Sanitari responsabilità cartella clinica onere prova
MORTE BAMBINA FETO NATA MORTA
avvocato esperto malasanita’ bologna ravenna rimini forli cesena ancona macerata ascoli piceno pesaro treviso vicenza sede a bologna
A.A. veniva sottoposta a diversi esami sia di laboratorio che ecografici che cardiotocografici, finché dall’ultimo tracciato, eseguito all’alba del 4 gennaio 2001, emergeva una scarsa variabilità del feto, equivalente a una fase preagonica, e solo in quel momento veniva impartito l’ordine di effettuare immediatamente il cesareo, dal quale la bambina nasceva senza vita..
ASFISSIA FETO
- La Corte d’appello riformava integralmente la sentenza di primo grado, rigettando la domanda risarcitoria.
- Prendendo in considerazione i tracciati effettuati fino al pomeriggio del 3 gennaio alle 16:50 la Corte d’appello, sulla base delle valutazioni concordanti dei CTU nominati in appello, conformi a quelle rese in sede di procedimento penale, riteneva che – fino al tracciato pomeridiano – non emergeva alcun dato indicativo di sofferenza fetale che consigliasse un intervento immediato e neppure emergeva un dato tale da suggerire l’esecuzione di controlli più ravvicinati.
- Riteneva pertanto conforme alle risultanze degli esami e frutto di una valutazione corretta secondo i dati a disposizione ex ante la decisione dei sanitari di non intervenire fin dalla sera prima con un taglio cesareo e di non eseguire altro controllo CTG fino alla mattina del 4 gennaio 2001.
- Su questa base, riteneva che nessuna responsabilità fosse da ascrivere ai sanitari e che la morte per asfissia della bambina fosse derivata dal doppio giro di funicolo rilevato in sede di esecuzione del cesareo e poi in sede di autopsia, quindi al verificarsi di un fatto repentino e imprevedibile, non deducibile dagli esami strumentali condotti fino al pomeriggio precedente, che non avrebbe potuto essere evitato neppure mediante esami più frequenti. In relazione alla allegata mancanza del tracciato asseritamente effettuato nella serata del 3 gennaio 2001 alle ore 20:00, la corte d’appello affermava che nessuna indicazione di esso fosse contenuta nella cartella clinica, avente natura di certificazione amministrativa, e che, se anche se si volesse ritenere provato il fatto storico dell’avvenuto compimento dell’esame strumentale (come emergeva dalla prova testimoniale effettuata in sede penale, corroborata dal provvedimento del gip prodotto in causa),
- l’accertamento in fatto effettuato nel procedimento penale dell’avvenuta esecuzione di quell’esame non riportato nella cartella clinica non poteva essere sufficiente, da solo, per dimostrare o anche fare presumere che il tracciato avesse dato indicazioni certe di sofferenza fetale patologica, impositive di un più tempestivo taglio cesareo.
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avvocato esperto malasanita’ bologna ravenna rimini forli cesena ancona macerata ascoli piceno pesaro treviso vicenza sede a bologna
RAGIONAMENTO E DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
- “Le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica, o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. c.c., per quanto attiene alla indicazione ivi contenute delle attività svolte nel corso di una terapia o di un intervento.
- La prova dell’effettivo svolgimento di attività non risultanti dalla cartella clinica stessa può essere invece fornita con ogni mezzo. Non sono coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa annotate”. 7. – E’ opportuno trattare di seguito, perché strettamente correlato al precedente, il terzo motivo di ricorso. Anch’esso è fondato.
- Come si è più volte affermato in tema di responsabilità professionale sanitaria, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente (allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno): Cass. n. 27561 del 2017; n. 26428 del 2020). Il principio che opera in questo caso è quello della vicinanza alla prova, secondo il quale “In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato.
- Tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito, che aveva escluso la responsabilità dei sanitari nonostante non risultassero per sei ore annotazioni sulla cartella clinica di una neonata, nata poi con grave insufficienza mentale causata da asfissia perinatale, così da rendere incomprensibile se poteva essere più appropriata la rilevazione del tracciato cardiotocografico rispetto alla mera auscultazione del battito cardiaco del feto)” (Cass. n. 6209 del 2016).
