ALIENAZIONE GENITORIALE SEPARAZIONE BOLOGNA ALIENAZIONE GENITORIALE DISTURBI DEL MINORE NELLA SEPARAZIONE DEL GENITORE
Occorre procedere a prescrizioni. Come noto, la Suprema Corte di Cassazione – in un (al momento isolato) precedente, ha stimato inefficaci e non ammissibili le prescrizioni rivolte ai genitori. I giudici di merito, tuttavia, non hanno condiviso questa linea interpretativa (Trib. Roma, 13 novembre 2015, rel. Galterio; Trib. Milano, sez. IX civ, sentenza 15 luglio 2015, Pres. Servetti, est. Rosa Muscio) e questo Collegio aderisce a tale diversa lettura.
Infatti, non si può non evidenziare in termini generali come la libertà personale di autodeterminazione e di scelta circa la sua salute dell’individuo che è anche genitore, diritto certamente di rango costituzionale, incontra pur sempre un limite nel diritto del minore ad un percorso di sana crescita, diritto che trova anch’esso copertura sia a livello costituzionale interno sia a livello delle convenzioni comunitarie e internazionali e che è compito del Tribunale in ogni caso assicurare attraverso provvedimenti incidenti sull’esercizio e/o sulla titolarità della responsabilità genitoriale.
- Ciò nella misura in cui interventi di supporto anche di tipo terapeutico che potrebbero consentire, se seguiti, ad un o ad entrambi i genitori di superare le proprie fragilità e criticità personali – che inevitabilmente si riflettono sulla capacità genitoriale – e di conservare integra la propria responsabilità genitoriale, non vengano invece posti in essere da uno o da entrambi i genitori con un inevitabile sicuro pregiudizio per il percorso evolutivo del minore.
- In altri termini un invito giudiziale rivolto ai genitori che, per quanto rimesso alla libertà di scelta dell’adulto genitore, è pur sempre in funzione della tutela dell’interesse e dell’equilibrio psicofisico del figlio minore, può avere delle conseguenze per il genitore non responsabile, tutte le volte in cui le sue libere legittime scelte si traducano in comportamenti pregiudizievoli per il figlio, come si ricava inequivocabilmente dalle disposizioni di cui all’art. 337ter c.c e 333 c.c. Si dà atto che per il cambio di casa della MADRE, va revocata l’assegnazione della precedente abitazione ex art. 337-sexies c.c.
- Questa revoca avviene per una scelta unilaterale dell’avente diritto la quale, dunque, deve aver valutato la sostenibilità economica di questa decisione: nel resto, le condizioni patrimoniali dei genitori non sono mutate e dunque non si giustifica un cambio del regime economico, germinato da un patto dei genitori, omologato dal tribunale di Milano.
La corte di appello, utilizzando la predetta relazione della Asl che diagnosticava una sindrome da alienazione parentale dei figli ed evidenziava il danno irreparabile da essi subito per la privazione del rapporto con la madre, si è limitata a fare uso del potere, attribuito al giudice dall’art. 155 sexies, comma 1, c.c., di assumere mezzi di prova anche d’ufficio ai fini della decisione sul loro affidamento esclusivo alla madre. Essa, inoltre, ha fondato la decisione anche su altri elementi non specificatamente censurati dal ricorrente, concernenti il giudizio negativo circa le attitudini genitoriali del B. (desunto anche dalla reiterata condotta ostruzionistica posta in essere al fine di ostacolare in ogni modo gli incontri dei figli con la madre), dandone conto in una motivazione priva di vizi logici e quindi incensurabile in questa sede. La corte di appello ha comunque auspicato la futura ripresa dei rapporti tra il padre e i figli, demandando al servizio di psichiatria dell’Asl competente di Siracusa di predisporre un idoneo progetto in tal senso.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 12 febbraio – 8 marzo 2013, n. 5847
(Presidente Luccioli – Relatore Lamorgese)
Svolgimento del processo
In un giudizio di separazione personale dei coniugi M.R. e B.F., la Corte di appello di Catania, con sentenza 11 giugno 2010, in parziale accoglimento dell’appello proposto da M.R. e riformando la impugnata sentenza 20 giugno 2008 del Tribunale di Catania, ha affidato i due figli minori alla madre, con divieto provvisorio di contatti con il padre, le ha assegnato l’abitazione e ha posto a carico del B. l’obbligo di versarle un assegno mensile di € 800,00 per il mantenimento dei figli; ha confermato la prima decisione che aveva dichiarato abbandonata la domanda di addebito della separazione e condannato l’appellato alle spese del giudizio.
Dalla ricostruzione fatta dalla corte di appello, per quanto ancora interessa, risulta che il tribunale aveva disposto l’affidamento condiviso dei figli collocandoli presso il padre e disciplinato la frequentazione con la madre e, con successivo decreto 12 settembre 2008, ne aveva limitato gli incontri con i figli; aveva assegnato al marito la casa coniugale e posto a carico della moglie M. l’obbligo di versare un assegno di mantenimento per i figli.
