RISANAMENTO AZIENDE CASSAZIONE
Quella dell’art. 67 – si afferma dunque – rientra nel novero delle “procedure concorsuali” di cui alle previsioni della legge fallimentare.
Comunque, l’applicazione della norma dell’art. 111, comma 2, seconda parte, si rapporta in realtà con il genere dell'”attività funzionale alla composizione negoziale della crisi” ovvero al contesto delle “procedure di composizione negoziale della crisi”. Comunque, “determinante ai fini dell’attribuzione della prededucibilità” è che si tratti di attività “funzionale in termini di accrescimento dell’attivo o di salvaguardia dell’integrità del patrimonio”. Non si può non tenere adeguato conto, d’altro canto, della “comunanza di ratio tra il novellato L. Fall., art. 67 e art. 111”, secondo quanto già rilevato – segnala il ricorso, richiamandosi alle pronunce di Cass., 5 marzo 2014, n. 5098 e di Cass., 9 settembre 2014, n. 18922 dalla giurisprudenza di questa Corte.
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In proposito va prima di tutto rilevato che, come correttamente riscontrato dal decreto impugnato, il piano di risanamento ex art. 67 non è una “procedura concorsuale”. La sua natura non partecipa, per essere più precisi, nè al primo, nè al secondo termine della richiamata espressione.
Alla vicenda di strutturazione e conformazione del piano non concorre alcun intervento giudiziale, sia esso di valutazione oppure di controllo.
Nè ha luogo discorrersi di una partecipazione del ceto creditorio (tanto meno se assunta in termini di necessaria partecipazione).
La giurisprudenza di questa Corte ha già rilevato, d’altro canto, che la vicenda espressa dal piano non raffigura una “procedura”, rientrando invece nell’amplissimo genere delle “convenzioni stragiudiziali” (cfr. Cass., 5 luglio 2016, n. 13719). Sulla scia di questa indicazione si può in via di specificazione procedere pure rilevando che il piano in questione è in realtà frutto di una decisione dell’impresa, come attinente alla programmazione della propria futura attività e intesa al risanamento della relativa “situazione finanziaria”. Decisione che nella sua traduzione operativa, poi, viene di necessità ad avvalersi dell’attività contrattuale di un professionista indipendente, per la funzione di attentatore, e che può anche venire a comportare, nel caso, la conclusione di convenzioni con creditori o terzi in genere: secondo un ventaglio di ipotesi per la verità assai articolato, che nel suo ambito va a ricomprendere tanto i consulenti tecnici di effettiva predisposizione al piano, quanto gli eventuali acquirenti di assets aziendali. Decisione così determinante, in ogni caso, da riguardare addirittura la stessa eventualità di “esternalizzazione” del piano, portandolo così a conoscenza dei creditori in genere e del mercato: a mezzo appunto della scelta di pubblicarlo o meno nel registro delle imprese a mente dell’ultimo periodo dell’art. 67, comma 3, lett. d., che di per sè rappresenta una scelta propria dell’autonomia di impresa.
7.- E’ senz’altro da escludere, d’altra parte, che la norma dell’art. 111 sia da leggere e interpretare come se essa si riferisse anche alle composizioni negoziali delle crisi di impresa.
Al di là della constatazione che l’allegazione formulata dalla ricorrente è rimasta sguarnita di un qualunque supporto argomentativo, è da osservare in proposito come nella specie manchino propriamente le basi per aprire pure solo l’ipotesi di interpretazioni analogiche o anche solo estensive.
La prededuzione è in sè stessa vicenda di tratto sostanzialmente eccezionale o comunque singolare: come all’evidenza indica, ben al di là della prima parte dell’art. 111, comma 2 il fatto che essa importa deroga al principio generale della par condicio. Per altro verso, il riferimento alle “composizioni negoziali delle crisi” nemmeno rimanda all’idea di una categoria dotata di una qualche omogeneità, la stessa risultando per contro sfrangiata in una serie indeterminata (e non predeterminabile) di ipotesi.
