PRODUZIONE CINEMATOGRAFICA
E DIFFAMAZIONE AVVOCATO
ESPERTO DIRITTO DEL CINEMA
Si assume che, pur ipoteticamente condivisa la ri-conduzione del film all’esercizio del diritto di cronaca e non a quello del diritto di critica, la Corte capitolina avrebbe ritenuto erroneamente la necessità della prova della sussistenza della verità storica della effettiva implicazione della persona del Contrada nei fatti attribuitigli attraverso la figura di “u dottore” ed avrebbe così inteso ratificare anche l’esclusione da parte del primo giudice di una verità putativa. In tal modo avrebbe erroneamente applicato i principi desumibili in materia dalla giurisprudenza di questa Corte condivisa anche dal Tribunale di Roma. Tale affermazione, dopo la citazione di Cass. 23 febbraio 1998 senza numero, di Cass. n. 150 del 1999 e di Cass. n. 4397 del 2001, nonché di un’ordinanza del Tribunale di Roma, viene fatta seguire da una serie di affermazioni riportate fra virgolette, relative ai caratteri che deve avere la cronaca giudiziaria in relazione al limite della verità ed all’operare del limite della continenza e dell’interesse pubblico o sociale della notizia, nonché alla configurabilità del suddetto diritto entro quei limiti ed a tutela di quell’interesse anche con riguardo all’attività cinematografica. Viene, quindi, richiamata l’affermazione di Cass. n. 150 del 1999 in ordine alla sufficienza per la sussistenza della scriminante dell’art. 51 c.p. del fatto che l’articolo pubblicato corrisponda al contenuto di atti e provvedimenti dell’autorità giudiziaria, senza che sia richiesto al giornalista di dimostrare la verità obbiettiva o la fondatezza della decisione e dei provvedimenti adottati da detta autorità.
Sulla base di tali principi si assume che nei momenti di realizzazione e pubblicazione del film il Contrada “si trovava notoriamente in carcere proprio sulla base di un provvedimento cautelare emesso per le identiche ragioni indicate nella ricordata didascalia del film facente riferimento alla struttura dei servizi segreti”, onde, pur nella logica della identificazione del personaggio di “u dottore” con il Contrada si sarebbe dovuta applicare la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e rigettare la domanda risarcitoria “in ragione della verità putativa della notizia ricavabile dal ricordato notorio provvedimento cautelare”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 12 ottobre 2007 – 12 febbraio 2008, n. 3267
(Presidente Di Nanni – Relatore Frasca)
Svolgimento del processo
- Nel dicembre del 1993 Bruno Contrada conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la Clemi Cinematografica s.r.l., G. F. ed A. B. per sentirli condannare, nelle rispettive qualità di società produttrice, di regista/cosceneggiatore e di cosceneggiatrice del film “Giovanni Falcone”, al risarcimento dei danni sofferti all’onore ed al decoro per effetto della sua proiezione.Adduceva l’attore: che, in occasione dell’anteprima del film riservata ai giornalisti, tra i vari personaggi (rappresentati da politici, magistrati, inquirenti ed indagati) solo uno di essi non era stato indicato nominativamente bensì con l’appellativo di “u dottore”, ma ciononostante era risultato immediatamente identificabile nella sua persona, grazie ad una didascalia che appariva nei titoli di coda del film con il seguente tenore: “il numero tre dei servizi segreti (Sisde) già capo della squadra mobile di Palermo, è arrestato per concorso in associazione mafiosa”; che la società produttrice, dopo la proiezione in anteprima, aveva depositato la copia campione del film presso il Dipartimento dello Spettacolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri senza la suddetta didascalia ed aveva fatto conformemente distribuire