I giudici di appello, anche sulla base di una relazione del servizio di psichiatria della Asl di Siracusa, hanno ritenuto che il comportamento negativo dei figli verso la madre fosse stato provocato dalla condotta ostruzionistica del marito che aveva ostacolato gli incontri e ingiustificatamente screditato la figura della madre nei loro confronti, in tal modo danneggiandone l’equilibrio psichico; hanno quindi ritenuto che l’affidamento condiviso fosse pregiudizievole per i minori, che hanno affidato pertanto alla madre in via esclusiva.
Avverso la suddetta sentenza B.F. propone ricorso per cassazione articolato in sette motivi.
M.R. resiste con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
Nel primo motivo è dedotta la nullità dell’atto di appello di M.R. del 15 ottobre 2008) in quanto la procura alle liti non era ad esso incorporata ma solo spillata mediante punti metallici.
Il motivo è infondato, alla luce dell’art. 83, comma 3, c.p.c. nel quale l’art. 1 della legge n. 141 del 1997 ha aggiunto, in fine, il seguente periodo: “La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all’atto cui si riferisce”. La collocazione materiale della procura, in seguito alla citata novella, fa ritenere certa la provenienza del potere di rappresentanza e dà luogo alla presunzione di riferibilità della procura stessa al giudizio cui accede.
Nel secondo motivo è dedotta la violazione dell’art. 155 sexies c.c., introdotto dalla legge n. 54 del 2006 (sulla scorta degli artt. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003), per la mancata audizione dei minori C. e R. (rispettivamente di quindici e nove anni nel 2010).
Il motivo infondato oltre che generico. Il ricorrente non ha precisato a quale fase del giudizio sia riferita la denunciata violazione, né tiene conto che l’audizione dei figli minori (che abbiano compiuto dodici anni e anche di età inferiore ove capaci di discernimento) costituisce un adempimento necessario nelle procedure relative al loro affidamento nel primo grado di giudizio, con la conseguenza che la nullità della sentenza per la violazione dell’obbligo di audizione può essere fatta valere nei limiti e secondo le regole fissate dall’art. 161 c.p.c. e, dunque, è deducibile con l’appello (v. Cass. n. 1251/2012). Il motivo inoltre è sfornito di elementi idonei ad intaccare la decisione sull’affidamento motivata in ragione dell’esistenza di una sindrome da alienazione parentale (PAS) causata da pressioni paterne che avrebbero inficiato i risultati dell’audizione.
Nel terzo motivo è dedotto il vizio di motivazione per essere la decisione sull’affidamento stata assunta sulla base di una relazione svolta ad altri fini dal Servizio di psichiatria della Asl, cioè nell’ambito di un percorso di mediazione familiare attivato dal tribunale per i minorenni, ed irritualmente acquisita d’ufficio dalla Corte di appello senza tenere conto di altri elementi istruttori in atti.
Il motivo è infondato. La corte di appello, utilizzando la predetta relazione della Asl che diagnosticava una sindrome da alienazione parentale dei figli ed evidenziava il danno irreparabile da essi subito per la privazione del rapporto con la madre, si è limitata a fare uso del potere, attribuito al giudice dall’art. 155 sexies, comma 1, c.c., di assumere mezzi di prova anche d’ufficio ai fini della decisione sul loro affidamento esclusivo alla madre. Essa, inoltre, ha fondato la decisione anche su altri elementi non specificatamente censurati dal ricorrente, concernenti il giudizio negativo circa le attitudini genitoriali del B. (desunto anche dalla reiterata condotta ostruzionistica posta in essere al fine di ostacolare in ogni modo gli incontri dei figli con la madre), dandone conto in una motivazione priva di vizi logici e quindi incensurabile in questa sede. La corte di appello ha comunque auspicato la futura ripresa dei rapporti tra il padre e i figli, demandando al servizio di psichiatria dell’Asl competente di Siracusa di predisporre un idoneo progetto in tal senso.
Nel quarto motivo si censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione per non avere valutato le attitudini genitoriali della madre, che rivelerebbero il suo intento di allontanare i figli del padre.
Il motivo è infondato. La corte di merito ha motivato ampiamente e senza incorrere in vizi logici, nemmeno specificamente denunciati, in ordine alle piene attitudini genitoriali di M.R., affermando tra l’altro che, contrariamente a quanto denunciato dal B., “non è emerso alcun disturbo psichico, né è mai stata dimostrata l’esistenza di una condotta della M. pregiudizievole per i figli”.
Nel quinto motivo è dedotta violazione di legge per avere la corte di merito deciso sull’affidamento dei figli e sul divieto per il padre di avere contatti con essi, in pendenza del procedimento attivato davanti al tribunale per i minorenni della stessa M.R. ex art. 330 c.c. per la decadenza del padre dalla potestà genitoriale.
