TITOLI PAC NELL’ AZIENDA AGRICOLA – RAPPORTI CON COMUNITA’ EUROPEA  

TITOLI PAC NELL’AZIENDA AGRICOLA -RAPPORTI CON COMUNITA’ EUROPEA

 

 

 

 

TITOLI PAC NELL’AZIENDA AGRICOLA, altresì, la parte ricorrente che detta normativa, unitamente alla previsione – contenuta nella L. n. 33 del 2009, art. 3 ter – della unitarietà del rapporto giuridico tra impresa agricola e Comunità Europea – avente ad oggetto la erogazione ed i prelievi delle provvidenze concernenti la politica agricola comune – ed alla istituzione del “Registro nazionale dei debiti” nell’ambito del Servizio informativo agricolo nazionale (SIAN), nonchè alla equiparazione alla “iscrizione a ruolo” delle somme accertate a debito della impresa, con conseguente diritto alla riscossione coattiva, rendevano erronea la decisione del Tribunale, le cui argomentazioni erano state “riprese” (e pure ampliate) dalla Corte di merito, in quanto: a) il credito per prelievo supplementare (quote latte) era stato accertato e liquidato con la iscrizione nel predetto registro rendendo irrilevante la contestazione del controcredito nei giudizi pendenti avanti al TAR; b) la nuova normativa era applicabile “nel momento in cui deve avvenire il pagamento”, non assumendo rilievo il momento di insorgenza dei crediti; c) non veniva in questione il divieto di compensazione disposto dall’art. 1246 c.c., comma 1, n. 3, per i crediti impignorabili, in quanto nella specie la compensazione doveva considerarsi “atecnica”, derivando entrambi i crediti dal medesimo ed unico rapporto obbligatorio.

2.3. L’assunto difensivo è privo di pregio.

2.4. Ad avviso della ricorrente, il legislatore comunitario ha inteso riconoscere in via generale la compensabilità dei crediti derivanti dalle norme comunitarie, intervenendo con regolamento CE n. 1034/2008 della Commissione, del 21 ottobre 2008, ad integrare la disciplina del regolamento CE n. 885/2006 (concernente “il riconoscimento degli organismi pagatori e di altri organismi e la liquidazione dei conti del FEAGA e del FEASR”) al fine di uniformare le procedure minime volte a dare attuazione all’obbligo, gravante sugli Stati membri (art. 9, par. 1, lett. a), punto 3), del regolamento (CE) n. 1290/2005), di recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o negligenze, disponendo – in via generale – una soglia de minimis oltre la quale il recupero non è conveniente (soglia che “non si applica alle riduzioni ed alle esclusioni imposte dagli Stati membri ai beneficiari nell’ambito della condizionalità in base all’art. 6, par. 1, del regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, in quanto l’art. 6, par. 3, di detto regolamento prevede un regime specifico”, v. terzo considerando) ed introducendo nel reg. CE n. 885/2006 l’art. 5-ter (rubricato “modalità di recupero”), che autorizza gli organismi pagatori ad avvalersi dell’istituto della compensazione tra i crediti dei beneficiari, per provvidenze da erogare a valere sui fondi FEAGA e FEASR (concernenti la politica agricola comune), ed i debiti da questi ultimi maturati nei confronti dei medesimi organismi a titolo di recupero di “indebiti pagamenti” ricevuti a valere sui predetti fondi comunitari (art. 5-ter: “Fatte salve eventuali altre misure di esecuzione previste dalla normativa nazionale, gli Stati membri deducono gli importi dei debiti in essere di un beneficiario, accertati in conformità della legislazione nazionale, dai futuri pagamenti a favore del medesimo beneficiario effettuati dall’organismo pagatore incaricato di recuperare il debito.”).avvocato AVVOCATO A BOLOGNA

Al contrario di quanto vorrebbe sostenere AGEA, tale argomento dimostra, da un lato, che, precedentemente all’adozione del nuovo regolamento comunitario del 2008, la “compensazione comunitaria” (tra crediti reciproci aventi titolo nella gestione dei medesimi fondi comunitari) non aveva ricevuto alcuna “espressa” regolamentazione da parte dell’ordinamento comunitario (come è dato evincere dalla sentenza della Corte di Giustizia CE in data 18.5.1998, causa C132/95, Bent e Korn, punto 35, richiamata peraltro dalla stessa parte ricorrente, v. ricorso p. 19); dall’altro lato, che il predetto regolamento comunitario n. 1034/2008 non ha apportato innovazioni – salvo introdurre una tendenziale uniformità delle modalità di recupero dell’indebito comunitario – alta previgente applicazione, da parte di singoli Stati membri, del rimedio di diritto interno della compensazione (tra crediti derivanti da norme comunitarie spettanti al soggetto beneficiario e crediti – a qualsiasi titolo – vantati dallo Stato membro nei confronti del medesimo soggetto beneficiario), quale modalità applicativa delle misure di recupero dei pagamenti e dei contributi indebiti, la cui individuazione e disciplina normativa – in difetto di specifica disciplina comunitaria – era riservata alla competenza legislativa degli Stati membri, purchè fossero comunque assicurati i principi dell’ordinamento comunitario di effettività del diritto comunitario e di parità di trattamento tra gli operatori economici.

Ed infatti, già molto prima della emanazione del predetto regolamento comunitario del 2008, l’istituto della compensazione tra crediti comunitari e crediti statali era stato previsto dai singoli Stati membri, ed era stato ritenuto conforme al diritto comunitario, qualora tale compensazione costituisse l’unico modo per recuperare i debiti maturati – a qualsiasi titolo, dunque, anche per un titolo diverso dal recupero di risorse comunitarie – da un operatore insolvibile (v. Corte di Giustizia CE sentenza in data 1.3.1983, causa C-250/78, DEKA), non incidendo tale forma di recupero sulla realizzabilità dello scopo perseguito dalla normativa comunitaria attributiva dell’aiuto economico al beneficiario, in quanto “una compensazione tra i pagamenti compensativi versati in base al regolamento controverso (ndr regolamento del Consiglio n. 1765/1992) e crediti esigibili di uno Stato membro non comporta una riduzione dell’importo dell’aiuto” (v. Corte di Giustizia, sentenza C- 132/95, cit. punto 61).

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Pertanto, anche dopo l’emanazione del regolamento del 2008, occorre sempre riferirsi alla disciplina legislativa nazionale per verificare i requisiti legali di compensabilità dei crediti (come espressamente indicato dall’art. 5-ter del regolamento comunitario del 2008, possono essere compensati con il credito di recupero dello Stato membro solo “i debiti in essere di un beneficiario, accertati in conformità della legislazione nazionale”), con la conseguenza che anche la compensazione comunitaria richiede:

1) un credito munito dei requisiti di “liquidità ed esigibilità” prescritti dall’art. 1243 c.c., e che abbia ad oggetto;

2) il recupero di una “somma indebitamente erogata”, essendo quindi indispensabile, ai fini della compensazione dei debiti, il previo accertamento definitivo del “carattere indebito” della somma liquidata a titolo di contributo PAC, o il che è a dire l’accertamento definitivo del controcredito vantato da AGEA a titolo di recupero dell’indebito.

