RESPOSABILITA CONSULENTI FINANZIARI RISARCIMENTO

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AVVOCATO ESPERTO CONSULENTI FINANZIARI BOLOGNA MILANO VICENZA FIRENZE  BERGAMO COMO BRESCIA TORINO

RICEVO PRESSO LO STUDIO DI BOLOGNA E TELòEFONICAMENTE NON DO’ PARERI 

RESPOSABILITA CONSULENTI FINANZIARI RISARCIMENTO

In effetti -per come è fatto palese dalla lettura della motivazione della sentenza appena richiamata- si desume dal combinato disposto degli artt. 21 e 23, comma sesto, e 31, comma terzo, T.U.F. (oltre che dei già citati corrispondenti articoli della normativa previgente) che:

gli artt. 21 e 23, comma sesto, T.U.F., si riferiscono ai comportamenti imputabili in via diretta ai soggetti abilitati ivi contemplati -vale a dire, per quanto qui rileva, alle società di intermediazione mobiliare ed alle banche- dato che solo rispetto alla responsabilità diretta si può porre la questione, risolta appunto dall’art. 23, della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta; siffatto criterio di imputazione di responsabilità è invece estraneo all’art. 31, comma terzo, T.U.F. Infatti, ai sensi di questa norma, il preponente risponde del fatto illecito altrui per il solo rapporto di preposizione e per l’affidamento delle relative incombenze al promotore finanziario di cui si avvale e purché sussista il c.d. nesso di occasionalità necessaria tra queste ultime e le condotte del promotore, secondo quanto si dirà.

Invece, è del tutto irrilevante lo stato soggettivo del preponente (cfr., su quest’ultimo specifico punto, Cass. n. 12448/12, nonché già Cass. n. 20588/04 e, di recente, Cass. n. 18860/15), proprio perché il titolo di responsabilità del preponente per il fatto del promotore prescinde dal dolo o dalla colpa quale criterio di imputazione;

– tuttavia, con la responsabilità per fatto altrui, di cui all’art. 31, comma terzo, T.U.F., certamente può concorrere la responsabilità diretta per fatto proprio del soggetto abilitato, applicandosi in tale eventualità le norme appunto degli artt. 21 e 23 T.U.F., oltre che -in caso di concorso- l’art. 2055 cod. civ. (cfr. Cass. n. 26172/07 cit.);

– qualora, poi, risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale dell’intermediario finanziario per danni subiti dall’investitore, questa Corte -facendo applicazione specifica della regola generale che fa gravare sull’attore l’onere della mera allegazione dell’inadempimento della controparte (cfr. Cass. S.U. n. 13533/2001 e giurisprudenza successiva)- così ritiene disciplinato il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve soltanto allegare l’inadempimento delle obbligazioni specificamente poste a carico della controparte, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario finanziario deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta (cfr. Cass. n. 3773/2009, n. 6708/10 e n. 810/2016, nonché Cass. n. 18039/12 e n. 5089/16, con le quali ultime si è affermato che “Nel giudizio di risarcimento del danno proposto da un risparmiatore, il giudice di merito, per assolvere l’intermediario finanziario dalla responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, non può limitarsi ad affermare che manca la prova della sua negligenza ovvero dell’inadempimento, ma deve accertare se sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico e, in mancanza di tale prova, che è a carico dell’intermediario fornire (art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998), questi sarà tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore. […]”).

2.1. Nel caso di specie, la Corte d’appello si è attenuta ai principi di cui sopra e non è affatto incorsa nell’errore sostenuto dalle ricorrenti. Infatti, ha ritenuto che queste ultime rispondessero sia per fatto proprio, ai sensi degli artt. 21 e 23 T.U.F. (già artt. 6 e 13 della legge n. 1 del 1991 e 17 e 18 del d.lgv. n. 415 del 1996), sia per fatto del promotore finanziario.

La responsabilità per fatto proprio è stata affermata sia nei confronti dell’istituto di credito che nei confronti della società di intermediazione mobiliare.

Quanto al primo, il giudice d’appello ha espressamente ritenuto “un comportamento negligente della banca, che nella specie non avrebbe esercitato la dovuta sorveglianza” in merito alle operazioni di acquisto titoli allo scoperto, accertate, in punto di fatto, come effettuate “senza che al riguardo fosse stata fornita la prova che tale evento era stato autorizzato da un preventivo accordo preso con il cliente”. Quanto alla s.i.m., ha ritenuto “che non avrebbe rispettato le procedure stabilite dalla normativa dettata in materia di intermediazione finanziaria” (pag. 17 della sentenza), sulla base ed in conseguenza degli accertamenti fattuali di cui si dirà a proposito dell’operato del promotore finanziario.

  1. Sentenze contro promotori finanziari
Causa di risarcimento contro promotore finanziario

Una causa di risarcimento contro un promotore finanziario può essere avviata quando il promotore ha commesso atti illeciti o violazioni delle norme professionali, causando un danno economico al cliente. Alcune delle cause più comuni che possono portare a una richiesta di risarcimento includono:

  1. Consulenza Inadeguata: Se il promotore finanziario ha fornito consulenza errata o non adeguata al profilo di rischio del cliente, portando a perdite finanziarie.
  2. Mancata Informazione: Se il promotore non ha informato adeguatamente il cliente sui rischi associati a un investimento o se ha omesso informazioni rilevanti.
  3. Conflitto di Interesse: Se il promotore ha agito in conflitto di interesse, ad esempio raccomandando investimenti che beneficiavano lui o terze parti, a discapito del cliente.
  4. Violazione delle Norme: Se il promotore ha violato leggi o regolamenti finanziari, come il Testo Unico della Finanza (TUF) in Italia, o le regole dettate dagli organismi di vigilanza (come la CONSOB).
  5. Appropriazione Indebita: Se il promotore ha sottratto fondi dal conto del cliente o ha agito in modo fraudolento.
  6. Vendita Aggressiva: Se il promotore ha spinto il cliente ad effettuare investimenti non adeguati attraverso pratiche di vendita aggressive o ingannevoli.

