RESPONSABILITA’ MEDICA OSPEDALIERA patologia da cui è affetto il malato subisce un peggioramento a causa dell’errata e/o omessa diagnosi
RESPONSABILITA’ MEDICA OSPEDALIERA patologia da cui è affetto il malato subisce un peggioramento a causa dell’errata e/o omessa diagnosi
Se la patologia da cui è affetto il malato subisce un peggioramento a causa dell’errata e/o omessa diagnosi, la struttura sanitaria non risponde del danno complessivamente inteso. Infatti, occorre applicare il criterio di causalità giuridica e ascrivere all’autore dell’illecito solo la percentuale di responsabilità relativa al peggioramento delle condizioni del malato.
Sentenza Cassazione Civile n. 514 del 15/01/2020
FATTO
Nel 2005, V.L.S. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Campobasso, le ASL di Larino e di Campobasso, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dell’omessa diagnosi e cura di un ictus ischemico cerebrale, in occasione del ricovero prima, in data 12 maggio 2004, presso l’Ospedale di Larino, e poi, in data 14 maggio 2004, presso quello di Campobasso.
Si costituì in giudizio l’ASL n. (OMISSIS) “Centro Molise”, chiedendo il rigetto della domanda e, comunque, chiamando in giudizio la compagnia di assicurazioni Lloyd’s, da cui essere garantita in caso di accertamento della responsabilità. Si costituirono poi, chiedendo il rigetto della domanda, la ASL n. (OMISSIS) “Basso Molise” e la compagnia Assicuratori dei Lloyd’s – Rappresentanza Generale per l’Italia, quest’ultima spiegando intervento volontario anche per la ASL n. (OMISSIS).
Il Tribunale di Campobasso, con la sentenza n. 508/2011, accolse la domanda nei confronti della ASL n. (OMISSIS) “Basso Molise” e della compagnia assicuratrice, determinando la responsabilità a carico delle stesse nella percentuale del 20% e limitando il risarcimento al solo danno non patrimoniale. Respinse invece la domanda nei confronti della ASL n. (OMISSIS) “Centro Molise”.
- La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza n. 118 del 24 maggio 2016 e notificata il 25 giugno 2016. La Corte d’appello ha preliminarmente rilevato il passaggio in giudicato della statuizione di primo grado nella parte in cui aveva accertato l’omessa diagnosi sia da parte dei sanitari dell’Ospedale di Larino, che da parte di quelli dell’Ospedale di Campobasso.
La Corte ha poi osservato che il CTU, nell’indicare la terapia da eseguire nei casi di ischemia cerebrale, aveva precisato che la stessa terapia deve essere effettuata nel prime tre ore, poichè diversamente, la sua efficacia nel ridurre le possibili sequele invalidanti diventa ininfluente.
Il Tribunale, quindi, recependo le valutazioni del CTU, aveva escluso l’incidenza causale nella produzione dell’aggravamento dell’invalidità dell’errore diagnostico commesso nell’ospedale di Campobasso, sulla base del dato decisivo che il paziente era giunto in quel nosocomio dopo i due pregressi giorni di ricovero in quello di Larino, allorchè si era ormai esaurita la fase acuta della patologia e se ne erano stabilizzati i postumi. Secondo la Corte, tale dato decisivo non era stato contestato in alcun modo dal danneggiato, il quale si era invece limitato a lamentare la erronea somministrazione, da parte dei sanitari di Campobasso, del farmaco Clexane (senza peraltro allegare quale sarebbe stato il corretto dosaggio di tale farmaco e la corretta durata della sua somministrazione e quali quelli in concreto attuati, onde consentire al giudicante di vagliare l’eventuale erroneità dell’operato dei medici) e la mancata adozione dell’accorgimento della mobilizzazione precoce del paziente (che invece era stata praticata).
DECISIONE MOTIVAZIONE CORTE CASSAZIONE
Si sostiene, con il motivo in esame, che il concorso di cause naturali e umane, ove non si ravvisi la causa esclusiva, non consentirebbe di elidere neppure in percentuale la pari efficienza eziologica dei fattori concorrenti, con conseguente diritto al riconoscimento dell’intero danno.
Ma in tal modo si confonde l’evento lesivo, rappresentato dall’ictus da valutarsi, con riferimento alla condotta colpevole, ai sensi dell’art. 41 c.p. e art. 1227 c.c. – con le sue conseguenza dannose, ossia con il grado di invalidità residuato, che va di converso valutato ai senso dell’art. 1223 c.c., e può essere dimensionato rispetto all’evento di danno avendo riguardo alla conseguenza invece riferibile ad altro fattore.
Ne consegue che, se l’azione o l’omissione colpevole concorra con la causa naturale nella produzione dell’evento lesivo, sul piano della causalità materiale sarà del tutto indifferente la presistenza, coesistenza o concorrenza della causa naturale stessa (in senso contrario, non condivisibilmente, Cass. 975/2009). Le conseguenze dannose della lesione, invece, valutate sul piano della causalità giuridica (criterio eziologico che indaga, appunto, sulla relazione tra la lesione e le sue conseguenze), andranno liquidate, nella loro effettiva e complessiva consistenza, attribuendo all’autore dell’illecito la (sola) percentuale di aggravamento della situazione preesistente (Cass. 15991/2011; Cass. 28986/2019).
In linea puramente teorica, vanno in questa sede riaffermati, pertanto (Cass. 28986, cit.), i principi secondo i quali:
1) lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella è derivata;
2) la concausa della lesioni è giuridicamente irrilevante sul piano della causalità materiale;
3) la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall’illecito;
4) saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi; saranno, invece, “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;
5) le menomazioni coesistenti sono di norma (e salvo specificità del caso concreto) irrilevanti ai fini della liquidazione; nè può valere in ambito di r.c. la regola sorta nell’ambito dell’infortunistica sul lavoro, che abbassa il risarcimento sempre e comunque per i portatori di patologie pregresse – con la conseguenza che la relativa liquidazione partirà dal valore o della tabella delle invalidità;
6) le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione:
- a) stimando in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito), e convertendola in denaro;
- b) stimando in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito, e convertendola in denaro; lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale;
- c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a), partendo peraltro, e diversamente che nel caso sub 5), dal valore (b): esemplificando, rispetto ad una invalidità complessivamente accertata (come nel caso di specie) nella misura del 65%, e ad un corrispondente accertamento di una invalidità pregressa del 45%, il giudice liquiderà un valore monetario pari al 20%, partendo, come base di calcolo, dal valore tabellare corrispondente al 45% (criterio di liquidazione che non gli sarebbe consentito ove il frazionamento avvenisse con riferimento alla causalità materiale, il cui accertamento dovrebbe arrestarsi sulla soglia della relazione eziologica condotta-lesione, con conseguente applicazione della tabella nel range 0-20);
7) resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all’equità correttiva ove la rigida applicazione del calcolo che precede conduca, per effetto della progressività delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto.
Tanto premesso in linea puramente teorica, osserva il collegio che le critiche svolte nel primo mezzo sono – per quanto riguarda la mancata affermazione della responsabilità della ASL3, argomentata dal decidente sulla base del rilievo fattuale della irrilevanza eziologica dell’errore diagnostico del medici della ASL(OMISSIS) – di stretto merito. Esse in ogni caso ruotano intorno all’apodittico assunto secondo cui il carattere contrattuale della responsabilità imponeva di porre a carico dell’ente per intero i danni conseguenti all’ictus, senza confrontarsi con le questioni, per vero centrali, relative alla modalità di liquidazione del danno differenziale adottate dal decidente: senza, in particolare, nè esplicitare i criteri in concreto seguiti dal giudice di merito, nè gli effetti della loro eventuale erroneità, in ragione della doverosa adozione delle metodologie di calcolo innanzi evidenziate.
RESPONSABILITA’ MEDICA OSPEDLAIERA patologia da cui è affetto il malato subisce un peggioramento a causa dell’errata e/o omessa diagnosi
Se la patologia da cui è affetto il malato subisce un peggioramento a causa dell’errata e/o omessa diagnosi, la struttura sanitaria non risponde del danno complessivamente inteso. Infatti, occorre applicare il criterio di causalità giuridica e ascrivere all’autore dell’illecito solo la percentuale di responsabilità relativa al peggioramento delle condizioni del malato.
Sentenza Cassazione Civile n. 514 del 15/01/2020
FATTO
Nel 2005, V.L.S. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Campobasso, le ASL di Larino e di Campobasso, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dell’omessa diagnosi e cura di un ictus ischemico cerebrale, in occasione del ricovero prima, in data 12 maggio 2004, presso l’Ospedale di Larino, e poi, in data 14 maggio 2004, presso quello di Campobasso.
Si costituì in giudizio l’ASL n. (OMISSIS) “Centro Molise”, chiedendo il rigetto della domanda e, comunque, chiamando in giudizio la compagnia di assicurazioni Lloyd’s, da cui essere garantita in caso di accertamento della responsabilità. Si costituirono poi, chiedendo il rigetto della domanda, la ASL n. (OMISSIS) “Basso Molise” e la compagnia Assicuratori dei Lloyd’s – Rappresentanza Generale per l’Italia, quest’ultima spiegando intervento volontario anche per la ASL n. (OMISSIS).
Il Tribunale di Campobasso, con la sentenza n. 508/2011, accolse la domanda nei confronti della ASL n. (OMISSIS) “Basso Molise” e della compagnia assicuratrice, determinando la responsabilità a carico delle stesse nella percentuale del 20% e limitando il risarcimento al solo danno non patrimoniale. Respinse invece la domanda nei confronti della ASL n. (OMISSIS) “Centro Molise”.
- La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza n. 118 del 24 maggio 2016 e notificata il 25 giugno 2016. La Corte d’appello ha preliminarmente rilevato il passaggio in giudicato della statuizione di primo grado nella parte in cui aveva accertato l’omessa diagnosi sia da parte dei sanitari dell’Ospedale di Larino, che da parte di quelli dell’Ospedale di Campobasso.
La Corte ha poi osservato che il CTU, nell’indicare la terapia da eseguire nei casi di ischemia cerebrale, aveva precisato che la stessa terapia deve essere effettuata nel prime tre ore, poichè diversamente, la sua efficacia nel ridurre le possibili sequele invalidanti diventa ininfluente.
Il Tribunale, quindi, recependo le valutazioni del CTU, aveva escluso l’incidenza causale nella produzione dell’aggravamento dell’invalidità dell’errore diagnostico commesso nell’ospedale di Campobasso, sulla base del dato decisivo che il paziente era giunto in quel nosocomio dopo i due pregressi giorni di ricovero in quello di Larino, allorchè si era ormai esaurita la fase acuta della patologia e se ne erano stabilizzati i postumi. Secondo la Corte, tale dato decisivo non era stato contestato in alcun modo dal danneggiato, il quale si era invece limitato a lamentare la erronea somministrazione, da parte dei sanitari di Campobasso, del farmaco Clexane (senza peraltro allegare quale sarebbe stato il corretto dosaggio di tale farmaco e la corretta durata della sua somministrazione e quali quelli in concreto attuati, onde consentire al giudicante di vagliare l’eventuale erroneità dell’operato dei medici) e la mancata adozione dell’accorgimento della mobilizzazione precoce del paziente (che invece era stata praticata).
DECISIONE MOTIVAZIONE CORTE CASSAZIONE
Si sostiene, con il motivo in esame, che il concorso di cause naturali e umane, ove non si ravvisi la causa esclusiva, non consentirebbe di elidere neppure in percentuale la pari efficienza eziologica dei fattori concorrenti, con conseguente diritto al riconoscimento dell’intero danno.
Ma in tal modo si confonde l’evento lesivo, rappresentato dall’ictus da valutarsi, con riferimento alla condotta colpevole, ai sensi dell’art. 41 c.p. e art. 1227 c.c. – con le sue conseguenza dannose, ossia con il grado di invalidità residuato, che va di converso valutato ai senso dell’art. 1223 c.c., e può essere dimensionato rispetto all’evento di danno avendo riguardo alla conseguenza invece riferibile ad altro fattore.
Ne consegue che, se l’azione o l’omissione colpevole concorra con la causa naturale nella produzione dell’evento lesivo, sul piano della causalità materiale sarà del tutto indifferente la presistenza, coesistenza o concorrenza della causa naturale stessa (in senso contrario, non condivisibilmente, Cass. 975/2009). Le conseguenze dannose della lesione, invece, valutate sul piano della causalità giuridica (criterio eziologico che indaga, appunto, sulla relazione tra la lesione e le sue conseguenze), andranno liquidate, nella loro effettiva e complessiva consistenza, attribuendo all’autore dell’illecito la (sola) percentuale di aggravamento della situazione preesistente (Cass. 15991/2011; Cass. 28986/2019).
In linea puramente teorica, vanno in questa sede riaffermati, pertanto (Cass. 28986, cit.), i principi secondo i quali:
1) lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella è derivata;
2) la concausa della lesioni è giuridicamente irrilevante sul piano della causalità materiale;
3) la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall’illecito;
4) saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi; saranno, invece, “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;
5) le menomazioni coesistenti sono di norma (e salvo specificità del caso concreto) irrilevanti ai fini della liquidazione; nè può valere in ambito di r.c. la regola sorta nell’ambito dell’infortunistica sul lavoro, che abbassa il risarcimento sempre e comunque per i portatori di patologie pregresse – con la conseguenza che la relativa liquidazione partirà dal valore o della tabella delle invalidità;
6) le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione:
- a) stimando in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito), e convertendola in denaro;
- b) stimando in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito, e convertendola in denaro; lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale;
- c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a), partendo peraltro, e diversamente che nel caso sub 5), dal valore (b): esemplificando, rispetto ad una invalidità complessivamente accertata (come nel caso di specie) nella misura del 65%, e ad un corrispondente accertamento di una invalidità pregressa del 45%, il giudice liquiderà un valore monetario pari al 20%, partendo, come base di calcolo, dal valore tabellare corrispondente al 45% (criterio di liquidazione che non gli sarebbe consentito ove il frazionamento avvenisse con riferimento alla causalità materiale, il cui accertamento dovrebbe arrestarsi sulla soglia della relazione eziologica condotta-lesione, con conseguente applicazione della tabella nel range 0-20);
7) resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all’equità correttiva ove la rigida applicazione del calcolo che precede conduca, per effetto della progressività delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto.
Tanto premesso in linea puramente teorica, osserva il collegio che le critiche svolte nel primo mezzo sono – per quanto riguarda la mancata affermazione della responsabilità della ASL3, argomentata dal decidente sulla base del rilievo fattuale della irrilevanza eziologica dell’errore diagnostico del medici della ASL(OMISSIS) – di stretto merito. Esse in ogni caso ruotano intorno all’apodittico assunto secondo cui il carattere contrattuale della responsabilità imponeva di porre a carico dell’ente per intero i danni conseguenti all’ictus, senza confrontarsi con le questioni, per vero centrali, relative alla modalità di liquidazione del danno differenziale adottate dal decidente: senza, in particolare, nè esplicitare i criteri in concreto seguiti dal giudice di merito, nè gli effetti della loro eventuale erroneità, in ragione della doverosa adozione delle metodologie di calcolo innanzi evidenziate.
Se la patologia da cui è affetto il malato subisce un peggioramento a causa dell’errata e/o omessa diagnosi, la struttura sanitaria non risponde del danno complessivamente inteso. Infatti, occorre applicare il criterio di causalità giuridica e ascrivere all’autore dell’illecito solo la percentuale di responsabilità relativa al peggioramento delle condizioni del malato.
Sentenza Cassazione Civile n. 514 del 15/01/2020
FATTO
Nel 2005, V.L.S. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Campobasso, le ASL di Larino e di Campobasso, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dell’omessa diagnosi e cura di un ictus ischemico cerebrale, in occasione del ricovero prima, in data 12 maggio 2004, presso l’Ospedale di Larino, e poi, in data 14 maggio 2004, presso quello di Campobasso.
Si costituì in giudizio l’ASL n. (OMISSIS) “Centro Molise”, chiedendo il rigetto della domanda e, comunque, chiamando in giudizio la compagnia di assicurazioni Lloyd’s, da cui essere garantita in caso di accertamento della responsabilità. Si costituirono poi, chiedendo il rigetto della domanda, la ASL n. (OMISSIS) “Basso Molise” e la compagnia Assicuratori dei Lloyd’s – Rappresentanza Generale per l’Italia, quest’ultima spiegando intervento volontario anche per la ASL n. (OMISSIS).
Il Tribunale di Campobasso, con la sentenza n. 508/2011, accolse la domanda nei confronti della ASL n. (OMISSIS) “Basso Molise” e della compagnia assicuratrice, determinando la responsabilità a carico delle stesse nella percentuale del 20% e limitando il risarcimento al solo danno non patrimoniale. Respinse invece la domanda nei confronti della ASL n. (OMISSIS) “Centro Molise”.
- La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza n. 118 del 24 maggio 2016 e notificata il 25 giugno 2016. La Corte d’appello ha preliminarmente rilevato il passaggio in giudicato della statuizione di primo grado nella parte in cui aveva accertato l’omessa diagnosi sia da parte dei sanitari dell’Ospedale di Larino, che da parte di quelli dell’Ospedale di Campobasso.
La Corte ha poi osservato che il CTU, nell’indicare la terapia da eseguire nei casi di ischemia cerebrale, aveva precisato che la stessa terapia deve essere effettuata nel prime tre ore, poichè diversamente, la sua efficacia nel ridurre le possibili sequele invalidanti diventa ininfluente.
Il Tribunale, quindi, recependo le valutazioni del CTU, aveva escluso l’incidenza causale nella produzione dell’aggravamento dell’invalidità dell’errore diagnostico commesso nell’ospedale di Campobasso, sulla base del dato decisivo che il paziente era giunto in quel nosocomio dopo i due pregressi giorni di ricovero in quello di Larino, allorchè si era ormai esaurita la fase acuta della patologia e se ne erano stabilizzati i postumi. Secondo la Corte, tale dato decisivo non era stato contestato in alcun modo dal danneggiato, il quale si era invece limitato a lamentare la erronea somministrazione, da parte dei sanitari di Campobasso, del farmaco Clexane (senza peraltro allegare quale sarebbe stato il corretto dosaggio di tale farmaco e la corretta durata della sua somministrazione e quali quelli in concreto attuati, onde consentire al giudicante di vagliare l’eventuale erroneità dell’operato dei medici) e la mancata adozione dell’accorgimento della mobilizzazione precoce del paziente (che invece era stata praticata).
DECISIONE MOTIVAZIONE CORTE CASSAZIONE
Si sostiene, con il motivo in esame, che il concorso di cause naturali e umane, ove non si ravvisi la causa esclusiva, non consentirebbe di elidere neppure in percentuale la pari efficienza eziologica dei fattori concorrenti, con conseguente diritto al riconoscimento dell’intero danno.
Ma in tal modo si confonde l’evento lesivo, rappresentato dall’ictus da valutarsi, con riferimento alla condotta colpevole, ai sensi dell’art. 41 c.p. e art. 1227 c.c. – con le sue conseguenza dannose, ossia con il grado di invalidità residuato, che va di converso valutato ai senso dell’art. 1223 c.c., e può essere dimensionato rispetto all’evento di danno avendo riguardo alla conseguenza invece riferibile ad altro fattore.
Ne consegue che, se l’azione o l’omissione colpevole concorra con la causa naturale nella produzione dell’evento lesivo, sul piano della causalità materiale sarà del tutto indifferente la presistenza, coesistenza o concorrenza della causa naturale stessa (in senso contrario, non condivisibilmente, Cass. 975/2009). Le conseguenze dannose della lesione, invece, valutate sul piano della causalità giuridica (criterio eziologico che indaga, appunto, sulla relazione tra la lesione e le sue conseguenze), andranno liquidate, nella loro effettiva e complessiva consistenza, attribuendo all’autore dell’illecito la (sola) percentuale di aggravamento della situazione preesistente (Cass. 15991/2011; Cass. 28986/2019).
In linea puramente teorica, vanno in questa sede riaffermati, pertanto (Cass. 28986, cit.), i principi secondo i quali:
1) lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella è derivata;
2) la concausa della lesioni è giuridicamente irrilevante sul piano della causalità materiale;
3) la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall’illecito;
4) saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi; saranno, invece, “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;
5) le menomazioni coesistenti sono di norma (e salvo specificità del caso concreto) irrilevanti ai fini della liquidazione; nè può valere in ambito di r.c. la regola sorta nell’ambito dell’infortunistica sul lavoro, che abbassa il risarcimento sempre e comunque per i portatori di patologie pregresse – con la conseguenza che la relativa liquidazione partirà dal valore o della tabella delle invalidità;
6) le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione:
- a) stimando in punti percentuali l’invalidità complessiva dell’individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall’illecito), e convertendola in denaro;
- b) stimando in punti percentuali l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito, e convertendola in denaro; lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale;
- c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a), partendo peraltro, e diversamente che nel caso sub 5), dal valore (b): esemplificando, rispetto ad una invalidità complessivamente accertata (come nel caso di specie) nella misura del 65%, e ad un corrispondente accertamento di una invalidità pregressa del 45%, il giudice liquiderà un valore monetario pari al 20%, partendo, come base di calcolo, dal valore tabellare corrispondente al 45% (criterio di liquidazione che non gli sarebbe consentito ove il frazionamento avvenisse con riferimento alla causalità materiale, il cui accertamento dovrebbe arrestarsi sulla soglia della relazione eziologica condotta-lesione, con conseguente applicazione della tabella nel range 0-20);
7) resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all’equità correttiva ove la rigida applicazione del calcolo che precede conduca, per effetto della progressività delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto.
Tanto premesso in linea puramente teorica, osserva il collegio che le critiche svolte nel primo mezzo sono – per quanto riguarda la mancata affermazione della responsabilità della ASL3, argomentata dal decidente sulla base del rilievo fattuale della irrilevanza eziologica dell’errore diagnostico del medici della ASL(OMISSIS) – di stretto merito. Esse in ogni caso ruotano intorno all’apodittico assunto secondo cui il carattere contrattuale della responsabilità imponeva di porre a carico dell’ente per intero i danni conseguenti all’ictus, senza confrontarsi con le questioni, per vero centrali, relative alla modalità di liquidazione del danno differenziale adottate dal decidente: senza, in particolare, nè esplicitare i criteri in concreto seguiti dal giudice di merito, nè gli effetti della loro eventuale erroneità, in ragione della doverosa adozione delle metodologie di calcolo innanzi evidenziate.