- Questa Corte ha anche recentemente precisato, peraltro (v. Cass. n. 26428 del 2020), che l’incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudicepuò utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente solo quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo legame eziologico, e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (Cass., 21/11/2017, n. 27561 , Cass., 14/11/2019, n. 29498, pag. 5, Cass., 08/07/2020, n. 14261, pag. 7).
- L’incompletezza della cartella ha ricadute, cioè, quando va a innestarsi in un contesto specifico che è proprio la fonte della sua rilevanza; la conformazione della condotta del sanitario nel senso di astratta idoneità alla causazione dell’evento dannoso è logicamente il primo elemento da vagliare, mentre soltanto se, al contrario, la condotta del sanitario fosse astrattamente ovvero assolutamente inidonea a causarlo, non occorrerebbe alcuna ulteriore ricostruzione fattuale.
- Entro i rigorosi limiti citati, la valenza dell’incompletezza della cartella, attraverso il mezzo presuntivoche integra il riflesso del principio della vicinanza probatoria, si risolve coerentemente a favore di chi deduce di essere stato danneggiato, giacché, diversamente, la stessa verrebbe a giovare proprio a colui che, rimanendo inadempiente rispetto al proprio obbligo di diligenza, ha determinato quella lacuna, che, diversamente opinando impedirebbe di accertare la sua responsabilità (Cass., 18 settembre 2009 n. 20101 sottolinea che ” il medico ha l’obbligo di controllare la competenza e l’esattezzadelle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell’art. 1176, secondo comma, cod. civ. e, quindi, un inesatto adempimento della sua corrispondente prestazione professionale”: conf., ad es., Cass., 26 gennaio 2010 n. 1538 e Cass., 5 luglio 2004 n. 12273). Ora, come anticipato in parte narrativa, nel caso di specie la Corte territoriale ha completamente omesso di considerare –
- ritenendo erroneamente, secondo quanto già detto a proposito del primo motivo, di non poter compiere tale accertamento – la rilevanza che avrebbe potuto avere un tracciato ecotocografico intermedio tra quello pomeridiano, in cui secondo le allegazioni attoree il feto era vitale e quello dell’alba del giorno dopo, in cui era già in stato preagonico. La denunciata lacuna nella cartella, in questo caso, ove fosse positivamente accertata, sarebbe rilevante ai fini della ricostruzione del nesso eziologico, con la conseguenza che l’opposto valore presuntivo derivante da quella carenza non può essere obliterato
Onere della prova SANITA’ E SANITARI › Responsabilità professionale Intestazione REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere Dott. RUBINO Lina – Consigliere Rel. Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 12982/2021 R.G. proposto da: A.A., B.B., elettivamente domiciliati in ROMA VIA F. PAULUCCI DE’ CALBOLI 9, presso lo studio dell’avvocato ALDO SANDULLI (Omissis) che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati BENEDETTO CIMINO (Omissis), MARIA ALESSANDRA GRIPPO (Omissis) – ricorrenti – contro ATS (Azienda Tutela Salute Sardegna) SARDEGNA, incorporante la AZIENDA USL n. 3 di NUORO, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO MOCCI (Omissis) – controricorrente – Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, SEZ. DIST. DI SASSARI n. 352/2020 depositata il 12/11/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/03/2024 dal Consigliere LINA RUBINO. Svolgimento del processo 1. – A.A. e B.B. propongono ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi ed illustrato da memoria, nei confronti della Azienda U.S.L. n. 3 di Nuoro per la cassazione della sentenza emessa dalla Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, n. 352 del 2020, pubblicata il 12 novembre 2020, non notificata. 