Il motivo è infondato. La denunciata violazione non sussiste, stante la reciproca autonomia delle attribuzioni del tribunale per i minorenni, competente ad assumere i provvedimenti incidenti sulla spettanza della potestà genitoriale (artt. 330 c.c. e 38 disp. Att. c.c.), e del tribunale ordinario quale giudice della separazione competente sulle modalità di esercizio della potestà medesima (v. Cass. n. 6841/2011), anche quando l’affidamento dei figli sia richiesto in ragione dell’esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori (v. Cass. n. 20352/2011).
Nel sesto motivo sono dedotti i vizi di violazione di legge e insufficiente motivazione circa la determinazione dell’assegno di mantenimento a carico del B. e in favore dei figli, in assenza di dati obiettivi sulle capacità reddituali dell’obbligato.
Il motivo è inammissibile, con esso denunciandosi la violazione di non precisate leggi e mirandosi ad una rivalutazione, non consentita in questa sede, dei fatti posti a sostegno della quantificazione dell’assegno, che la corte di appello ha effettuato in misura corrispondente a quella già effettuata in sede presidenziale (quando i figli erano collocati presso la madre), con adeguamento al mutato costo della vita e alle accresciute esigenze dei figli.
Il settimo motivo riguarda la condanna, ritenuta iniqua, alle spese processuali del giudizio di appello.
Il motivo è infondato, alla luce del principio che solo la compensazione dev’essere sorretta da motivazione e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato (v. Cass. n. 2730/2012).
In conclusione il ricorso va rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità, in considerazione della complessità delle questioni trattate, dimostrata anche dall’esito oscillante delle varie fasi del giudizio di merito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
In caso di diffusine del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.L’alienazione genitoriale è una grave forma di abuso contro i bambini coinvolti in separazioni conflittuali, inizialmente descritta come sindrome (PAS è l’acronimo di Parental Alienation Syndrome) dallo psichiatra americano Richard A. Gardner, che la definisce come
«Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello” o “programmazione”, poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. È proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile»
TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE IX CIVILE
Decreto 9-11 marzo 2017
(Pres. Amato, est. G. Buffone)
Il termine alienazione genitoriale – se non altro per la prevalente e più accreditata dottrina scientifica e per la migliore giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale; condotte che non abbisognano dell’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologia delle condotte medesime. In caso di azione infondata posta in essere dal genitore che abbia attuato comportamenti alienanti, si impone una pronuncia di condanna ex art. 96 comma II c.p.c., registrandosi un grave abuso dello strumento processuale. In particolare, l’azione promossa dalla madre, la quale proponga ricorso contro il padre, per questioni relative ai figli, e risulti poi essere l’autrice di comportamenti alienanti, è da ritenere processualmente viziata da colpa grave e come tale meritevole di sanzione ex art. 96 comma III c.p.c.
IN FATTO
Tra le parti è già stato pronunciato, da questo Tribunale, in data … 2014, decreto giudiziale che ha regolato l’esercizio della responsabilità genitoriale (provvedimento pronunciato su ricorso congiunto degli stessi genitori), con riguardo alla figlia minore …, nata il … 2009, fuori da matrimonio. Con l’atto introduttivo del procedimento, la ricorrente segala che, dopo la pronuncia del decreto giudiziale, sarebbero insorte problematiche serie concernenti i rapporti tra il padre e la figlia minore: in particolare, il disinteresse del padre e la conseguente reazione della figlia minore.
Secondo la prospettazione attorea, il padre, comunque, si sarebbe rivolto in modo autonomo ai Servizi Sociali. Il resistente si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso e insistendo per una presa in carico dei Servizi Sociali di zona per consentire l’effettivo esercizio del diritto di visita. Su decreto interlocutorio di questo Ufficio, il Servizio Sociale ha svolto una prima indagine, ricca di elementi utili per il procedimento; soprattutto ha precisato che, nelle more del processo, era bene mantenere fermo il collocamento di (FIGLIA) presso la madre somministrando alla minore, però, al contempo, una valutazione neuropsichiatrica per un problema emerso a livello logopedico. Il Servizio ha ascoltato la bambina la quale è apparsa del tutto contraria ad avere frequentazioni con il padre ma a cagione dell’idea di essere da questi portata via dalla madre. Con decreto del … dicembre 2015, il Tribunale di Milano ha affidato la minore al Comune di .., limitando la responsabilità genitoriale delle parti e disponendo ulteriori accertamenti; il cennato decreto è stato impugnato da (MADRE) davanti alla Corte di Appello di Milano. Il giudice Superiore, con decreto del…. 2016, depositato in data …2016, ha dichiarato inammissibile il reclamo e condannato la parte reclamante alle spese del processo, liquidate in euro 1.200. Con decreto del … 2016, il Tribunale di Milano ha quindi disposto procedersi a Consulenza tecnica d’Ufficio, su sollecito della madre, delegando per l’incombente la dr.ssa … La consulente ha depositato l’elaborato peritale in data … ..
- Si dà atto che la minore è stata ascoltata, nel corso del processo, in via indiretta dai Servizi Sociali ma poi, soprattutto, dalla CTU, con delega precipua al riguardo conferita dal Collegio; la consulente ha proceduto anche a esame diretto della bambina; la tenera età ha sconsigliato l’ascolto diretto in Tribunale.