il film nelle sale.Nel contraddittorio dei tre convenuti il Tribunale di Roma, dopo aver visionato il film, nel giugno del 1998, ritenuta esistente la dedotta diffamazione, accoglieva la domanda e condannava in solido i convenuti al pagamento a titolo risarcitorio della somma di L. duecento milioni.La sentenza veniva separatamente appellata dalla società, dal F. e dalla B. avanti alla Corte d’Appello di Roma, che, nella resistenza del Contrada, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava gli appellanti al pagamento della somma di euro venticinquemila e dichiarava il F. e la B. obbligati a tenere indenne la Clemi Cinematografica “da ogni esborso” nei confronti del Contrada, compensando integralmente le spese del grado.1.1. La sentenza ha innanzitutto riconosciuto la fondatezza delle valutazioni espresse dal giudice di primo grado in ordine alla sussistenza della diffamazione, assumendo in primo luogo – dopo avere posto la distinzione fra diritto di critica e diritto di cronaca – che la vicenda doveva inquadrarsi nell’ambito del diritto di cronaca, tenuto conto dell’appartenenza del film al filone delle opere cinematografiche “ad alto impegno sociale e caratterizzate dalla predominanza, se non dall’esclusività, della correlazione all’effettivo svolgimento storico dei fatti narrati” e qualificabili come “film-documentario”, perché gli accadimenti ed i personaggi narrati risultano facilmente individuabili ed identificabili dalle date e dai nomi. Ne ha desunto che il rispetto del legittimo esercizio del diritto di cronaca andava accertato in limiti più ristretti di quanto avrebbe potuto farsi per il diritto di critica ed ha, quindi, osservato che, come aveva rilevato il Tribunale, il personaggio di “u dottore” era coinvolto in una serie di fatti che lo dipingevano in senso estremamente negativo, di modo che sarebbe stata necessaria la verità storica dei fatti e, quindi, della loro attribuibilità al personaggio, mentre essa non era stata dimostrata dagli appellanti. D’altro canto, la tesi difensiva dei medesimi che la figura di “u dottore” si dovesse identificare impersonalmente con la struttura dei servizi segreti sarebbe stata fondata solo se nei titoli di coda non fosse comparsa, sotto l’indicata didascalia la foto del Contrada.La sentenza, viceversa, ha ritenuto non condivisibile la quantificazione del danno operata dalla sentenza di primo grado ed ha ridotto ad euro venticinquemila la somma dovuta a titolo risarcitorio.
In accoglimento dell’appello della demi Cinematorgrafica s.r.l. nei confronti degli altri due appellanti, sulla base delle clausole dei contratti di regia e di sceneggiatura prodotte in grado di appello, espressamente considerandole come prove ammissibili in appello, in quanto non nuove, per essere documenti e, quindi, prove precostituite, la Corte territoriale ha condannato il F. e la B. a tenere indenne la società dagli esborsi verso il Contrada.
In fine ha condiviso le valutazioni del Tribunale circa l’esistenza della lesione dell’identità personale del Contrada e sulla pretesa responsabilità esclusiva della società.
2. Contro la sentenza ha proposto un primo ricorso per cassazione, iscritto al n.r.g. 24868 del 2003 il F. contro il Contrada e nei confronti della B. e della s.r.l. Clemi Cinematografica, sulla base di quattro motivi.
Altro separato ricorso iscritto al n.r.g. 26105 del 2003 ha proposto la B. contro il Contrada e nei confronti del F. e della società, affidandolo a quattro motivi.
A sua volta la Clemi Cinematografica, resistendo con controricorso al ricorso del F., ha proposto ricorso incidentale, iscritto al n.r.g. 28621 del 2003, sulla base di un unico motivo.
La B. ha depositato memoria nell’imminenza della pubblica udienza.