2. – Resiste la Azienda Tutela Salute Sardegna (A.T.S. Sardegna) ASL, incorporante per fusione la A.S.L. n. 3 di Nuoro, con controricorso. WOLTERS KLUWER ONE LEGALE © Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 20 Giugno 2024 pag. 1 3. – Questi i fatti, per quanto ancora di rilievo in questa sede. In seguito della morte della loro bambina al momento del parto presso l’ospedale San Francesco di Nuoro, A.A. e B.B. convennero in giudizio l’Azienda Usl n. 3 di Nuoro chiedendone la condanna al risarcimento dei danni riportati. La ricorrente, primipara ultra quarantenne, si recava in ospedale il 30 dicembre 2000, alla scadenza della quarantesima settimana di gravidanza per sottoporsi a un esame strumentale, all’esito del quale il medico di turno consigliava il ricovero; nei giorni seguenti la A.A. veniva sottoposta a diversi esami sia di laboratorio che ecografici che cardiotocografici, finché dall’ultimo tracciato, eseguito all’alba del 4 gennaio 2001, emergeva una scarsa variabilità del feto, equivalente a una fase preagonica, e solo in quel momento veniva impartito l’ordine di effettuare immediatamente il cesareo, dal quale la bambina nasceva senza vita. 3.1. – Gli attori allegavano un comportamento gravemente negligente del personale medico, che non aveva sottoposto la paziente, che presentava diversi fattori di rischio, ad esami strumentali più assidui, che non aveva effettuato tempestivamente un intervento cesareo d’urgenza, che avrebbe salvato la vita alla bambina, ed un grave inadempimento dell’ospedale rispetto all’obbligo di custodia e cura della completezza della cartella clinica perché da essa non risultava il tracciato della penultima indagine cardiotocografica, eseguita la sera precedente al parto, la cui avvenuta esecuzione, oltre ad essere stata allegata dagli attori, era stata accertata anche dal gip nel corso delle indagini e del procedimento penale apertosi a carico dei sanitari. Sostenevano che già in questo tracciato emergeva una sofferenza in atto del feto che, ove rilevata, avrebbe consentito, con un intervento cesareo d’urgenza eseguito la sera prima del parto, di evitare la morte della bambina. Si svolgeva anche un procedimento penale a carico dei medici le cui risultanze venivano acquisite. 3.2. Effettuata una CTU medico legale, il tribunale adito accoglieva la domanda. 3.3. – Proposto appello dall’azienda sanitaria, veniva rinnovata la consulenza tecnica a mezzo di un nuovo collegio peritale, in quanto i consulenti nominati in primo grado avevano rassegnato opposte conclusioni in merito alla responsabilità dei sanitari, con una discrasia di valutazioni che la Corte d’appello non riteneva apparente (come definita e ritenuta dal giudice di prime cure). 3.4. – La Corte d’appello riformava integralmente la sentenza di primo grado, rigettando la domanda risarcitoria. Prendendo in considerazione i tracciati effettuati fino al pomeriggio del 3 gennaio alle 16:50 la Corte d’appello, sulla base delle valutazioni concordanti dei CTU nominati in appello, conformi a quelle rese in sede di procedimento penale, riteneva che – fino al tracciato pomeridiano – non emergeva alcun dato indicativo di sofferenza fetale che consigliasse un intervento immediato e neppure emergeva un dato tale da suggerire l’esecuzione di controlli più ravvicinati. Riteneva pertanto conforme alle risultanze degli esami e frutto di una valutazione corretta secondo i dati a disposizione ex ante la decisione dei sanitari di non intervenire fin dalla sera prima con un taglio cesareo e di non eseguire altro controllo CTG fino alla mattina del 4 gennaio 2001. Su questa base, riteneva che nessuna responsabilità fosse da ascrivere ai sanitari e che la morte per asfissia della bambina fosse derivata dal doppio giro di funicolo rilevato in sede di esecuzione del cesareo e poi in sede di autopsia, quindi al verificarsi di un fatto repentino e imprevedibile, non deducibile dagli esami strumentali condotti fino al pomeriggio precedente, che non avrebbe potuto essere evitato neppure mediante esami più frequenti. In relazione alla allegata mancanza del tracciato asseritamente effettuato nella serata del 3 gennaio 2001 alle ore 20:00, la corte d’appello affermava che nessuna indicazione di esso fosse contenuta nella cartella clinica, avente natura di certificazione amministrativa, e che, se anche se si volesse ritenere provato il fatto storico dell’avvenuto compimento dell’esame strumentale (come emergeva dalla prova testimoniale effettuata in sede penale, corroborata dal provvedimento del gip prodotto in causal’accertamento in fatto effettuato nel procedimento penale dell’avvenuta esecuzione di quell’esame non riportato nella cartella clinica non poteva essere sufficiente, da solo, per dimostrare o anche fare presumere che il tracciato avesse dato indicazioni certe di sofferenza fetale patologica, impositive di un più tempestivo taglio cesareo. 