IN DIRITTO
Il Collegio ritiene la causa matura per la decisione soprattutto alla luce dei rilievi svolti dalla consulente, con esame peritale che, per gli snodi seguiti e la cura degli accertamenti svolti, merita di essere posta a fondamento della decisione. E’ opportuno muovere dai rilievi svolti sulla bambina atteso che, secondo una delle prospettazioni attoree, uno dei motivi del rifiuto paterno sarebbe un trauma infantile. Ciò è stato invero smentito dalla indagine. In particolare, all’esito dei TEST «non emergono elementi che facciano pensare ad una traumatizzazione acuta o cronica della bambina …..». I test, in particolare, «rivelano una rigidità della bambina rispetto ai sentimenti ostili verso il padre, ma essi non sembrano affondare le radici in una reazione post-traumatica. Essa si manifesta al test di Rorschach prevalentemente attraverso la ri-esperienza dell’evento stressante, nonché l’iperattivazione fisica e psicologica, che tipicamente si evince da un protocollo “ingolfato” dall’incursione di elementi ansiosi (assenti nel protocollo di FIGLIA) su di un funzionamento altrimenti efficace (che non è il suo caso, considerato il disturbo del pensiero e il marcato evitamento); gli individui prevalentemente connotati da condotte di evitamento emozionale e/o situazionale (il caso di FIGLIA), invece, forniscono di frequente protocolli evasivi, difesi e limitati (non il caso di FIGLIA, il cui protocollo, nonostante l’evitamento, è comunque ricco di risposte e non appare difeso dal punto di vista dei contenuti)».
Rilevante è anche la conclusione peritale ove si afferma che «FIGLIA non mostra vissuti traumatici riferiti al paterno, tanto che nella rappresentazione messa in mostra con l’utilizzo dei personaggi, la figura del padre può essere con tranquillità messa in scena nella quotidianità di una vita famigliare». Tuttavia, «diverso è quando deve parlare di suo padre». Al riguardo, la consulente sottolinea che «FIGLIA nel riportare questi fatti aderisce in maniera totale alla versione materna, finendo per distorcere anche il dato reale. La bambina assume come proprio il pensiero materno dicotomico, dove sul padre viene esternalizzata ogni colpa, escludendo la madre da ogni responsività. Certamente questa modalità di pensiero, nella rigidità operativa di rendere l’altro l’unico attore responsabile, è attinente al mondo dell’infanzia funzionale nella lettura infantile delle vicende emotivamente più coinvolgenti. Appare però preoccupante che questa sia l’unica lettura prospettabile alla bambina dalla madre che, nel tentativo di sottrarsi alla implicazione personale nel fallimento del progetto di coppia, rappresenti il padre come unico protagonista. A sostegno di questa prospettiva, vengono attribuite al padre modalità comportamentali solo riferibili alla categoria dell’aggressività, nel tentativo di renderlo inammissibile agli occhi di una figlia piccola». La situazione attuale di FIGLIA può ricondursi anche alla attuale situazione della madre la quale, all’esito degli accertamenti, è emerso accusare «un deficit di mentalizzazione e una distorta lettura della realtà». La consulente, al riguardo, ha anche evidenziato come questi aspetti siano emersi pure nel corso della indagine, avendo riscontrato contraddizioni, incongruenze e aporie nei racconti della MADRE. Quanto al padre della bambina questi mostra di avere sufficienti capacità introspettive e di avere una sufficiente coscienza e comprensione di se stesso ma appare fortemente stressato dall’intera vicenda e manifesta, dunque, anche a tratti umore depresso. La CTU, ad esempio, racconta che in uno dei colloqui il padre ha avuto una manifestazione di sofferenza con pianto, particolarmente forte e disperato. In definitiva, nel PADRE si osservano: «sufficienti, se pure modeste, risorse; un pensiero concreto e pratico, semplice, e tuttavia privo di scivolamenti; uno stress e un sovraccarico evidenti; una scarsa modulazione emotiva, per cui talvolta è sopraffatto dalle emozioni e non sa contenersi; un umore molto deflesso; un atteggiamento pessimista, attendista, spesso passivo e querulo; dei probabili aspetti di dipendenza irrisolti, che lo portano a un eccessivo bisogno della rassicurazione e della conferma altrui». Questi aspetti, seppur limitanti, non configurano però una condizione clinica (v. pag. 31 della CTU) e l’interesse del PADRE per la figlia appare «profondo, affettivo ed autentico».
All’esito degli accertamenti, la consulente rappresenta le conclusioni che seguono.