Motivi della decisione
- Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso incidentale n. 28621 del 2003 a quello principale n. 24868, in quanto proposto in relazione a quest’ultimo. Va, quindi, disposta là riunione di tali ricorsi a quello iscritto al n. 26105, perché quest’ultimo ed il n. 24686 sono ricorsi principali contro la stessa sentenza.2. Con il primo motivo del ricorso principale n. 24868 ci si duole di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.)”. Il motivo critica la sentenza impugnata là dove ha escluso la tesi difensiva della impersonalità della figura di *u dottore”, cioè del suo carattere rappresentativo della struttura dei servizi segreti e non del Contrada. Si assume che il sillogismo motivazionale della Corte territoriale si sarebbe articolato partendo dalla premessa che la didascalia, apparsa sotto la figura del personaggio di “u dottore”, era sicuramente riferibile al Contrada, passando per l’assunto intermedio che essa, comparendo sotto la figura di quel personaggio doveva ad esso riferirsi e, quindi, concludendosi con l’affermazione che, dunque, *u dottore” ai doveva identiticare in Bruno Contrada.Di tale sillogismo sarebbe vera la premessa maggiore, ma non l’affermazione intermedia, in quanto i due argomenti con cui la Corte l’avrebbe sostenuta – cioè (a) l’essere stata la didascalia in questione, pur non essendo la sola che era stata fatta scorrere sul volto di “u dottore”, quella certamente riferibile a quel personaggio, per essere state le altre riferibili a personaggi ben identificati, cioè al Ministro Martelli ed ai mafiosi Riina e Santapaola, e (b) il riconoscimento implicito della identificabilità di “u dottore” con il Contrada desumibile dalla spontanea eliminazione della didascalia da parte del produttore – sarebbero illogici.Infatti, secondo il ricorrente:a) il tenore complessivo dell’intera didascalia (che il ricorso riproduce ed è del seguente tenore: “il numero 3 dei servizi segreti (Sisde), già capo della squadra Mobile di Palermo, è arrestato per concorso in associazione mafiosa. I capi mafia Riina e Santapaola sono catturati dopo decenni di latitanza. L’ex capo del governo senatore Andreotti è indiziato per crimini in concorso con capi mafia. Il ministro Martelli è costretto a dimettersi per il suo coinvolgimento nel conto svizzero della P2. Gli italiani attendono la verità sulle stragi siciliane dopo aver atteso 25 anni per le alte (rectius, altre stragi) che hanno insaguinato l’Italia”) avrebbe confermato che la figura di “u dottore” intendesse rappresentare la struttura deviata dei servizi segreti, tenuto conto che faceva seguire al riferimento all’arresto del numero 3 del Sisde, quello all’arresto dei capi mafia Riina e Santapaola, quello all’essere stato indiziato per crimini in concorso con capi mafia il senatore Andreotti, quella delle dimissioni del Ministro Martelli per il coinvolgimento nell’affare del conto svizzero della P2 e, quindi, l’affermazione che gli Italiani attendevano la verità sulle stragi siciliane dopo avere atteso 25 anni per le altre stragi che avevano insanguinato l’Italia;b) la scelta del produttore di eliminare la didascalia dal film una volta distribuito sarebbe stata arbitrariamente interpretata come una confessione stragiudiziale, mentre invece sarebbe stata espressione solo di esigenze insindacabili connesse alla determinazione della struttura, del contenuto e del montaggio del film;
c) inoltre, quand’anche si fosse voluta eliminare la possibilità di riferimento a personaggi, perché non supporre che si fosse trattato di Andreotti e Martelli?
Il sillogismo sarebbe, dunque, fallace e per tale ragione sarebbe insufficiente e contraddittoria la motivazione.
2.1. Il motivo è inammissibile anzitutto (e comunque in via assorbente) in quanto non risponde in alcun modo al modello di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006, applicabile al ricorso ex art. 27, comma 2, di tale d.lgs.