Per avviare una causa di risarcimento, il cliente dovrà dimostrare il danno subito, il nesso di causalità tra l’azione del promotore e il danno, e l’elemento di colpa o dolo da parte del promotore. È consigliabile rivolgersi a un avvocato specializzato in diritto finanziario per valutare le prove disponibili e la possibilità di successo della causa.

Falsa rendicontazione promotore finanziario
Doveri del consulente finanziario
Appropriazione indebita consulente finanziario

L’appropriazione indebita da parte di un consulente finanziario si verifica quando quest’ultimo utilizza o si appropria indebitamente dei fondi o degli asset dei suoi clienti per fini personali o per scopi non autorizzati. Questo comportamento è considerato un reato e può comportare gravi conseguenze legali, tra cui multe, sanzioni e reclusione, oltre alla revoca della licenza professionale.

Ecco un esempio di come potrebbe avvenire:

  1. Accesso ai fondi del cliente: Un consulente finanziario ha accesso ai conti o ai fondi di un cliente per gestirli o investirli secondo gli obiettivi finanziari stabiliti.
  2. Uso indebito: Invece di gestire i fondi come concordato, il consulente li utilizza per scopi personali, come pagare debiti propri, investire in attività non autorizzate o semplicemente sottrarre denaro.
  3. Conseguenze legali: Se scoperto, il consulente finanziario può essere denunciato dal cliente. Le autorità possono intervenire, avviando un’indagine e, in caso di prove sufficienti, accusare formalmente il consulente di appropriazione indebita.

Prevenzione

Per prevenire tali situazioni, i clienti possono:

  • Monitorare regolarmente i propri conti: Verificare frequentemente gli estratti conto e le attività di investimento.
  • Richiedere trasparenza: Chiedere al consulente finanziario di fornire documentazione dettagliata su tutte le operazioni eseguite.
  • Utilizzare terze parti: Implementare l’uso di sistemi di controllo da parte di terzi per monitorare le attività del consulente.

Sanzioni

Le sanzioni per appropriazione indebita variano in base alla giurisdizione e alla gravità del reato, ma possono includere:

  • Restituzione dei fondi: Il consulente potrebbe essere obbligato a restituire l’intero importo sottratto.
  • Multa: Potrebbe essere imposta una multa significativa.
  • Reclusione: Nei casi più gravi, il consulente potrebbe affrontare pene detentive.
  • Perdita della licenza: Il consulente rischia di perdere la licenza e quindi il diritto a operare nel settore finanziario.

In sintesi, l’appropriazione indebita è un crimine grave e chiunque sospetti di essere vittima di tale condotta dovrebbe agire prontamente per proteggere i propri interessi finanziari.

Responsabilità Private banker
OCF
Denunciare la banca per appropriazione indebita
  • La Corte ha enunciato e correttamente applicato il principio di diritto per il quale, ai fini della perdita dei benefici assicurativi, ai sensi dell’articolo 1915 cod. civ., non occorre lo specifico e fraudolento intento di creare danno all’assicuratore, essendo sufficiente la consapevolezza dell’obbligo previsto dalla suddetta norma e la cosciente volontà di non osservarlo (Cass.  14579/07, n. 17088/14, n. 13355/15).
  • Né la sentenza risulta in contrasto con l’ 1915 cod. civ., come interpretato -secondo l’assunto della ricorrente- dal precedente di questa Corte n. 24733/07(col quale si è esclusa la rilevanza della sola conoscenza del sinistro da parte dell’assicurato), poiché la Corte d’appello non si è limitata a dare conto del fatto che l’assicurata avesse avuto conoscenza del sinistro ad una certa data, ma ha evidenziato come da questa data fossero decorsi oltre nove mesi prima che fosse dato avviso all’assicuratore ed ha valorizzato -quanto all’accertamento della cosciente volontà dell’assicurata di non rispettare l’obbligo dell’avviso- sia il tenore dell’atto di messa in mora, proveniente dal legale degli investitori (e relativo ad “evento dannoso oggetto della copertura assicurativa”, come specificato in sentenza), che il contenuto della polizza che espressamente richiamava il disposto dell’art. 1915.

 

 

  • Col primo motivo del ricorso incidentale, denunciando “erronea e/o falsa applicazione dell’ 23, comma 6, del TUF”, si sostiene l’inapplicabilità di questa norma in caso di responsabilità indiretta dell’intermediario finanziario ai sensi dell’art. 31, comma terzo, TUF.
  • Si aggiunge che, comunque, nel caso di specie, sarebbero rimasti inadempiuti da parte degli attori, poi appellanti, gli oneri di allegazione e di prova di cui si è detto trattando del primo motivo del ricorso principale.
  • Conseguentemente, va applicato il principio di diritto, che qui si ribadisce, per il quale “La condanna generica al risarcimento del danno, avendo come contenuto una mera “declaratoria iuris” postula quale presupposto necessario e sufficiente a legittimarla, l’accertamento di un fatto ritenuto dal giudice, alla stregua di un giudizio di probabilità, potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, restando impregiudicato l’accertamento, riservato al giudice della liquidazione, dell’esistenza e dell’entità del danno, nonché del nesso di causalità tra questo ed il fatto illecito […]” (così già Cass.  4511/97, nonché Cass. n. 17297/06, n. 29202/08; e, più recentemente, Cass. n. 24002/11e n. 20444/16).
  • Le condotte accertate come sopra sono potenzialmente produttive di danni per i singoli investitori, fermo restando che questi danni andranno individuati da ciascuno danneggiato, nel relativo giudizio sul quantum, e che comunque la prova del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’intermediario finanziario e i danni lamentati dall’investitore può essere anche di carattere presuntivo (cfr., tra le altre, Cass.  3773/09, n. 14056/10, n. 29864/11e n. 5089/16, nonché di recente Cass. n. 12544/17).
  • In conclusione, i primi tre motivi del ricorso principale ed i primi due del ricorso incidentale vanno rigettati.

