque superiore al limite tabellare previsto per l’uso personale, vengono sottolineati non solo l’eterogeneità delle sostanze e il rinvenimento di un bilancino di precisione, elementi che in sé considerati non sarebbero indicatori sufficienti (per la plurivocità nel primo caso accreditatagli dall’interpretazione giurisprudenziale e nel secondo dagli stessi giudici distrettuali), ma altresì la frammentazione di parte della droga in dosi, quali quelle di cannabis rinvenute nella tasca dei pantaloni indossati dall’imputato, separate dall’involucro all’interno dello zainetto, che portava con sé, contenente oltre 5 grammi della stessa sostanza in un’unica confezione, nonché le due confezioni di cocaina avvolte nel cellophane (pur nell’insieme corrispondenti a mezza dose media giornaliera) trovate nella sua abitazione all’esito della perquisizione domiciliare.

Deve perciò ritenersi che la Corte ligure abbia fatto buon governo del principio univocamente affermato dalla giurisprudenza in tema di valutazione della destinazione della droga ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, secondo il quale il giudice è chiamato a valutare globalmente, sulla base degli ulteriori parametri normativi fissati dall’art. 73, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione (ex multis Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014 – dep. 12/11/2014, P.G. in proc. Salaman, Rv. 260991; Sez. 6 n.9723 del 17.1.2013, Serafino, Rv. 254695). In questo caso sono le modalità di presentazione della droga ad aver nell’apprezzamento dei giudici del gravame impresso, unitamente alla diversa tipologia delle sostanze detenute e ad uno strumento deputato alla loro pesatura, la destinazione della merce al mercato, escludendone quanto meno in parte qua la correlazione all’uso esclusivamente personale.

E poiché la valutazione delle circostanze oggettive e soggettive del fatto è rimessa all’esclusiva discrezionalità del giudice di merito, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione, (Sez. 6, n. 44419 del 13/11/2008, Perrone, Rv. 241604; Sez. 4, Sentenza n. 7191 del 11/01/2018, Gjoka, Rv. 272463), fuoriesce dal perimetro cognitivo di questa Corte il sindacato cui viene sollecitata dalla difesa non essendo evincibile dal ragionamento probatorio della sentenza impugnata alcuna aporia logica o carenza argomentativa nel quale si compendia il vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità.

  1. Neppure il terzo motivo può ritenersi meritevole di accoglimento.

La Corte ligure, senza affatto richiamare la sentenza di primo grado rimasta silente in ordine alla richiesta della sospensione condizionale, ha ritenuto che il comportamento tenuto dall’imputato durante la messa alla prova, che aveva determinato il fallimento dell’istituto premiale e la conseguente revoca dello stesso, comportamento valorizzato dal Tribunale di Genova ai soli fini del diniego delle attenuanti generiche, non consentisse unitamente ai precedenti di polizia a suo carico, alcuna prognosi favorevole ai fini del riconoscimento del beneficio.

Con tale ratio decidendi, ancorata alla non meritevolezza del trattamento favorevole invocato in ragione della specifica propensione al delitto manifestata dal prevenuto con la sua condotta anteatta, la difesa non si confronta affatto, sviluppandosi il motivo in esame, che incorre perciò nel difetto di specificità, esclusivamente sull’assunta incompatibilità tra il diniego della sospensione condizionale e la pena applicata.

Al riguardo deve, per completezza, osservarsi che nessuna incongruenza sia ravvisabile rispetto al mantenimento della sanzione sostitutiva della libertà controllata già disposta dal Tribunale – nella vigenza all’epoca dell’istituto, ora sostituito dalla detenzione domiciliare sostitutiva stanti le modifiche apportata all’art. 56 L. 689/1981 dall’art. 71 d.lgs. 150/2022 – e ridotta quanto alla durata dalla Corte di appello a seguito della disposta assoluzione dal reato di cui all’art. 648 secondo comma cod. pen.