4. La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, all’esito della quale il Collegio ha riservato il deposito della decisione nei successivi sessanta giorni. Motivi della decisione 1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2699 e 2700 c.c. in ordine alla natura di certificazione amministrativa della cartella clinica e alla necessità per gli attori di impugnarne il contenuto tramite querela di falso. 2. – Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 2043 e 2236 c.c., oltre che l’impropria applicazione degli articoli 40 e 41 c.p., per non essersi la Corte d’appello attenuta al principio civilistico del più probabile che non in materia di nesso di causalità. 3. – Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione ed erronea applicazione degli articoli 1176, 1218, 2236 e 2697 c.c., in materia di riparto dell’onere della prova nella responsabilità contrattuale sanitaria, in particolare in riferimento al caso di cartella clinica incompleta nonché l’omessa o non corretta valutazione di un fatto decisivo per il giudizio e, particolarmente, della non corretta tenuta della cartella clinica da parte dell’ospedale, dimostrata dalla scomparsa del tracciato del 3 gennaio 2001 ore 20:00, con conseguente difetto assoluto di motivazione. 4. – Infine, con il quarto motivo di ricorso i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli articoli 116, 191 e 196 c.p.c. in materia di valutazione delle prove per aver disposto la rinnovazione delle indagini in appello anche se non necessaria attesa l’esatta ricostruzione degli elementi istruttori formulata dal primo giudice sulla base della prima consulenza. 5. – I primi tre motivi sono fondati e debbono essere accolti. 6. – Per quanto concerne il primo motivo, che ha ad oggetto la ritenuta necessità della querela di falso per contestare la mancanza di un contenuto, relativo ad una attività svoltasi, nella cartella clinica, è corretta l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale la cartella clinica ha natura di certificazione amministrativa. Questa Corte ha più volte affermato che “le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica, o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. c.c., per quanto attiene alle sole trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, restando, invece, non coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse” (Cass. n. 27471 del 2017, da ultimo Cass. n. 27288 del 2022). Il principio di diritto indicato riconosce il valore di certificazione amministrativa della cartella clinica, ed è teso ad individuare la diversa rilevanza e il diverso metodo di confutabilità riservato, da un lato ai dati oggettivi in essa riportati, quali l’indicazione delle attività cliniche e strumentali svolte, delle terapie prescritte e poi eseguite in relazione al paziente, attestate dal soggetto che compila la cartella – che in relazione quella funzione è considerabile un pubblico ufficiale – contrastabili solo a mezzo della querela di falso, rispetto alle valutazioni eventualmente in essa inserita, non assistite da fede privilegiata in quanto tali. Il richiamato principio non chiarisce espressamente quale sia il valore probatorio della cartella in ordine a tutte quelle attività che non risultano da essa e che la parte assume, al contrario, essersi svolte e non siano risultanti a causa di una lacunosa tenuta della cartella, se non per la dolosa soppressione di una parte di essa. Dalle stesse pronunce della Corte sopra citate si ricava che quel contenuto di fede privilegiata di cui sono dotate le positive dichiarazioni di attività svolte, inserite nella cartella, non stende il suo ombrello protettivo fino a contenere l’implicita affermazione, avente anch’essa fede privilegiata, che null’altro è avvenuto, in relazione a quel paziente, per quel ricovero, che dovesse essere inserito all’interno della cartella clinica. In relazione a ciò che non risulta dalla cartella clinica non è necessario alla parte che ne vuole far accertare una lacuna o una omissione proporre querela di falso, ma si apre la diversa problematica della lacunosa tenuta della cartella clinica e delle regole probatorie