Cassazione civile – Sezione III – Sentenza 31 luglio 2017, n. 18928

Integrale:

Cassazione civile – Sezione III – Sentenza 31 luglio 2017, n. 18928

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROBERTA VIVALDI – Presidente

Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA – Rel. Consigliere

Dott. AUGUSTO TATANGELO – Consigliere

Dott. ANTONELLA PELLECCHIA – Consigliere

Dott. ANNA MOSCARINI – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 6607-2014 proposto da:

FI in persona dell’Amministratore Delegato, Dott. AL. FO., elettivamente domiciliata in (oscurato), presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO NESPOLI, FEDERICO CAMOZZI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

  1. MA., PR. AU., GR. SI., MA. RA., PO. EM., DE SI. GI., DE CE. LO., RO. PA., BA. EM., GR. GI., BA. FA., elettivamente domiciliati in (oscurato)l, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CUCCI, che li rappresenta e difende giuste procure a margine del controricorso;

– controricorrenti –

nonché contro

  1. NI. AN., UN, AL. SPA , SE. AN. RA., CI. FR.;

– intimati –

Nonché da:

  1. SPA , in persona dei procuratori dott.ssa AN. GE.e dott. AN. CE., elettivamente domiciliata in (oscurato), presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
  2. PR., TA. PI., IA. AL., GE. SI., CO. GI., TA. FI., CO. FR., RO. CA., PO. PI., EREDI DI LU. MA. TE. COLLETTIVAMENTE ED IMPERSONALMENTE, MA. DA., GE. SA. CL., TE. LI., SA. GI., BR. AD., elettivamente domiciliati in (oscurato), presso lo studio dell’avvocato CARLO DE PORCELLINIS, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICCARDO RESTUCCIAgiusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

FI , in persona dell’Amministratore Delegato, Dott. AL. FO., elettivamente domiciliata in (oscurato), presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO NESPOLI, FEDERICO CAMOZZI giusta procura a margine del ricorso principale;

– controricorrente all’incidentale –

nonché contro

  1. FR., UN. SPA , SE. AN. RA., RO. PA., PR. AU., PO. EM., MA. RA., GR. SI., GR. GI., DE SI. GI., PA. NI. AN., DE CE. LO., BA. MA., BA. FA., BA. EM.,

– intimati –

nonché da

UN, in persona dell’avv. SI. FA. in qualità di procuratore speciale, elettivamente domiciliata in (oscurato), presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARBONETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato FABRIZIO CARBONETTI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

  1. MA., PR. AU., GR. SI., MA. RA., PO. EM., DE SI. GI., DE CE. LO., RO. PA., BA. EM., GR. GI., BA. FA., elettivamente domiciliati in (oscurato)l, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CUCCI, che li rappresenta e difende giuste procure a margine del controricorso;
  2. PR., TA. PI., IA. AL., GE. SI., CO. GI., TA. FI., CO. FR., RO. CA., PO. PI., EREDI DI LU. MA. TE. COLLETTIVAMENTE ED IMPERSONALMENTE, MA. DA., GE. SA. CL., TE. LI., SA. GI., BR. AD., elettivamente domiciliati in (oscurato), presso lo studio dell’avvocato CARLO DE PORCELLINIS, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICCARDO RESTUCCIAgiusta procura in calce al controricorso;

FI in persona dell’Amministratore Delegato, Dott. AL. FO., elettivamente domiciliata in (oscurato), presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO NESPOLI, FEDERICO CAMOZZI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

  1. AN., CI. FR., AL. SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 493/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso per il rigetto dei ricorsi principali e assorbito ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato RICCARDO RESTUCCIA;

udito l’Avvocato GIAMMARIA CAMICI;

udito l’Avvocato MASSIMO NESPOLI;

udito l’Avvocato ANTONIO MANGANIELLO per delega;

Fatti di causa

  1. Con la sentenza impugnata, pubblicata il 24 gennaio 2013, la Corte d’appello di Roma ha accolto gli appelli, principale ed incidentale, proposti avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 23 gennaio 2010, e, per l’effetto, ha condannato An. Ra. Se., in qualità di promotore finanziario, nonché UN(già CR IT) e FI(già XE BA.), in qualità rispettivamente di istituto di credito col quale erano intrattenuti i rapporti contrattuali (di deposito titoli e di conto corrente) e di società intermediaria preponente, tutti in solido tra loro, al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore degli appellanti, che si erano avvalsi dell’attività professionale del primo; ha rigettato la domanda di manleva proposta dalla FI nei confronti della Al. S.p.A. (già RA.) e la domanda di manleva proposta dalla UN. nei confronti di An. Ra. Se.; ha condannato gli appellati al pagamento delle spese del doppio grado in favore degli appellanti e FI al pagamento delle spese del doppio grado in favore di Al. S.p.A.

La Corte d’appello ha reputato che il rapporto di fiducia instaurato col promotore finanziario non avesse fatto venire meno il nesso di occasionalità necessaria tra l’incarico conferito dalla preponente e gli illeciti commessi dal Se. e che trovassero applicazione sia l’art. 23, comma sesto, TUF e l’art. 13, comma decimo, della legge n. 1/1991, che l’art. 31 TUF e l’art. 5 della legge n. 1/1991, a seconda rispettivamente dei periodi presi in considerazione.

Quanto alla domanda di manleva avanzata da FI nei confronti di Al. S.p.A., la Corte d’appello ha accolto l’eccezione di decadenza dal diritto all’indennizzo in capo all’assicurata, avanzata dall’assicuratrice, ai sensi degli artt. 1915 e 1917 cod. civ.

  1. FIha impugnato la sentenza con ricorso basato su cinque motivi.

UN ha proposto ricorso successivo basato su quattro motivi.

Em. Ba. e gli altri dieci resistenti indicati in epigrafe hanno replicato ai due ricorsi con distinti controricorsi.

A loro volta, Ad. Br. e le altre quattordici parti resistenti indicate in epigrafe hanno replicato ai due ricorsi con distinti controricorsi (il primo intitolato anche “ricorso incidentale”) e con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

FI ha proposto controricorso al ricorso notificato da UN

Al. S.p.A. ha proposto controricorso e ricorso incidentale condizionato, cui ha resistito FI con controricorso.

Entrambe hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

Gli altri intimati non si sono difesi.

