PROCESSO STALKING E MOLESTIE : DIFFERENZE AVVOCATO B0LOGNA
- ai fini della sussistenza del reato di atti persecutori piuttosto che di quello di molestie, la prova del turbamento psicologico causato alla vittima deve essere ancorata non soltanto alle dichiarazioni rese dalla stessa ma anche alla obiettiva natura delle condotte molestatrici.
- Ed infatti, sono utilizzabili a fini di prova del realizzarsi del grave stato d’ansia elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata, in modo che si tenga conto di un’obiettiva idoneità delle molestie a provocare quell’alterazione grave della propria sfera psicologica indicata dalla disposizione incriminatrice (cfr. ancora Sez. 6, n. 23375 del 2020, cit. e Sez. 5, n. 17795 del 2/3/2017, S., Rv. 269621; nonchè Sez. 6, n. 50746 del 14710/2014, G., Rv. 261535).
- Ciò perchè le molestie idonee a trasmodare nel reato di atti persecutori sono quelle che si caratterizzano per cagionare uno stato d’ansia in ragione della loro ampiezza, durata e carica lesiva o spregiativa nei confronti della vittima(così ancora la sentenza n. 23375 del 2020, che richiama Sez. 5, n. 29826 del 5/3/2015, P, Rv. 264459).
- Si conferma, pertanto, che il criterio discretivo tra le due fattispecie di reato attiene al realizzarsi o meno di uno degli eventi alternativi previsti dal reato di stalking (cfr. Sez. 3, n. 9222 del 16/1/2015, G., Rv. 262517).
- Nel caso del ricorrente, come già si è evidenziato, oltre allo stato d’ansia sintomatico del grave turbamento arrecato alla vittima, su cui pure non possono nutrirsi dubbi di sussistenza della prova, alla luce dei criteri sopradetti e per come risulta dalla coerente ricostruzione svolta dalle due sentenze di merito, è stato accertato anche e soprattutto un secondo evento alternativo tipico, e cioè il mutamento delle abitudini di vita causato dalla condotta dell’autore delle molestie persecutorie.
- CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
(ud. 09/02/2021) 26-04-2021, n. 15625
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente –
Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R.S., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/10/2019 della CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MATILDE BRANCACCIO;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dr. GIORDANO LUIGI che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso
Svolgimento del processo
- Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Trani il 16.5.2018 con cui R.S. è stato condannato alla pena di un anno di reclusione, oltre al risarcimento del danno, in relazione al reato di atti persecutori ai danni di S.M., sua ex compagna, con la quale ha avuto anche un figlio.
- Ricorre l’imputato avverso la pronuncia d’appello mediante atto a firma del difensore di fiducia, avv. MD, deducendo quattro motivi distinti.
2.1. Il primo argomento di censura evidenzia violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di atti persecutori sia sotto il profilo oggettivo che da un punto di vista dell’elemento soggettivo necessario ad integrare la fattispecie.
Si ribadisce l’argomento difensivo che era stato al centro già dell’atto di appello: il ricorrente non ha inteso mai perseguitare l’ex compagna, ma i suoi comportamenti erano tutti dettati dalla necessità di esercitare la propria potestà genitoriale sul loro figlio A., di talchè i dissidi tra imputato e vittima erano tutti riconducibili alla gestione del piccolo ed al versamento del contributo economico per il suo mantenimento, che, quando omesso, provocava ripicche da parte della donna che voleva impedirgli di vedere il bambino. Da qui la reazione del ricorrente che, con insistenza, ha preteso di poter far visita al proprio figlio, a prescindere dalla corresponsione dell’assegno per il suo mantenimento.
2.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso deducono vizio di motivazione contraddittoria o manifestamente illogica quanto alla valutazione della prova del reato. Si contesta il giudizio di attendibilità della vittima, fondato sulla assenza di acrimonia nei confronti dell’imputato, non tenendo in conto che, dalla complessiva lettura degli elementi che costituiscono la piattaforma probatoria, emerge, invece, il contrario: una vera e propria ostilità della vittima nei confronti del ricorrente, dimostrata, oltre che dal tenore della sua deposizione, anche dalle reciproche querele.
Nessuno dei comportamenti denunciati dalla vittima aveva una proiezione persecutoria, ma tutti erano volti ad esercitare il proprio diritto di padre.
2.3. Il quarto motivo di censura deduce violazione di legge per la mancata riqualificazione del reato nella fattispecie di molestie ai sensi dell’art. 660 c.p..
A giudizio della difesa, mancherebbe la prova della causazione di uno degli eventi alternativi previsti dal delitto di stalking ai fini della sua configurabilità e costituiti dall’aver provocato nella vittima un grave stato d’ansia o paura ovvero il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto.