Finisce poi per giungere a una vera e propria interpretatio abrogans di parte della norma dell’art. 111 l’ulteriore affermazione della ricorrente, per cui a risultare davvero determinate, ai fini della applicazione della prededuzione, sarebbe esclusivamente l’effettiva sussistenza in concreto di un nesso di “funzionalità” ovvero di “occasionalità”.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
1.- D. ricorre per cassazione nei confronti del fallimento (*) s.r.l., esponendo tre motivi avverso il decreto emesso dal Tribunale di Bari in data 16/20 febbraio 2015 nel giudizio R.G. 16003/2013, come anche integrato dai successivi due decreti resi in proposito dal medesimo Tribunale in data 23/24 marzo 2015.
Con queste decisioni, il Tribunale pugliese ha rigettato l’opposizione formulata dall’avv. D. contro il provvedimento preso dal giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo del fallimento (*). Che è consistito – per quanto qui rileva nel negare la qualifica di “credito prededucibile” a quello esposto dall’avvocato per l’attività prestata a favore della società di poi fallita in relazione alla predisposizione di un piano di risanamento aziendale ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d); e altresì nel negare il riconoscimento di interessi per le voci creditorie avanzate dall’avvocato (in sorte capitale ammesse, per una parte, in privilegio e in chirografo, per l’altra), come anche carattere privilegiato alle “spese sostenute per il recupero del credito”.
Nei confronti del ricorso resiste il fallimento (*), che ha depositato apposito controricorso, con annesso ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
2.- I motivi di ricorso sollevano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.
Il primo motivo assume, in particolare, “violazione della L. Fall., art. 111 nell’omesso riconoscimento della natura prededucibile del credito professionale derivante dall’espletamento di attività utile all’interesse della massa dei creditori”.
Il secondo motivo riscontra, poi, “insufficiente motivazione in punto di interessi e di spese documentate (art. 360 c.p.c., n. 5)”. Il terzo motivo rileva, inoltre, “carenza di motivazione con riferimento all’applicabilità al caso di specie del D.P.R. n. 115/112”.
3.- Come dichiara la relativa intestazione, il primo motivo di ricorso si incentra sul tema dell’eventuale prededucibilità L. Fall., ex art. 111, comma 2, seconda parte, (“sono considerati crediti prededucibili quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”) del credito inerente ad attività prestata per la elaborazione di un piano di risanamento, secondo quanto previsto e disciplinato dalla norma della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d).
Nel concreto, il ò riferimento della controversia va all’attività professionale di “consulenza e assistenza stragiudiziale” svolta dall’avv. D. per la predisposizione del piano della poi fallita s.r.l. (*).
La questione, nei termini generali tratteggiati nel primo capoverso del presente numero, non è stata ancora affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte.
4.- Il Tribunale di Bari ha respinto la richiesta di prededuzione, formulata dall’avvocato, sulla base del rilevo che “al “procedimento” previsto per la predisposizione e la attestazione del “Piano” di cui alla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d) non può essere attribuita natura di “procedura concorsuale””.
La soluzione è stata motivata essenzialmente con il rilievo che la predisposizione di tale piano si connota per “la mancanza di un preventivo accordo dei creditori”, “per l’assenza di preventiva pubblicazione nel registro delle imprese”, per la “mancanza di qualsiasi intervento omologatorio del tribunale”. “Ulteriormente”, il Tribunale ha pure precisato che la “natura del Piano di risanamento attestato” è stata “mantenuta distinta”, secondo la prospettiva del vigente sistema normativo, da quella assegnata agli accordi di ristrutturazione, di cui pure alla legge fallimentare.
5.- Contestata la pertinenza di un qualunque richiamo specifico alla normativa degli accordi di ristrutturazione, il motivo di ricorso assume invece, nell’ambito per la verità di un percorso argomentativo non sempre lineare, che la prededucibilità del credito inerente alla predisposizione del piano ex art. 67 è mostrata da più ragioni, tra loro anche concorrenti.