Invero, in ordine al suddetto testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c. è stato affermato che “la nozione di punto decisivo della controversia, di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., sotto un primo aspetto si correla al C. sulla cui ricostruzione il vizio di motivazione avrebbe inciso ed implica che il vizio deve avere inciso sulla ricostruzione di un fatto che ha determinato il giudice all’individuazione della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio di merito e, quindi, di un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo od estintivo del diritto. Sotto un secondo aspetto, la nozione di decisività concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha inciso, bensì la stessa idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinarne una diversa ricostruzione e, dunque, afferisce al nesso di casualità fra il vizio della motivazione e la decisione, essendo, peraltro, necessario che il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa. Infatti, se il vizio di motivazione per omessa considerazione di punto decisivo fosse configurabile sol per il fatto che la circostanza di cui il giudice del merito ha omesso la considerazione, ove esaminata, avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione del fatto diversa da quella adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di motivazione per insufficienza o contraddittorietà fosse configurabile sol perché su uno specifico fatto appaia esistente una motivazione logicamente insufficiente o contraddittoria, senza che rilevi se la decisione possa reggersi, in base al suo residuo argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 si risolverebbe nell’investire la Corte di Cassazione del controllo sic et simpliciter dell’iter logico della motivazione, del tutto svincolato dalla funzionalità rispetto ad un esito della ricostruzione del fatto idoneo a dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella fase di merito” (Cass. n. 22979 del 2004, seguita da altre conformi).
Con specifico riferimento alla insufficienza di motivazione il secondo aspetto indicato comporta che la prospettazione di un vizio derivante da una insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento di un fatto principale della controversia si debba articolare non già nella mera prospettazione della possibilità od anche probabilità di una spiegazione logica alternativa, bensì nella prospettazione di questa spiegazione logica alternativa del fatto come l’unica possibile. Se, infatti, si ammettesse la rilevanza di una prospettazione basata sulla sola possibilità o probabilità di una ricostruzione alternativa, il rilievo della decisività normativamente prevista dal n. 5 vecchio testo e ribadito dal nuovo sarebbe del tutto pretermesso e la Corte di cassazione, per il tramite del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 sarebbe semplicemente sollecitata a fornire una diversa valutazione della vicenda in fatto, cosa del tutto incompatibile: a) con la sua funzione e con la stessa struttura del processo di cassazione, nel quale lo svolgimento del contraddittorio è tipizzato in modo assolutamente incompatibile con l’assunzione da parte della Corte di una indistinta funzione di giudice di terza istanza nel merito; b) con la stessa “lontananza” della Corte dal fatto e dalle modalità con le quali esso, per 1 tramite dell’istruzione probatoria è entrato nel processo.
Questo principio di diritto (che sostanzialmente rappresenta l’esplicitazione delle ragioni di quel diffuso principio di diritto che sovente altre decisioni di questa Corte utilizzano per rifiutarsi di scrutinare motivi di ricorso proposti ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. assumendo che non rientra nell’ambito del controllo possibile tramite questo motivo il “riesame del fatto” e che è da credere trova – anche se non è questa la sede per darne spiegazione – il suo precipitato formale nel nuovo testo del n. 5 dell’art. 360), una volta applicato alla prospettazione su cui si fonda il motivo in esame, palesa che esso, mentre certamente denuncia un vizio riconducibile al paradigma normativo come sopra spiegato nel primo dei due aspetti indicati, investendo il fatto principale della controversia rappresentato dalla identificabilità del Contrada nella figura di “u dottore”, viceversa non concreta in alcun modo la rappresentazione del secondo aspetto di esso. Infatti, sia l’argomentazione che il tenore della didascalia, accostata alla figura di “u dottore”, potesse alludere non al Contrada ma all’intera struttura deviata dei servizi segreti, sia la spiegazione dell’eliminazione della didascalia nel film una volta distribuito, sia in fine l’argomentazione interrogativa circa l’eventuale riferibilità ad altri personaggi, si risolvono nella mera prospettazione di possibili spiegazioni logicamente alternative a quelle prospettate dalla sentenza del giudice d’appello e, pertanto, assolutamente carenti del requisito della decisività nel secondo dei sensi indicati. Ciò è chiaramente evidenziato dal carattere interrogativo dell’argomentazione sopra indicata sub e), ma non lo è in misura minore dalle altre due.