La sentenza di secondo grado non ha fornito risposta ai motivi di impugnazione analoghi proposti nell’atto d’appello.
Inoltre, si deduce mancanza di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
- Il Sostituto Procuratore Generale Dr. Luigi Giordano ha chiesto l’inammissibilità del ricorso con requisitoria scritta del 11.1.2021.
Motivi della decisione
- Il ricorso è inammissibile.
Il ricorrente è stato condannato per il delitto di atti persecutori, avendo molestato S.M. in maniera ossessiva, attraverso appostamenti nei pressi dell’abitazione e del luogo di lavoro della sua ex compagna e madre di suo figlio minore, cui seguivano urla ed aggressioni verbali al suo indirizzo ed insistente suonare al citofono ed al campanello di casa di costei, nonchè mediante telefonate invadenti e moleste, minacce e tentativi di contatti fisici, tanto da cagionarle un grave stato d’ansia e paura, oltre che costringerla a modificare le proprie abitudini di vita.
La ragazza, infatti, ha cominciato ad uscire molto meno di casa e sempre accompagnata, per evitare di essere colta da sola dal suo persecutore e, come risulta in particolare dal saldarsi delle due motivazioni di merito, ha maturato un palese stato di ansia grave per la propria incolumità.
- Il primo motivo di ricorso, tenuto conto delle ragioni del provvedimento impugnato, si rivela del tutto fuori fuoco.
La Corte d’Appello, con motivazione ampia ed adeguata, ha evidenziato l’ossessività dei contatti, telefonici e non, attraverso i quali il ricorrente è stato solito relazionarsi con la persona offesa una volta finito il loro rapporto sentimentale, sottolineando come tale condotta sia stata riconosciuta ripetutamente come oggettivamente idonea a configurare il reato di atti persecutori (citando anche giurisprudenza di questa Sezione, dalla quale si evince che integra la condotta di atti persecutori il reiterato invio alla persona offesa di “sms” con messaggi amorosi, ingiuriosi e minatori, veicolati anche a mezzo di plurime telefonate: così Sez. 5, n. 18000 del 9/11/2018, dep. 2019, A., Rv. 276625).
E la Corte territoriale si è anche preoccupata di evidenziare come non rilevi il movente, o il pretesto, sulla base del quale l’agente fondi il proprio comportamento delittuoso, ivi compresa l’aspirazione ad occuparsi delle necessità di un figlio.
Invero, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato è sufficiente, come noto, il dolo generico, e cioè la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire (senza necessità neppure che tali condotte siano preordinate, non essendo la preordinazione un elemento previsto sul fronte della tipicità normativa, potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione): in tal senso, cfr. per tutte Sez. 1, n. 28682 del 25/9/2020, S., Rv. 279726; Sez. 5, n. 43085 del 24/9/2015, A., Rv. 265230; Sez. 5, n. 18999 del 19/2/2014, C, Rv. 260411.
Non rilevano, pertanto, le ragioni più o meno recondite che abbiano spinto l’autore della condotta ad agire, che, si ribadisce, rimangono confinate nell’ambito, irrilevante ai fini della struttura della fattispecie delittuosa, del movente dell’azione.
Tanto più priva di rilievo si dimostra l’eccezione difensiva se si pone mente al fatto che i giudici d’appello hanno sottolineato come le azioni del ricorrente scaturissero non tutte e non sempre da ragioni collegate alla gestione del figlio, ma derivassero spesso anche da situazioni e contesti del tutto avulsi da tale matrice.
- Quanto al secondo ed al terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata ha illustrato le ragioni per le quali la persona offesa è stata ritenuta del tutto credibile e le sue dichiarazioni attendibili, non essendo emerse, peraltro, ragioni alcune di astio nei confronti dell’imputato da parte sua, concordemente a quanto sostenuto nel giudizio di primo grado, alla cui verifica in punto di attendibilità la Corte di merito si è riportata.
I motivi di ricorso, pertanto, si rivelano aspecifici sotto tale profilo, limitandosi ad evidenziare reciproche querele tra imputato e vittima.
Inoltre, emerge dalla motivazione che vi sono ben tre testimoni di riscontro (per quanto non sia necessaria una valutazione ispirata alla regola prevista dall’art. 192 c.p.p., comma 3 per le dichiarazioni della vittima del reato: così Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell’Arte, Rv. 253214), oltre che la documentazione costituita dai messaggi telefonici acquisiti in atti.
Infine, non è superfluo notare come, a dispetto della genericità del lamentato travisamento probatorio relativo all’attendibilità delle dichiarazioni della vittima, questa Corte ha giù più volte affermato che, ai fini della deducibilità del vizio di “travisamento della prova” – che si risolve nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti – è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell’omissione nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (cfr., per tutte, Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv. 280117).