applicabili in relazione alla allegazione che una attività effettivamente svolta non risulti debitamente annotata nella stessa. Deve a questo proposito ribadirsi il principio, più volte affermato anche in altri settori della giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità civile, ove altre certificazioni amministrative aventi come tali valore privilegiato hanno rilevanza spesso decisiva (quale il settore della responsabilità civile automobilistica, in relazione al valore del verbale dei pubblici ufficiali intervenuti dopo il sinistro) secondo il quale la cartella fa fede fino a querela di falso solo in positivo, e in relazione ai dati obiettivi in essa contenuti. In relazione ai dati mancanti, che una delle parti assume dovessero essere riportati, perché relativi ad attività (nel caso in esame, cliniche o terapeutiche) che assume si siano svolte, la prova può essere fornita con ogni mezzo e si tratta di accertamento in fatto, riservato al giudice di merito. Quindi, ha errato la corte d’appello a non prendere in esame e a non valutare le risultanze istruttorie diverse dalla cartella clinica (prove testimoniali, svolte sia nel processo civile che nel precedente procedimento penale), mediante le quali gli appellati segnalavano che si potesse accertare che tra l’esame pomeridiano compiuto alle 16,50, in cui il feto era in condizioni normali, e l’esame compiuto all’alba del giorno dopo, in cui il feto era già in condizioni critiche, ce n’era stato un altro in cui le difficoltà respiratorie e la scarsa mobilità del feto cominciavano già ad emergere, assumendo che l’attendibilità e la completezza della cartella clinica potevano essere poste in discussione solo a mezzo della querela di falso (conclusione supportata da uno scarno riferimento motivazionale a pag. 15 della sentenza all’art. 2699 c.c.). La ricostruzione degli avvenimenti precedenti al parto, e la conseguente valutazione della correttezza o meno dell’operato dei sanitari (in particolare, l’aver atteso fino all’alba del 4 gennaio per intervenire con il cesareo d’urgenza) risulta falsata dal fatto che si sia dato per inesistente (non essendo stata contestata con querela di falso la sua mancata risultanza in cartella clinica) il tracciato che gli attori assumono essere stato eseguito alle 20 della sera precedente al parto. Il primo motivo è pertanto accolto e la sentenza cassata in relazione. Il giudice del rinvio farà applicazione del seguente principio di diritto: “Le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica, o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. c.c., per quanto attiene alla indicazione ivi contenute delle attività svolte nel corso di una terapia o di un intervento. La prova dell’effettivo svolgimento di attività non risultanti dalla cartella clinica stessa può essere invece fornita con ogni mezzo. Non sono coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa annotate”. 7. – E’ opportuno trattare di seguito, perché strettamente correlato al precedente, il terzo motivo di ricorso. Anch’esso è fondato. Come si è più volte affermato in tema di responsabilità professionale sanitaria, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente (allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno): Cass. n. 27561 del 2017; Cass. n. 26428 del 2020). Il principio che opera in questo caso è quello della vicinanza alla prova, secondo il quale “In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito, che aveva escluso la responsabilità dei sanitari nonostante non risultassero per sei ore annotazioni sulla cartella clinica di una neonata, nata poi con grave insufficienza mentale causata da asfissia perinatale, così da rendere incomprensibile se poteva essere più appropriata la rilevazione del tracciato cardiotocografico rispetto alla mera auscultazione del battito cardiaco del feto)” (Cass. n. 6209 del 2016). Questa Corte ha anche recentemente precisato, peraltro (v. Cass. n. 26428 del 2020), che l’incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudicepuò utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente solo quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo legame eziologico, e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (Cass., 21/11/2017, n. 27561 , Cass., 14/11/2019, n. 29498, pag. 