Il motivo è, pertanto,inammissibile sulla base della sua stessa esposizione.
2.2. Con il secondo motivo, il suddetto ricorso principale denuncia nuovamente “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.)”, per avere la Corte d’Appello giudicato senza aver preso visione del film, bensì assumendo a fondamento della decisione la valutazione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado. Ciò, in contrasto con il carattere devolutivo pieno dell’appello. In tal modo la Corte avrebbe “dato per pacifico” l’accertamento del Tribunale circa il carattere offensivo per la reputazione e l’onore della persona con esso identificabile della raffigurazione del personaggio de “u dottore”, nonché circa il mancato rispetto da parte della relativa manifestazione di pensiero dei limiti della continenza formale e sostanziale. Inoltre, non visionando il film la Corte territoriale non avrebbe neppure potuto “motivare autonomamente in ordine agli argomenti difensivi” formulati nell’atto di appello: in ordine al fatto che la didascalia riportava fatti storici secondo la loro successione cronologica, onde per questo l’arresto del numero tre del Sismi risultava riportato per primo; riguardo all’assenza di un univoco e diretto collegamento fra la persona reale di cui si parlava nel primo fatto oggetto di didascalia e l’immagine del personaggio, per essere stati quattro i fatti che ne erano oggetto; rispetto al fatto che “u dottore” non veniva arrestato nel corso del film, onde non poteva identificarsi con una persona (il Contrada) che nella realtà era già stata arrestata; riguardo all’essere stato il fermo-immagine sul solo “u dottore” esclusivamente un mezzo per trasmettere al pubblico l’ansia per la presenza sulla scena italiana di poteri occulti, quali le frange deviate dei Servizi Segreti.
La sentenza, dunque, meriterebbe la cassazione perché il giudice di merito d’appello proceda ad una nuova visione del film.
2.2.1. Il motivo è infondato, in quanto basato su un intendimento dell’effetto devolutivo dell’appello palesemente errato, cioè nel senso che, una volta investito dell’impugnazione della sentenza di primo grado su un punto riguardo al quale tale decisione abbia argomentato da un determinato mezzo di prova, il giudice d’appello, pur non investito di alcuna censura sull’assunzione o sull’ammissibilità della prova, debba procedere, per fornire il suo giudizio, alla rinnovazione del mezzo di prova. L’assunto è contrario a norme di diritto positivo: l’art. 359, primo comma, c.p.c, prevede che il giudice d’appello possa disporre la rinnovazione di un mezzo di prova e, quindi, affida ad una valutazione discrezionale del medesimo giudice la decisione in proposito. D’altro canto, parte ricorrente non assume nemmeno che con l’atto di appello avesse sollecitato una rinnovazione dell’assunzione del mezzo di prova, cioè della visione del film (in anteprima) , riconducibile alla norma dell’art. 261 c.p.c. Onde, a ben vedere, la stessa deduzione della mancata rinnovazione della detta visione è priva di idoneità ad essere qualificata come motivo ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., posto che un astratto profilo di vizio mo-tivazionale si sarebbe potuto configurare – fermo quanto precisato sul modo di intendere del motivo ai sensi di tale norma – proprio in relazione all’eventuale delegazione della rinnovazione pur richiesta con l’atto di appello, sempre che un siffatto vizio non fosse da ritenere riconducibile al n. 4 dell’art. 360, questione che qui non merita approfondire.
Ne consegue che il motivo è infondato sulla base del seguente principio di diritto: allorquando il giudice d’appello, in ragione dell’affetto devolutivo dell’appello, sia stato investito dalla valutazione che il giudice di primo grado ha compiuto delle emergenze di un mezzo di prova e non sia stato in alcun modo sollecitato a disporne la rinnovazione, l’omesso esercizio da parte del giudice d’appello del potere di rinnovazione di cui al primo comma dell’art. 359 c.p.c. ad il conseguente esame dal motivo sulla base dell’analisi della motivazione del giudice di primo grado non è di per sé deducibile come motivo di ricorso par cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c..
2.3. Il terzo motivo del suddetto ricorso si duole ancora di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.), sotto il profilo che la Corte sarebbe incorsa in errore nella collocazione del film nell’ambito del diritto di cronaca e non di quello di critica, con la conseguente soggezione alla verità del fatto narrato, là dove avrebbe attribuito al medesimo il carattere di “film-documentario”. Viceversa, si sarebbe trattato solo di un “film-denuncia” (come sarebbero stati quello di Alberto Sordi “Detenuto in attesa di giudizio”, “Trafic” o “JFK”).
2.3.1. Il motivo presenta una prima ragione di inammissibilità perché deve escludersi che possa configurarsi come vizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. l’essere stata ricondotta una determinata attività rappresentativa, nella specie tramite filmografia, per il suo stesso modo di svolgimento, all’esercizio del diritto di cronaca piuttosto che a quello del diritto di critica. Invero, l’eventuale errore del giudice di merito nel ricondurre tale attività all’uno piuttosto che all’altro diritto può discendere soltanto dall’essere stata erroneamente considerata l’attività di rappresentazione mediante il mezzo cinematografico non già rappresentativa di fatti di cronaca, cioè di accadimenti reali, bensì di fatti di fantasia sia pure prospettati per il modo di essere del tessuto narrativo del film in maniera da evocare accadimenti reali, fornendo allo spettatore come messaggio appunto quello di spingerlo a rammentarli in modo da sviluppare rispetto ad essi un giudizio critico. Come tale un siffatto errore integra un vizio di sussunzione del fatto sotto la fattispecie legale del diritto di cronaca anziché del diritto di critica e non un vizio di ricostruzione del fatto. Ne consegue che si tratta di vizio di violazione di norme di diritto, nella specie quelle regolanti l’uno e l’altro diritto e non di vizio ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c..
Il motivo è, perciò, inammissibile perché erroneamente dedotto.
2.4. Il quarto motivo del ricorso in esame lamenta a quel che sembra sia ai fini della riconosciuta responsabilità solidale, sia della statuizione di rivalsa “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 c.p.c.)” e “violazione e falsa applicazione dell’art. 45 L.D.A. (art. 360 n. 3 c.p.c.)”, sotto il profilo che non vi sarebbe stata motivazione in ordine all’eccezione che il ricorrente aveva formulato ai senni dell’art. 45 della l n. 633 del 1941, sostenendo che, in quanto i diritti di utilizzazione economica competevano in base ad essa al produttore, egli solo sarebbe stato il responsabile del fatto diffamatorio (viene citata Cass. n. 2748 del 1963), come confermava anche la circostanza che il produttore aveva potuto disporre la rimozione della didascalia.
Anche questo motivo non merita accoglimento.
Premesso che, in realtà, la sua argomentazione propone soltanto un vizio ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., perché si sviluppa con deduzioni che sono volte ad evidenziare che la Corte territoriale avrebbe male applicato l’art. 45 della legge sul diritto di autore, si osserva che il precedente evocato in punto di legittimazione passiva appare invocato erroneamente, concernendo la legittimazione all’azione di inibitoria di cui all’art. 7 cc. e non quella all’azione risarcitoria, riguardo alla quale un precedente altrettanto risalente di questa Corte, meramente applicativo del “chiunque” evocato dall’art. 2043 e del precetto di cui all’art. 2055 c.c., ebbe a sottolineare che “ove un’opera cinematografica abbia arrecato ad un terzo un danno illecito, tutti i soggetti che, ai sensi dell’art. 44 legge 22 aprile 1941 n. 633 vanno considerati coautori di detta opera, sono solidamente tenuti al risarcimento del danno” (Cass. n. 1446 del 1966).