FIGLIA è una bambina sofferente …. (OMISSIS) il suo pensiero rigidamente negativo sul padre appare distorto e non direttamente fondato sull’autonoma esperienza che la bambina ha avuto di lui. ….. Si è riscontrata nella signora MADRE una durevole condizione di interesse clinico, caratterizzata da una dispercezione della realtà e da un rilevante deficit di mentalizzazione. Tale condizione si accompagna a: una lettura distorta della relazione con il signor PADRE e degli accadimenti vissuti con lui;
l’incapacità di trasmettere alla figlia un’immagine realistica e non distorta del padre;
l’incapacità della signora di fornire alla figlia un rispecchiamento adeguato, all’interno del quale crescere ed assumere un’identità propria e un pensiero corretto su se stessa e sugli altri. Nel signor PADRE si sono osservate alcune limitazioni e fragilità personali, che tuttavia non assumono rilevanza clinica. (OMISSIS)
Causa centrale del rifiuto della bambina e dell’immagine rigidamente negativa che FIGLIA ha del padre è la madre, che, consciamente o inconsciamente, ha inevitabilmente e costantemente trasmesso alla figlia i propri distorti convincimenti negativi, paurosi e pericolosi sulla figura paterna. Va purtroppo riferito che la situazione esaminata è complessa, preoccupante e grave. (OMISSIS)
Viene richiesto, come noto, alla CTU di individuare oltre alla causa che muove il rifiuto di FIGLIA nei confronti del padre lo strumento necessario per rimuovere tale causa.
La scrivente ritiene (anche in seguito a precedenti esperienze di consulenza tecnica con famiglie dove i figli rifiutano uno dei genitori), che: se e finchè la madre non darà il suo avallo, FIGLIA non potrà costruire una relazione buona e fiduciosa con il padre.
Va ribadito al riguardo che, se pure la signora MADRE “collabora”, nel senso che accompagna la figlia allo spazio neutro, fino all’ultimo colloquio di CTU si è mostrata convinta che FIGLIA nulla abbia da guadagnare dal rapporto col padre. Nel padre la madre vede solo negatività e non sa trovare nessun aspetto positivo o buono.
(OMISSIS)
Ritengo, nell’interesse di FIGLIA, di suggerire che: Sia mantenuto l’affido all’Ente e il costante monitoraggio del servizio affidatario. Sia mantenuto se pure provvisoriamente e sub iudice il collocamento presso la madre. . (OMISSIS). Se la situazione, nonostante gli interventi attuati sarà in stallo e non mostrerà una evoluzione positiva, ovvero:
visite libere del padre lettura realistica di FIGLIA della figura paterna progressiva presa di coscienza della madre rispetto alle proprie personali difficoltà ed ai propri distorti convincimenti sul padre di FIGLIA un ancoraggio terapeutico di FIGLIA forte e stabilizzato potrà in futuro (a mio avviso almeno un anno) consentire di prendere in considerazione un diverso collocamento di FIGLIA. Se un diverso collocamento dovesse apparire necessario, potrà a mio avviso essere ipotizzato presso il padre oppure in termini di affido etero familiare (famiglia affidataria professionale). Un collocamento dal padre richiederebbe infatti: almeno un parziale recupero e una parziale bonifica della relazione padre figlia; un diverso pensiero di FIGLIA sulla figura del padre; ma anche la reale e concreta disponibilità e possibilità del padre di farsi carico della bambina nella quotidianità. (OMISSIS)
Alla luce dei dati sin qui emersi, appare palesemente smentita e finanche frutto di una patologica distorsione della realtà, la tesi della madre per cui il rifiuto di FIGLIA del padre sarebbe l’effetto di un trauma infantile o comunque di una causa “paterna”. Al contrario, di fatto, la relazione tra figlia e papà è stata inficiata da comportamenti alienanti del genitore collocatario: come noto, il termine alienazione genitoriale – se non altro per la prevalente e più accreditata dottrina scientifica e per la migliore giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale; condotte che non abbisognano dell’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologia delle condotte medesime. Nel caso di specie, la consulente ha chiaramente accertato che la madre denigra la figura paterna e addirittura esclude che la figlia dal padre possa trarre alcun vantaggio o elemento positivo. I comportamenti della madre hanno causato uno stato di forte stress nel padre e anche una situazione di pericolosa vulnerabilità in FIGLIA, che si trova sull’orlo di una declinazione patologica della propria condizione di bambina travolta dal conflitto. Al lume di questi dati, occorre interrogarsi circa gli strumenti di intervento del Tribunale. Certamente è necessario disporre l’affidamento della minore al Comune di residenza, come già disposto in corso di causa: la madre è genitore prevalente nel collocamento che non è in grado di garantire l’accesso del padre; in presenza di comportamenti alienanti, si rende inevitabile il limite ex art. 333 c.c.; d’altro canto, un affido esclusivo al padre non è oggi predicabile perché questi accusa una fragilità emotiva su cui deve intervenire e, inoltre, la bambina al momento non ha superato la condizione di disagio in cui versa e per la quale lo rifiuta. Si affida dunque FIGLIA al