Quella dell’art. 67 – si afferma dunque – rientra nel novero delle “procedure concorsuali” di cui alle previsioni della legge fallimentare. Comunque, l’applicazione della norma dell’art. 111, comma 2, seconda parte, si rapporta in realtà con il genere dell'”attività funzionale alla composizione negoziale della crisi” ovvero al contesto delle “procedure di composizione negoziale della crisi”. Comunque, “determinante ai fini dell’attribuzione della prededucibilità” è che si tratti di attività “funzionale in termini di accrescimento dell’attivo o di salvaguardia dell’integrità del patrimonio”. Non si può non tenere adeguato conto, d’altro canto, della “comunanza di ratio tra il novellato L. Fall., art. 67 e art. 111”, secondo quanto già rilevato – segnala il ricorso, richiamandosi alle pronunce di Cass., 5 marzo 2014, n. 5098 e di Cass., 9 settembre 2014, n. 18922 dalla giurisprudenza di questa Corte.
6.- Il motivo è infondato.
In proposito va prima di tutto rilevato che, come correttamente riscontrato dal decreto impugnato, il piano di risanamento ex art. 67 non è una “procedura concorsuale”. La sua natura non partecipa, per essere più precisi, nè al primo, nè al secondo termine della richiamata espressione.
Alla vicenda di strutturazione e conformazione del piano non concorre alcun intervento giudiziale, sia esso di valutazione oppure di controllo.
Nè ha luogo discorrersi di una partecipazione del ceto creditorio (tanto meno se assunta in termini di necessaria partecipazione).
La giurisprudenza di questa Corte ha già rilevato, d’altro canto, che la vicenda espressa dal piano non raffigura una “procedura”, rientrando invece nell’amplissimo genere delle “convenzioni stragiudiziali” (cfr. Cass., 5 luglio 2016, n. 13719). Sulla scia di questa indicazione si può in via di specificazione procedere pure rilevando che il piano in questione è in realtà frutto di una decisione dell’impresa, come attinente alla programmazione della propria futura attività e intesa al risanamento della relativa “situazione finanziaria”. Decisione che nella sua traduzione operativa, poi, viene di necessità ad avvalersi dell’attività contrattuale di un professionista indipendente, per la funzione di attentatore, e che può anche venire a comportare, nel caso, la conclusione di convenzioni con creditori o terzi in genere: secondo un ventaglio di ipotesi per la verità assai articolato, che nel suo ambito va a ricomprendere tanto i consulenti tecnici di effettiva predisposizione al piano, quanto gli eventuali acquirenti di assets aziendali. Decisione così determinante, in ogni caso, da riguardare addirittura la stessa eventualità di “esternalizzazione” del piano, portandolo così a conoscenza dei creditori in genere e del mercato: a mezzo appunto della scelta di pubblicarlo o meno nel registro delle imprese a mente dell’ultimo periodo dell’art. 67, comma 3, lett. d., che di per sè rappresenta una scelta propria dell’autonomia di impresa.
7.- E’ senz’altro da escludere, d’altra parte, che la norma dell’art. 111 sia da leggere e interpretare come se essa si riferisse anche alle composizioni negoziali delle crisi di impresa.
Al di là della constatazione che l’allegazione formulata dalla ricorrente è rimasta sguarnita di un qualunque supporto argomentativo, è da osservare in proposito come nella specie manchino propriamente le basi per aprire pure solo l’ipotesi di interpretazioni analogiche o anche solo estensive.
La prededuzione è in sè stessa vicenda di tratto sostanzialmente eccezionale o comunque singolare: come all’evidenza indica, ben al di là della prima parte dell’art. 111, comma 2 il fatto che essa importa deroga al principio generale della par condicio. Per altro verso, il riferimento alle “composizioni negoziali delle crisi” nemmeno rimanda all’idea di una categoria dotata di una qualche omogeneità, la stessa risultando per contro sfrangiata in una serie indeterminata (e non predeterminabile) di ipotesi.
Finisce poi per giungere a una vera e propria interpretatio abrogans di parte della norma dell’art. 111 l’ulteriore affermazione della ricorrente, per cui a risultare davvero determinate, ai fini della applicazione della prededuzione, sarebbe esclusivamente l’effettiva sussistenza in concreto di un nesso di “funzionalità” ovvero di “occasionalità”.