Ragioni della decisione

  1. Premesso che il ricorso successivamente notificato e depositato da UNrispetto a quello avanzato da FIva considerato come ricorso incidentale (cfr. Cass. n. 5695/15 e n. 2516/16, tra le più recenti), vanno esaminati congiuntamente i primi tre motivi del ricorso principale ed i primi due del ricorso incidentale, in quanto tutti relativi all’individuazione delle norme applicabili in tema di responsabilità solidale del promotore finanziario, della società di intermediazione mobiliare preponente e dell’istituto di credito titolare dei rapporti contrattuali con gli investitori.

1.1. Col primo motivo del ricorso principale, denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c. c., dell’art. 13, decimo comma, L. n. 1 del 2.1.1991 e dell’art. 23, sesto comma, D.Lgs. n. 58/1998, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”, si sostiene che queste norme speciali (per le quali l’intermediario finanziario è tenuto a dimostrare di aver agito con la specifica diligenza richiesta) non si applicherebbero nell’ipotesi di responsabilità oggettiva indiretta dell’intermediario, ai sensi degli artt. 5 della legge n. 1/91 e 31 del decreto legislativo n. 58/98, quando cioè risponde per asseriti comportamenti illeciti del promotore finanziario. Con la conseguenza, secondo la ricorrente, che sarebbe spettato agli attori, poi appellanti, fornire la prova sia dei comportamenti illeciti posti in essere dal promotore finanziario, sia del nesso di occasionalità necessaria fra questi illeciti e l’incarico conferito dall’intermediario autorizzato, sia, ancora, del danno asseritamente subito (mentre gli attori, poi appellanti, non avrebbero specificato né le operazioni poste in essere dal promotore finanziario senza autorizzazione, né le perdite derivate da queste operazioni, né quali operazioni alternative avrebbero inteso porre in essere), sia, infine, della riconducibilità del danno ai lamentati illeciti.

La ricorrente aggiunge che, anche a voler ritenere operante il principio in materia di inversione dell’onere della prova dettato dalle norme di cui sopra, nel caso di specie gli attori, poi appellanti, non avrebbero nemmeno allegato l’inadempimento da parte dell’intermediario finanziario delle obbligazioni su di lui specificamente incombenti, né avrebbero fornito la prova del danno e del nesso di causalità tra questo ed i lamentati inadempimenti, così restando inottemperanti sia all’onere di allegazione che all’onere della prova loro spettanti secondo la giurisprudenza di legittimità (come da sentenza n. 6708/2010, richiamata in ricorso).

1.2. Col secondo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione degli artt. 5, L. n. 1/91, e 31, D.Lgs. n. 58/98, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.”, si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente il nesso di occasionalità necessaria tra l’attività del promotore finanziario e la consumazione degli illeciti, sostenendosi che la vicenda in esame sarebbe stata connotata da plurimi elementi di “evidente anomalia”. Questi, che sarebbero stati ravvisati dal primo giudice e non smentiti dal secondo, avrebbero dovuto indurre la Corte d’appello, secondo la ricorrente, ad escludere la responsabilità solidale dell’intermediario autorizzato.

1.3. Col terzo motivo, denunciando “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.”, si torna a dire degli “evidentissimi e pacifici elementi di anomalia” che avrebbero caratterizzato la vicenda e che, essendo stati oggetto di discussione tra le parti e della sentenza di primo grado, non sarebbero stati – secondo la ricorrente – considerati, ma nemmeno smentiti, dalla sentenza di secondo grado.

1.4. Col primo motivo del ricorso incidentale, denunciando “erronea e/o falsa applicazione dell’art. 23, comma 6, del TUF”, si sostiene l’inapplicabilità di questa norma in caso di responsabilità indiretta dell’intermediario finanziario ai sensi dell’art. 31, comma terzo, TUF.

Si aggiunge che, comunque, nel caso di specie, sarebbero rimasti inadempiuti da parte degli attori, poi appellanti, gli oneri di allegazione e di prova di cui si è detto trattando del primo motivo del ricorso principale.

1.5. Col secondo motivo, denunciando “erronea e/o falsa applicazione dell’art. 31 del TUF”, si sostiene l’inapplicabilità del terzo comma di questa norma nei confronti di UN, poiché non vi sarebbe stato alcun rapporto di preposizione tra la banca ed An. Sa., in quanto questi operava quale promotore finanziario dell’allora denominata UN SI., poi fusasi in XE BA., ceduta nelle more del giudizio a FI

  1. I predetti motivi non meritano di essere accolti.

Quanto ai rapporti tra la previsione dell’art. 31, co. 3 0 , del d.lgv. n. 58 del 1998 (già art. 5, co. 4, della legge n. 1 del 1991 e poi art. 23 del d.lgv. n.415 del 1996) e quelle degli artt. 21 e 23, ult.co ., del d.lgv. n. 58 del 1998 (già artt. 6 e 13, co. 10 0 , della legge n. 1 del 1991 e poi artt. 17 e 18 del d.lgv. n. 415 del 1996), va richiamato e precisato il principio di diritto, già affermato da questa Corte, e fatto oggetto della seguente massima: “In tema di responsabilità indiretta della società di intermediazione mobiliare (S.I.M.) per i danni arrecati a terzi dai promotori finanziari nello svolgimento delle incombenze loro affidate, l’accertamento di un rapporto di necessaria occasionalità tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni affidategli comporta l’insorgenza di una responsabilità diretta a carico della società, la cui configurabilità non è preclusa dall’art.5, comma 4, della legge n. 1 del 1991 (ed ora art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 58 del 1998), il quale si limita a prevedere un’estensione della responsabilità al fatto altrui, non impedendo tuttavia anche l’accertamento della potenziale responsabilità per fatto proprio, ai sensi dell’art. 2055 cod. civ.”. (così Cass. n. 26172/2007).