- L’ultimo motivo di ricorso lamenta, anzitutto, che la condotta commessa non sia stata riqualificata nel reato di molestie previsto dall’art. 660 c.p., nonostante manchi la prova di uno degli eventi alternativi previsti dalla fattispecie delittuosa di atti persecutori.
Ebbene, in proposito, a dispetto di quanto dedotto, la Corte d’Appello ed il Tribunale hanno dato conto del verificarsi di almeno due degli eventi alternativi richiesti dall’art. 612-bis per la configurabilità del reato: il grave stato d’ansia e paura in cui è caduta la vittima e, soprattutto, la modifica delle sue abitudini di vita, descritti ampiamente dalla persona offesa, che ha in particolare sottolineato come ella abbia dovuto cambiare il suo modo di comportarsi e abbia deciso di uscire meno di casa e di farsi costantemente accompagnare da qualcuno (vedi pag. 2 della sentenza impugnata), proprio per il timore di incontrare l’imputato, evidentemente impegnato nel perseguitarla costantemente.
Tanto basta a ritenere sussistente il reato in capo al ricorrente, poichè il delitto di atti persecutori ha natura di reato abituale e di danno ad eventi alternativi eventualmente concorrenti tra loro, ciascuno dei quali idoneo a configurarlo (cfr. ex multis Sez. 5, n. 3781 del 24/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280321; Sez. 5, n. 45453 del 3/7/2015, M., Rv. 265506, quest’ultima sentenza ha deciso proprio un caso in cui la vittima, per le reiterate molestie subite, aveva manifestato un perdurante e grave stato d’ansia ed era stata costretta a modificare le proprie abitudini di vita).
In ogni caso, il Collegio condivide il principio, di recente affermato, secondo cui il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all’art. 660 c.p. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, non vi è dubbio possa estrinsecarsi in varie forme di molestie; sicchè si configura il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all’art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 6, n. 23375 del 10/7/2020, M., Rv. 279601, in una fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto di escludere la configurabilità del reato di atti persecutori).
Resta fermo, ovviamente, che, ai fini della sussistenza del reato di atti persecutori piuttosto che di quello di molestie, la prova del turbamento psicologico causato alla vittima deve essere ancorata non soltanto alle dichiarazioni rese dalla stessa ma anche alla obiettiva natura delle condotte molestatrici. Ed infatti, sono utilizzabili a fini di prova del realizzarsi del grave stato d’ansia elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata, in modo che si tenga conto di un’obiettiva idoneità delle molestie a provocare quell’alterazione grave della propria sfera psicologica indicata dalla disposizione incriminatrice (cfr. ancora Sez. 6, n. 23375 del 2020, cit. e Sez. 5, n. 17795 del 2/3/2017, S., Rv. 269621; nonchè Sez. 6, n. 50746 del 14710/2014, G., Rv. 261535).
Ciò perchè le molestie idonee a trasmodare nel reato di atti persecutori sono quelle che si caratterizzano per cagionare uno stato d’ansia in ragione della loro ampiezza, durata e carica lesiva o spregiativa nei confronti della vittima (così ancora la sentenza n. 23375 del 2020, che richiama Sez. 5, n. 29826 del 5/3/2015, P, Rv. 264459).
Si conferma, pertanto, che il criterio discretivo tra le due fattispecie di reato attiene al realizzarsi o meno di uno degli eventi alternativi previsti dal reato di stalking (cfr. Sez. 3, n. 9222 del 16/1/2015, G., Rv. 262517).
Nel caso del ricorrente, come già si è evidenziato, oltre allo stato d’ansia sintomatico del grave turbamento arrecato alla vittima, su cui pure non possono nutrirsi dubbi di sussistenza della prova, alla luce dei criteri sopradetti e per come risulta dalla coerente ricostruzione svolta dalle due sentenze di merito, è stato accertato anche e soprattutto un secondo evento alternativo tipico, e cioè il mutamento delle abitudini di vita causato dalla condotta dell’autore delle molestie persecutorie.
4.1. Infine, la doglianza riferita, nell’ambito dello stesso quarto motivo di ricorso, all’omessa motivazione in ordine alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche è anch’essa manifestamente infondata, poichè espressamente la Corte d’Appello ha ritenuto che l’imputato non fosse meritevole del beneficio suddetto, motivando il proprio convincimento mediante il richiamo alle ragioni che l’hanno convinta a mantenere immutato il trattamento sanzionatorio, valutato del tutto adeguato alla gravità del fatto.
- Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonchè, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000.
5.1. Devono essere liquidate, altresì, le spese sostenute dalla parte civile, che appare congruo quantificare in Euro tremila, oltre accessori di legge.
5.2. Infine, si dispone che, in caso di diffusione del provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che si liquidano in Euro 3.000 oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003,art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021