5, Cass., 08/07/2020, n. 14261, pag. 7). L’incompletezza della cartella ha ricadute, cioè, quando va a innestarsi in un contesto specifico che è proprio la fonte della sua rilevanza; la conformazione della condotta del sanitario nel senso di astratta idoneità alla causazione dell’evento dannoso è logicamente il primo elemento da vagliare, mentre soltanto se, al contrario, la condotta del sanitario fosse astrattamente ovvero assolutamente inidonea a causarlo, non occorrerebbe alcuna ulteriore ricostruzione fattuale. Entro i rigorosi limiti citati, la valenza dell’incompletezza della cartella, attraverso il mezzo presuntivoche integra il riflesso del principio della vicinanza probatoria, si risolve coerentemente a favore di chi deduce di essere stato danneggiato, giacché, diversamente, la stessa verrebbe a giovare proprio a colui che, rimanendo inadempiente rispetto al proprio obbligo di diligenza, ha determinato quella lacuna, che, diversamente opinando impedirebbe di accertare la sua responsabilità (Cass., 18 settembre 2009 n. 20101 sottolinea che ” il medico ha l’obbligo di controllare la competenza e l’esattezzadelle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell’art. 1176, secondo comma, cod. civ. e, quindi, un inesatto adempimento della sua corrispondente prestazione professionale”: conf., ad es., Cass., 26 gennaio 2010 n. 1538 e Cass., 5 luglio 2004 n. 12273). Ora, come anticipato in parte narrativa, nel caso di specie la Corte territoriale ha completamente omesso di considerare – ritenendo erroneamente, secondo quanto già detto a proposito del primo motivo, di non poter compiere tale accertamento – la rilevanza che avrebbe potuto avere un tracciato ecotocografico intermedio tra quello pomeridiano, in cui secondo le allegazioni attoree il feto era vitale e quello dell’alba del giorno dopo, in cui era già in stato preagonico. La denunciata lacuna nella cartella, in questo caso, ove fosse positivamente accertata, sarebbe rilevante ai fini della ricostruzione del nesso eziologico, con la conseguenza che l’opposto valore presuntivo derivante da quella carenza non può essere obliterato. Le lacune in questione si riverberano anche sul vaglio della prova della correttezza della condotta medica, che dev’essere offerta dal danneggiante. Il ricorso va dunque accolto anche in riferimento al terzo motivo. 8. – Anche il secondo motivo è fondato. E’ errata infatti in diritto l’affermazione contenuta a pag. 15 della sentenza impugnata, là dove si dice che l’accertamento in fatto effettuato nel procedimento penale dell’avvenuta esecuzione dell’esame che non è stato riportato nella cartella clinica non potrebbe, in ogni caso, essere sufficiente da solo per dimostrare o fare presumere che il tracciato avesse dato indicazioni certe di sofferenza fetale patologica impositiva di un più tempestivo taglio cesareo. E’ errato infatti il criterio di giudizio indicato: quando la corte d’appello, in conformità ai principi di diritto sopra enunciati, provvederà a rinnovare l’accertamento effettuato, verificando se vi è stata lacunosa tenuta della cartella clinica e se possa ritenersi accertato, senza alcun vincolo di prova legale, che sia stato eseguito sulla paziente l’esame alle ore 20 non risultante dalla cartella clinica, e se da esso risultassero già indici di una sofferenza fetale tali che, se tempestivamente presi in considerazione, la morte della bambina avrebbe potuto essere evitata, lo dovrà fare seguendo non il criterio penalistico – non pertinente – della certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ma seguendo il criterio civilistico del più probabile che non. 9. – L’ultimo motivo, con il quale i ricorrenti si dolgono della disposta rinnovazione della c.t.u. attiene ad una valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito, non censurabile se adeguatamente motivata. Esso rimane comunque assorbito dall’accoglimento dei precedenti tre motivi e dalla cassazione della sentenza di appello che ne consegue. 10. – In accoglimento dei primi tre motivi la sentenza è cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio. Conclusione Così deciso l’8 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2024. WOLTERS KLUWER ONE LEGALE © Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 20 Giugno 2024 pag. 6