2.5. Il ricorso n. 24868 del 2003 è, pertanto, infondato e deve essere rigettato.
3. Con il primo motivo del ricorso principale n. 26105 si deduce “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.)”, sostanzialmente riproponendosi argomenti non dissimili da quelli del primo motivo dell’altro ricorso principale per sostenere che la didascalia, data la successione di fatti enunciati avrebbe avuto solo lo scopo di fare un riferimento ai misteri della recente storia italiana ed alla possibilità del coinvolgimento in essi di apparati dello Stato, quali il Sisde e criticandosi il ragionamento della Corte territoriale là dove ha rigettato la tesi difensiva della “impersonalità” della figura di “u dottore”.
Il secondo motivo deduce – in modo non dissimile dal secondo motivo dell’altro ricorso principale “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un altro punto decisivo della controversia”, per non avere la Corte d’Appello – ancorché la ricorrente avesse dedotto con l’atto di appello impugnato la decisione di primo grado sul punto della identificabilità del Contrada con il personaggio di “u dottore” – visionato il film ed avere, quindi, giudicato “senza una cognizione diretta dei fatti assumendo a base della propria decisione la valutazione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado. In tal modo la Corte di merito avrebbe disatteso il principio di diritto di cui a Cass. n. 438 del 1986.
Il terzo motivo (a sua volta di impostazione analoga al terzo motivo dell’altro ricorso) si duole di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un altro punto decisivo della controversia” per avere la Corte ritenuto il film espressione di diritto di cronaca e non di diritto di critica in quanto film documentario. Si sarebbe, invece, trattato di film-denuncia e l’erronea qualificazione da parte della Corte sarebbe dipesa dalla mancata visione del film.
3.1. Questi tre motivi debbono essere rigettati, in quanto riguardo ad essi valgono le medesime considerazioni svolte a proposito dei primi tre motivi dell’altro ricorso principale, poiché – come si è già notato – risultano illustrati allo stesso modo.
3.2. Il quarto motivo del ricorso in esame lamenta “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 21 della Costituzione, degli artt. 695 e 51 c.p. e di tutte le altre norme poste a tutela del diritto di cronaca”.
Si assume che, pur ipoteticamente condivisa la ri-conduzione del film all’esercizio del diritto di cronaca e non a quello del diritto di critica, la Corte capitolina avrebbe ritenuto erroneamente la necessità della prova della sussistenza della verità storica della effettiva implicazione della persona del Contrada nei fatti attribuitigli attraverso la figura di “u dottore” ed avrebbe così inteso ratificare anche l’esclusione da parte del primo giudice di una verità putativa. In tal modo avrebbe erroneamente applicato i principi desumibili in materia dalla giurisprudenza di questa Corte condivisa anche dal Tribunale di Roma. Tale affermazione, dopo la citazione di Cass. 23 febbraio 1998 senza numero, di Cass. n. 150 del 1999 e di Cass. n. 4397 del 2001, nonché di un’ordinanza del Tribunale di Roma, viene fatta seguire da una serie di affermazioni riportate fra virgolette, relative ai caratteri che deve avere la cronaca giudiziaria in relazione al limite della verità ed all’operare del limite della continenza e dell’interesse pubblico o sociale della notizia, nonché alla configurabilità del suddetto diritto entro quei limiti ed a tutela di quell’interesse anche con riguardo all’attività cinematografica. Viene, quindi, richiamata l’affermazione di Cass. n. 150 del 1999 in ordine alla sufficienza per la sussistenza della scriminante dell’art. 51 c.p. del fatto che l’articolo pubblicato corrisponda al contenuto di atti e provvedimenti dell’autorità giudiziaria, senza che sia richiesto al giornalista di dimostrare la verità obbiettiva o la fondatezza della decisione e dei provvedimenti adottati da detta autorità.
Sulla base di tali principi si assume che nei momenti di realizzazione e pubblicazione del film il Contrada “si trovava notoriamente in carcere proprio sulla base di un provvedimento cautelare emesso per le identiche ragioni indicate nella ricordata didascalia del film facente riferimento alla struttura dei servizi segreti”, onde, pur nella logica della identificazione del personaggio di “u dottore” con il Contrada si sarebbe dovuta applicare la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e rigettare la domanda risarcitoria “in ragione della verità putativa della notizia ricavabile dal ricordato notorio provvedimento cautelare”.