Comune di attuale residenza. L’affido al Comune e non alla madre si stima necessario anche perché la madre tende ad assumere da sola ogni decisione per FIGLIA, come è emerso all’udienza del 10 dicembre 2015, allorché la MADRE ha comunicato di avere trasferito unilateralmente la bambina da … … (Comune che aveva ricevuto delega giudiziale dal tribunale) a .., in via … Al momento, il collocamento di FIGLIA va tuttavia mantenuto dalla madre: la CTU ha spiegato le ragioni per cui non è possibile, già ora, un diverso luogo di vita della minore; tuttavia, questo collocamento va inteso in senso provvisorio e come fondato sulla possibilità per la madre di recuperare le proprie problematiche anche seguendo i suggerimenti e le prescrizioni di cui al dispositivo. In difetto, l’ente affidatario dovrà, a quel punto, come extrema ratio, occuparsi di collocare in ambiente protetto la bambina, con modalità graduali: prima con un collocamento diurno e poi integrale. Quanto alla figura del padre, nel preminente interesse di FIGLIA, devono essere ampliati da subito e in modo significativo gli incontri protetti con il medesimo, prevedendo visite a cadenza settimanale e, progressivamente, uscite accompagnate, incontri a casa in presenza dell’educatore, quindi spazi liberi periodicamente monitorati. Ove possibile, devono essere organizzati, progressivamente, uscite in autonomia e spazi liberi. Ove la madre dovesse ostacolate questi incontri, il Servizio ne darà atto immediatamente alla Procura della Repubblica, ordinaria, per le competenze ex art. 331 c.p.p. e minorile, per le competenze ex artt. 330, 333 c.c. La bambina deve essere immediatamente accompagnata in un supporto terapeutico. Se la situazione, nonostante gli interventi attuati sarà in stallo e non mostrerà una evoluzione positiva, ovvero: visite libere del padre, lettura realistica di FIGLIA della figura paterna, progressiva presa di coscienza della madre rispetto alle proprie personali difficoltà ed ai propri distorti convincimenti sul padre di FIGLIA, l’Ente a questo punto dovrà prendere in considerazione un diverso collocamento della bambina, depositando apposita relazione al PM Minorile e, nel frattempo, dovrà procedere a valutare il prevalente collocamento presso il padre o in regime di affido etero familiare (famiglia affidataria professionale).
Il Collegio stima necessario precisare quanto segue: la madre, precisando le conclusioni, ha chiesto affidarsi la minore al Comune; ossia quanto il tribunale di Milano aveva già deciso con decreto interlocutorio; lo stesso decreto che proprio la MADRE ha reclamato dinanzi alla Corte di Appello con istanza dichiarata inammissibile.
Occorre procedere a prescrizioni. Come noto, la Suprema Corte di Cassazione – in un (al momento isolato) precedente, ha stimato inefficaci e non ammissibili le prescrizioni rivolte ai genitori. I giudici di merito, tuttavia, non hanno condiviso questa linea interpretativa (Trib. Roma, 13 novembre 2015, rel. Galterio; Trib. Milano, sez. IX civ, sentenza 15 luglio 2015, Pres. Servetti, est. Rosa Muscio) e questo Collegio aderisce a tale diversa lettura. Infatti, non si può non evidenziare in termini generali come la libertà personale di autodeterminazione e di scelta circa la sua salute dell’individuo che è anche genitore, diritto certamente di rango costituzionale, incontra pur sempre un limite nel diritto del minore ad un percorso di sana crescita, diritto che trova anch’esso copertura sia a livello costituzionale interno sia a livello delle convenzioni comunitarie e internazionali e che è compito del Tribunale in ogni caso assicurare attraverso provvedimenti incidenti sull’esercizio e/o sulla titolarità della responsabilità genitoriale. Ciò nella misura in cui interventi di supporto anche di tipo terapeutico che potrebbero consentire, se seguiti, ad un o ad entrambi i genitori di superare le proprie fragilità e criticità personali – che inevitabilmente si riflettono sulla capacità genitoriale – e di conservare integra la propria responsabilità genitoriale, non vengano invece posti in essere da uno o da entrambi i genitori con un inevitabile sicuro pregiudizio per il percorso evolutivo del minore. In altri termini un invito giudiziale rivolto ai genitori che, per quanto rimesso alla libertà di scelta dell’adulto genitore, è pur sempre in funzione della tutela dell’interesse e dell’equilibrio psicofisico del figlio minore, può avere delle conseguenze per il genitore non responsabile, tutte le volte in cui le sue libere legittime scelte si traducano in comportamenti pregiudizievoli per il figlio, come si ricava inequivocabilmente dalle disposizioni di cui all’art. 337ter c.c e 333 c.c. Si dà atto che per il cambio di casa della MADRE, va revocata l’assegnazione della precedente abitazione ex art. 337-sexies c.c. Questa revoca avviene per una scelta unilaterale dell’avente diritto la quale, dunque, deve aver valutato la sostenibilità economica di questa decisione: nel resto, le condizioni patrimoniali dei genitori non sono mutate e dunque non si giustifica un cambio del regime economico, germinato da un patto dei genitori, omologato dal tribunale di Milano.