In effetti -per come è fatto palese dalla lettura della motivazione della sentenza appena richiamata- si desume dal combinato disposto degli artt. 21 e 23, comma sesto, e 31, comma terzo, T.U.F. (oltre che dei già citati corrispondenti articoli della normativa previgente) che:

– gli artt. 21 e 23, comma sesto, T.U.F., si riferiscono ai comportamenti imputabili in via diretta ai soggetti abilitati ivi contemplati -vale a dire, per quanto qui rileva, alle società di intermediazione mobiliare ed alle banche- dato che solo rispetto alla responsabilità diretta si può porre la questione, risolta appunto dall’art. 23, della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta; siffatto criterio di imputazione di responsabilità è invece estraneo all’art. 31, comma terzo, T.U.F. Infatti, ai sensi di questa norma, il preponente risponde del fatto illecito altrui per il solo rapporto di preposizione e per l’affidamento delle relative incombenze al promotore finanziario di cui si avvale e purché sussista il c.d. nesso di occasionalità necessaria tra queste ultime e le condotte del promotore, secondo quanto si dirà.

Invece, è del tutto irrilevante lo stato soggettivo del preponente (cfr., su quest’ultimo specifico punto, Cass. n. 12448/12, nonché già Cass. n. 20588/04 e, di recente, Cass. n. 18860/15), proprio perché il titolo di responsabilità del preponente per il fatto del promotore prescinde dal dolo o dalla colpa quale criterio di imputazione;

– tuttavia, con la responsabilità per fatto altrui, di cui all’art. 31, comma terzo, T.U.F., certamente può concorrere la responsabilità diretta per fatto proprio del soggetto abilitato, applicandosi in tale eventualità le norme appunto degli artt. 21 e 23 T.U.F., oltre che -in caso di concorso- l’art. 2055 cod. civ. (cfr. Cass. n. 26172/07 cit.);

– qualora, poi, risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale dell’intermediario finanziario per danni subiti dall’investitore, questa Corte -facendo applicazione specifica della regola generale che fa gravare sull’attore l’onere della mera allegazione dell’inadempimento della controparte (cfr. Cass. S.U. n. 13533/2001 e giurisprudenza successiva)- così ritiene disciplinato il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve soltanto allegare l’inadempimento delle obbligazioni specificamente poste a carico della controparte, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario finanziario deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta (cfr. Cass. n. 3773/2009, n. 6708/10 e n. 810/2016, nonché Cass. n. 18039/12 e n. 5089/16, con le quali ultime si è affermato che “Nel giudizio di risarcimento del danno proposto da un risparmiatore, il giudice di merito, per assolvere l’intermediario finanziario dalla responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, non può limitarsi ad affermare che manca la prova della sua negligenza ovvero dell’inadempimento, ma deve accertare se sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico e, in mancanza di tale prova, che è a carico dell’intermediario fornire (art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998), questi sarà tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore. […]”).

2.1. Nel caso di specie, la Corte d’appello si è attenuta ai principi di cui sopra e non è affatto incorsa nell’errore sostenuto dalle ricorrenti. Infatti, ha ritenuto che queste ultime rispondessero sia per fatto proprio, ai sensi degli artt. 21 e 23 T.U.F. (già artt. 6 e 13 della legge n. 1 del 1991 e 17 e 18 del d.lgv. n. 415 del 1996), sia per fatto del promotore finanziario.

La responsabilità per fatto proprio è stata affermata sia nei confronti dell’istituto di credito che nei confronti della società di intermediazione mobiliare.

Quanto al primo, il giudice d’appello ha espressamente ritenuto “un comportamento negligente della banca, che nella specie non avrebbe esercitato la dovuta sorveglianza” in merito alle operazioni di acquisto titoli allo scoperto, accertate, in punto di fatto, come effettuate “senza che al riguardo fosse stata fornita la prova che tale evento era stato autorizzato da un preventivo accordo preso con il cliente”. Quanto alla s.i.m., ha ritenuto “che non avrebbe rispettato le procedure stabilite dalla normativa dettata in materia di intermediazione finanziaria” (pag. 17 della sentenza), sulla base ed in conseguenza degli accertamenti fattuali di cui si dirà a proposito dell’operato del promotore finanziario.

Va precisato che la responsabilità diretta dell’istituto di credito, oggi UN., è di natura contrattuale, avendo gli investitori stipulato con l’allora CR. IT. contratti di conto corrente e di deposito titoli, come specificati nell’atto introduttivo riportato anche in ricorso.

Per contro, la responsabilità diretta della società di intermediazione mobiliare -così come configurata dal giudice di merito- è di natura extracontrattuale, poiché, come nota FI, la s.i.m. non risulta essere stata legata agli investitore da alcun rapporto contrattuale, essendo il Se. un agente senza rappresentanza.

Tuttavia, il fatto che non vi fosse un vincolo contrattuale non vale, di per sé solo, ad escludere qualsivoglia responsabilità della s.i.m. per fatto proprio, in mancanza di apposita censura dell’accertamento fattuale sopra specificato.

D’altronde, l’una e l’altra delle odierne ricorrenti rispondono per il fatto altrui (del promotore finanziario), in concorso con la responsabilità per fatto proprio.

  1. In merito alla responsabilità del promotore finanziario, il giudice ha infatti accertato che il Se. operò: senza farsi rilasciare dai clienti né mandato con atto scritto né singoli ordini di acquisto e di vendita titoli per iscritto; senza stabilire con i clienti il profilo di rischio da rispettare nell’acquisto dei titoli; senza consegnare alcun prospetto informativo né la liberatoria per il collocamento dei titoli Un., effettuando operazioni allo scoperto, senza autorizzazione.

Si tratta di accertamenti in fatto insindacabili in questa sede e comunque non specificamente censurati (anche in punto di risultanze della CTU, dettagliatamente richiamate in sentenza), tanto che risultano manifestamente scollegati dalle emergenze processuali i rilievi delle ricorrenti sul mancato assolvimento degli oneri di allegazione e di prova gravanti sugli investitori.

Quanto alla responsabilità delle società preponenti per i fatti addebitati al promotore finanziario, il giudice d’appello, oltre ad aver accertato come sopra i comportamenti illeciti del Se., ha altresì ritenuto la totale riconducibilità di queste condotte all’attività di promotore finanziario, svolta su incarico della s.i.m. e nell’interesse dell’istituto di credito. Così decidendo, ha fatto corretta applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte in tema di nesso c.d. di occasionalità necessaria tra i compiti affidati al promotore finanziario e gli illeciti commessi, che costituisce il presupposto per l’affermazione della responsabilità della preponente.