Al riguardo osserva il Collegio che la disposizione del D.L. n. 182 del 2005, art. 3, comma 5 duodecies, conv. con mod. dalla L. n. 231 del 2005 (che ha modificato il D.P.R. 24 dicembre 1974, n. 727, art. 2, comma 2) dopo aver qualificato i crediti per provvidenze comunitarie all’agricoltura “insequestrabili”, “impignorabili”, “non assoggettabili a misure cautelari od a fermo amministrativo”, e dunque dopo aver qualificato la natura del credito, sussumibile nel divieto di compensazione stabilito dall’art. 1246 c.c., comma 1, n. 3, ha poi previsto una espressa deroga nel caso in cui al credito vantato dall’operatore agricolo sia opposto dall’organismo pagatore un controcredito per recupero di provvidenze PAC indebitamente erogate. Pertanto, in relazione alla previsione generale di insequestrabilità, impignorabilità, inapplicabilità di misure cautelare e di fermo amministrativo, la disposizione derogatoria, concernente la opponibilità in compensazione dei crediti per ripetizione di “pagamento indebito” – di provvidenze finanziarie erogate dagli organismi pagatori – al credito per provvidenze PAC spettante all’operatore agricolo, deve ritenersi suscettibile esclusivamente di stretta interpretazione ex art. 14 preleggi, e dunque la nozione di “indebito” – intesa quale prestazione determinate uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione causale – non è estendibile a controcrediti fatti valere ad un diverso titolo (che non trovi cioè fondamento in una erogazione indebita).[wpforms id=”21592″ title=”true” description=”true”]

Sul punto la difesa dell’AGEA si è limitata a sostenere, in sostanza, tautologicamente, che il controcredito attiene ad un “indebito”, in quanto “il debito” dell’operatore agricolo è stato accertato dall’organismo pagatore mediante iscrizione della somma nel Registro nazionale debiti del SIAN.

E’ appena il caso di osservare come l’accertamento di un “nuovo” debito (per prelievo supplementare determinato dallo sforamento della quota latte) non renda perciò stesso “indebita” la pregressa erogazione delle provvidenze PAC, non venendo quindi in questione alcuna insussistenza originaria della causa giustificativa dei predetti pagamenti volta a dare luogo all’azione ex art. 2033 c.c. (il Regolamento CE n. 1788/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, che stabilisce un prelievo nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, richiamato da AGEA nel ricorso (v. p. 19), prescriveva, infatti, all’art. 11 che “1. Gli acquirenti sono responsabili della riscossione presso i produttori dei contributi da essi dovuti a titolo del prelievo e versano all’organismo competente dello Stato membro, prima di una data e in base a modalità da stabilirsi secondo la procedura di cui all’art. 23, par. 2, l’importo di tali contributi che trattengono sul prezzo del latte pagato ai produttori responsabili del superamento o che, in mancanza, riscuotono con ogni mezzo appropriato”, ed all’art. 13 che “3. Se l’acquirente non ha rispettato l’obbligo di riscuotere il contributo dei prodotti al prelievo a norma dell’art. 11, lo Stato membro può riscuotere direttamente dal produttore gli importi non pagati, fatte salve le sanzioni che può applicare all’acquirente inadempiente.”).

Corretta deve ritenersi, quindi, l’argomentazione della Corte di merito che, stante la contestazione del controcredito vantato dall’AGEA, ancora oggetto di accertamento davanti al G.A., ha ritenuto insussistente la deroga alla impignorabilità delle provvidenze PAC spettanti all’Azienda Agricola, con conseguente divieto di compensazione ai sensi dell’art. 1246 c.c., comma 1, n. 3.

Parimenti corretta è anche la statuizione del Tribunale, secondo cui difetterebbero nel caso di specie i requisiti di “liquidità” “certezza” del controcredito, essendo pendente davanti al TAR il giudizio di accertamento della pretesa vantata da AGEA.

Infondato deve, infatti, ritenersi l’assunto difensivo della ricorrente secondo cui il requisito di certezza del credito (per prelievo supplementare) non è richiesto dall’art. 1243 c.c. ai fini della estinzione per compensazione del corrispondente importo dei crediti per contributo PAC.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte la contestazione giudiziale della “esistenza” – così come anche dell’ammontare – del controcredito ne impedisce la “compensazione legale” ex art. 1243 c.c., comma 1, essendo sufficiente rilevare in proposito come il requisito della “certezza” del credito, oltre a quelli della “esigibilità” e “liquidità”, sia implicitamente richiesto quale elemento necessario dalla norma, in quanto la contestazione della “esistenza” del credito viene a risolversi, in ogni caso, anche in un difetto del requisito di “liquidità” (v. Cass., sez. un, 5/06/1975, n. 2234; Cass. 18/10/2002, n. 14818; Cass. 31/05/2010, n. 13208; Cass., sez. un., 15/11/2016, n. 23225). Con l’ulteriore corollario che, ad eccezione della ipotesi di manifesta pretestuosità della contestazione, accertabile dal Giudice nel medesimo processo, e della ipotesi in cui, in base ad accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità, il Giudice ritenga che il credito opposto in compensazione sia di “pronta e facile liquidazione”, disponendo in tal caso la compensazione giudiziale ex art. 1243 c.c., comma 2, (Cass. 21/04/1975, n. 1532; Cass. 27/04/1993, n. 4921), in ogni altro caso la “litigiosità” del controcredito è condizione ostativa ad entrambi i tipi di compensazione legale e giudiziale, in quanto il reciproco effetto estintivo presuppone che entrambi i crediti siano effettivamente esistenti, e, quindi, richiede che, nella specie, il controcredito sia stato accertato in modo definitivo (mediante accertamento contenuto in sentenza passata in giudicato od in altro provvedimento divenuto definitivo per mancata impugnazione nel termine di decadenza, o per rinuncia volontaria alla contestazione del controcredito), con la conseguenza che la compensazione rimane impedita le volte in cui il credito opposto in compensazione sia stato ritualmente contestato in un separato giudizio, in quanto detto credito potrà essere “liquidato” soltanto in quel giudizio (Cass. 22/04/1998, n. 4073; Cass., ord., 18/10/2013, n. 23716), Va ulteriormente precisato al riguardo che l’eventuale sentenza di merito o provvedimento di condanna – anche se immediatamente esecutivi – emessi in quel giudizio, ove ancora pendente, non consentono di ravvisare il necessario requisito della “definitività” dell’accertamento, e dunque della “certezza” del controcredito richiesta per operare la compensazione, trattandosi di titoli accertativi del credito pur sempre connotati dalla provvisorietà, in quanto suscettibili di riforma o revoca nel corso dei successivi gradi del giudizio (Cass. 8/04/2013, n. 8525).