3.3. Il motivo non merita accoglimento perché in relazione ad entrambi profili sotto i quali è dedotto si connota in modo assolutamente generico, risolvendosi nell’indicazione di una serie di enunciazione di principi di diritto che regolerebbero l’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria senza però che ad essi sia fatta seguire la dimostrazione di come sarebbero stati violati dalla Corte territoriale. Infatti, a questo scopo sarebbe stato necessario individuare la corrispondenza fra i fatti narrati nel film e la vicenda giudiziaria in cui il Contrada sarebbe stato coinvolto, che è stata esclusa dalla Corte territoriale (pagina sette dalla sentenza), mentre l’esposizione del motivo si limita ad enunciare del tutto apoditticamente quanto riportato fra virgolette al punto precedente, che non solo si profila come del tutto generico, ma assume come perimetro di riferimento il contenuto della didascalia e non quello del film.
3.3. Anche il ricorso n. 26105 del 2003 è, dunque, conclusivamente rigettato.
4. Con l’unico motivo del ricorso incidentale n. 28621 del 2003 la Clemi Cinematografica deduce “violazione dell’art. 91 c.p.c. e dei principi che regolano la condanna alla refusione delle spese legali in caso di soccombenza, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c.)”, adducendo che l’appello di essa deducente era stato accolto sia là dove postulava una riduzione dell’ammontare della somma risarcitoria, sia là dove postulava la rivalsa nei confronti del F. e della B., onde doveva valere il principio di soccombenza. In ogni caso la disposta compensazione delle spese sarebbe stata immotivata e perciò censurabile.
4.1. il motivo, in entrambi i profili sotto i quali è proposto è da rigettare sulla base dei principi in proposito consolidati nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente del principio di diritto che viene in rilievo riguardo alla situazione normativa precedente la modifica dell’art. 92, secondo comma, c.p.c., di cui alla l n. 263 del 2005, cioè che “in tema di regolamento delle spese processuali, la relativa statuizione e’ sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 cod. proc. civ., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella (ricorrente nella fattispecie) della sussistenza di giusti motivi, e il giudice può compensare le spese processuali per giusti motivi senza obbligo di specificarli, atteso che l’esistenza di ragioni che giustifichino la compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante l’inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese medesime, non trovando perciò applicazione in tema di compensazione per giusti motivi il principio sancito dall’art. 111, sesto comma, Cost. (a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1 legge costituzionale n. 2 del 1999), secondo cui ogni provvedimento giurisdizionale deve essere motivato. Il potere del giudice di compensare le spese processuali per giusti motivi non e, d’altra parte, in contrasto con il principio dettato dall’art. 24, primo comma Cost., giacché il provvedimento di compensazione non costituisce ostacolo alla difesa dei propri diritti, non potendosi estendere la garanzia costituzionale dell’effettività della tutela giurisdizionale sino a comprendervi anche la condanna del soccombente” (così Cass n. 5828 del 2006; in senso conforme: n. 17457 del 2006).
Il ricorso incidentale è, pertanto, rigettato.
5. Il rigetto del ricorso principale del F. riguardo al quarto motivo che si rivolgeva contro la Clemi Cinematografica ed il rigetto del ricorso incidentale di quest’ultima che si rivolgeva contro il F., integrano motivo di compensazione delle spese del presente giudizio quanto ai relativi rapporti processuali.
Nel rapporto processuale fra la Clemi e la B., nel quale vi sarebbe la soccombenza della prima costituisce giusto motivo di compensazione la circostanza della scusabilità della proposizione del motivo di ricorso incidentale, in ragione della notoria discussione dottrinale sollevata dall’orientamento di questa Corte in base al quale esso è stato rigettato.
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione fra le parti costituite.