Questi principi si compendiano nelle seguenti massime:

– “In tema di intermediazione finanziaria, l’intermediario preponente risponde in solido del danno causato al risparmiatore dai promotori finanziari da lui indicati in tutti i casi in cui sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il fatto del promotore e le incombenze affidategli. Tale responsabilità sussiste non solo quando detto promotore sia venuto meno ai propri doveri nell’offerta dei prodotti finanziari ordinariamente negoziati dalla società preponente, ma anche in tutti i casi in cui il suo comportamento, fonte di danno per il risparmiatore, rientri comunque nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle incombenze affidategli” (così Cass. n. 1741/11, citata nella sentenza; ma cfr., tra le altre, anche Cass. n. 6829/11 , secondo cui non “[…] rileva che il comportamento del promotore abbia esorbitato dal limite fissato dalla società, essendo sufficiente che la sua condotta sia stata agevolata e resa possibile dall’inserimento del promotore stesso nell’attività della società d’intermediazione mobiliare e si sia realizzata nell’ambito e coerentemente alle finalità in vista delle quali l’incarico è stato conferito, in maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l’attività posta in essere, per la consumazione dell’illecito, rientrasse nell’incarico affidato”);

-“In tema di contratti di intermediazione finanziaria, al fine di escludere la responsabilità solidale dell’intermediario per gli eventuali danni arrecati ai terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, non è sufficiente la mera consapevolezza da parte dell’investitore della violazione da parte del promotore delle regole di comportamento poste a tutela dei risparmiatori, ma occorre che i rapporti tra promotore ed investitore presentino connotati di anomalia, se non addirittura di connivenza o di collusione in funzione elusiva della disciplina legale. Incombe all’investitore l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore, mentre spetta all’intermediario quello di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore.”” (così già Cass. n. 6708/10, nonché, tra le altre, Cass. n. 27925/13 e Cass. n. 22956/15, anche per la precisazione che, per ritenere l’estraneità della banca al fatto del promotore, sì da interrompere il nesso causale ed escludere la responsabilità dell’istituto di credito, è necessario che la condotta dell’investitore si configuri, se non come collusione, quanto meno come consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore – con accertamento che compete insindacabilmente al giudice di merito).

3.1. Con riferimento alla posizione di FI, il rapporto di preposizione, non è in discussione. D’altronde, trattandosi di società di intermediazione mobiliare svolgente, tra l’altro, il servizio di collocamento di cui all’art. 1, quinto comma, lett. c) e c bis) del T.U.F., è soggetta alla previsione dell’art. 31, comma terzo, T.U.F., a prescindere dalla sussistenza o meno di rapporti contrattuali diretti con gli investitori.

Accertato il rapporto di preposizione tra la oggi FI ed il Se. (quale agente dell’allora XE BA.), la Corte d’appello ha escluso che il rapporto fiduciario instaurato tra gli investitori ed il promotore finanziario, anche se protrattosi per diversi anni, valesse ad interrompere il nesso di occasionalità necessaria palesemente esistente tra i comportamenti del primo e le incombenze affidategli dalla XE BA.

Quanto alle asserite “anomalie” del rapporto predetto -su cui la ricorrente principale si intrattiene col secondo e col terzo motivo, oltre che con la memoria depositata ex art. 378 cod. proc. civ.- è sufficiente rilevare che non di collusione né di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole di condotta da parte del promotore finanziario si è trattato, ma di fatti e di circostanze del tutto irrilevanti ai fini dell’interruzione del nesso di causalità. Tali sono infatti i rapporti -erroneamente valorizzati dal primo giudice al fine di escludere la responsabilità della preponente- basati, come detto, sul rapporto fiduciario tra gli odierni resistenti ed il Se. (e consistiti nella consapevolezza e nell’approvazione da parte dei primi -anche mediante non contestazione degli estratti periodici dei conti correnti e delle posizioni dei conti deposito titoli, se ed in quanto inviati dalla banca- delle operazioni irregolari compiute dal secondo, senza tuttavia che sia emerso che i clienti fossero mossi da scopi elusivi della disciplina legale o fossero consapevoli di questi scopi in capo al promotore finanziario o comunque avessero agito per finalità estranee ai contratti in essere con la banca). Questi rapporti fiduciari, non sono idonei -secondo l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato e qui condiviso- a dare luogo a quelle “anomalie” significative, che fanno sì che l’operato del promotore finanziario si svolga in ambito del tutto estraneo a quello delle mansioni affidategli dalla preponente e che tale estraneità si manifesti anche rispetto all’investitore. Pertanto, è conforme a diritto e non è viziata, nemmeno quanto alla motivazione, la sentenza impugnata che, pur non smentendo detti rapporti fiduciari, abbia ritenuto la riconducibilità dell’operato del promotore finanziario all’incarico affidatogli dalla s.i.m. preponente, oggi FI

