ART 570 CP- ART 570 BIS CP – ART 572 BIS CP AVVOCATO PENALISTA DIFENDE IMPUTATI
Viene previsto all’ art. 570 c.p., relativa alla violazione degli obblighi di assistenza familiare, sanziona la condotta di chi viene meno ai propri doveri di assistenza, correlati alla responsabilità genitoriale od alla qualità di coniuge, ponendo, quindi, in essere un comportamento contrario all’ordine od alla morale delle famiglie.
Se sul piano civile può dar luogo ad un ordine di pagamento diretto od al sequestro dei beni del soggetto obbligato, laddove il Giudice accerti l’inadempienza, essa può anche assumere rilevanza penale ed essere punita con la reclusione fino ad un anno o la multa da 103 a 1032 euro.
Mediante l’art. 2, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 21/2018, è stato introdotto, all’interno del Codice penale sostanziale, l’art. 570 bis, rubricato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”, che sanziona con le pene previste dall’art. 570 c.p. la condotta del coniuge che “si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.
Il nuovo reato ex art 570 bis i) l’art. 12 sexies, L. n. 898/1970 (“Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”), il quale già disponeva l’applicazione delle pene di cui all’art. 570 c.p. al coniuge che si sottragga all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto ex artt. 5 e 6, L. n. 898/1970; ii) l’art. 3, L. n. 54/2006 (“Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”), che pure prevedeva l’applicazione delle pene di cui all’art. 570 c.p., attraverso il rinvio a quanto previsto dal detto art. 12 sexies, nei casi di violazione di obblighi di natura economica.
Capo IV
Dei delitti contro l’assistenza familiare
Art. 570.
Violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032. (1)
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge.
Cassazione Penale, SS.UU., sentenza 26 febbraio 2008, n. 8413, Cassazione Penale, sez.
Art. 570-bis.
Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio (1).
Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.
Secondo quanto già affermato da questa Corte di Cassazione il delitto di omesso versamento dell’assegno periodico per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli, previsto dell’art. 570-bis c.p., è configurabile anche in caso di violazione degli obblighi di natura patrimoniale stabiliti nei confronti di figli minori nati da genitori non legati da vincolo formale di matrimonio anche per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, essendovi continuità normativa tra la fattispecie prevista dall’art. 570-bis c.p. e quella prevista dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3. La delega conferita dalla L. n. 103 del 2017 per l’attuazione della riserva di codice ha infatti natura meramente compilativa, essendo diretta a realizzare una semplice trasposizione delle figure criminose già esistenti nel corpus del codice penale, senza apportare modifiche sostanziali, come peraltro chiarito nella relazione ministeriale allo schema del D.Lgs. in cui si afferma che il nuovo art. 570-bis c.p. assorbe le previsioni di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies e di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, specificandosi che la modifica “non incide sul regime di procedibilità di ufficio, la cui corrispondenza a Costituzione è stata comunque affermata ripetutamente dalla Corte Costituzionale (da ultimo sentenza n. 220 del 2015)”. Pertanto, essendo indubbio il carattere solo formale dell’abrogazione dei reati previsti dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies e dalla L. 8 febbraio 2006, art. 3, senza cioè abolizione delle relative ipotesi criminose, perchè riprese dal nuovo art. 570-bis c.p., ne deriva che risulta immutato anche il regime di procedibilità di ufficio. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità il reato previsto dalla norma censurata è sempre stato ritenuto perseguibile d’ufficio. Tale soluzione interpretativa – avallata anche dalle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 31 gennaio-31 maggio 2013, n. 23866) – si fondava sul rilievo che il richiamo all’art. 570 c.p., operato dalla L. n. 898 del 1970, art. 12-sexies, nonchè dalla L. n. 54 del 2006, art. 3 che a sua volta rinviava al citato L. n. 898 del 1970, art. 12-sexies, fosse finalizzato unicamente a determinare il trattamento sanzionatorio e non potesse, dunque, reputarsi comprensivo del regime di perseguibilità a querela previsto dalla norma richiamata. Le stesse considerazioni conservano tuttora piena validità per quanto sopra detto sulla natura meramente formale dell’operazione di trasposizione del reato in esame nella nuova norma codicistica, essendo peraltro stata esclusa la voluntas legis di incidere sul regime di procedibilità, sebbene la Corte Costituzionale avesse rilevato proprio nella sentenza richiamata nella citata relazione ministeriale come non si potesse “misconoscere che il sistema delle incriminazioni relative ai rapporti familiari risulti, nel suo complesso, frammentario e disarmonico”, ma che, avendo escluso discrasie qualificabili in termini di manifesta irrazionalità, ne aveva rimesso al legislatore la soluzione. Pertanto, in difetto di nuove disposizioni di legge sul tema della procedibilità, non può che essere confermato il regime di perseguibilità di ufficio previsto per le ipotesi di reato ora punite dall’art. 570-bis c.p..
Art. 571.
Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina.
Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.
Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.
Art. 572.
Maltrattamenti contro familiari e conviventi.
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni (1).
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi (2).
[La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici] (3).
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 07 settembre 2017 n° 40959, Cassazione penale, sez. VI, sentenza 30 maggio 2017 n° 27088, Cassazione Penale, sez. III, sentenza 03 aprile 2017 n° 16543, Cassazione Penale, sez. V, sentenza 29 agosto 2007, n. 33624, Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 12 settembre 2007, n. 34460, Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 22 ottombre 2007, n. 38962,
Sottrazione consensuale di minorenni.
Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la responsabilità genitoriale o al tutore, ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo, con la reclusione fino a due anni. (1)
La pena è diminuita, se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata, se è commesso per fine di libidine.
Si applicano le disposizioni degli articoli 525 e 544.
Art. 574.
Sottrazione di persone incapaci.
Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la responsabilità genitoriale, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore, con la reclusione da uno a tre anni. (1)
Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio.
Si applicano le disposizioni degli articoli 525 e 544.
Art. 574 bis.
Sottrazione e trattenimento di minore all’estero. (1)
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque sottrae un minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale o al tutore, conducendolo o trattenendolo all’estero contro la volontà del medesimo genitore o tutore, impedendo in tutto o in parte allo stesso l’esercizio della responsabilità genitoriale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. (2)
Se il fatto di cui al primo comma è commesso nei confronti di un minore che abbia compiuto gli anni quattordici e con il suo consenso, si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.
Se i fatti di cui al primo e secondo comma sono commessi da un genitore in danno del figlio minore, la condanna comporta la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale. (3)
(1) Articolo inserito dall’art. 3, comma 29, lett. b), della L. 15 luglio 2009, n. 94
(2) Comma così modificato dall’art. 93, comma 1, lett. r), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) La Corte costituzionale, con la sentenza 29 maggio 2020, n. 102, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.
Art. 574 ter
Costituzione di un’unione civile agli effetti della legge penale. (1)
Agli effetti della legge penale il termine matrimonio si intende riferito anche alla costituzione di un’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Quando la legge penale considera la qualita’ di coniuge come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un reato essa si intende riferita anche alla parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso.