STRANIERO SUCCESSIONI ITALIA CASS SEZ UNITE
L’attrice dedusse che, attesa la nazionalità del de cuius, la sua successione doveva essere disciplinata dal diritto inglese, alla stregua della L. n. 218 del 1995, sicchè il testamento era da intendersi revocato per effetto del successivo matrimonio del testatore, in base a quanto prescritto dal Will Act del 1837. Per B.O. la successione di P.O.A. andava quindi considerata ab intestato, restando disciplinata dal diritto inglese, con attribuzione in suo favore di tutti i beni mobili personali del defunto, nonchè di un terzo degli immobili in applicazione dell’art. 581 c.c., operante per il “rinvio indietro” voluto dalla legge inglese.STRANIERO SUCCESSIONI ITALIA CASS SEZ UNITE
Nella specie, individuate dapprima nella L. n. 218 del 1995, artt. 13 e 46 le norme di conflitto, alla stregua della qualificazione compiuta secondo la lex fori, occorre poi considerare che la medesima legge inglese richiamata intende regolare la successione dei beni mobili, mentre rinvia indietro all’Italia la disciplina della successione dei beni immobili. La qualificazione, alla luce dell’ordinamento inglese richiamato, della questione preliminare attinente alla revoca del testamento come inerente ai rapporti tra coniugi (cosiddetta seconda qualificazione o qualificazione di rinvio) può rilevare, quindi, soltanto nei limiti in cui le norme di conflitto dapprima individuate portino a dare applicazione alla legge straniera. 10. In continuità con l’abrogato art. 23 preleggi e ancora prima con l’art. 8 preleggi 1865, la L. n. 218 del 1995, art. 46 ribadisce inizialmente i principi di unitarietà e universalità della successione (tanto ex lege che testamentaria), affermando il comma 1 che la successione mortis causa è regolata (soltanto) dalla legge nazionale del defunto al momento della morte, senza che abbiano rilievo la natura e la situazione dei beni che ne costituiscono oggetto. 10.1. I principi di unitarietà e universalità della successione divergono dalla soluzione della pluralità delle successioni, adottata, ad esempio, nei paesi di common law (ma anche in alcuni ordinamenti di civil law), e connotata dalla separazione tra legge regolatrice della proprietà mobiliare e legge regolatrice della proprietà immobiliare: la prima coincidente con la legge dell’ultimo domicilio o dell’ultima cittadinanza del de cuius, la seconda, per i beni immobili, individuabile come lex rei sitae. 10.2. Lo stesso L. n. 218 del 1995, art. 46 peraltro, al comma 2 riconosce al soggetto della cui eredità si tratta la scelta di sottoporre, necessariamente con dichiarazione espressa in forma testamentaria, che “l’intera successione” sia sottoposta “alla legge dello Stato in cui risiede” (cosiddetta optio legis, o professio juris). In tal caso, però, ove si tratti di successione di un cittadino italiano, la scelta non può pregiudicare i diritti che la legge italiana attribuisce ai legittimari residenti in Italia al momento della morte del de cuius. 10.3. D’altro canto, il principio di unità della successione può essere attenuato dall’operatività del meccanismo del rinvio L. n. 218 del 1995, ex art. 13 il quale, introdotto da tale disposizione per la prima volta nel nostro ordinamento, può portare a modificare le stesse regole di conflitto: ciò è quel che avviene, ad esempio, proprio allorchè la legge nazionale del defunto adotti il criterio della scissione e così postuli l’assoggettamento della successione a discipline diverse in base alla natura ed alla situazione dei beni compresi nell’eredità. 10.4. La coniugazione simultanea, sotto il profilo della legge regolatrice della successione internazionale, della regola di unitarietà e universalità della successione e della regola del rinvio impone all’interprete un difficile coordinamento, che era invece ignoto nell’originario sistema retto dagli artt. 23 e 30 disp. gen.. Tale difficile coordinamento si impone indicativamente proprio quando muoia un cittadino inglese che lasci nel suo patrimonio immobili in Italia: la successione è regolata dalla legge inglese secondo la L. n. 218 del 1995, art. 46 ma la conflict law inglese non codificata valevole per i beni immobili rinvia, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 13 alla lex rei sitae, ovvero alla legge italiana. Ciò, peraltro, garantisce l’applicazione della stessa legge alla medesima successione internazionale, evitando che i giudici dei due diversi Stati pervengano, ove alternativamente aditi, a soluzioni opposte. 11. Deve subito considerarsi come il ricorso incidentale di P.R.C. (in particolare, secondo motivo) fa riferimento ad una “quaestio voluntatis”, attinente alla “scelta” inequivocabile di P.O.A. di assoggettare la propria successione alla legge sostanziale inglese, ritraibile dalla decisione dello stesso di recarsi a Londra nel 1997 appositamente per fare testamento. Di tale questione non vi è però alcun cenno nella sentenza impugnata, nè il ricorrente incidentale, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, allega, nei modi imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’avvenuta deduzione della stessa innanzi al giudice di merito, limitandosi il ricorrente incidentale, del resto, ad articolare censure per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, le quali non implicano l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa. Neppure è sostenibile che la decisione del Tribunale di Milano contenesse una statuizione minima, perciò suscettibile di acquisire efficacia di giudicato interno, nel senso che P.O.A. avesse “scelto” la legge materiale da applicare alla sua successione, trattandosi, perciò, di questione che il giudice di appello aveva il potere di riconsiderare e riqualificare relativamente agli aspetti comunque coinvolti dai motivi dei contrapposti gravami. Nella specie, individuate dapprima nella L. n. 218 del 1995, artt. 13 e 46 le norme di conflitto, alla stregua della qualificazione compiuta secondo la lex fori, occorre poi considerare che la medesima legge inglese richiamata intende regolare la successione dei beni mobili, mentre rinvia indietro all’Italia la disciplina della successione dei beni immobili. La qualificazione, alla luce dell’ordinamento inglese richiamato, della questione preliminare attinente alla revoca del testamento come inerente ai rapporti tra coniugi (cosiddetta seconda qualificazione o qualificazione di rinvio) può rilevare, quindi, soltanto nei limiti in cui le norme di conflitto dapprima individuate portino a dare applicazione alla legge straniera. 10. In continuità con l’abrogato art. 23 preleggi e ancora prima con l’art. 8 preleggi 1865, la L. n. 218 del 1995, art. 46 ribadisce inizialmente i principi di unitarietà e universalità della successione (tanto ex lege che testamentaria), affermando il comma 1 che la successione mortis causa è regolata (soltanto) dalla legge nazionale del defunto al momento della morte, senza che abbiano rilievo la natura e la situazione dei beni che ne costituiscono oggetto. 10.1. I principi di unitarietà e universalità della successione divergono dalla soluzione della pluralità delle successioni, adottata, ad esempio, nei paesi di common law (ma anche in alcuni ordinamenti di civil law), e connotata dalla separazione tra legge regolatrice della proprietà mobiliare e legge regolatrice della proprietà immobiliare: la prima coincidente con la legge dell’ultimo domicilio o dell’ultima cittadinanza del de cuius, la seconda, per i beni immobili, individuabile come lex rei sitae. 10.2. Lo stesso L. n. 218 del 1995, art. 46 peraltro, al comma 2 riconosce al soggetto della cui eredità si tratta la scelta di sottoporre, necessariamente con dichiarazione espressa in forma testamentaria, che “l’intera successione” sia sottoposta “alla legge dello Stato in cui risiede” (cosiddetta optio legis, o professio juris). In tal caso, però, ove si tratti di successione di un cittadino italiano, la scelta non può pregiudicare i diritti che la legge italiana attribuisce ai legittimari residenti in Italia al momento della morte del de cuius. 10.3. D’altro canto, il principio di unità della successione può essere attenuato dall’operatività del meccanismo del rinvio L. n. 218 del 1995, ex art. 13 il quale, introdotto da tale disposizione per la prima volta nel nostro ordinamento, può portare a modificare le stesse regole di conflitto: ciò è quel che avviene, ad esempio, proprio allorchè la legge nazionale del defunto adotti il criterio della scissione e così postuli l’assoggettamento della successione a discipline diverse in base alla natura ed alla situazione dei beni compresi nell’eredità. 10.4. La coniugazione simultanea, sotto il profilo della legge regolatrice della successione internazionale, della regola di unitarietà e universalità della successione e della regola del rinvio impone all’interprete un difficile coordinamento, che era invece ignoto nell’originario sistema retto dagli artt. 23 e 30 disp. gen.. Tale difficile coordinamento si impone indicativamente proprio quando muoia un cittadino inglese che lasci nel suo patrimonio immobili in Italia: la successione è regolata dalla legge inglese secondo la L. n. 218 del 1995, art. 46 ma la conflict law inglese non codificata valevole per i beni immobili rinvia, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 13 alla lex rei sitae, ovvero alla legge italiana. Ciò, peraltro, garantisce l’applicazione della stessa legge alla medesima successione internazionale, evitando che i giudici dei due diversi Stati pervengano, ove alternativamente aditi, a soluzioni opposte. 11. Deve subito considerarsi come il ricorso incidentale di P.R.C. (in particolare, secondo motivo) fa riferimento ad una “quaestio voluntatis”, attinente alla “scelta” inequivocabile di P.O.A. di assoggettare la propria successione alla legge sostanziale inglese, ritraibile dalla decisione dello stesso di recarsi a Londra nel 1997 appositamente per fare testamento. Di tale questione non vi è però alcun cenno nella sentenza impugnata, nè il ricorrente incidentale, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, allega, nei modi imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’avvenuta deduzione della stessa innanzi al giudice di merito, limitandosi il ricorrente incidentale, del resto, ad articolare censure per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, le quali non implicano l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa. Neppure è sostenibile che la decisione del Tribunale di Milano contenesse una statuizione minima, perciò suscettibile di acquisire efficacia di giudicato interno, nel senso che P.O.A. avesse “scelto” la legge materiale da applicare alla sua successione, trattandosi, perciò, di questione che il giudice di appello aveva il potere di riconsiderare e riqualificare relativamente agli aspetti comunque coinvolti dai motivi dei contrapposti gravami.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 5 febbraio 2021, n. 2867 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. – Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez. – Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere – Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere – Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere – Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere – Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere – Dott. MANCINO Rossana – Consigliere – Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 25821-2014 proposto da: P.J., elettivamente domiciliato in ROMA, V. TRIONFALE 5637, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BRUNO PULZE; – ricorrente – contro P.R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO 12-B, presso lo studio dell’avvocato ZOSIMA VECCHIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA MARIA BUZZONI ZOCCOLA; B.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA R. GRAZIOLI LANTE 15-A, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MORABITO, rappresentata e difese dall’avvocato GIAMPAOLO PACINI; – controricorrenti – e contro P.A.A., P.I.I., PI.RO.CA., P.C., P.C.D.; – intimati – nonchè sul ricorso proposto da: P.R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO 12-B, presso lo studio dell’avvocato ZOSIMA VECCHIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA MARIA BUZZONI ZOCCOLA; – ricorrente incidentale – contro B.O., P.J., P.A.A., P.I.I., PI.RO.CA., P.C., P.C.D.; – intimati – nonchè sul ricorso proposto da: B.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA R. GRAZIOLI LANTE 15-A, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MORABITO, rappresentata e difese dall’avvocato GIAMPAOLO PACINI; – ricorrente incidentale – contro P.R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO 12-B, presso lo studio dell’avvocato ZOSIMA VECCHIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA MARIA BUZZONI ZOCCOLA; P.J., elettivamente domiciliato in ROMA, V. TRIONFALE 5637, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BRUNO PULZE; – controricorrenti – nonchè contro P.A.A., P.I.I., PI.RO.CA., P.C., P.C.D.; – intimati – avverso la sentenza n. 2105/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/06/2014; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/01/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI CORRADO, il quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi proposti da P.J. e da P.R.C. e per l’assorbimento dei ricorso proposto da B.O.; uditi gli Avvocati DOMENICO BATTISTA, ANNA MARIA BUZZONI ZOCCOLA e MICHELA BURCHI per delega dell’Avvocato GIAMPAOLO PACINI. Svolgimento del processo 1. P.J. ha proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 2105/2014 della Corte d’appello di Milano, depositata il 6 giugno 2014. P.R.C. ha quindi notificato controricorso con ricorso incidentale articolato in quattro motivi. Anche B.O. ha notificato controricorso e ricorso incidentale in due motivi, condizionato all’accoglimento dei ricorsi avversi. P.R.C. e P.J. hanno notificato controricorsi per resistere al ricorso incidentale di B.O.. A seguito di ordinanza del 5 febbraio 2019, è stata disposta la notificazione del ricorso altresì a P.A.A., P.I.I., Pi.Ro.Ca., P.C. e P.C.D., i quali non hanno tuttavia svolto attività difensive. 2. B.O. convenne nel 2001 dinanzi al Tribunale di Milano C., C.D., I., A.A., Ro., J. e P.R., figli di P.O.A., cittadino inglese morto a (OMISSIS), con il quale l’attrice aveva contratto matrimonio il (OMISSIS). B.O. propose azione di petizione di eredità e domandò di accertare l’avvenuta revoca del testamento redatto a Londra in data 29 ottobre 1997 da P.O.A., con cui il de cuius aveva lasciato all’attrice un legato di 50,000 sterline, disponendo del restante suo patrimonio (un podere con villa patronale in (OMISSIS), due appartamenti in (OMISSIS), un terreno, oggetti d’arte, valori mobiliari, depositi bancari). L’attrice dedusse che, attesa la nazionalità del de cuius, la sua successione doveva essere disciplinata dal diritto inglese, alla stregua della L. n. 218 del 1995, sicchè il testamento era da intendersi revocato per effetto del successivo matrimonio del testatore, in base a quanto prescritto dal Will Act del 1837. Per B.O. la successione di P.O.A. andava quindi considerata ab intestato, restando disciplinata dal diritto inglese, con attribuzione in suo favore di tutti i beni mobili personali del defunto, nonchè di un terzo degli immobili in applicazione dell’art. 581 c.c., operante per il “rinvio indietro” voluto dalla legge inglese. La citazione di B.O. conteneva altresì, ove si fosse ritenuto tuttora efficace il testamento, la domanda di attribuzione del legato ivi contemplato ed istanze subordinate di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della legittima e di rendiconto, nonchè la richiesta di scioglimento della comunione ereditaria. Tutti i convenuti, tranne A.A., si costituirono, prospettando le loro difese nel senso della validità del testamento o della integrale applicabilità della legge italiana o della rilevanza del codicillo modificativo del de cuius rinvenuto in sede di inventario, sulla cui autenticità venne espletata consulenza tecnica. In corso di lite, P.J. e P.R. acquistarono le quote ereditarie di C., C.D., I., A.A. e Pi.Ro.. 3. All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Milano, con sentenza del 20 aprile 2009, dichiarò revocato il testamento del 29 ottobre 1997, accertò la qualità di erede in capo ad B.O. e riconobbe alla stessa il diritto ad un terzo dei beni immobili siti in Italia nonchè a tutti i beni mobili personali del de cuius, sciolse la comunione ereditaria relativa al compendio immobiliare, attribuendo lo stesso ai condividenti J. e P.R., con conguaglio pari ad Euro 2.288,521,44 in favore della B.. 4. Proposero appelli in via principale P.R.C. ed in via incidentale P.J. ed B.O.. Venne accolto il gravame principale soltanto in punto di regolamentazione delle spese di primo grado, confermandosi per il resto la sentenza di primo grado. La Corte d’appello di Milano, per quanto innanzitutto ora rileva, affermò che: non era in discussione l’applicazione della legge inglese alla successione di P.O.A.; in forza di ciò doveva perciò dirsi revocato il testamento del 29 ottobre 1997 quale conseguenza del successivo matrimonio del testatore con B.O., trattandosi peraltro di questione attinente ai rapporti patrimoniali fra i coniugi e non alle successioni, ai sensi della L. n. 218 del 1995, artt. 13 e 15; la successione doveva pertanto considerarsi ab intestato; in applicazione del diritto internazionale privato inglese, per i beni mobili doveva procedersi secondo la legge del domicilio del testatore al momento della morte, e quindi quella inglese, mentre per i beni immobili occorreva provvedere in base alla legge italiana, trovandosi gli stessi immobili in Italia (senza però che la medesima legge italiana interferisse sul profilo della disciplina della revoca del testamento). Con ordinanza interlocutoria n. 18/2020 del 3 gennaio 2020, resa all’esito dell’udienza pubblica del 26 giugno 2019, la Seconda Sezione Civile di questa Corte ha rimesso i ricorsi al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, ravvisando una pluralità di questioni di massima di particolare importanza. E’ stata altresì acquisita la relazione predisposta dell’Ufficio del massimario. Il pubblico ministero ha depositato memoria contenente le proprie conclusioni motivate. Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. Sono superabili tutte le contrapposte eccezioni pregiudiziali sollevate dalle parti. 1.1. La procura per il ricorso per cassazione di P.J. è validamente conferita, soddisfacendo il requisito di specialità di cui all’art. 365 c.p.c., giacchè apposta su di un foglio separato ma materialmente unito al ricorso, per di più contenente espresso riferimento alla sentenza impugnata, il che elimina ogni rilievo anche della mancanza della data, in applicazione dell’art. 83 c.p.c., comma 3 (come novellato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141). 1.2. Il ricorso principale contiene altresì una sufficiente esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, funzionale alla comprensione dei motivi nonchè alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte. 1.3. I ricorsi incidentali di P.R.C. e di B.O. soddisfano l’esigenza di specifica indicazione, ex art. 366 c.p.c., n. 6, e di produzione, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, degli atti e dei documenti si cui si fondano le censure. 2. Il primo motivo del ricorso di P.J. deduce la violazione e/o falsa applicazione “delle disposizioni di diritto internazionale privato (italiano e inglese) e della L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 1 e art. 15, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato dapprima il diritto materiale inglese, così intendendo revocato il testamento a seguito del matrimonio del testatore, e poi la norma di diritto internazionale privato inglese sulla successione degli immobili regolata dalla lex rei sitae. Viceversa, accertata l’applicabilità della legge italiana in base al diritto internazionale privato inglese, la validità ed efficacia del testamento del 1997 andava giudicata in base alla legge italiana. Il secondo motivo del ricorso di P.J. denuncia ancora la violazione e/o falsa applicazione del diritto internazionale privato inglese e della L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 1 e art. 15, nonchè del Will Act del 1837. Viene censurata la decisione della Corte di Milano per aver ritenuto che la revoca del testamento restasse regolata dalla legge inglese sia in base al regime successorio che alla disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi. La revoca del testamento doveva invece giudicarsi secondo la lex rei sitae degli immobili, sicchè l’atto avrebbe conservato efficacia, stando al diritto italiano, nonostante il successivo matrimonio del testatore. Il terzo motivo del ricorso di P.J. allega la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, artt. 13 e 46 evincibile da quanto affermato nella sentenza impugnata, secondo cui l’art. 46 citato ammetterebbe il testatore soltanto ad optare per la legge dello Stato in cui risiede, che nella specie sarebbe stata quella italiana. Secondo il ricorrente principale, la Corte di Milano avrebbe errato nell’applicare l’art. 46 citato, in quanto la “non scelta” della legge di residenza da parte del testatore avrebbe dovuto indurre ad escludere l’operatività dell’art. 13, o comunque del rinvio indietro ai sensi del comma 2 di tale ultima norma. Il quarto motivo del ricorso di P.J. censura la violazione del giudicato interno in relazione all’affermazione che il de cuius, con il testamento del 1997, non avrebbe positivamente scelto la legge inglese, a differenza di quanto accertato dal Tribunale. Il quinto motivo del ricorso di P.J. denuncia la violazione della L. n. 218 del 1995, art. 46, comma 1, artt. 13 e 15, per aver la Corte di Milano ritenuto che la successione fosse disciplinata dalla legge inglese per i beni mobili e dalla legge italiana per gli immobili, in quanto l’art. 13 citato escluderebbe la possibilità di applicare le norme di conflitto inglesi che frazionano la successione; per il ricorrente principale, si dovrebbe, piuttosto, intendere che il richiamo dell’art. 46 alla legge nazionale comporti che l’intera successione resti regolata dal diritto materiale inglese, con conseguenti revoca del testamento per successivo matrimonio ed esclusione della successione ab intestato del coniuge con riguardo ai beni immobili. 3. Il primo motivo del ricorso incidentale di P.R.C. denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 46, e delle norme consuetudinarie di diritto inglese, avendo la sentenza impugnata ignorato gli ambiti di applicazione della lex successionis e della lex rei sitae. In particolare, alla successione di P.O.A. si doveva applicare il diritto inglese, stante il principio di unitarietà ritraibile dall’art. 46 citato, senza così riconoscere alcun diritto sul patrimonio immobiliare alla coniuge del de cuius. La legge italiana, quale lex rei sitae, avrebbe dovuto rilevare solo per le procedure di acquisto dei beni, per gli atti di autorizzazione o di immissione in proprietà, per le formalità di controllo e vidimazione, e non invece per l’attribuzione della qualità di erede. Il secondo motivo del ricorso incidentale di P.R.C. deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 46, comma 2 e art. 13, comma 2, sostenendo che la scelta da parte de cuius della lex successionis escluda l’applicazione del cosiddetto “rinvio indietro”, con conseguente applicazione alla successione di P.O.A. del solo diritto materiale inglese e non anche del diritto italiano, dal che la negazione di qualsiasi attribuzione ad B.O. eccedente i soli beni mobili del defunto. Il terzo motivo del ricorso incidentale di P.R.C. denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 13 e art. 48, nonchè delle norme consuetudinarie di diritto inglese internazionale privato. Si assume che il rinvio alla lex rei sitae, voluto dal diritto inglese per il patrimonio ereditario immobiliare, avrebbe dovuto condurre alla conclusione della permanente validità del testamento del 29 ottobre 1997 alla stregua della disciplina successoria italiana, limitando la quota spettante al coniuge alla misura di un quarto stabilita dall’art. 542 c.c. in tema di tutela dei legittimari. Il quarto motivo del ricorso incidentale di P.R.C. allega la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 581 c.c., in quanto la Corte d’appello ha attribuito ad B.O. tutti i beni mobili personali del de cuius ed un terzo degli immobili siti in Italia, senza neppure tener conto dei debiti gravanti sull’eredità. 4. Il primo motivo del ricorso incidentale di B.O., proposto in via subordinata all’accoglimento di uno o alcuni dei motivi dei ricorsi avversi, e correlato al capo di sentenza che ha negato alla stessa il diritto ad ottenere un legato di 125.000 sterline, denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’Administration of Estates Act 1925 Sect. 46 – Family Proyision Intestate Succession Order 1993 e delle norme consuetudinarie di diritto inglese richiamate dall’esperto, nonchè dell’art. 581 c.c., ove si ritenesse applicabile alla successione il solo diritto inglese, dovendo in tal caso il legato gravare sull’asse ereditario immobiliare assegnato ai figli. Il secondo motivo del ricorso incidentale di B.O., proposto condizionatamente all’accoglimento di uno o alcuni dei motivi dei ricorsi avversi, denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’Administration of Estates Act 1925 Sect. 46 – Family Provision Intestate Succession Order 1993 e delle norme consuetudinarie di diritto inglese richiamate dall’esperto, nonchè dell’art. 542 c.c., ove viceversa si ritenesse applicabile il diritto italiano alla questione della validità del testamento, in tal caso potendo il legato gravare sul patrimonio immobiliare assegnato ai figli senza alcuna lesione di legittima. Al riguardo di tale legato ex lege (cosiddetto statutory legacy), la Corte d’appello, dopo aver riconosciuto l’irrilevanza della ravvisata revoca testamentaria, ha tuttavia sostenuto che esso “non può gravare sull’asse ereditario costituito dagli immobili, poichè in tal caso verrebbero alterate in danno dei figli del defunto le quote di legittima in violazione della legge italiana”. 5. L’ordinanza interlocutoria n. 18/2020 del 3 gennaio 2020 pronunciata dalla Seconda Sezione Civile ha così esposto le questioni di massima di particolare importanza che sono sottese alla decisione dei ricorsi. 5.1. Il de cuius P.O.A., che aveva mantenuto fino alla morte, avvenuta il (OMISSIS), cittadinanza e domicilio inglesi, aveva redatto il 29 ottobre 1997 testamento, istituendo propri eredi cinque dei suoi sette figli ed attribuendo un legato di 50.000 sterline ad B.O., che aveva poi sposato in data (OMISSIS). Non era stato accertato dai giudici del merito che il testatore avesse scelto di sottoporre la sua successione alla legge inglese (L. n. 218 del 1995, art. 46, comma 2), in maniera da precludere pure il rinvio alla legge italiana (L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 2). 5.2. L’asse ereditario comprendeva anche immobili siti in Italia (il compendio denominato “(OMISSIS)” in (OMISSIS) ed un immobile nel comune di (OMISSIS)). 5.3. La decisione della Corte d’appello era stata quella di regolare la successione secondo il diritto inglese, intendere perciò revocato il testamento per effetto del successivo matrimonio alla section 46 del Will Act del 1837, procedere ab intestato, attribuire i beni mobili secondo la legge del domicilio del testatore e i beni secondo la legge di situazione. 5.4. La cornice normativa di riferimento va rinvenuta nella L. n. 218 del 1995, non avendo applicazione nella specie nè la Convenzione dell’Aja del 1 agosto 1989 nè il Regolamento UE n. 650/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012. 5.5. la L. n. 218 del 1995, art. 46, comma 1, dà conferma del principio di unitarietà della successione. 5.6. Nei sistemi di common law, tuttavia, la successione non investe l’intero patrimonio del defunto. In particolare, il diritto internazionale privato inglese scinde la disciplina applicabile alla successione, riservando alla legge del domicilio del de cuius la sorte dei beni mobili ed alla lex rei sitae la regolamentazione degli immobili. 5.7. Concorrendo leggi diverse nella disciplina della medesima successione, in virtù del sistema della scissione dovrebbero costituirsi due distinte masse ereditarie e risolversi in base alle norme a ciascuna applicabili i problemi di validità ed efficacia del titolo successorio, quelli legati all’entità delle quote spettanti ai successori, o alle modalità della delazione, all’accettazione ed alla pubblicità degli atti, nonchè all’eventuale tutela dei legittimari. 5.8. La professio iuris generalmente contemplata dalla L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 2, lett. a) quale deroga al rinvio alla legge di altro Stato, è comunque limitata per le successioni causa mortis al solo eventuale riferimento che il testatore abbia fatto alla legge dello Stato in cui risiede. 5.9. A norma della L. n. 218 del 1995, art. 15 la legge straniera va applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo. 5.10. dalla L. n. 218 del 1995, art. 13 si desume come venga ammesso sia il cosiddetto rinvio all’indietro (e cioè alla legge italiana), sia il cosiddetto rinvio altrove (e cioè ad un terzo ordinamento). Nel caso in esame, la legge inglese contiene, così, un rinvio all’indietro alla legge italiana in base alla situazione dei beni, e tale rinvio è accettato dall’ordinamento italiano. 5.11. L’ordinanza interlocutoria n. 18/2020 evidenzia allora come occorra verificare: 5.11.1. se, in base al combinato disposto della L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 1, art. 15 e art. 46, comma 1, la collocazione dell’istituto della revoca del testamento nell’ambito della materia successoria o di quella matrimoniale debba operarsi in base ai criteri di qualificazione della legge italiana o della legge straniera (nella specie, quella inglese); 5.11.2. se l’applicabilità del diritto inglese sia altrimenti comunque da escludere a causa del criterio della scissione dello statuto successorio adottato in quell’ordinamento, giacchè contrastante con il principio di unitarietà ed universalità della successione recepito anche dalla L. n. 218 del 1995, ove ritenuto inderogabile; 5.11.3. se, in base alla L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 1 e art. 46, comma 1, sia corretto anteporre l’operatività della norma sostanziale inglese, riguardante la revoca testamentaria, alla disciplina successoria individuata per gli immobili con riferimento alla lex rei sitae. Potrebbe viceversa sostenersi che l’art. 13 citato, ove stabilisce che deve tenersi conto della norma straniera di rinvio, intenda escludere che la materia possa essere disciplinata dall’ordinamento straniero che – in base alle proprie norme di diritto internazionale privato – non vuole invece regolarla. In particolare, la conclusione di applicare la legge materiale inglese riguardante la revoca del testamento per susseguente matrimonio all’intera successione non sembra considerare la norma di rinvio contenuta nella legge di diritto internazionale privato inglese, che non è volta a disciplinare la devoluzione degli immobili situati in Italia, anche riguardo alle questioni concernenti l’efficacia del titolo testamentario; 5.11.4. se la lex rei sitae, oltre ad integrare la legge successoria in base all’art. 46, comma 1 possa costituire essa stessa la fonte di regolazione del titolo successorio per effetto del rinvio contenuto nelle norme di diritto internazionale privato straniero che contemplano il sistema della scissione; o se, piuttosto, detta legge venga in rilievo ai soli fini della regolazione delle modalità di acquisto dei beni ereditari. 6. Vanno esaminati congiuntamente il ricorso principale di P.J. ed il ricorso incidentale di P.R.C., in quanto essi pongono censure in parte sovrapponibili ed in parte interdipendenti, sicchè le ragioni che depongono per la fondatezza di alcuni dei motivi rendono superflua l’autonoma trattazione delle questioni sollevate con altri. Il ricorso principale di P.J. ed il ricorso incidentale di P.R.C. sono dunque da accogliere nei limiti di seguito delineati. 6.1. Si ha riguardo alla successione di P.O.A., cittadino inglese, morto in Italia il (OMISSIS), coniugato dal (OMISSIS) con B.O., cittadina italiana. Alla successione di P.O.A. partecipano, oltre la coniuge, i sette figli del de cuius, C., C.D., I., A.A., Ro., J. e P.R.. P.O.A. aveva redatto testamento redatto a Londra il 29 ottobre 1997, ed aveva disposto di tutte le sue sostanze in favore di C., C.D., I., A.A. e Ro., lasciando ad B.O. un legato di 50.000 sterline. In corso di causa, P.J. e P.R. hanno acquistato le quote ereditarie di C., C.D., I., A.A. e Pi.Ro.. Il patrimonio ereditario è composto da immobili siti in Italia e da beni mobili. 7. La fattispecie di causa va regolata esclusivamente alla stregua della L. 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato). Non rileva ratione temporis, e comunque per il mancato opt-in del Regno Unito, il Regolamento (UE) numero 650/2012 del 4 luglio 2012. Non rileva neppure la Convenzione dell’Aja del 1 agosto 1989, di cui l’Italia non è parte contraente. 8. La L. 31 maggio 1995, n. 218 dedica al diritto internazionale privato delle successioni il capo VII, strutturato in quattro articoli inerenti alla legge applicabile (artt. 46-49) ed in un articolo in tema di giurisdizione (art. 50). L’art. 46 individua la disciplina che regola la successione internazionale e la divisione ereditaria, gli artt. 47 e 48 riguardano il regime della capacità di testare e della forma del testamento, mentre l’art. 49 contempla una norma sostanziale sulla successione dello Stato. 9. Nella vicenda per cui è causa, viene in rilievo un caso di revoca del testamento previsto dal Wills Act 1837 in ipotesi di successivo matrimonio del testatore (“In England, Wales and Northern Ireland, it is still a general rule that marriage automatically revokes a will”). Ai fini della qualificazione della questione come rientrante nello statuto successorio, e perciò da affrontare in base alla L. n. 218 del 1995, art. 46 non serve contrapporre che per il diritto inglese tale revoca non rientra nell’ambito delle successioni, ma del matrimonio. La qualificazione dirimente per dare soluzione alla questione preliminare della inerenza della fattispecie di revoca testamentaria alla legge delle successioni va operata in base alla legge materiale italiana. La L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 15 (in base al quale “la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo”), postula che il diritto straniero, operante nell’ordinamento italiano in forza delle norme di diritto internazionale privato, deve essere applicato dal giudice italiano avvalendosi di tutti gli strumenti interpretativi posti dall’ordinamento straniero, ma non dà risposta al profilo della qualificazione e quindi della natura della norma di altro Stato, da affrontare, perciò, secondo la lex fori. Pertanto, nel decidere quale norma di conflitto prevista dalla L. n. 218 del 1995 funzioni in rapporto alla specifica domanda proposta, il giudice deve determinare il significato delle espressioni giuridiche che connotano le categorie di fattispecie sulla base della lex fori, e cioè secondo i canoni di qualificazione propri dell’ordinamento italiano, cui tale norma appartiene (e non già sulla base della lex causae, e cioè adoperando i canoni ermeneutici dell’ordinamento straniero di volta in volta richiamato). Nella specie, individuate dapprima nella L. n. 218 del 1995, artt. 13 e 46 le norme di conflitto, alla stregua della qualificazione compiuta secondo la lex fori, occorre poi considerare che la medesima legge inglese richiamata intende regolare la successione dei beni mobili, mentre rinvia indietro all’Italia la disciplina della successione dei beni immobili. La qualificazione, alla luce dell’ordinamento inglese richiamato, della questione preliminare attinente alla revoca del testamento come inerente ai rapporti tra coniugi (cosiddetta seconda qualificazione o qualificazione di rinvio) può rilevare, quindi, soltanto nei limiti in cui le norme di conflitto dapprima individuate portino a dare applicazione alla legge straniera. 10. In continuità con l’abrogato art. 23 preleggi e ancora prima con l’art. 8 preleggi 1865, la L. n. 218 del 1995, art. 46 ribadisce inizialmente i principi di unitarietà e universalità della successione (tanto ex lege che testamentaria), affermando il comma 1 che la successione mortis causa è regolata (soltanto) dalla legge nazionale del defunto al momento della morte, senza che abbiano rilievo la natura e la situazione dei beni che ne costituiscono oggetto. 10.1. I principi di unitarietà e universalità della successione divergono dalla soluzione della pluralità delle successioni, adottata, ad esempio, nei paesi di common law (ma anche in alcuni ordinamenti di civil law), e connotata dalla separazione tra legge regolatrice della proprietà mobiliare e legge regolatrice della proprietà immobiliare: la prima coincidente con la legge dell’ultimo domicilio o dell’ultima cittadinanza del de cuius, la seconda, per i beni immobili, individuabile come lex rei sitae. 10.2. Lo stesso L. n. 218 del 1995, art. 46 peraltro, al comma 2 riconosce al soggetto della cui eredità si tratta la scelta di sottoporre, necessariamente con dichiarazione espressa in forma testamentaria, che “l’intera successione” sia sottoposta “alla legge dello Stato in cui risiede” (cosiddetta optio legis, o professio juris). In tal caso, però, ove si tratti di successione di un cittadino italiano, la scelta non può pregiudicare i diritti che la legge italiana attribuisce ai legittimari residenti in Italia al momento della morte del de cuius. 10.3. D’altro canto, il principio di unità della successione può essere attenuato dall’operatività del meccanismo del rinvio L. n. 218 del 1995, ex art. 13 il quale, introdotto da tale disposizione per la prima volta nel nostro ordinamento, può portare a modificare le stesse regole di conflitto: ciò è quel che avviene, ad esempio, proprio allorchè la legge nazionale del defunto adotti il criterio della scissione e così postuli l’assoggettamento della successione a discipline diverse in base alla natura ed alla situazione dei beni compresi nell’eredità. 10.4. La coniugazione simultanea, sotto il profilo della legge regolatrice della successione internazionale, della regola di unitarietà e universalità della successione e della regola del rinvio impone all’interprete un difficile coordinamento, che era invece ignoto nell’originario sistema retto dagli artt. 23 e 30 disp. gen.. Tale difficile coordinamento si impone indicativamente proprio quando muoia un cittadino inglese che lasci nel suo patrimonio immobili in Italia: la successione è regolata dalla legge inglese secondo la L. n. 218 del 1995, art. 46 ma la conflict law inglese non codificata valevole per i beni immobili rinvia, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 13 alla lex rei sitae, ovvero alla legge italiana. Ciò, peraltro, garantisce l’applicazione della stessa legge alla medesima successione internazionale, evitando che i giudici dei due diversi Stati pervengano, ove alternativamente aditi, a soluzioni opposte. 11. Deve subito considerarsi come il ricorso incidentale di P.R.C. (in particolare, secondo motivo) fa riferimento ad una “quaestio voluntatis”, attinente alla “scelta” inequivocabile di P.O.A. di assoggettare la propria successione alla legge sostanziale inglese, ritraibile dalla decisione dello stesso di recarsi a Londra nel 1997 appositamente per fare testamento. Di tale questione non vi è però alcun cenno nella sentenza impugnata, nè il ricorrente incidentale, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, allega, nei modi imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’avvenuta deduzione della stessa innanzi al giudice di merito, limitandosi il ricorrente incidentale, del resto, ad articolare censure per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, le quali non implicano l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa. Neppure è sostenibile che la decisione del Tribunale di Milano contenesse una statuizione minima, perciò suscettibile di acquisire efficacia di giudicato interno, nel senso che P.O.A. avesse “scelto” la legge materiale da applicare alla sua successione, trattandosi, perciò, di questione che il giudice di appello aveva il potere di riconsiderare e riqualificare relativamente agli aspetti comunque coinvolti dai motivi dei contrapposti gravami. 11.1. In ogni caso, perchè possa ravvisarsi la scelta di cui alla L. n. 218 del 1995, art. 46, comma 2, (ammissibile soltanto in favore della legge dello Stato in cui il de cuius abbia la propria effettiva ed abituale residenza, al momento della stessa scelta e della morte, e riferibile necessariamente all’intera successione, nonchè tale da disattivare in potenza anche l’effetto dell’eventuale rinvio: L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 2, lett. a), occorre una “dichiarazione espressa in forma testamentaria”, ovvero in una delle forme valide previste dal successivo art. 48. 11.2. La contemporanea operatività della L. n. 218 del 1995, artt. 13 e 46 esclude che al cittadino inglese, che non opti per la legge dello Stato di residenza, basti redigere testamento ai sensi della sua legge materiale nazionale per rendere applicabile quest’ultima all’intera successione: la scelta della forma del testamento non rivela ex se una volontà del testatore se manca nella scheda una dichiarazione espressa della legge applicabile alla sua successione, e così la situazione dei beni immobili finisce per determinare l’applicabilità della legge del posto quale conseguenza del rinvio indietro. 12. Dunque, il principio di unità della successione comporta che la legge non considera nè le caratteristiche dei beni, nè le qualità dei successibili per disciplinare la vocazione. Esso inoltre implica l’unicità della successione, che si apre solo una volta, e l’unitarietà della sua regolazione normativa, cioè l’utilizzazione di un unico meccanismo di allocazione delle situazioni comprese nel compendio ereditario. Il diritto internazionale privato è, tuttavia, il terreno elettivo dello scontro tra unità e pluralità delle successioni mortis causa. Questo scontro si avvera, infatti, quando, nelle successioni transnazionali, entra in gioco il rinvio consentito ed accettato anche di ritorno (contraddittoriamente, ad avviso di alcuni commentatori) dalla L. n. 218 del 1995, art. 13. Nel caso in esame (che delinea una fattispecie non a caso ipotizzata come emblematica in molti studi specialistici), le norme di conflitto, di cui alla L. n. 218 del 1995, artt. 13 e 46 individuano preliminarmente la lex successionis nella legge inglese, la quale poi trattiene la regolamentazione dei beni mobili e rinvia indietro alla lex rei sitae la disciplina dei beni immobili. In sostanza, quale conseguenza del rinvio del diritto internazionale privato italiano al diritto privato internazionale inglese e del correlato rinvio indietro previsto da quest’ultimo, si determina l’effetto della cosiddetta “scissione” tra i beni immobili e i beni mobili del defunto, senza che, per quanto detto, emerga alcun contrasto con l’ordine pubblico internazionale L. n. 218, ex art. 16: la legge che governa la successione inerente ai beni immobili è la legge italiana, ovvero quella dello Stato in cui i beni si trovano (lex rei sitae); la legge che governa la successione inerente ai beni mobili, per contro, è la legge inglese, legge del domicilio del defunto. 13. Il sistema della scissione, che connota il diritto inglese (nonchè altri paesi Europei) e che il nostro ordinamento “accetta” quale possibile conseguenza del “rinvio indietro” nella regolamentazione di una successione che contiene elementi di estraneità, poggia su considerazioni di carattere eminentemente pratico di antica discendenza (“mobilia personam sequuntur, immobilia vero territorium”): il rilievo riconosciuto al domicilio per la disciplina della successione mobiliare è giustificato dalla normale collocazione di tale patrimonio del de cuius presso il domicile of origin, che si acquista alla nascita e che viene mantenuto finchè non sia sostituito con un domicile of choice, sicchè, non avendo i beni mobili un collegamento stabile, essi vengono regolati dallo statuto personale; viceversa, la propensione per la legge del luogo di situazione in rapporto alla successione immobiliare deriva dal legame con l’autorità che ha giurisdizione sui beni immobili, giustificandosi l’operatività riguardo ad essi dello statuto reale. Si tratta di un sistema di scissione, dunque, riguardante le categorie di beni, e non meramente “funzionale”, quale quello che invece sottopone la devoluzione dei beni ereditari alla legge successoria e la sola amministrazione della successione alla lex fori. 14. Il principio della scissione, beninteso, opera sia nell’ambito di una successione ab intestato sia in una successione testamentaria. 15. La ricorrenza di un sistema dualista nella disciplina della successione transazionale comporta l’apertura di due (o più, se più sono gli Stati in cui esistono beni immobili del defunto) successioni e la formazione di due distinte masse, ognuna assoggettata a differenti regole di vocazione e di delazione, ovvero a diverse leggi chiamate a verificare la validità e l’efficacia del titolo successorio, ad individuare gli eredi, a determinare l’entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità. 15. In particolare, l’ambito di applicazione della lex successionis, individuata per le due successioni, quella mobiliare e quella immobiliare, abbraccia tutti i tre momenti in cui si sviluppa il procedimento successorio: quello della devoluzione, quello della trasmissione ereditaria dei beni e quello della divisione. Trattandosi di successione testamentaria, la stessa lex successionis, nella specie, quella inglese per i beni mobili e quella italiana per i beni immobili, disciplina, tra l’altro, quali tipi di disposizione il testatore poteva prevedere, la necessità di accettazione del legato o le modalità della rinuncia ad esso, i presupposti, le cause, i modi e gli effetti della revoca del testamento, l’eventuale tutela dei legittimari (quest’ultima desumibile altresì dalla L. n. 218 del 1995, art. 46, comma 2). In mancanza di una dichiarazione espressa del testatore della legge applicabile alla successione e comunque agli effetti dalla L. n. 218 del 1995, art. 46, cit. comma 2 non può, invero, sostenersi che il rinvio alla legge italiana per la successione immobiliare, e la conseguente tutela delle quote di legittima, sacrificano la volontà di quello di disporre dei propri beni dopo la morte preservata dal sistema giuridico inglese. 16. L’errore della sentenza impugnata sta dunque nell’aver ritenuto che “è proprio perchè è la legge inglese a disciplinare la successione mortis causa che trova applicazione prima la revoca del testamento per susseguente matrimonio, poi la successione ab intestato secondo le regole di diritto internazionale privato della stessa – applicate dunque prima di quelle sostanziali per risolvere il conflitto – che individuano per i beni mobili le disposizioni della legge inglese in considerazione del domicile del de cuius e per gli immobili le disposizioni della legge italiana per il rinvio senza distinzioni alla lex rei sitae”. In tal modo, i giudici del merito hanno finito per regolare anche il titolo di acquisto della successione immobiliare in base alla legge inglese, relegando l’operatività della lex rei sitae alla sola fase successiva alla delazione, limitata alla determinazione delle quote, alle modalità materiali ed alle formalità di acquisito. Devono pertanto enunciarsi i seguenti principi: In tema di successione transazionale, per l’individuazione della norma di conflitto operante, ed in particolare per la qualificazione preliminare della questione come rientrante nello statuto successorio, e perciò da regolare alla stregua della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 46 il giudice deve adoperare i canoni propri dell’ordinamento italiano, cui tale norma appartiene. Allorchè la legge nazionale che regola la successione transnazionale, ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 46 sottopone i beni mobili alla legge del domicilio del de cuius e rinvia indietro alla legge italiana, come consentito dalla L. n. 218 del 1995, art. 13, comma 1, lett. b), per la disciplina dei beni immobili compresi nell’eredità, si verifica l’apertura di due successioni e la formazione di due distinte masse, ognuna assoggettata a differenti regole di vocazione e di delazione, ovvero a diverse leggi che verificano la validità e l’efficacia del titolo successorio (anche, nella specie, con riguardo ai presupposti, alle cause, ai modi ed agli effetti della revoca del testamento), individuano gli eredi, determinano l’entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità ed apprestano l’eventuale tutela dei legittimari. 17. L’accoglimento, nei limiti di cui in motivazione, del ricorso principale di P.J. e del ricorso incidentale di P.R.C. comporta l’assorbimento del ricorso incidentale di B.O., le cui censure, attinenti al capo di sentenza che ha negato alla stessa il diritto ad ottenere un legato ex lege (statutory legacy) di 125.000 sterline in forza dell’Administration of Estates Act 1925 Sect. 46, perdono di immediata evidenza decisoria, dovendo necessariamente essere riesaminate dal giudice di rinvio nell’ambito dei nuovi accertamenti di fatto ad esso devoluti alla stregua degli enunciati principi di diritto. 18. La sentenza impugnata va cassata, con rinvio dalla causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai principi di diritto enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso principale di P.J. ed il ricorso incidentale di P.R.C., dichiara assorbito il ricorso incidentale di B.O., cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 26 gennaio 2021. Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 202
Cassazione civile sez. VI, 15/10/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 15/10/2018), n.25635STRANIERO SUCCESSIONI BENI IN ITALIA CASS SEZ UNITE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
PUBBLICITÀ
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4085/2017 proposto da:
EUROVITA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI
44, presso lo studio dell’avvocato GUIDO TORELLI, che la rappresenta
e difende;
– ricorrente –
contro
F.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI
SCIPIONI 288, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GIOVANNI
CARBONE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
VALENTINA LONER, CARLO BERLACCHI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 170/2016 della CORTE D’APPELLO di TRENTO
SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, depositata il 10/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 27/06/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
con atto di citazione del 30 gennaio 2014 F.C. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Bolzano la società Eurovita Ass.ni S.p.A. chiedendo dichiararsi il proprio diritto, quale erede universale di T.A. e, comunque, a qualsiasi titolo, alle prestazioni derivanti dalla polizza assicurativa. Deduceva che in data 3 giugno 2004 la T. aveva stipulato con Eurovita Ass.ni S.p.A. un contratto di assicurazione sulla vita per il capitale di Euro 35.000 nel quale venivano indicati quali beneficiari gli “eredi legittimi”. A causa del successivo decesso della contraente, si apprendeva della stesura di un testamento olografo, nel quale F.C. veniva designata erede
universale dell’assicurata, senza alcun riferimento all’esistenza
dell’assicurazione sulla vita sottoscritta dalla de cuius. Si costituiva Eurovita Ass.ni S.p.A. chiedendo il rigetto della domanda;
il Tribunale di Bolzano con sentenza del 15 aprile 2015 accoglieva le domande condannando la compagnia al pagamento della somma di Euro 50.000 corrispondente al capitale investito oltre rivalutazione e interessi. Il primo giudice riteneva che l’attrice, quale erede universale della assicurata, istituita con testamento olografo del 30 agosto 2010, integrasse la qualità di un unico “erede legittimo” indicato nella polizza quale beneficiario;
con atto di citazione del 27 luglio 2015 la Compagnia impugnava la decisione del Tribunale rilevando che il diritto del beneficiario aveva natura contrattuale e non successoria e che l’istituzione di F.C. quale erede testamentario non attribuiva alla stessa il diritto alla corresponsione della somma, in quanto tale importo non rientrava nell’asse ereditario. Si costituiva l’appellata contestando i motivi di impugnazione;
la Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, con sentenza del 10 dicembre 2016 rigettava l’appello proposto da Eurovita Ass.ni S.p.A. con condanna al pagamento delle spese di lite;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Eurovita Ass.ni S.p.A. affidandosi ad un motivo che illustra con memoria ex art. 380 bis c.p.c..
esiste con controricorso F.C..
Considerato che:
Eurovita Ass.ni S.p.A. lamenta la violazione degli artt. 1362,1363,1367,1920 e 1921 c.c., rilevando che la Corte aveva errato nell’applicazione dei criteri ermeneutici contrattuali. In particolare, l’interpretazione del contratto avrebbe dovuto imporre la corretta applicazione delle norme in tema di assicurazione (artt. 1920 e 1921 c.c.) secondo cui la disciplina in tema di assicurazione a favore del terzo si applica a quella sulla vita, per cui il diritto del beneficiario alla prestazione dell’assicuratore trova fondamento nel contratto, con la conseguenza che diverrebbe irrilevante la successiva istituzione, quale erede universale, di F.C. la cui differente qualifica (da terza estranea, a erede universale), non sposterebbe l’individuazione contrattuale dei beneficiari, nelle persone degli eredi legittimi. La volontà contrattuale della assicurata T. sarebbe chiara nell’individuazione dei beneficiari negli eredi legittimi. Al contrario non vi sarebbe alcuna revoca di tale indicazione nel testamento olografo, che non menziona la polizza. Pertanto, vi era stata una violazione degli articoli 1362 e seguenti c.c. perchè la Corte territoriale aveva equiparato la revoca delle precedenti disposizioni testamentarie, alla revoca della individuazione del beneficiario del contratto di assicurazione. In ogni caso, non ricorrerebbe una revoca esplicita la quale, ai sensi dell’art. 1921 c.c., deve essere contenuta in una successiva dichiarazione scritta contrattuale o nel testamento. Secondo la Corte territoriale, invece, l’istituzione di un erede testamentario universale integrerebbe la revoca della precedente designazione del beneficiario nella persona degli eredi legittimi;
Osserva il collegio che la Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, adotta una doppia e autonoma motivazione. In primo luogo e in maniera più diffusa (pagine 5, 6 e 7 della sentenza) richiama l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità per evidenziare che il termine “eredi legittimi” utilizzato dall’assicurata, assumeva la sola funzione di individuare la categoria delle persone beneficiarie dell’indennizzo, i quali acquistano certamente iure proprio il diritto, con la precisazione che la concreta individuazione del beneficiario che potrà pretendere la liquidazione dell’indennizzo, rimane ignota sino alla data del decesso dell’assicurata. Con seconda ed autonoma motivazione rileva (pagina 8) che l’art. 1921 c.c., consente all’assicurato di revocare la designazione del beneficiario attraverso il testamento;
sia la prima, che la seconda motivazione sono errate. Quanto alla prima, secondo la Corte territoriale, in sostanza, il riferimento alla categoria degli eredi non consente di distinguere tra quelli testamentari o legittimi, poichè costituisce un semplice criterio per la concreta, ma futura, individuazione dei beneficiari. Pertanto, nel momento in cui l’assicurata opta per la successione testamentaria, quel criterio di individuazione consente di escludere la categoria degli eredi legittimi, incompatibile con la presenza di un testamento e individua l’unica erede testamentaria, nell’odierna controricorrente;
tale impostazione è contraria ai principi affermati da questa Corte in materia. Nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato acquista, ai sensi dell’art. 1920 c.c., comma 3, un diritto proprio che trova la sua fonte nel contratto e che non entra a far parte del patrimonio ereditario del soggetto stipulante e non può, quindi, essere oggetto delle sue (eventuali) disposizioni testamentarie nè di devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima; sicchè la designazione dei terzi beneficiari del contratto, mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi o testamentari, non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, trattandosi di una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari medesimi in funzione della loro astratta appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, in modo che qualora i beneficiari siano individuati, come nella specie, negli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che, in linea teorica e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dello stipulante, siano i successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all’eredità (Cass. Sez. 2 n. 26606 del 21/12/2016 e Cass. n. 9388 del 1994 Rv. 488508 – 01, Cass. n. 6531 del 2006 Rv. 594102);
nel momento in cui l’assicurato individua il beneficiario, questi acquista un diritto iure proprio (giurisprudenza costante), ma nello stesso tempo la liquidazione dell’indennizzo da parte dell’assicuratore non farà più parte del patrimonio dell’assicurato, al momento della morte di questi. Residua in capo all’assicurato un unico potere, quello previsto dall’art. 1921 c.c., di revocare la designazione del beneficiario. Ma la designazione del beneficiario non si realizza attraverso la modificazione della generica categoria degli eredi legittimi, ma attraverso una specifica individuazione di un nuovo soggetto beneficiario. Quest’ultimo, infatti, acquista un diritto iure proprio del tutto autonomo rispetto alle vicende successorie. La polizza è un contratto a favore del terzo, dal quale deriva il diritto del beneficiario al pagamento dell’indennità; la designazione può essere compiuta con il contratto o con il testamento; nella specie la designazione a favore degli eredi legittimi contenuta in contratto era una modalità per individuare i beneficiari fra i quali andava divisa l’indennità prevista nel contratto, restando esclusa l’applicabilità delle norme sulla successione ereditaria; la revoca deve avvenire nelle stesse forme della designazione; nella specie il testamento non contiene pacificamente alcuna revoca;
la questione risolutiva concerne la interpretazione della clausola apposta nel contratto di assicurazione in caso di morte dell’assicurata, laddove individua i beneficiari negli eredi legittimi. Escluso, come si è detto, che l’attribuzione del diritto avvenga in applicazione e per effetto della disciplina che regola la successione ereditaria, il riferimento contenuto in tale clausola alla qualità di eredi (legittimi) integra un criterio di determinazione per relationem dei beneficiari in funzione della loro appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, non incidendo sulla fonte del diritto (che, come si è detto, è l’atto inter vivos). Peraltro, la individuazione dei soggetti designati – seppure va compiuta necessariamente al momento della morte dell’assicurato – non postula che i medesimi si identifichino, come invece sostenuto in sentenza, con coloro che siano effettivamente chiamati all’eredità: nell’ipotesi in cui siano individuati con riferimento alla categoria degli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che in astratto, seppure con riferimento alla qualità esistente al momento della morte, siano i successibili per legge, e ciò indipendentemente dalla effettiva vocazione e anche se poi interviene una successione testamentaria;
questa Corte ha precisato che quando la designazione sia avvenuta con il contratto di assicurazione, che è stato stipulato in epoca anteriore alla redazione del testamento, la volontà negoziale va correttamente interpretata, ritenendo che i beneficiari dovessero identificarsi negli eredi ab intestato, così da escludere rilevanza alla successiva istituzione testamentaria dell’attrice (odierna ricorrente), quale erede universale: infatti, “deve negarsi che, in difetto di alcun riferimento alla designazione formulata nel contratto, tale disposizione testamentaria possa di per se sola integrare univoca manifestazione di volontà di revoca, anche tacita, della (ovvero che sia incompatibile con la) designazione avvenuta nel contratto di assicurazione”, atteso che, per quel che si è detto, il diritto azionato dall’attrice trova fonte nel contratto di assicurazione stipulato dal(la) de cuius a favore dei terzi ivi indicati e pertanto, al momento della morte dell’assicurata, non rientra nel patrimonio ereditario;
sulla base di quanto precede la prima motivazione della sentenza della Corte di Trento è errata, perchè fondata sulla rilevanza della successiva istituzione testamentaria dell’attrice quale erede universale;
con la seconda motivazione (pagina 8) la Corte territoriale rileva che l’art. 1921 c.c., consente all’assicurato di revocare la designazione del beneficiario attraverso il testamento e osserva che la redazione di un testamento successivo alla stipula del contratto di assicurazione con istituzione di un erede assume “chiara valenza di revoca dell’originario beneficiario, individuato negli “eredi legittimi”;
anche questa seconda motivazione è in contrasto con il citato orientamento secondo cui “in difetto di alcun riferimento alla designazione formulata nel contratto, tale disposizione testamentaria possa di per se sola integrare univoca manifestazione di volontà di revoca”;
è evidente che la volontà dell’assicurato è quella di beneficiare chi le è stato vicino, ma tale parametro riguarda la volontà del testatore, più che quella del contraente, rispetto alla quale operano i principi affermati dalla giurisprudenza sopra indicata, secondo cui, una cosa è il contratto di assicurazione per la vita, altra cosa è la regola della successione legittima e testamentaria. L’art. 1920 c.c., consente di legare i due ambiti, prevedendo che la revoca della indicazione del beneficiario possa essere fatta con successiva dichiarazione scritta, cioè negoziale, o per testamento. Nell’ipotesi in esame non vi è una revoca esplicita, essendo pacifico e sufficientemente allegato che il testamento non tratta dell’assicurazione sulla vita e la motivazione della Corte è esclusivamente sostanziale (pagina 8) laddove si limita a precisare che una delle forme di revoca della designazione del beneficiario è il testamento (ma la dichiarazione di revoca va interpretata con i criteri stabiliti dall’articolo 1362 e seguenti c.c. e non con le norme in tema di successione testamentaria, con il favor testamenti). Pertanto, c’è un salto logico laddove la Corte afferma che “la stessa redazione di un testamento successivo alla stipula del contratto di assicurazione, che contenga l’istituzione di erede, assume chiara valenza di revoca dell’originario beneficiario, individuato negli “eredi legittimi”. In sostanza la Corte non interpreta il contenuto del testamento, per individuare una implicita dichiarazione di revoca della designazione del beneficiario, ma erroneamente considera il fatto storico dell’esistenza in sè di un testamento, che quindi sostituisce la categoria degli eredi legittimi, con quella degli eredi testamentari, quale elemento che “assume chiara valenza di revoca”;
ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto; la sentenza va cassata con rinvio, atteso che la decisione impugnata non ha osservato i principi sopra illustrati in materia di interpretazione negoziale. Ad essi dovrà evidentemente attenersi il giudice di rinvio.
P.T.M.
La Corte accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 giugno 2018.STRANIERO SUCCESSIONI BENI IN ITALIA CASS SEZ UNITE
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018
Cassazione civile sez. II, 03/07/2019, (ud. 13/11/2018, dep. 03/07/2019), n.17868STRANIERO SUCCESSIONI BENI IN ITALIA CASS SEZ UNITE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
PUBBLICITÀ
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29041/2015 R.G. proposto da:
C.G., C.I., rappresentate e difese, in
forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Alfredo
Galasso, con domicilio eletto in Roma, via Germanico 197, presso lo
studio del difensore;
– ricorrenti –
contro
CA.Ma., rappresentata e difesa, in forza di procura
speciale in calce al controricorso, dall’avv. Adriana Ciaravella,
con domicilio eletto in Roma, viale Gorizia 52, presso lo studio
dell’avv. Maurizio Bonanna;
– controricorrente –
A.F., T.F.A.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1555,
depositata il 16 ottobre;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13
novembre 2018 dal Consigliere Dr. Giuseppe Tedesco;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Dr. Troncone Fulvio, che ha concluso per l’accoglimento del
terzo motivo, assorbiti i restanti;
uditi l’avv. Galasso per le ricorrenti e l’avv. Bonanno per la
controricorrente.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Il giorno 4 marzo 1999 è deceduta in Agrigento C.G., la quale ha disposto del proprio patrimonio con testamento olografo del 10 novembre 1998, pubblicato con verbale a rogito del notaio N.M. di Agrigento del 16 marzo 1999, rep. n. 23063.
Il testamento ha il seguente tenore: “io signora C.G. (…) dichiaro che alla fine della mia vita terrena lascio i miei avere come miei eredi della mia casa sita in corso Nazionale facendo angolo con la salita (OMISSIS) ai miei nipoti C.G. e C.I. abitante e nati ad Agrigento in caso di vendita la devono vendere all’altro padrone dell’altra metà confinante con la signora A.S. essendo che la casa non si può dividere. Per i beni mobili alla persona ( ), che mi deve servire la faccio padrona erede universale”.
Sulla base del testamento Ca.Ma. ha chi a. in giudizio davanti al Tribunale di Sciacca C.G. e C.I., facendo valere il proprio diritto di essere riconosciuta erede della de cuius per quella parte di eredità che la testatrice aveva a lei destinato quale persona che le ha prestato assistenza e servizi in vita.
Il tribunale ha accolto la domanda.
Ha dichiarato la Ca. erede testamentaria e ha condannato le convenute alla restituzione dei beni mobili e della casa in (OMISSIS).
Le C. hanno proposto appello contro la sentenza.
Sono intervenute A.F. e T.F.A., cui le appellanti avevano alienato l’immobile in contesa.
La Corte d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado.
Secondo la corte d’appello “la qualità di erede universale non può che appuntarsi in capo alla Ca., avendo tutti i testi in primo grado dato conto della devozione, dello spirito di abnegazione con la quale per decenni l’appellata aveva prestato assistenza e cura alla C.”. Essa ha aggiunto che “secondo le deposizioni rese dai tesi, tale assistenza si è mantenuta intatta fino alla morte della de cuius e, quindi, anche dopo il confezionamento della scheda”.
Per la cassazione della sentenza C.G. e C.I. hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi.
Ca.Ma. ha resistito con controricorso.
Gli altri soggetti a cui è stato notificato il ricorso sono rimasti intimati.
La causa, originariamente avviata per la trattazione camerale, è stata rimessa in pubblica udienza.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
Il testamento prevedeva il lascito in favore della persona che avesse assistito la defunta nel periodo compreso fra la redazione della scheda e la morte, e non in favore di chi l’avesse assistita fino a quel momento.
Ciò risultava con evidenza dal fatto che il nome del beneficiario era stato lasciato in bianco.
Le prove acquisite nel giudizio si riferivano al periodo antecedente alla redazione del testamento.
Esse quindi non dimostravano che la persona nominata nel testamento si identificasse con la Ca..
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 588 c.c..
Supposto che la disposizione per relationem fosse da qualificare come fatta a titolo di erede, l’oggetto non comprendeva beni ulteriori oltre ai beni mobili espressamente menzionati quali oggetto del lascito.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 628 c.c..
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte di merito ha ritenuto valida la disposizione nonostante la testatrice avesse lasciato in bianco l’indicazione della persona beneficiaria.
La mancata designazione della persona onorate rendeva palese che, fino a quel momento, nessuno aveva svolto il ruolo previsto nel testamento per l’attribuzione del beneficio. Il contenuto della disposizione imponeva allora di fare riferimento non alla situazione esistente al tempo di confezione del testamento, ma a quella realizzatasi successivamente fino alla morte.
Gli esiti della prova andavano verificati in questa diversa prospettiva, mentre la corte di merito aveva fatto il contrario.
2. In uno dei passaggi motivazionali della sentenza impugnata la corte assume che sulla questione della validità della disposizione testamentaria, riconosciuta dal primo giudice, si era formato il giudicato implicito in assenza di tempestiva impugnazione.
Tale rilievo, sul quale la controricorrente fonda una eccezione di inammissibilità del terzo motivo e dell’intero ricorso, è infondato.
Ai sensi dell’art. 628 c.c. “è nulla ogni disposizione fatta a favore di persona che sia indicata in modo da non poter essere determinata”.
La formazione del giudicato sarebbe stata configurabile in una situazione in cui, pacifica la validità della disposizione, si discuteva su chi fosse in concreto il soggetto a cui la de cuius intendeva riferirsi.
Diversamente il conflitto, così come in concreto realizzatosi nel giudizio, vedeva contrapposti le eredi legittime e l’unica persona che aveva accampato pretese in forza della disposizione, alla quale il tribunale aveva dato ragione. Il problema sottoposto all’esame della corte d’appello riguardava perciò la validità della disposizione in sè, in rapporto alla possibilità di identificare in base ad essa la persona beneficiaria del lascito.
Il riconoscimento o la negazione di siffatta possibilità implicavano, nello stesso tempo, il riconoscimento o la negazione della validità disposizione testamentaria ai sensi dell’art. 628 cit..
3. Si impone l’esame del terzo motivo che è fondato e il cui accoglimento determina l’assorbimento del primo motivo.
Ricorre l’ipotesi di disposizione a favore di soggetti determinati dallo stesso testatore non solo nel caso in cui la disposizione sia stata dettata a vantaggio di soggetti nominativamente indicati, ma anche nel caso in cui i beneficiari siano immediatamente e individualmente determinabili in base a precise indicazioni fornite dallo stesso testatore. La menzione della persona onorata dalla disposizione testamentaria fatta dal testatore in modo impreciso o incompleto non rende perciò nulla la disposizione, qualora dal contesto del testamento o altrimenti, sia possibile determinare la persona che il testatore ha voluto beneficiare (Cass. n. 810/1992; n. 1458/1967).
Ciò che è decisivo per ritenere che una disposizione sia a favore di soggetti determinati specificamente è il contenuto obiettivo della disposizione e la concretezza e univocità dei dati di identificazione da essa desumibili; e non si può attribuire rilevanza alla eventuale genericità ed incertezza di quelle che furono, al momento della redazione del testamento, le contingenti previsioni del de cuius, qualora lo stesso testatore, ai fini della determinazione di essi, abbia fatto espresso riferimento alla situazione esistente al momento di apertura della successione (Cass. n. 262/1962).
Si ammette così la possibilità che il testatore si riferisca ad una situazione futura dalla cui realizzazione emerga in modo inequivocabile l’individuazione del soggetto beneficiato, anche qualora si tratti, al momento della redazione del testamento, di persona non conosciuta (Cass. n. 5131/2011).
4. La corte di merito ha riconosciuto, in base alle prove assunte, che la Ca. aveva per decenni prestato cura e assistenza alla C.; da ciò ne ha dedotto che la persona designata non poteva identificarsi che in questa, in quanto l’assistenza si è mantenuta anche dopo la redazione del testamento e fino alla morte.
Ma tale ragionamento è facile replicare che esso elude il problema che la disposizione testamentaria della C. poneva al giudice. Nel caso di specie, secondo la valutazione della corte di merito, la persona che aveva servito la testatrice in passato aveva continuato a farlo anche dopo la redazione del testamento, ma, in linea puramente teorica, poteva darsi il caso che, negli ultimi tempi, la persona che aveva servito la testatrice fosse stata diversa.
La corretta applicazione dell’art. 628 c.c. imponeva perciò al giudice di merito di compiere una scelta univoca circa il mezzo indicato dal de cuius per l’individuazione: in particolare se la testatrice avesse inteso riferirsi alla situazione realizzatasi fino alla redazione del testamento o alternativamente alla situazione che si sarebbe realizzata successivamente, non essendo logicamente possibile che i due criteri potessero operare congiuntamente. O la testatrice si era riferita alla situazione pregressa, e allora aveva inteso designare la persona che l’aveva fino a quel momento servita, pur non identificandola nominativamente, ma in linea teorica in una situazione di vita in cui la individuazione era già possibile; o la testatrice aveva guardato al futuro e allora non aveva altra possibilità, al momento del testamento, se non quella di operare una determinazione per relationem, indicando i dati in base ai quali individuare la persona che voleva onorare del lascito, pur potendo nutrire l’auspicio che la persona che l’aveva servita in passato continuasse a farlo in futuro. Con la conseguenza che, nel primo caso, la considerazione della situazione determinatasi dopo la confezione della scheda andava ad incidere su una relatio già compiutamente avvenuta in base al diverso criterio che rinviava alla situazione già esistente al tempo del testamento: ciò che è successo dopo la confezione del testamento, qualora in ipotesi se ne fosse riconosciuta la rilevanza in base al testamento, andava raccordato con la volontà del testatore in applicazione di istituti diversi, non in base all’art. 628 c.c..
La sentenza va per questa ragione cassata e la corte di rinvio dovrà procedere a nuovo esame e così identificare il criterio in base al quale operare la relazione, nell’alternativa fra la situazione già esistente al tempo della redazione della scheda oppure quella realizzatasi in un secondo tempo.
5. L’accoglimento del terzo motivo non comporta l’assorbimento del secondo motivo. La questione da questo proposta, infatti, riguardante la portata oggettiva della disposizione per relationem, in ipotesi qualificabile a titolo universale, potrebbe ripresentarsi nel giudizio di rinvio, qualora ne fosse riconosciuta la validità.
“Non può essere giustificata una pronunzia di assorbimento rispetto ad uno o più motivi del ricorso, nonostante l’esistenza di un rapporto di interdipendenza con gli altri, ogni qual volta le ragioni per le quali è accolto uno dei motivi non siano tali da escludere che nel giudizio di rinvio possano ripresentarsi le questioni già sollevate con gli altri motivi, venendo in tal caso a mancare l’estremo della superfluità dell’esame della questione, che caratterizza la pronunzia di assorbimento” (Cass. n. 13532/2018; n. 748/1970).
6. Il secondo motivo è fondato.
“A norma dell’art. 558 c.c. si ha istituzione di erede quando l’istituito, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata, sia chiamato nell’universalità dei beni o in una parte indeterminata di essi, considerata in funzione di quota del patrimonio ereditario; si ha, invece, legato allorchè i beni vengono assegnati singolarmente in modo determinato con la precisazione che, mentre in base al comma 1 del predetto articolo l’istituzione di erede va desunta dal contenuto strettamente obiettivo dell’atto, di guisa che la volontà testamentaria, che pur sempre va ricercata, non ha il potere di determinare una istituzione di erede che prescinda da un preciso rapporto con l’universalità di beni del testatore o con una quota di esso, con conseguenza che, sempre che la chiamata venga in universam rem o pro quota si ha istituzione di erede quali che siano i termini, anche se impropri, usati dal testatore e anche nell’eventualità che parte dell’asse sia destinata a legati, viceversa, in base al comma 2 dello stesso articolo, accanto al criterio obiettivo dell’interpretazione desunta dal contenuto dell’atto, viene introdotto quello soggettivo della interpretazione ricavata dall’intenzione del testatore di assegnare beni determinati come quota del patrimonio, interpretazione cui e dato pervenire attraverso i comuni canoni della volontà testamentaria. Pertanto, alla stregua dell’art. 588 c.c., comma 2, anche l’assegnazione di determinati beni (instituzione ex re certa) o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, tutte le volte che, risulti che il testatore abbia inteso assegnare quei beni come quota del suo patrimonio, considerandoli, cioè, nel loro rapporto con il tutto (Cass. n. 1800/1964; n. 974/1999; n. 2002/3016; n. 24163/2013).
In base alla regola dettata dall’art. 588 c.c., comma 2, a fine di attribuire al lascito il carattere di disposizione a titolo universale, il fatto che tale qualità sia data espressamente dal testatore nel testamento non è necessario, nè sufficiente. Se non risulti che il bene o il complesso di beni sono stati attribuiti come quota del patrimonio, la disposizione, ad onta del nome, non sarebbe a titolo universale, ma particolare. Ciò non toglie che la designazione possa costituire al limite un elemento rilevante ai fini di rafforzare la convinzione dell’interprete in ordine alla intenzione del testatore di assegnare i beni determinati come quota del patrimonio, “specialmente quando il grado di cultura di questi faccia presumere che egli avesse rappresentazione precisa del significato delle parole” (Cass. n. 715/1964).
Stabilire se un singolo bene è stato attribuito a titolo universale particolare è questione di fatto. Il relativo apprezzamento del giudice di merito, se congruamente motivato, è incensurabile in cassazione (Cass. n. 23393/2017; n. 9476/2001).
7. Il tribunale aveva inteso la disposizione in favore delle nipoti come legato, mentre ha ritenuto disposizione a titolo universale quella in favore della persona che l’avrebbe servita fino alla morte. In base al riconoscimento di tale natura della disposizione, ha incluso in essa il residuo del patrimonio, tolto il bene legato: quindi non solo i beni mobili oggetto dell’esplicita attribuzione, ma anche l’altra metà della casa.
La corte d’appello ha confermato la decisione, rilevando che una diversa interpretazione avrebbe portato al riconoscimento della concorrente apertura della successione legittima sull’altra metà della casa, in contrasto con la volontà della testatrice, che consapevole della sua indivisibilità “ha inteso attribuire all’altro padrone e cioè all’erede universale”.
Ma a tale ricostruzione di deve obiettare che, in base al contenuto del testamento, la designazione di erede universale era congiunta a un lascito che aveva per oggetto i soli beni mobili: quindi, in ipotesi, a una istituzione ex re certa, ai sensi dell’art. 588 c.c., comma 2. L’institutio ex re certa non attribuisce all’istituito la qualità di unico erede (Cass. n. 737/1963). Essa, quando non comprende la totalità dei beni, non importa attribuzione anche dei beni che non formarono oggetto di disposizione. Questi, in assenza di altre disposizioni istitutive, si devolvono secondo le norme della successione legittima ai sensi dell’art. 457 c.c., comma 2.
Infatti, il lascito di un bene determinato, se vale istituzione di erede, esprime, per quanto qui rileva, una quota del patrimonio; laddove questa, singolarmente considerata o in concorso con altra quota, non copra l’intero, cioè non raggiunga la c.d. unità, deve aprirsi, giusto il capoverso dell’art. 457 c.c., la successione legittima, così come accade ove sia espressamente prevista la frazione numerica della quota in cui un soggetto è chiamato a succedere.
“Qualora il testatore istituisca un erede universale, assegnandogli una quota del suo patrimonio, determinata mediante stralcio da esso di una porzione di un certo bene, per la restante parte di quel bene, si limiti ad esprimere un proposito generico, in seguito non attuato, di provvedere in futuro con diverse e imprecisate disposizioni testamentarie, questa parte ulteriore del patrimonio ereditario non può ritenersi attribuita all’unico chiamato, ma spetta ai successibili ex lege, mancando del tutto una volontà del de cuius, manifestata nelle debite forme, di disporre effettivamente anche di questa parte in un determinato modo e a favore di certi soggetti” (Cass. n. 574/1977).
8. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente chiarito: “Questa Corte ha avuto modo di affermare che in tema di delazione dell’eredità, non ha luogo la successione legittima agli effetti dell’art. 457 c.c., comma 2, in presenza di disposizione testamentaria a titolo universale, sia pur in forma di istituzione ex re certa, tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti (cfr. Cass. n. 12158/15).
Soluzione, quest’ultima, da condividere e riaffermare anche in considerazione del conforme avviso della dottrina largamente maggioritaria, la quale osserva che la posizione dell’istituito ex re certa non è diversa da quella dell’erede pro quota, in favore del quale opera senz’altro la c.d. forza espansiva della delazione testamentaria, che riguarda anche i beni ignorati o sopravvenuti (e non solo quelli ignorati, come invece suppone parte ricorrente)” (Cass., S.U., n. 17122/2018).
Presupposto della successione legittima è la mancanza, in tutto o in parte, della delazione testamentaria. Esso si concreta nella ipotesi di inesistenza di un testamento oppure della esistenza di un testamento contenente solo disposizioni a titolo particolare o contenente una o più disposizioni a titolo universale limitate a una quota dell’eredità.
E’ stato chiarito che nel nostro ordinamento l’attribuzione della qualità di erede deriva dall’assegnazione (da parte della legge o del testamento) dell’universalità o di una quota dei beni del testatore. L’assegnazione di una quota dei beni, in base alla regola dell’art. 588 c.c., comma 2, può anche avvenire attraverso l’indicazione di beni determinati, quando risulti che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.
La differenza fra il primo e il secondo caso consiste in questo: nel primo la determinazione numerica della quota è espressamente indicata nel testamento, nel secondo caso la determinazione avviene a posteriori in base al rapporto fra il valore dei beni assegnati e il valore del patrimonio del quale essi rappresentano una frazione: si comprende come ciò renda centrale, ai fini della applicazione all’istituito ex re certa del principio della vis espansiva della vocazione a titolo universale, il problema della composizione della massa patrimoniale da assumere a riferimento ai fini della suddetta quantificazione ex post.STRANIERO SUCCESSIONI BENI IN ITALIA CASS SEZ UNITE
Qualunque sia la soluzione di tale complessa questione rimane valida la considerazione che, se le quote istitutive, aritmeticamente determinate dal testatore o determinate in ex post in base alla valutazione dei beni, non ricostituiscono l’unità, si avrà il normale concorso della successione legittima con la successione testamentaria ex art. 457 c.c., comma 2.
Il principio della vis espansiva della delazione ereditaria non si riflette in un diverso modo di applicare la regola del concorso fra i due tipi di successione, ma nell’equiparazione, circa la sorte dei beni non contemplati, tra l’erede istituito ai sensi dell’art. 588 c.c., comma 1 con quello istituito ai sensi del comma 2 della norma.
In questi termini il principio vuol dire che l’acquisto dell’istituito ex re certa non è necessariamente limitato alla singola cosa attribuita come quota; con la conseguenza che la successione legittima, qualora non si sia già aperta in applicazione dell’art. 457 c.c., comma 2, non si aprirà autonomamente per i beni ignorati o sopravvenuti.
9. La corte ha considerato, nella specie, irragionevole il concorso della successione testamentaria con la successione legittima, ma è chiaro che il problema non è di ragionevolezza, ma di ricostruzione della volontà testamentaria in applicazione dell’art. 588 c.c..
In base a tale norma, intanto poteva negarsi la concorrente apertura della successione legittima, in quanto fosse rinvenibile nella scheda una disposizione che comprendeva l’universalità dei beni del testatore, tolto il bene legato, ai sensi dell’art. 588 c.c., comma 1. A sua volta tale disposizione non poteva farsi automaticamente coincidere con il lascito dei mobili, che, seppure congiunto a una designazione di erede universale, poteva costituire solo istituzione ex re certa, oggettivamente circoscritta a quanto oggetto della disposizione, ai sensi dell’art. 588 c.c., comma 2 (fermo il concorso dell’istituito ex re certa con gli istituiti o con l’erede ex lege sui beni ignorati o sopravvenuti secondo i principi dinanzi precisati).
Diversamente la corte ha inteso quella designazione in termini assoluti, oltre il collegamento letterale ai beni mobili, così degradati a una pleonastica specificazione di quanto la designazione, così come intesa nella sentenza impugnata, avrebbe comunque consentito di raccogliere, senza tuttavia darsi cura di raccordare questa interpretazione con i canoni stabiliti dall’art. 588 c.c., comma 1, il quale stabilisce che “per l’institutio heredis è elemento decisivo non l’attribuzione formale del titolo (che, anzi, può essere usata dal testatore qualsivoglia espressione, denominazione o appellativo) ma il criterio obiettivo del modo di attribuzione dei beni fatta dallo stesso testatore (loro universalità o frazione), fermo restando che “l’assegnazione di determinati beni (institutio ex re certa) o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale quando risulti che il testatore abbia inteso assegnare quei beni come quota del suo patrimonio, considerandoli, cioè, nel loro rapporto con il tutto” (Cass. n. 1637/1963; n. 1800/1964; n. 819/1992).
10. La sentenza va cassata anche in relazione a tale motivo e il giudice di rinvio, in ipotesi riconosca valida la disposizione, dovrà attenersi ai seguenti principi di diritto:
“L’institutio ex re certa, quando non comprende la totalità dei beni, non importa attribuzione anche dei beni che non formarono oggetto di disposizione, i quali si devolvono secondo le norme della successione legittima, destinata ad aprirsi ai sensi dell’art. 457 c.c., comma 2, ogni qual volta le disposizioni a titolo universale, sia ai sensi del comma 1, sia ai sensi del comma 2 dell’art. 588 c.c., non ricostituiscono l’unità. Invero il principio che la forza espansiva della vocazione a titolo universale opera anche in favore dell’istituito ex re certa, va inteso nel senso che l’acquisto di costui non è limitato in ogni caso alla singola cosa attribuita come quota, ma si estende proporzionalmente ai beni ignorati dal testatore o sopravvenuti”.
“La qualifica di erede universale nella scheda testamentaria, associata all’attribuzione di un singolo bene o di un complesso di beni, pur potendo costituire un elemento valutabile di fini dell’indagine diretta ad accertare l’eventuale intenzione del testatore di assegnare quei beni come quota del patrimonio, ai sensi dell’art. 588 c.c., comma 2, non giustifica, di per sè, l’attribuzione degli altri beni menzionati nel testamento e non attribuiti, occorrendo a tal fine che sia ricavabile dal complessivo contenuto del testamento una disposizione nell’universalità del patrimonio ai sensi dell’art. 588 c.c., comma 1”.
11. Insomma, in relazione al secondo e al terzo motivo, si impone la cassazione della sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e regolerà le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo e il secondo motivo; dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019