Inconferente deve ritenersi, a tale proposito, la massima tratta dalla sentenza di questa Corte n. 24875 del 23/11/2006, richiamata da AGEA al fine di argomentare indirettamente la certezza del controcredito in base all’irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria in caso di omesso pagamento del debito per prelievo supplementare: in quel caso, infatti, il Giudice di legittimità si è limitato a ribadire che l’inadempimento dell’obbligo di pagamento delle somme richieste da AGEA a titolo di prelievi supplementari, entro il termine stabilito dalla L. n. 468 del 1992, comporta l’irrogazione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 11 della medesima legge. Orbene, premesso che la L. n. 468 del 1992 è stata abrogata dal D.L. 28 marzo 2003, n. 49, art. 10, comma 47, lett. a), convertito con modificazioni dalla L. 30 maggio 2003, n. 119, recante “Riforma della normativa in tema di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari”, vale osservare che la previsione legislativa e l’irrogazione di una sanzione amministrativa presuppongono la violazione di un comportamento dovuto, ma ad essi non si ricollega anche rincontestabilità” del credito.

Nè in contrario osta l’argomento svolto dalla ricorrente secondo cui la contestazione giudiziale del credito per prelievo supplementare doveva ritenersi irrilevante ai fini della compensazione comunitaria, in quanto erano state rigettate le istanze di sospensione dei provvedimenti amministrativi impugnati avanti il TAR e il controcredito era stato iscritto nel Registro nazionale dei debiti del SIAN (Sistema informativo agricolo nazionale), con gli effetti della “iscrizione a ruolo” previsti dal D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, art. 8 ter, comma 2, conv. con modificazioni in L. 9 aprile 2009, n. 33.

La ricorrente compie, infatti, una non condivisibile equiparazione tra “incontestabilità” del credito (la cui esistenza, ove posta in discussione, potrà essere definitivamente accertata soltanto all’esito della pronuncia giudiziale passata in giudicato) e formazione del titolo esecutivo stragiudiziale (attuata con la iscrizione del debito per prelievo supplementare nel Registro nazionale debiti del SIAN, con effetti equiparati ex lege alla “iscrizione a ruolo”).

Al riguardo occorre rilevare come la nozione di “certezza” del credito assuma diversa connotazione secondo che sia riferita, ex art. 474 c.p.c., ai titoli esecutivi (nella specie di formazione stragiudiziale), ovvero sia riferita alla incontestabilità dell’accertamento del diritto, nel primo caso essendo sempre esperibile la opposizione ex art. 615 c.p.c.per contestare il diritto; il riconoscimento dell’efficacia di titolo esecutivo alla iscrizione a “ruolo” nel registro SIAN viene dunque a rilevare esclusivamente ai fini della possibilità di anticipato conseguimento del bene della vita oggetto del diritto, a prescindere dal successivo “definitivo” accertamento – che potrà anche essere negativo – dello stesso diritto.

Come affermato da questa Corte (v. Cass. 12/04/2011, n. 8338 e Cass., sez. un., 15/11/2016, n. 23225, in motivazione), “un credito derivante da una sentenza provvisoriamente esecutiva non è opponibile in compensazione, perchè tale titolo può subire modificazioni a seguito dell’impugnazione in corso, mentre, come si è detto, l’operatività dell’effetto estintivo presuppone il definitivo accertamento del credito da opporre in compensazione e quindi della compensazione medesima, sicchè non può derivare da situazioni provvisorie (Cass. 14 gennaio 1992 n. 325, in motivazione; Cass. 13 maggio 1987 n. 4423).[wpforms id=”21592″ title=”true” description=”true”]

  1. Neppure l’argomento dell’eseguibilità della sentenza provvisoriamente esecutiva inficia le motivazioni in diritto fin qui sviluppate per l’esclusione della compensabilità, visto che la provvisorietà dell’accertamento in separato giudizio non può provocare l’effetto dell’estinzione, la quale investe – elidendola irrimediabilmente – la stessa sussistenza, ontologicamente considerata, della ragione di credito e non già soltanto e semplicemente la sua idoneità a fondare un’esecuzione; l’eseguibilità non attiene quindi alla certezza, ma solo all’esigibilità del credito, riguardando il diverso profilo della tutela anticipata del medesimo, mediante la sua immediata azionabilità;…” (v. sentenza n. 8338/2011 cit.).

Pertanto, il D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, conv. in L. 9 aprile 2009, n. 33 (istitutivo del Registro nazionale debiti del SIAN), che ha dato attuazione alla compensazione comunitaria – prevista in via generale dal regolamento comunitario n. 1034/2008 -, per un verso, non è venuto a modificare la precedente previsione normativa secondo cui soltanto gli importi per contributi comunitari “indebiti” (in quanto ab origine privi causa, o in relazione ai quali la causa solvendi sia in seguito venuta meno) possono essere oggetto di misure di recupero (e di compensazione), diversamente dovendo in ogni caso essere “integralmente versati ai beneficiari” i pagamenti relativi ai finanziamenti FEAGA e FEASR (art. 9, regolamento CE n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, relativo al finanziamento della politica agricola comune); per altro verso, non ha apportato alcuna deroga alla disciplina codicistica della compensazione legale e giudiziale che richiede la compresenza di entrambe le condizioni legali della liquidità (inclusiva della certezza) e della esigibilità dei debiti opposti in compensazione, come è stato ribadito da questa Corte a sezioni unite, con l’ordinanza 1/12/2009, n. 25261: “….Nel Sistema di cui sopra (ndr istituzione del Registro nazionale dei debiti nel S.I.A.N.), secondo quanto chiariscono più circolari dell’AGEA, sono inseriti i soli debiti accertati in via definitiva, con sentenza passata in giudicato, ovvero non più impugnabili in sede giurisdizionale, cui corrispondono crediti dell’Agenzia di carattere certo, liquido ed esigibile” (v. in motivazione).

Perviene poi all'affermazione che il venditore può essere chiamato a rispondere dei gravi difetti dell'opera non soltanto quando i lavori siano eseguiti in economia, ma anche nell'ipotesi in cui la realizzazione dell'opera è affidata a un terzo al quale non sia stata lasciata completa autonomia tecnica e decisionale, in quanto il venditore abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorveglianza sullo svolgimento dell'altrui attività, sicchè anche in tali casi la costruzione dell'opera è a lui riferibile (Cass. 567/05; 2238/12). Giunge infine a sancire condivisibilmente che l'azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall'art. 1669 cod. civ., può essere esercitata anche dall'acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all'appaltatore esecutore dell'opera'.
Perviene poi all’affermazione che il venditore può essere chiamato a rispondere dei gravi difetti dell’opera non soltanto quando i lavori siano eseguiti in economia, ma anche nell’ipotesi in cui la realizzazione dell’opera è affidata a un terzo al quale non sia stata lasciata completa autonomia tecnica e decisionale, in quanto il venditore abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorveglianza sullo svolgimento dell’altrui attività, sicchè anche in tali casi la costruzione dell’opera è a lui riferibile (Cass. 567/05; 2238/12).
Giunge infine a sancire condivisibilmente che l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 cod. civ., può essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera’.