8.- Poste le precedenti osservazioni, non può non risaltare la genericità della “comunanza di ratio” che la ricorrente ritiene venga a correre tra la norma dell’art. 67 e quella dell’art. 111: con riferimento almeno al profilo qui concretamente in esame, tale comunanza rimane, per così dire, sul mero piano della superficie esterna. D’altronde, il richiamo dei precedenti di questa Corte, a cui la ricorrente si rifà, non appare per nulla centrato.
L’ordinanza n. 18922/2014 concerne un’ipotesi di assistenza alla preparazione di un’istanza di fallimento; e non risulta presentare o proporre richiami alla norma dell’art. 67: la decisione identificando, piuttosto, quella dell’art. 111 come “norma generale, applicabile alla pluralità delle procedure concorsuali”.
La ricorrente sembra poi cadere in un equivoco là dove richiama a proprio sostegno la sentenza n. 5098/2014 (che riguarda un caso di credito professionale concernente la domanda di concordato preventivo): la pronuncia afferma, in realtà, che la norma dell’art. 111 è intesa a “favorire il ricorso alla procedura di concordato preventivo”, come “strumento di composizione della crisi idonea a favorire la conservazione dei valori aziendali”, e che tale ultimo obiettivo è condiviso pure dalla norma dell’art. 67, comma 3, lett. d), perchè quest’ultima “sottrae alla revocatoria fallimentare i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili eseguiti dall’imprenditore alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alla procedura di concordato preventivo”.
9.- Con il secondo motivo la ricorrente assume l’insufficienza motivazionale della statuizione relativa all’esclusione dallo stato passivo della voce inerente a interessi e della statuizione inerente alla collocazione al chirografo della voce inerente a “spese bancarie maturate a seguito dei protesti delle cambiali”.
Il motivo è inammissibile.
In effetti, la normativa vigente al tempo della presentazione del ricorso (marzo 2015) non ammette più la ricorribilità per cassazione del vizio c.d. motivazionale.
10.- Il terzo motivo di ricorso censura la rilevazione del Tribunale di Bari che dà atto della sussistenza, nella fattispecie concreta, dei presupposti di applicazione del c.d. “raddoppio di contributo” D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater.
Il motivo va accolto.
In effetti, la motivazione addotta al riguardo dal Tribunale si va a fermare “esclusivamente sul presupposto oggettivo del rigetto integrale della impugnazione”. Così facendo, peraltro, la stessa trascura del tutto di considerare natura e caratteri del procedimento nel cui ambito la stessa viene a ritenere applicabile la normativa del “raddoppio di contributo”, che consta in un’opposizione all’esclusione di un credito dallo stato passivo.
La statuizione in questione viene in tale modo a integrare una falsa applicazione della normativa di cui al citato decreto. L’opposizione all’esclusione dallo stato passivo del fallimento non può essere considerata un’impugnazione in senso proprio, la stessa risultando piuttosto un gravame che apre un procedimento a cognizione piena, tale non potendo essere considerato, per l’appunto, quello di cui alla verifica dei crediti compiuto dal giudice delegato.
11.- Il ricorso incidentale presentato dal fallimento (*) è stato condizionato all’eventuale accoglimento del primo o del secondo motivo di ricorso.
Il mancato accoglimento dei medesimi importa dunque assorbimento di questo ricorso.
12.- In conclusione, va rigettato il primo motivo del ricorso principale e dichiarato inammissibile il secondo; va invece accolto il terzo motivo. Rimane assorbito il ricorso incidentale. Di conseguenza, vanno cassati i decreti impugnati in relazione alle determinazione relative al “raddoppio di contributo”.
Le spese vanno compensate, anche in ragione della novità della questione posta all’attenzione di questa Corte con il primo motivo del ricorso principale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il secondo, assorbito il motivo di ricorso incidentale. Accoglie il terzo motivo del ricorso principale. Cassa, in relazione alle relative determinazioni, i decreti impugnati e, decidendo nel merito, esclude il raddoppio del contributo e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 25 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2018.
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