3.2. Col secondo motivo del ricorso incidentale, UN contesta che il Serra fosse legato all’allora CR IT da un rapporto di preposizione. In effetti, non risulta dalla sentenza che vi fosse tra le parti un contratto in forza del quale il Se. esercitasse la propria attività professionale anche per detto istituto di credito. Tuttavia, è pacifico che gli investitori, odierni resistenti, abbiano intrattenuto i loro rapporti contrattuali -specificamente rapporti di deposito titoli e di conto corrente bancario- con il CR IT, poi UN BA., oggi UN Parimenti accertato, in punto di fatto, è che il Se., pur essendo legato da contratto di agenzia con la società di intermediazione mobiliare -all’epoca XE BA., già SI. UN (il cui pacchetto azionario era peraltro detenuto al 100% dall’istituto di credito)- operasse nei locali delle agenzie del Cr. It., prima di Os. 2 e poi di Ro. 36, via (oscurato), presso le quali erano accesi i detti conti intestati agli investitori. Ancora, i titoli collocati dalla s.i.m., per il tramite dell’agente, erano negoziati da quest’ultimo presso il CR IT, che, in ragione dei contratti di deposito titoli, svolgeva per i clienti il servizio di negoziazione e ricezione ordini ai sensi dell’art. 1, quinto comma, lett. d) del T.U.F. Data questa situazione di fatto, è corretta la sentenza che, oltre ad aver ritenuto la responsabilità diretta dell’istituto di credito svolgente servizi ed attività di investimento -come detto trattando del primo motivo-, ne ha affermato anche la responsabilità indiretta per fatto del promotore finanziario. Infatti, nella prestazione di detti servizi ed attività, UN si è avvalsa dell’operato di quest’ultimo ed, a sua volta, il Se. si presentava agli investitori come operante (anche) su incarico dell’istituto di credito. Con la conseguenza che la banca contraente risponde dei danni provocati dal predetto, per il duplice ordine di ragioni evincibili dalla sentenza impugnata: in primo luogo, quale incaricato dell’adempimento delle obbligazioni facenti capo al CR IT nei rapporti intrattenuti con i propri correntisti (cfr. art. 1228 cod. civ., anche in riferimento all’art. 31 T.U.F.), non essendo necessario che il terzo sia legato alla parte contraente da vincolo di dipendenza (cfr. Cass. n. 10616/12); in secondo luogo, in ragione dell’affidamento ingenerato negli investitori(cfr., per la rilevanza della situazione apparente, colpevolmente creata dal soggetto responsabile: cfr. Cass. n. 8229/06; Cass. n. 17393/09; Cass. n. 21729/10, in motivazione), per aver fatto credere ai clienti della banca di essere stabilmente inserito sia nell’attività della s.i.m. che in quella dell’istituto di credito presso la cui agenzia aveva l’ufficio (come da accertamento del giudice di merito, non specificamente censurato dalla ricorrente).

  1. Quanto, infine, all’asserita mancanza di prova del danno e del nesso di causalità tra questo danno, da un lato, ed i comportamenti del promotore finanziario e/o gli inadempimenti delle preponenti, dall’altro, va sottolineato che la sentenza impugnata reca una condanna generica al risarcimento dei danni.

Questa statuizione non è stata censurata.

Conseguentemente, va applicato il principio di diritto, che qui si ribadisce, per il quale “La condanna generica al risarcimento del danno, avendo come contenuto una mera “declaratoria iuris” postula quale presupposto necessario e sufficiente a legittimarla, l’accertamento di un fatto ritenuto dal giudice, alla stregua di un giudizio di probabilità, potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, restando impregiudicato l’accertamento, riservato al giudice della liquidazione, dell’esistenza e dell’entità del danno, nonché del nesso di causalità tra questo ed il fatto illecito […]” (così già Cass. n. 4511/97, nonché Cass. n. 17297/06, n. 29202/08; e, più recentemente, Cass. n. 24002/11 e n. 20444/16).

Le condotte accertate come sopra sono potenzialmente produttive di danni per i singoli investitori, fermo restando che questi danni andranno individuati da ciascuno danneggiato, nel relativo giudizio sul quantum, e che comunque la prova del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’intermediario finanziario e i danni lamentati dall’investitore può essere anche di carattere presuntivo (cfr., tra le altre, Cass. n. 3773/09, n. 14056/10, n. 29864/11 e n. 5089/16, nonché di recente Cass. n. 12544/17).

In conclusione, i primi tre motivi del ricorso principale ed i primi due del ricorso incidentale vanno rigettati.

  1. In merito ai restanti motivi del ricorso incidentale di UNsi osserva quanto segue.

Col terzo motivo si denuncia il “vizio di omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio (nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto). Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.” perché la Corte d’appello non si è pronunciata sull’eccezione di nullità dell’atto di citazione, avanzata in primo grado e reiterata in secondo.

5.1. Il motivo è inammissibile sia perché il vizio di omessa pronuncia non è denunciabile ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., sia perché esso non è configurabile in relazione ad eccezioni meramente processuali, quale è quella di specie (cfr., da ultimo, Cass. n. 321/16, secondo cui “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale […] non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”).

D’altronde, la soluzione implicitamente data dai giudici di merito alla questione di sufficiente determinatezza dell’atto introduttivo del giudizio non è stata altrimenti e validamente censurata dalla ricorrente.

  1. Col quarto motivo la ricorrente incidentale denuncia il “vizio di omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio (intervenuta prescrizione della domanda di risarcimento). Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.” perché la Corte d’appello avrebbe ritenuto di “non affrontare” l’eccezione di prescrizione, che sarebbe stata avanzata dalle originarie convenute.

6.1. Il motivo, oltre ad essere inammissibile per la mancata indicazione delle modalità e dei tempi di proposizione dell’eccezione di prescrizione nel primo e nel secondo grado di giudizio, e per l’erronea indicazione del vizio del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (piuttosto che del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.), è infondato. La Corte d’appello si è pronunciata sulla prescrizione, affermando l’irrilevanza della questione nel presente giudizio, concluso con una condanna generica, e comunque la sua riferibilità tutt’al più ad alcuni degli illeciti denunciati, più risalenti nel tempo. Il vizio di omessa pronuncia evidentemente non sussiste.

Il ricorso incidentale va perciò rigettato.

  1. Vanno infine esaminati i motivi del ricorso principale concernenti la domanda di manleva di FInei confronti di Al. S.p.A.

Al riguardo la Corte di merito ha accertato che la FI, pur avendo avuto conoscenza della possibile esistenza di un evento dannoso, oggetto della copertura assicurativa, fin dal 14 giugno 2002, ha provveduto ad informare la compagnia di assicurazione soltanto il 21 marzo 2003. Ha quindi ritenuto che l’assicurata sia incorsa in inadempimento doloso, non solo colposo, ai sensi dell’art. 1915 cod. civ. (come richiamato dall’art. 11 delle condizioni generali di assicurazione), perché, per configurare il dolo, non si richiede lo specifico e fraudolento intento di recare danno all’assicuratore, ma è sufficiente la consapevolezza dell’obbligo, riscontrata nel caso di specie (cfr. pag. 20 della sentenza).