Osserva il Collegio che è destituito di fondamento anche l’ultimo argomento svolto dalla ricorrente – che si pone in relazione di alternatività incompatibilità con le altre censure concernenti la applicabilità della compensazione – secondo cui nella fattispecie verrebbe in questione soltanto una compensabilità “atecnica” dei crediti, in quanto derivanti da un rapporto credito-debitorio unitario (giusta la definizione del D.L. n. 5 del 2009, art. 8 ter cit. “1. Il rapporto giuridico tra ciascun produttore che eserciti attività agricola ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, lett. c), del regolamento (CE) n. 73/2009del Consiglio, del 19 gennaio 2009, e l’Unione Europea è unico nell’ambito delle misure di finanziamento della Politica agricola comune di cui al regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005”), dovendosi, quindi, prescindere, secondo la ricorrente, sia dai requisiti legali ex art. 1243 c.c., comma 1, sia dai limiti alla compensabilità previsti dall’art. 1246 c.c., comma 1, n. 3.

La tesi è infondata in quanto, per giurisprudenza consolidata, l’istituto della estinzione per compensazione non trova applicazione allorquando le obbligazioni, derivanti da un unico rapporto negoziale, siano tra loro legate da un vincolo di corrispettività che ne escluda l’autonomia, perchè se, in siffatta ipotesi, si ammettesse la reciproca elisione delle obbligazioni in conseguenza della compensazione, si verrebbe ad incidere sull’efficacia stessa del negozio, paralizzandone gli effetti (v. Cass., sez. un., 16/11/1999, n. 775; Cass. 11/05/2004, n. 8924; Cass. 11/03/2005, n. 5349; Cass. 9/05/2006, n. 10629; Cass. n. 1695 del 29/01/2015), mentre, quando tali obbligazioni conservano una loro “autonomia” (non essendo legate da nesso di sinallagmaticità), le norme sulla compensazione non incontrano limiti – secondo che le obbligazioni scaturiscano da una pluralità o da un unico rapporto – come è dato evincere dalla disciplina codicistica.

Pertanto, diversamente da quanto asserito dalla ricorrente, la cosiddetta “compensazione impropria” o “atecnica”, in base alla quale la valutazione delle reciproche pretese importa un semplice accertamento contabile di dare ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, si verifica soltanto in presenza di una “corrispettività” delle prestazioni (Cass., sez. un., 16/11/1999, n. 775; Cass. 25/11/2002, n. 16561; Cass. 10/06/2005, n. 12327; Cass. 5/12/2008, n. 28855; Cass. 29/08/2012, n. 14688; Cass. 29/01/2015, n. 1695; Cass. 13/08/2015, n. 16800), ipotesi che per l’appunto non ricorre nel caso di specie, in cui l’unitarietà del rapporto non esclude in ogni caso l’autonomia delle obbligazioni da cui derivano i singoli reciproci debiti.

Ne segue che l’elemento differenziale, individuato dalla ricorrente nella relazione intercorrente tra i crediti (“unitarietà del rapporto” da cui discendono crediti per i contributi e crediti per il recupero di prelievi, anzichè “autonomia dei titoli” da cui derivano i reciproci crediti e debiti), non comporta la conseguenza che AGEA vorrebbe farne derivare, e cioè la inapplicabilità alla “compensazione comunitaria” dello statuto normativo della compensazione legale o giudiziale, di cui all’art. 1243 c.c., che richiede, perchè si realizzi il reciproco effetto estintivo, che entrambi i crediti siano certi, liquidi ed esigibili.

 

 

Sentenza Cassazione Civile n. 4313 del 14/02/2019

Cassazione civile sez. III, 14/02/2019, (ud. 15/11/2018, dep. 14/02/2019), n.4313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

PUBBLICITÀ

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24527-2015 proposto da:

AGEA – AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui

è rappresentata e difesa per legge;

– ricorrente –

contro

AZIENDA AGRICOLA T.F. FIGLIE SS, in persona del titolare

legale rappresentante p.t., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CESARE TAPPARO giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1613/2014 del TRIBUNALE di UDINE, depositata

il 3/12/2014, e avverso l’ordinanza n. 128/15 R.G. e n. 442/15 Rep.

della CORTE DI APPELLO DI TRIESTE, depositata il 30/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto o inammissibilità

del 1 motivo;

udito l’Avvocato DANIELA GIACOBBE;

udito l’Avvocato CESARE TAPPARO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memoria, AGEA ha impugnato la sentenza del Tribunale di Udine del 3 dicembre 2014 nonchè l’ordinanza della Corte di appello di Trieste del 30 luglio 2015, la quale ha dichiarato inammissibile ex art. 348-bis c.p.c. l’appello proposto dall’attuale ricorrente avverso la predetta sentenza del Tribunale, per ritenuta improbabilità di un diverso esito nel merito.

Con la sentenza di primo grado era stata rigettata l’opposizione, proposta da AGEA, avverso il d.i. chiesto ed ottenuto dall’Azienda Agricola T.F. e Figlie s.s., per l’importo di Euro 29.480,17, oltre interessi e spese, a titolo di contributi comunitari denominati PAC, relativi alle campagne fino al 2008, ad essa riconosciuti in base al regolamento CE n. 1782/2003; tale opposizione risultava, per quanto ancora rileva in questa sede, basata sull’eccezione di compensazione del credito ingiunto con maggiori importi a debito dell’opposta, a titolo di prelievi supplementari per quote latte relativi agli anni 2005-2006.

Il Tribunale adito aveva disatteso tale eccezione in base al “decisivo rilievo” che AGEA non aveva neppure allegato che il suo credito fosse certo e liquido e che, anzi, dalle stesse allegazioni difensive della predetta parte si desumeva che tale credito fosse ancora sub iudice; aveva, inoltre, evidenziato che la normativa comunitaria applicabile ratione temporis, nel consentire le compensazioni, prevedeva comunque che le stesse operassero rispetto a “debiti… accertati in conformità della legislazione nazionale”, da ritenersi, pertanto, “certi quanto a legittimità e liquidità”.

L’Azienda Agricola T.F. e Figlie s.s. ha resistito con controricorso, pure illustrato da memoria.

Con O.I. n. 28863/17 depositata in data 1 dicembre 2017 è stata disposta la trattazione della causa in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo, rubricato “Nullità dell’ordinanza per violazione e falsa applicazione degli artt. 348 bis e ter c.p.c., con riferimento agli art. 24 e 11(1) Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, si sostiene la nullità dell’impugnata ordinanza per insussistenza dei presupposti previsti dalle norme di rito indicate nella rubrica del mezzo all’esame, per aver la Corte di merito “con motivazione estremamente sintetica e del tutto priva di riferimenti giurisprudenziali e/o di ragioni idonee a far ritenere manifestamente infondate le argomentazioni di AGEA… pronunciato il rigetto dell’impugnazione, senza procedere alla trattazione della causa sulla base di una diversa… interpretazione della normativa interna e comunitaria in materia di compensazione”. Ad avviso della ricorrente la disciplina già richiamata va applicata soltanto nei casi in cui l’infondatezza dell’appello sia evidente, mentre nel caso di specie tale evidenza sarebbe insussistente.