Alla luce di tutte le considerazioni espresse può essere definito il ricorso come da dispositivo. Il ricorso presentato da MADRE, ex art. 709-ter c.p.c., per sentir condannare il padre alle sanzioni quivi previste è risultato essere non solo palesemente infondato ma finanche imprudente: infatti, la causa della crisi dei rapporti genitoriali è da intravedersi in comportamenti materni e non paterni. La madre che proponga ricorso contro il padre, per questioni relative ai figli, e risulti poi essere l’autrice di comportamenti alienanti, propone una azione che è da ritenere processualmente viziata da colpa grave e come tale meritevole di sanzione ex art. 96 comma III c.p.c. L’art. 96 comma III c.p.c. risponde ad una funzione sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del proprio diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori, contribuendo così ad aggravare il volume (già di per sé notoriamente eccessivo) del contenzioso e, conseguentemente, ad ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti. Depongono in questo senso, oltre ai lavori preparatori della novella, significativi elementi lessicali. La norma fa, infatti, riferimento alla condanna al «pagamento di una somma», segnando così una netta differenza terminologica rispetto al «risarcimento dei danni», oggetto della condanna di cui ai primi due commi dell’art. 96 cod. proc. civ. Ancorché inserita all’interno del predetto art. 96, la condanna di cui all’aggiunto suo terzo comma è testualmente (e sistematicamente), inoltre, collegata al contenuto della «pronuncia sulle spese di cui all’articolo 91»; e la sua adottabilità «anche d’ufficio» la sottrae all’impulso di parte e ne conferma, ulteriormente, la finalizzazione alla tutela di un interesse che trascende (o non è, comunque, esclusivamente) quello della parte stessa, e si colora di connotati innegabilmente pubblicistici. Ne consegue che l’art. 96 comma III c.p.c. istituisce una ipotesi di condanna di natura sanzionatoria e officiosa prevista dall’art. 96 comma 3 c.p.c. per l’offesa arrecata alla giurisdizione (Corte Cost., sentenza 23 giugno 2016 n. 152, Pres. Grossi, est. Morelli). Nel caso di specie, si registra invero anche un danno in capo al padre: lo stress che accusa è legato alla privazione del rapporto con FIGLIA. La madre va quindi condannata alle spese del processo e a una somma di egual misura, da quantificarsi sul valore delle spese di lite, secondo un orientamento ormai collaudato di giurisprudenza e pure seguito in Cassazione: questi importi appaiono del tutto congrui in ragione anche delle attività processuali svolte. Ai fini della liquidazione, il valore delle cause di separazione, divorzio, 316 comma IV c.c., e tutte le altre avente natura contenziosa e vertenti su questioni di diritto di famiglia, si considerano di valore non determinabile e, dunque, si stimano di valore non inferiore a euro 26.000,00 e non superiore a euro 260.000,00 (art. 5, comma VI). Nel caso in esame, il valore viene determinato applicando l’importo più basso tra quelli applicabili (26.000,00-52.000). Fase studio: 1.620,00; fase introduttiva: 1.147,00; fase istruttoria: 1.720,00;
fase decisionale: 2.767,00. Tenuto conto, poi, della natura della lite (rapporti genitoriali), la somma complessiva viene ridotta del 50%. Le spese vengono quindi liquidate in euro 3.627,00 oltre accessori. La parte attrice viene condannata per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. alla somma di euro 3.627. Valga considerare che è stata finanche la ricorrente a invocare la CTU per presunti traumi della minore legati alla infanzia con il padre: quanto essere emerso del tutto non veritiero e frutto di un esame distorto della realtà da parte della madre. Si conferma la liquidazione della CTU come da decreto del 21 dicembre 2016. Le ulteriori spese per TEST (v. istanza della CTU del 30 gennaio 2017) vengono poste a carico solidale delle parti. La consulenza, infatti, è strumento disposto nell’interesse di entrambi i genitori. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti per la definizione del procedimento; gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso
PER QUESTI MOTIVI
Letto e applicato l’art. 337-quinquies c. c.,
a modifica delle condizioni di cui al decreto del Tribunale di Milano del 20 maggio 2014,
AFFIDA
in applicazione dell’art. 333 cod. civ.,
FIGLIA .., nata in data …., residente in …, in via … al Comune di …, con limitazione della responsabilità genitoriale quanto alle decisioni di maggior interesse .. relative all’istruzione, alla salute e alla residenza del minore, con facoltà per l’Ente Affidatario di delegare, di assumere tutte le relative decisioni, sentiti i genitori, con conseguenti oneri economici a loro carico in misura pari al 50%. L’ente affidatario informerà, immediatamente e tempestivamente, l’istituto scolastico della minore e i sanitari che risultano averne cura, del fatto che i genitori – e in particolare la madre – non godono del potere decisionale sui settori oggetto di limitazione, se non per scelte di ordinaria amministrazione.