7.1. Col quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1913 e 1915 cod. civ., perché il primo comma di questa seconda norma comminerebbe, a detta della ricorrente, la perdita del diritto all’indennizzo dell’assicurato solo in presenza di un quid pluris rispetto alla mera consapevolezza della verificazione del sinistro e dell’obbligo di segnalarlo, consistente nell’intenzione di non dare luogo alla segnalazione. Secondo la ricorrente, il giudice non avrebbe correttamente applicato la norma, così come interpretata dalla Cassazione (in particolare, con le sentenze n. 24733/2007 e n. 1196/1989), ma anche dalla stessa Corte d’appello di Roma in altro caso analogo (di cui alla sentenza in data 8 ottobre 2008).

7.2. Col quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2727 e 2729 cod. civ. La ricorrente assume che la compagnia, gravata del relativo onere, non avrebbe fornito la prova dell’inadempimento doloso della società, in quanto la Corte d’appello avrebbe, in violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., attribuito valore probatorio ad elementi che ne sarebbero privi ed avrebbe, in violazione delle norme sulla prova presuntiva, fatto derivare dal fatto noto (del ritardo nell’avviso) il fatto ignorato (della cosciente volontà di non segnalare il sinistro tempestivamente) in difetto di elementi gravi precisi e concordanti.

  1. Il primo di questi motivi è infondato; il secondo è inammissibile.

La Corte ha enunciato e correttamente applicato il principio di diritto per il quale, ai fini della perdita dei benefici assicurativi, ai sensi dell’articolo 1915 cod. civ., non occorre lo specifico e fraudolento intento di creare danno all’assicuratore, essendo sufficiente la consapevolezza dell’obbligo previsto dalla suddetta norma e la cosciente volontà di non osservarlo (Cass. n. 14579/07, n. 17088/14, n. 13355/15).

Né la sentenza risulta in contrasto con l’art. 1915 cod. civ., come interpretato -secondo l’assunto della ricorrente- dal precedente di questa Corte n. 24733/07 (col quale si è esclusa la rilevanza della sola conoscenza del sinistro da parte dell’assicurato), poiché la Corte d’appello non si è limitata a dare conto del fatto che l’assicurata avesse avuto conoscenza del sinistro ad una certa data, ma ha evidenziato come da questa data fossero decorsi oltre nove mesi prima che fosse dato avviso all’assicuratore ed ha valorizzato -quanto all’accertamento della cosciente volontà dell’assicurata di non rispettare l’obbligo dell’avviso- sia il tenore dell’atto di messa in mora, proveniente dal legale degli investitori (e relativo ad “evento dannoso oggetto della copertura assicurativa”, come specificato in sentenza), che il contenuto della polizza che espressamente richiamava il disposto dell’art. 1915.

Va perciò escluso che il giudice di merito si sia fermato alla mera inosservanza dell’obbligo di dare avviso all’assicuratore malgrado la conoscenza del sinistro. Piuttosto, si è spinto a valutare, sia pure sinteticamente, le circostanze del caso concreto per le quali ha ritenuto, anche in ragione della qualità di operatore qualificato della società assicurata, che questa non avesse solo colpevolmente trascurato la denuncia, ma avesse consapevolmente omesso di inoltrarla per il considerevole periodo di tempo compreso tra il 14 giugno 2002 (data della nota inviata dal legale degli investitori alla FI) ed il 21 marzo 2003 (nota di trasmissione dell’avviso alla Ra., oggi Al. S.p.A.).

8.1. Tutte le altre censure, specificamente quelle di cui all’ultimo motivo, sono inammissibili poiché attengono all’attività di accertamento dei fatti e di valutazione delle prove riservata al giudice del merito, essendo la decisione basata su precisi elementi di fatto (sopra richiamati), idonei, se complessivamente considerati, a dare luogo agli indizi, plurimi, gravi e concordanti, costituenti prova presuntiva.

Il contrario assunto della ricorrente -oltre ad essere inammissibile per mancata riproduzione in giudizio del contenuto dei documenti di cui contesta la valutazione da parte del giudice- attiene al giudizio di merito ed al controllo di logicità e completezza della motivazione, non consentito dal testo attuale dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (peraltro nemmeno citato in ricorso) e non censurabile per violazione degli artt. 115 e 116, in riferimento al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. (come inammissibilmente dedotto: cfr. Cass. n. 15107/13, n. 11892/16 e n. 20382/16).

  1. In conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale di UN

Resta assorbito il ricorso incidentale di Al. S.p.A., condizionato all’accoglimento dei motivi quarto e quinto del ricorso principale.

Non vi è invece luogo a provvedere sul “ricorso incidentale” così indicato nell’intestazione del controricorso notificato da Ad. Br. e dagli altri resistenti indicati in epigrafe, poiché detta intestazione appare viziata da mero errore materiale, non contenendo il controricorso alcuna impugnazione incidentale.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei rapporti tra le ricorrenti, principale ed incidentale, ed i controricorrenti diversi da Al. S.p.A.

Tra quest’ultima controricorrente e la ricorrente FI si ritiene di compensare le spese di legittimità per giusti motivi, ai sensi dell’art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., nel testo vigente prima della modifiche apportate dalla legge 28 dicembre 2005 n. 263 e succ. mod., dal momento che il giudizio è stato introdotto con atto di citazione notificato nel febbraio 2003, quindi precedentemente l’entrata in vigore di dette modifiche, applicabili ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006 (ai sensi dell’art. 2, comma 4, della legge citata, come modificato dall’art. 39 quater del d.l. n. 273 del 2005, convertito nella legge n. 51 del 2006).

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale UN, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, principale ed incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Per questi motivi

La Corte rigetta i ricorsi, principale ed incidentale, rispettivamente proposti da FI e UN e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto da Al. S.p.A.

Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti Em. Ba. + 10, in Euro 8.200,00, per compensi, ed in favore dei controricorrenti Ad. Br. + 14, in Euro 9.300,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge per ciascun gruppo di controricorrenti.

Condanna la ricorrente incidentale UN al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti Em. Ba. + 10, in Euro 8.200,00, per compensi, ed in favore dei controricorrenti Ad. Br. + 14, in C 9.300,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in C 200,00 ed agli accessori di legge per ciascun gruppo di controricorrenti.

Compensa le spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente principale ed Al. S.p.A.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale UN, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, principale ed incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.