1.1. Il primo motivo va disatteso, in quanto, pur richiamando norme processuali e pur essendo veicolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 è, in sostanza, prevalentemente volto a contestare il giudizio di merito espresso dalla Corte territoriale in ordine alla ragionevole improbabilità dell’accoglimento dell’appello.

Si osserva che questa Corte ha individuato i limitati casi in cui l’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., comma 1, – pur priva del carattere della definitività quanto alla situazione giuridica sostanziale oggetto della controversia – può essere impugnata con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, in quanto diversamente potrebbero determinarsi pregiudizi inemendabili per la parte che si vede precluso in limine il riesame della causa di merito: tali casi sono stati ravvisati esclusivamente negli errores in procedendo afferenti all’ordinanza, attinenti ai limiti legali di esercizio del potere ed al procedimento descritto negli artt. 348-bis e ter c.p.c., in cui sia incorso il Giudice di appello e che l’appellante non potrebbe far valere in sede di impugnazione della sentenza di primo grado (v. Cass., sez. un., 2/02/2016, n. 1914).

Va evidenziato che, nella specie, il relativo modello procedimentale è stato utilizzato proprio in una delle ipotesi consentite dalla legge (v. art. 348-bis c.p.c., comma 2 e art. 348-ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo) (Cass., sez. un., 2/02/2016, n. 1914; Cass., ord., 21/08/2018, n. 20861) e che, nell’adottare l’ordinanza in parola, la Corte di merito ha reputato negativamente la prognosi di accoglibilità dell’impugnazione, che è condizione di adozione del provvedimento in questione, sicchè, risultano rispettate le norme di rito richiamate nè risulta essersi verificata alcuna violazione del diritto di difesa, con conseguente infondatezza del mezzo all’esame, sotto tale profilo.

Ma nella specie, invece, come già evidenziato, la ricorrente non censura solo vizi di nullità processuale relativi all’ordinanza dichiarativa della inammissibilità dell’appello, ma investe la stessa complessiva valutazione di merito in ordine alla ragionevole improbabilità dell’accoglimento dell’appello, operata, in chiave prognostica, dalla Corte di merito, sicchè la doglianza, sotto tale ulteriore profilo, è inammissibile.

  1. Il secondo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 33; D.L. n. 182 del 2005, art. 3, comma 5 duodecies conv. in L. n. 231 del 2005; art. 1243 c.c., comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.”, il terzo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 ter Reg. CE n. 885/2006, come introdotto dal Reg. CE n. 1034/2008; L. n. 33/2009; 3 co. 5 duodecies D.L. 182/2005, conv. in L. 231/2005; 1241, 1242, 1243 e 1246 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. e ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.” e il quarto motivo, rubricato “Violazione del combinato disposto dell’art. 2, DPR 727/1974, come sostituito dall’art. 3, co. 5 duodecies, D.L. n. 185/2005, conv. in L. n. 231/2005; D.L. n. 4/2009, poi sostituito dalla L. n. 33 del 2009, art. 8 ter; dell’art. 1246 c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e con riferimento all’art. 348 ter c.p.c.”, che per connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati, alla luce dei principi affermati da questa Corte in relazione a casi analoghi (Cass. 28/06/2016 n. 13279; Cass. 28/02/2017, n. 5002) e che il Collegio condivide.

2.1. Sostiene la ricorrente che al caso all’esame andava applicata sia la norma del D.L. 9 settembre 2005, n. 182, art. 3,comma 5 duodecies, introdotto dalla Legge di conversione 11 novembre 2005, n. 231, con la quale veniva sostituito il D.P.R. 24 dicembre 1974, n. 727, art. 2, comma 2 e si disponeva che “Le somme dovute agli aventi diritto in attuazione di disposizioni dell’ordinamento comunitario relative a provvidenze finanziarie, la cui erogazione sia affidata agli organismi pagatori riconosciuti ai sensi del regolamento (CE) n. 1663/95 della Commissione, del 7 luglio 1995, non possono essere sequestrate, pignorate o formare oggetto di provvedimenti cautelari, ivi compresi i fermi amministrativi di cui al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, comma 6, tranne che per il recupero da parte degli organismi pagatori di pagamenti indebiti di tali provvidenze”, sia la norma del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 33 con la quale, in funzione di prevenzione del rischio di frodi comunitarie, si prevedeva che “1. I procedimenti per erogazioni da parte degli Organismi pagatori riconosciuti di cui al D.Lgs. 27 maggio 1999, n. 165, art. 3 come modificato dal D.Lgs. 15 giugno 2000, n. 188, art. 3 sono sospesi riguardo ai beneficiari nei cui confronti siano pervenute da parte di organismi di accertamento e di controllo, notizie circostanziate di indebite percezioni di erogazioni a carico del bilancio comunitario o nazionale, finchè i fatti non siano definitivamente accertati.

  1. I procedimenti sospesi ai sensi del comma 1 sono riavviati a seguito di presentazione di idonea garanzia da parte dei beneficiari”.

2.2. Assume, altresì, la parte ricorrente che detta normativa, unitamente alla previsione – contenuta nella L. n. 33 del 2009, art. 3 ter – della unitarietà del rapporto giuridico tra impresa agricola e Comunità Europea – avente ad oggetto la erogazione ed i prelievi delle provvidenze concernenti la politica agricola comune – ed alla istituzione del “Registro nazionale dei debiti” nell’ambito del Servizio informativo agricolo nazionale (SIAN), nonchè alla equiparazione alla “iscrizione a ruolo” delle somme accertate a debito della impresa, con conseguente diritto alla riscossione coattiva, rendevano erronea la decisione del Tribunale, le cui argomentazioni erano state “riprese” (e pure ampliate) dalla Corte di merito, in quanto: a) il credito per prelievo supplementare (quote latte) era stato accertato e liquidato con la iscrizione nel predetto registro rendendo irrilevante la contestazione del controcredito nei giudizi pendenti avanti al TAR; b) la nuova normativa era applicabile “nel momento in cui deve avvenire il pagamento”, non assumendo rilievo il momento di insorgenza dei crediti; c) non veniva in questione il divieto di compensazione disposto dall’art. 1246 c.c., comma 1, n. 3, per i crediti impignorabili, in quanto nella specie la compensazione doveva considerarsi “atecnica”, derivando entrambi i crediti dal medesimo ed unico rapporto obbligatorio.