DISPONE
che l’Ente Affidatario mantenga, allo stato, la minore collocata presso la madre, anche ai fini della residenza anagrafica attivando, tuttavia, immediatamente un monitoraggio per verificare che il collocamento qui disposto risponda, in prosieguo, all’interesse preminente della bambina e provvedendo, in caso di necessità, a trasmettere segnalazione alla Procura per la Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano nell’ipotesi in cui si renda opportuna una diversa soluzione, ad esempio per un collocamento presso il padre, in regime etero-familiare o in ambiente protetto; in ogni caso,
INCARICA
l’Ente Affidatario di regolamentare la frequentazione tra il padre e la figlia. In particolare, nel preminente interesse di FIGLIA, devono essere ampliati da subito e in modo significativo gli incontri protetti con il padre, prevedendo visite a cadenza settimanale e, progressivamente, uscite accompagnate, incontri a casa in presenza dell’educatore, quindi spazi liberi periodicamente monitorati. ….. Ove la madre dovesse ostacolate questi incontri, l’Ente affidatario ne dia atto immediatamente alla Procura della Repubblica, ordinaria, per le competenze ex art. 331 c.p.p. e al PM minorile, per le competenze ex artt. 330, 333 c.c. AVVISA sin da ora l’Ente per quanto a seguire. Se la situazione, nonostante gli interventi attuati sarà in stallo e non mostrerà una evoluzione positiva, ovvero: visite libere del padre, lettura realistica di FIGLIA della figura paterna, progressiva presa di coscienza della madre rispetto alle proprie personali difficoltà ed ai propri distorti convincimenti sul padre di FIGLIA, l’Ente a questo punto prenda in considerazione un diverso collocamento della bambina, depositando apposita relazione al PM Minorile e, nel frattempo, proceda a valutare il prevalente collocamento presso il padre o in regime di affido etero familiare (famiglia affidataria professionale).
INCARICA
l’Ente Affidatario, per il tramite dei suoi Servizi Sociali e in collaborazione con i Servizi Specialistici della Asl, ciascuno per la parte di rispettiva competenza, di avviare gli interventi di supporto socio-educativo e di supporto psicologico/psichiatrico per FIGLIA per il tempo ritenuto necessario nel solo interesse della prole. La bambina deve essere immediatamente accompagnata in un supporto terapeutico.
INCARICA
l’Ente Affidatario, per il tramite dei suoi Servizi Sociali e in collaborazione con i Servizi Specialistici della Asl, ciascuno per la parte di sua competenza, di avviare interventi di supporto alla genitorialità e interventi di supporto psicologico/psichiatrico per la madre e per il padre per il tempo ritenuto necessario nel solo interesse del minore. I Servizi stenderanno apposita relazione al fine di accertare se la madre abbia o non seguito i suggerimenti dati per l’interesse di FIGLIA e nell’interesse di FIGLIA: in caso di persistente omissione della madre, configurando questa condotta un rischio per la bambina, ne sia data immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il TM di Milano, nonché al giudice tutelare per la vigilanza ex art. 337 c.c.
INCARICA
l’Ente Affidatario di svolgere un’attenta attività di monitoraggio sul nucleo familiare e sulla situazione dei minori segnalando in ogni caso immediatamente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori eventuali situazioni di grave pregiudizio per i minori.
PRESCRIVE
ad entrambi i genitori di attenersi, nell’esclusivo interesse dei FIGLIA, alle statuizioni del presente provvedimento e di prestare la massima collaborazione agli operatori dei Servizi Sociali dell’Ente Affidatario e agli operatori dei Servizi Specialistici della ASL e di attenersi alle prescrizioni ed indicazioni degli stessi; in particolare, invita .. MADRE ad attenersi alle indicazioni della consulente tecnica d’ufficio consentendo a un percorso di sostegno e cura, nei termini che saranno proposti dall’Ente affidatario, nell’esclusivo interesse di FIGLIA.
ORDINA
alla scuola frequentata da FIGLIA …, di assumere decisioni solo ed esclusivamente sulla base delle indicazioni dell’ente affidatario e di fornire ogni informazioni sulla bambina, ad entrambi i genitori, sia il padre che la madre; la Scuola, sotto responsabilità in caso di violaziome, è informata del fatto che la madre non ha facoltà di assumere, da sola, scelte per la propria figlia.
REVOCA
l’assegnazione della casa familiare sita in …, via …, alla MADRE ex art. 337-sexies c.c.
CONFERMA
nel resto, il decreto del tribunale di Milano, quanto alle questioni economiche (mantenimento, divisione delle spese extra).
CONDANNA
.. MADRE alle spese del processo, liquidate in favore di … PADRE in complessivi euro 3.627,00 oltre accessori di Legge e rimborso come da Tariffa in misura pari al 15%
CONDANNA
.. MADRE, per responsabilità processuale aggravata, alla sanzione di euro 3.627,00 liquidata ex art. 96 comma III c.p.c. in favore di .. PADRE
LIQUIDA
In favore della CTU dr.ssa …, le spese documentate pari ad euro 700,00 che pone a carico delle parti in solido, con conferma pure del decreto di liquidazione emerso in corso di causa.