Va rilevato, in primo luogo, che milita, a favore della congruenza tra il diniego del beneficio di legge e il riconoscimento di un trattamento sanzionatorio ben meno afflittivo rispetto alla reclusione, l’argomento testuale contenuto nell’art. 58 L. 689/1981 che consente al giudice, purché non abbia disposto la sospensione condizionale della penaci applicare le pene sostitutive “quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati”. E se è vero che tale locuzione fa parte del novellato testo dell’alt. 58 citato, ciò non significa che vi fosse un divieto in tal senso precedentemente alla riforma introdotta dal d.lgs. 150/2022, svolgendo le nuove disposizioni funzioni chiarificatrici in ordine ai limiti della discrezionalità attribuita al giudicante in un’ottica di maggior favore nei confronti dell’adozione di forme sanzionatorie alternative al regime custodiale domiciliare o carcerario.

In ogni caso, avuto riguardo alle disposizioni vigenti all’epoca della disposta sostituzione, neanche la precedente formulazione dell’art. 57 L. 689/1981 conteneva norme particolari sui rapporti tra sanzioni sostitutive e sospensione condizionale della pena: al contrario, dalla disposizione di cui al terzo comma, secondo la quale i criteri di ragguaglio tra pena detentiva e sanzione sostitutiva si applicano “anche nei casi in cui è concessa la sospensione condizionale della pena” emerge la volontà del legislatore di lasciare immutati i criteri di concessione (o di diniego) della sospensione condizionale anche in caso di applicazione di sanzioni sostitutive, criteri che quindi rimanevano, come già osservato in un risalente arresto di questa Corte, quelli fissati nell’art. 164 c.p. senza che la particolare natura della sanzione sostitutiva consentisse al giudice di ampliare la gamma di tali parametri (Sez. 6, Sentenza n. 802 del 18/12/1998, Linosa, Rv. 212915).

Ove una lacuna motivazionale dovesse ravvisarsi, questa concerne, semmai, la scelta, stante la previsione contenuta nel terzo comma dell’art. 58 anche nella formulazione previgente, della pena sostitutiva applicata che, tuttavia, essendo stata già fissata dalla sentenza di primo grado senza che nei suoi confronti sia stata svolta alcuna impugnazione, rende la conferma della misura della libertà vigilata ad opera dei giudici di appello insuscettibile di censura.

A corollario del ragionamento svolto va evidenziato che proprio lo spazio lasciato dalla norma in esame alla discrezionalità del giudice in ordine all’adozione di prescrizioni ulteriori idonee ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di nuovi reati costituisce la conferma dell’esclusione di un’incompatibilità tra la misura sostitutiva adottata e il diniego della sospensione condizionale della pena, ben diversa essendo la prognosi relativa all’adempimento da parte del condannato alle prescrizioni fissate dal giudice, la quale soltanto, ove negativa, preclude l’applicazione della pena sostitutiva, da quella concernente la ricaduta nel crimine. Va infatti considerato che ancorché concepite in un’ottica di maggior favore per il reo, le misure sostitutive disciplinate dagli artt. 53 ss. L. 589/1981 sono pur sempre pene dalla cui funzione conseguentemente mutuano tanto le finalità costituzionalmente garantite, quanto la doverosa applicazione quali sanzioni derivanti dalla violazione di un precetto penale.

Al contrario, come si ricava dal successivo art. 61 bis che dispone l’inapplicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 163 ss. cod. pen. alle pene sostitutive, sarebbe il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale a porsi in antitesi con le misure sanzionatorie sostitutive posto che verrebbe lasciata al beneficiario, che in costanza di sospensione commettesse nuovi reati o che riportasse un’altra condanna per un reato anteriormente commesso tale da superare i limiti dell’art. 163 cod. pen., una sacca di impunità priva di giustificazione, non essendo passibile il beneficio concesso in tal caso di revoca.

Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.