2.3. L’assunto difensivo è privo di pregio.

2.4. Ad avviso della ricorrente, il legislatore comunitario ha inteso riconoscere in via generale la compensabilità dei crediti derivanti dalle norme comunitarie, intervenendo con regolamento CE n. 1034/2008 della Commissione, del 21 ottobre 2008, ad integrare la disciplina del regolamento CE n. 885/2006 (concernente “il riconoscimento degli organismi pagatori e di altri organismi e la liquidazione dei conti del FEAGA e del FEASR”) al fine di uniformare le procedure minime volte a dare attuazione all’obbligo, gravante sugli Stati membri (art. 9, par. 1, lett. a), punto 3), del regolamento (CE) n. 1290/2005), di recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o negligenze, disponendo – in via generale – una soglia de minimis oltre la quale il recupero non è conveniente (soglia che “non si applica alle riduzioni ed alle esclusioni imposte dagli Stati membri ai beneficiari nell’ambito della condizionalità in base all’art. 6, par. 1, del regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, in quanto l’art. 6, par. 3, di detto regolamento prevede un regime specifico”, v. terzo considerando) ed introducendo nel reg. CE n. 885/2006 l’art. 5-ter (rubricato “modalità di recupero”), che autorizza gli organismi pagatori ad avvalersi dell’istituto della compensazione tra i crediti dei beneficiari, per provvidenze da erogare a valere sui fondi FEAGA e FEASR (concernenti la politica agricola comune), ed i debiti da questi ultimi maturati nei confronti dei medesimi organismi a titolo di recupero di “indebiti pagamenti” ricevuti a valere sui predetti fondi comunitari (art. 5-ter: “Fatte salve eventuali altre misure di esecuzione previste dalla normativa nazionale, gli Stati membri deducono gli importi dei debiti in essere di un beneficiario, accertati in conformità della legislazione nazionale, dai futuri pagamenti a favore del medesimo beneficiario effettuati dall’organismo pagatore incaricato di recuperare il debito.”).

Al contrario di quanto vorrebbe sostenere AGEA, tale argomento dimostra, da un lato, che, precedentemente all’adozione del nuovo regolamento comunitario del 2008, la “compensazione comunitaria” (tra crediti reciproci aventi titolo nella gestione dei medesimi fondi comunitari) non aveva ricevuto alcuna “espressa” regolamentazione da parte dell’ordinamento comunitario (come è dato evincere dalla sentenza della Corte di Giustizia CE in data 18.5.1998, causa C132/95, Bent e Korn, punto 35, richiamata peraltro dalla stessa parte ricorrente, v. ricorso p. 19); dall’altro lato, che il predetto regolamento comunitario n. 1034/2008 non ha apportato innovazioni – salvo introdurre una tendenziale uniformità delle modalità di recupero dell’indebito comunitario – alta previgente applicazione, da parte di singoli Stati membri, del rimedio di diritto interno della compensazione (tra crediti derivanti da norme comunitarie spettanti al soggetto beneficiario e crediti – a qualsiasi titolo – vantati dallo Stato membro nei confronti del medesimo soggetto beneficiario), quale modalità applicativa delle misure di recupero dei pagamenti e dei contributi indebiti, la cui individuazione e disciplina normativa – in difetto di specifica disciplina comunitaria – era riservata alla competenza legislativa degli Stati membri, purchè fossero comunque assicurati i principi dell’ordinamento comunitario di effettività del diritto comunitario e di parità di trattamento tra gli operatori economici.

Ed infatti, già molto prima della emanazione del predetto regolamento comunitario del 2008, l’istituto della compensazione tra crediti comunitari e crediti statali era stato previsto dai singoli Stati membri, ed era stato ritenuto conforme al diritto comunitario, qualora tale compensazione costituisse l’unico modo per recuperare i debiti maturati – a qualsiasi titolo, dunque, anche per un titolo diverso dal recupero di risorse comunitarie – da un operatore insolvibile (v. Corte di Giustizia CE sentenza in data 1.3.1983, causa C-250/78, DEKA), non incidendo tale forma di recupero sulla realizzabilità dello scopo perseguito dalla normativa comunitaria attributiva dell’aiuto economico al beneficiario, in quanto “una compensazione tra i pagamenti compensativi versati in base al regolamento controverso (ndr regolamento del Consiglio n. 1765/1992) e crediti esigibili di uno Stato membro non comporta una riduzione dell’importo dell’aiuto” (v. Corte di Giustizia, sentenza C- 132/95, cit. punto 61).

Pertanto, anche dopo l’emanazione del regolamento del 2008, occorre sempre riferirsi alla disciplina legislativa nazionale per verificare i requisiti legali di compensabilità dei crediti (come espressamente indicato dall’art. 5-ter del regolamento comunitario del 2008, possono essere compensati con il credito di recupero dello Stato membro solo “i debiti in essere di un beneficiario, accertati in conformità della legislazione nazionale”), con la conseguenza che anche la compensazione comunitaria richiede:

1) un credito munito dei requisiti di “liquidità ed esigibilità” prescritti dall’art. 1243 c.c., e che abbia ad oggetto;

2) il recupero di una “somma indebitamente erogata”, essendo quindi indispensabile, ai fini della compensazione dei debiti, il previo accertamento definitivo del “carattere indebito” della somma liquidata a titolo di contributo PAC, o il che è a dire l’accertamento definitivo del controcredito vantato da AGEA a titolo di recupero dell’indebito.

Al riguardo osserva il Collegio che la disposizione del D.L. n. 182 del 2005, art. 3, comma 5 duodecies, conv. con mod. dalla L. n. 231 del 2005 (che ha modificato il D.P.R. 24 dicembre 1974, n. 727, art. 2, comma 2) dopo aver qualificato i crediti per provvidenze comunitarie all’agricoltura “insequestrabili”, “impignorabili”, “non assoggettabili a misure cautelari od a fermo amministrativo”, e dunque dopo aver qualificato la natura del credito, sussumibile nel divieto di compensazione stabilito dall’art. 1246 c.c., comma 1, n. 3, ha poi previsto una espressa deroga nel caso in cui al credito vantato dall’operatore agricolo sia opposto dall’organismo pagatore un controcredito per recupero di provvidenze PAC indebitamente erogate. Pertanto, in relazione alla previsione generale di insequestrabilità, impignorabilità, inapplicabilità di misure cautelare e di fermo amministrativo, la disposizione derogatoria, concernente la opponibilità in compensazione dei crediti per ripetizione di “pagamento indebito” – di provvidenze finanziarie erogate dagli organismi pagatori – al credito per provvidenze PAC spettante all’operatore agricolo, deve ritenersi suscettibile esclusivamente di stretta interpretazione ex art. 14 preleggi, e dunque la nozione di “indebito” – intesa quale prestazione determinate uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione causale – non è estendibile a controcrediti fatti valere ad un diverso titolo (che non trovi cioè fondamento in una erogazione indebita).

Sul punto la difesa dell’AGEA si è limitata a sostenere, in sostanza, tautologicamente, che il controcredito attiene ad un “indebito”, in quanto “il debito” dell’operatore agricolo è stato accertato dall’organismo pagatore mediante iscrizione della somma nel Registro nazionale debiti del SIAN.

E’ appena il caso di osservare come l’accertamento di un “nuovo” debito (per prelievo supplementare determinato dallo sforamento della quota latte) non renda perciò stesso “indebita” la pregressa erogazione delle provvidenze PAC, non venendo quindi in questione alcuna insussistenza originaria della causa giustificativa dei predetti pagamenti volta a dare luogo all’azione ex art. 2033 c.c. (il Regolamento CE n. 1788/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, che stabilisce un prelievo nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, richiamato da AGEA nel ricorso (v. p. 19), prescriveva, infatti, all’art. 11 che “1. Gli acquirenti sono responsabili della riscossione presso i produttori dei contributi da essi dovuti a titolo del prelievo e versano all’organismo competente dello Stato membro, prima di una data e in base a modalità da stabilirsi secondo la procedura di cui all’art. 23, par. 2, l’importo di tali contributi che trattengono sul prezzo del latte pagato ai produttori responsabili del superamento o che, in mancanza, riscuotono con ogni mezzo appropriato”, ed all’art. 13 che “3. Se l’acquirente non ha rispettato l’obbligo di riscuotere il contributo dei prodotti al prelievo a norma dell’art. 11, lo Stato membro può riscuotere direttamente dal produttore gli importi non pagati, fatte salve le sanzioni che può applicare all’acquirente inadempiente.”).

Corretta deve ritenersi, quindi, l’argomentazione della Corte di merito che, stante la contestazione del controcredito vantato dall’AGEA, ancora oggetto di accertamento davanti al G.A., ha ritenuto insussistente la deroga alla impignorabilità delle provvidenze PAC spettanti all’Azienda Agricola, con conseguente divieto di compensazione ai sensi dell’art. 1246 c.c., comma 1, n. 3.

Parimenti corretta è anche la statuizione del Tribunale, secondo cui difetterebbero nel caso di specie i requisiti di “liquidità” “certezza” del controcredito, essendo pendente davanti al TAR il giudizio di accertamento della pretesa vantata da AGEA.

Infondato deve, infatti, ritenersi l’assunto difensivo della ricorrente secondo cui il requisito di certezza del credito (per prelievo supplementare) non è richiesto dall’art. 1243 c.c. ai fini della estinzione per compensazione del corrispondente importo dei crediti per contributo PAC.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte la contestazione giudiziale della “esistenza” – così come anche dell’ammontare – del controcredito ne impedisce la “compensazione legale” ex art. 1243 c.c., comma 1, essendo sufficiente rilevare in proposito come il requisito della “certezza” del credito, oltre a quelli della “esigibilità” e “liquidità”, sia implicitamente richiesto quale elemento necessario dalla norma, in quanto la contestazione della “esistenza” del credito viene a risolversi, in ogni caso, anche in un difetto del requisito di “liquidità” (v. Cass., sez. un, 5/06/1975, n. 2234; Cass. 18/10/2002, n. 14818; Cass. 31/05/2010, n. 13208; Cass., sez. un., 15/11/2016, n. 23225). Con l’ulteriore corollario che, ad eccezione della ipotesi di manifesta pretestuosità della contestazione, accertabile dal Giudice nel medesimo processo, e della ipotesi in cui, in base ad accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità, il Giudice ritenga che il credito opposto in compensazione sia di “pronta e facile liquidazione”, disponendo in tal caso la compensazione giudiziale ex art. 1243 c.c., comma 2, (Cass. 21/04/1975, n. 1532; Cass. 27/04/1993, n. 4921), in ogni altro caso la “litigiosità” del controcredito è condizione ostativa ad entrambi i tipi di compensazione legale e giudiziale, in quanto il reciproco effetto estintivo presuppone che entrambi i crediti siano effettivamente esistenti, e, quindi, richiede che, nella specie, il controcredito sia stato accertato in modo definitivo (mediante accertamento contenuto in sentenza passata in giudicato od in altro provvedimento divenuto definitivo per mancata impugnazione nel termine di decadenza, o per rinuncia volontaria alla contestazione del controcredito), con la conseguenza che la compensazione rimane impedita le volte in cui il credito opposto in compensazione sia stato ritualmente contestato in un separato giudizio, in quanto detto credito potrà essere “liquidato” soltanto in quel giudizio (Cass. 22/04/1998, n. 4073; Cass., ord., 18/10/2013, n. 23716), Va ulteriormente precisato al riguardo che l’eventuale sentenza di merito o provvedimento di condanna – anche se immediatamente esecutivi – emessi in quel giudizio, ove ancora pendente, non consentono di ravvisare il necessario requisito della “definitività” dell’accertamento, e dunque della “certezza” del controcredito richiesta per operare la compensazione, trattandosi di titoli accertativi del credito pur sempre connotati dalla provvisorietà, in quanto suscettibili di riforma o revoca nel corso dei successivi gradi del giudizio (Cass. 8/04/2013, n. 8525).

Inconferente deve ritenersi, a tale proposito, la massima tratta dalla sentenza di questa Corte n. 24875 del 23/11/2006, richiamata da AGEA al fine di argomentare indirettamente la certezza del controcredito in base all’irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria in caso di omesso pagamento del debito per prelievo supplementare: in quel caso, infatti, il Giudice di legittimità si è limitato a ribadire che l’inadempimento dell’obbligo di pagamento delle somme richieste da AGEA a titolo di prelievi supplementari, entro il termine stabilito dalla L. n. 468 del 1992, comporta l’irrogazione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 11 della medesima legge. Orbene, premesso che la L. n. 468 del 1992 è stata abrogata dal D.L. 28 marzo 2003, n. 49, art. 10, comma 47, lett. a), convertito con modificazioni dalla L. 30 maggio 2003, n. 119, recante “Riforma della normativa in tema di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari”, vale osservare che la previsione legislativa e l’irrogazione di una sanzione amministrativa presuppongono la violazione di un comportamento dovuto, ma ad essi non si ricollega anche rincontestabilità” del credito.

Nè in contrario osta l’argomento svolto dalla ricorrente secondo cui la contestazione giudiziale del credito per prelievo supplementare doveva ritenersi irrilevante ai fini della compensazione comunitaria, in quanto erano state rigettate le istanze di sospensione dei provvedimenti amministrativi impugnati avanti il TAR e il controcredito era stato iscritto nel Registro nazionale dei debiti del SIAN (Sistema informativo agricolo nazionale), con gli effetti della “iscrizione a ruolo” previsti dal D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, art. 8 ter, comma 2, conv. con modificazioni in L. 9 aprile 2009, n. 33.

La ricorrente compie, infatti, una non condivisibile equiparazione tra “incontestabilità” del credito (la cui esistenza, ove posta in discussione, potrà essere definitivamente accertata soltanto all’esito della pronuncia giudiziale passata in giudicato) e formazione del titolo esecutivo stragiudiziale (attuata con la iscrizione del debito per prelievo supplementare nel Registro nazionale debiti del SIAN, con effetti equiparati ex lege alla “iscrizione a ruolo”).

Al riguardo occorre rilevare come la nozione di “certezza” del credito assuma diversa connotazione secondo che sia riferita, ex art. 474 c.p.c., ai titoli esecutivi (nella specie di formazione stragiudiziale), ovvero sia riferita alla incontestabilità dell’accertamento del diritto, nel primo caso essendo sempre esperibile la opposizione ex art. 615 c.p.c.per contestare il diritto; il riconoscimento dell’efficacia di titolo esecutivo alla iscrizione a “ruolo” nel registro SIAN viene dunque a rilevare esclusivamente ai fini della possibilità di anticipato conseguimento del bene della vita oggetto del diritto, a prescindere dal successivo “definitivo” accertamento – che potrà anche essere negativo – dello stesso diritto.

Come affermato da questa Corte (v. Cass. 12/04/2011, n. 8338 e Cass., sez. un., 15/11/2016, n. 23225, in motivazione), “un credito derivante da una sentenza provvisoriamente esecutiva non è opponibile in compensazione, perchè tale titolo può subire modificazioni a seguito dell’impugnazione in corso, mentre, come si è detto, l’operatività dell’effetto estintivo presuppone il definitivo accertamento del credito da opporre in compensazione e quindi della compensazione medesima, sicchè non può derivare da situazioni provvisorie (Cass. 14 gennaio 1992 n. 325, in motivazione; Cass. 13 maggio 1987 n. 4423).

  1. Neppure l’argomento dell’eseguibilità della sentenza provvisoriamente esecutiva inficia le motivazioni in diritto fin qui sviluppate per l’esclusione della compensabilità, visto che la provvisorietà dell’accertamento in separato giudizio non può provocare l’effetto dell’estinzione, la quale investe – elidendola irrimediabilmente – la stessa sussistenza, ontologicamente considerata, della ragione di credito e non già soltanto e semplicemente la sua idoneità a fondare un’esecuzione; l’eseguibilità non attiene quindi alla certezza, ma solo all’esigibilità del credito, riguardando il diverso profilo della tutela anticipata del medesimo, mediante la sua immediata azionabilità;…” (v. sentenza n. 8338/2011 cit.).

Pertanto, il D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, conv. in L. 9 aprile 2009, n. 33 (istitutivo del Registro nazionale debiti del SIAN), che ha dato attuazione alla compensazione comunitaria – prevista in via generale dal regolamento comunitario n. 1034/2008 -, per un verso, non è venuto a modificare la precedente previsione normativa secondo cui soltanto gli importi per contributi comunitari “indebiti” (in quanto ab origine privi causa, o in relazione ai quali la causa solvendi sia in seguito venuta meno) possono essere oggetto di misure di recupero (e di compensazione), diversamente dovendo in ogni caso essere “integralmente versati ai beneficiari” i pagamenti relativi ai finanziamenti FEAGA e FEASR (art. 9, regolamento CE n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, relativo al finanziamento della politica agricola comune); per altro verso, non ha apportato alcuna deroga alla disciplina codicistica della compensazione legale e giudiziale che richiede la compresenza di entrambe le condizioni legali della liquidità (inclusiva della certezza) e della esigibilità dei debiti opposti in compensazione, come è stato ribadito da questa Corte a sezioni unite, con l’ordinanza 1/12/2009, n. 25261: “….Nel Sistema di cui sopra (ndr istituzione del Registro nazionale dei debiti nel S.I.A.N.), secondo quanto chiariscono più circolari dell’AGEA, sono inseriti i soli debiti accertati in via definitiva, con sentenza passata in giudicato, ovvero non più impugnabili in sede giurisdizionale, cui corrispondono crediti dell’Agenzia di carattere certo, liquido ed esigibile” (v. in motivazione).

Osserva il Collegio che è destituito di fondamento anche l’ultimo argomento svolto dalla ricorrente – che si pone in relazione di alternatività incompatibilità con le altre censure concernenti la applicabilità della compensazione – secondo cui nella fattispecie verrebbe in questione soltanto una compensabilità “atecnica” dei crediti, in quanto derivanti da un rapporto credito-debitorio unitario (giusta la definizione del D.L. n. 5 del 2009, art. 8 ter cit. “1. Il rapporto giuridico tra ciascun produttore che eserciti attività agricola ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, lett. c), del regolamento (CE) n. 73/2009del Consiglio, del 19 gennaio 2009, e l’Unione Europea è unico nell’ambito delle misure di finanziamento della Politica agricola comune di cui al regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005”), dovendosi, quindi, prescindere, secondo la ricorrente, sia dai requisiti legali ex art. 1243 c.c., comma 1, sia dai limiti alla compensabilità previsti dall’art. 1246 c.c., comma 1, n. 3.

La tesi è infondata in quanto, per giurisprudenza consolidata, l’istituto della estinzione per compensazione non trova applicazione allorquando le obbligazioni, derivanti da un unico rapporto negoziale, siano tra loro legate da un vincolo di corrispettività che ne escluda l’autonomia, perchè se, in siffatta ipotesi, si ammettesse la reciproca elisione delle obbligazioni in conseguenza della compensazione, si verrebbe ad incidere sull’efficacia stessa del negozio, paralizzandone gli effetti (v. Cass., sez. un., 16/11/1999, n. 775; Cass. 11/05/2004, n. 8924; Cass. 11/03/2005, n. 5349; Cass. 9/05/2006, n. 10629; Cass. n. 1695 del 29/01/2015), mentre, quando tali obbligazioni conservano una loro “autonomia” (non essendo legate da nesso di sinallagmaticità), le norme sulla compensazione non incontrano limiti – secondo che le obbligazioni scaturiscano da una pluralità o da un unico rapporto – come è dato evincere dalla disciplina codicistica.

Pertanto, diversamente da quanto asserito dalla ricorrente, la cosiddetta “compensazione impropria” o “atecnica”, in base alla quale la valutazione delle reciproche pretese importa un semplice accertamento contabile di dare ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, si verifica soltanto in presenza di una “corrispettività” delle prestazioni (Cass., sez. un., 16/11/1999, n. 775; Cass. 25/11/2002, n. 16561; Cass. 10/06/2005, n. 12327; Cass. 5/12/2008, n. 28855; Cass. 29/08/2012, n. 14688; Cass. 29/01/2015, n. 1695; Cass. 13/08/2015, n. 16800), ipotesi che per l’appunto non ricorre nel caso di specie, in cui l’unitarietà del rapporto non esclude in ogni caso l’autonomia delle obbligazioni da cui derivano i singoli reciproci debiti.

Ne segue che l’elemento differenziale, individuato dalla ricorrente nella relazione intercorrente tra i crediti (“unitarietà del rapporto” da cui discendono crediti per i contributi e crediti per il recupero di prelievi, anzichè “autonomia dei titoli” da cui derivano i reciproci crediti e debiti), non comporta la conseguenza che AGEA vorrebbe farne derivare, e cioè la inapplicabilità alla “compensazione comunitaria” dello statuto normativo della compensazione legale o giudiziale, di cui all’art. 1243 c.c., che richiede, perchè si realizzi il reciproco effetto estintivo, che entrambi i crediti siano certi, liquidi ed esigibili.

L’ulteriore esposizione dei motivi di ricorso concerne l’illustrazione delle ragioni sottese alla “impignorabilità” dei contributi PAC (garantire che l’intervento comunitario di sostegno raggiunga il risultato previsto) e della compatibilità con l’ordinamento comunitario dell’istituto della compensazione (anche tra crediti comunitari e crediti statali: Sentenza Corte Giustizia in causa C-132/95 Bent Jensen e Korn), ma non individua al riguardo ulteriori punti critici della motivazione della sentenza (e dell’ordinanza) impugnate, rispetto a quelli già esaminati.

  1. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
  2. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
  3. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, va dato atto della non sussistenza, nel caso all’esame, dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2019