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- Cosa deve fare un bravo avvocato matrimonialista?
- deve saper gestire la fase patologica del rapporto coniugale favorendo sempre l’interesse primario della tutela del minore, cercando di fare del suo meglio per evitare l’esasperazione della conflittualità tra i coniugi.
- L’avvocato matrimonialista
- Certamente non deve avere solo competenza specifica che gli deriva dalla conoscenza del diritto e della legge in materia ma deve possedere anche una solida esperienza acquisita sul campo e maturata con il tempo, attraverso l’esperienza giudiziale, la formazione e l’aggiornamento e l’approfondimento relativo alle tematiche connesse alle fasi fisiologiche e patologiche del matrimonio e del suo scioglimento.
- Il comma 36 della Legge Cirinnà considera “conviventi di fatto”due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
- Se le norme prevedono riconoscimento di una convivenza legalmente riconosciuta non è rilevante la semplice coabitazione di due soggetti estranei (ad esempio, due studenti universitari coinquilini), bensì è necessaria l’esistenza di uno stabile vincolo affettivo di coppia (senza distinzione di sesso), caratterizzato da un’effettiva assistenza reciproca e, soprattutto, dall’assenza di un rapporto di parentela/adozione e di un precedente vincolo ufficiale (matrimonio od unione civile).
Deve richiamarsi, in primo luogo, l’interpretazione resa dalla Corte di Strasburgo (cfr., ex multis, sentenza 24 giugno 2010, Prima Sezione, caso Schalk e Kopft contro Austria) in merito all’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, il quale tutela il diritto alla vita familiare, in base alla quale deve ritenersi che la nozione di famiglia cui fa riferimento tale disposizione non e’ limitata alle relazioni basate sul matrimonio, e puo’ comprendere altri legami familiari di fatto, se le parti convivono fuori dal vincolo di coniugio.
– A tale indirizzo corrisponde un orientamento inteso a valorizzare il riconoscimento, ai sensi dell’art. 2 Cost., delle formazioni sociali e delle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (cosi’ gia’ Corte cost. n. 237 del 1986), nelle quali va ricondotta ogni forma di comunita’, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico” (Corte cost., n. 138 del 2010; cfr. anche Corte cost. n. 404 del 1988, con cui il convivente more uxorio fu inserito tra i successibili nella locazione, in caso di morte del conduttore). In tale nozione si e’ ricondotta la stabile convivenza tra due persone, anche dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri (cfr. la citata Corte cost., n. 138 del 2010, Cass., 15 marzo 2012, n. 4184).
Nella stessa legislazione nazionale, ancorche’ in maniera disorganica, e ferma restando la ovvia diversita’ dei rapporti personali e patrimoniali nascenti dalla convivenza di fatto rispetto a quelli originati dal matrimonio, sono emersi segnali sempre piu’ significativi, in specifici settori, della rilevanza della famiglia di fatto.
Sotto tale profilo, e senza pretesa di completezza, vale bene richiamare la recente legge 10 dicembre 2012, n. 219, con cui e’ stata abolita ogni residua discriminazione tra figli “legittimi” e “naturali”; la legge 8 febbraio 2006, n. 54, che, introducendo il c.d. affidamento condiviso, ha esteso la relativa disciplina ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati; la 1. 19 febbraio 2004, n. 40, che all’art. 5 prevede l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita da parte delle coppie di fatto; la l. 9 gennaio 2004, n. 6, che, in relazione ai criteri, di cui all’art. 408 c.c., per la scelta dell’amministratore di sostegno, prevede anche che la stessa cada sulla persona stabilmente convivente con il beneficiario, nonche’, all’art. 5, prevedere, in relazione all’art. 417 c.c., che l’interdizione e l’inabilitazione siano promosse dalla persona stabilmente convivente; la l. 4 aprile 2001, n. 154, che ha introdotto nel codice civile gli artt. 342-bis e 342-ter, estendendo al conviventeil regime di protezione contro gli abusi familiari; la l. 28 marzo 2001, n. 149, art. 7, che, sostituendo l’art. 6, comma 4, della l. 4 maggio 1983, n. 184, ha previsto che il requisito della stabilita’ della coppia di adottanti risulti soddisfatto anche quando costoro abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni.
Anche nella giurisprudenza di questa Corte si rinvengono significative pronunce in cui la convivenza more uxorio assume il rilievo di formazione sociale dalla quale scaturiscono doveri di natura sociale e morale di ciascun convivente nei confronti dell’altro, da cui discendono, sotto vari aspetti, conseguenze di natura giuridica.
Mette conto di richiamare, nel solco di un piu’ ampio riconoscimento delle posizioni soggettive sotto il profilo risarcitorio (Cass., 22 luglio 1999, n. 500; Cass., 31 maggio 2003, n. 8827 e 8828; Cass., 11 novembre 2008, n. 26972 e ss.), l’affermazione della responsabilita’ aquiliana sia nei rapporti interni alla convivenza (Cass., 15 maggio 2005, n. 9801), sia nelle lesioni arrecate da terzi al rapporto nascente da un’unione stabile e duratura (Cass., 21 marzo 2013, n. 7128; Cass., 16 settembre 2008, n. 23725). In altre pronunce si e’ attribuita rilevanza alla convivenza intrapresa dal coniuge separato o divorziato ai fini dell’assegno di mantenimento o di quello di divorzio (Sez. 1, 10 novembre 2006, n. 24056; Sez. 1, 10 agosto 2007, n. 17643; Sez. 1, 11 agosto 2011, n. 17195; Sez. 1, 12 marzo 2012, n. 3923); di recente, ancora, muovendo dal rapporto di detenzione qualificata dell’unita abitativa, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, si e’ affermato che l’estromissione violenta o clandestina dall’unita’ abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio (Cass., 21 marzo 2013, ì I doveri morali e sociali che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convivenza more uxorio refluiscono, secondo un orientamento di questa Corte ormai consolidato, sui rapporti di natura patrimoniale, nel senso di escludere il diritto del convivente di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso o in relazione alla convivenza (Cass., 15 gennaio 1969, n. 60; Cass., 20 gennaio 1989, n.
l diritto dei figli minori nati fuori del matrimonio alla conservazione dell’habitat familiare costituisce quindi, secondo tale pronuncia, una soluzione interpretativa costituzionalmente necessitata.
Tale indicazione ha trovato puntuale e costante conferma nella giurisprudenza di legittimita’. Al riguardo secondo Cass. n. 10102 del 2004 “In tema di famiglia di fatto e nella ipotesi di cessazione della convivenza “more uxorio”, l’attribuzione giudiziale del diritto di (continuare ad) abitare nella casa familiare al convivente cui sono affidati i figli minorenni o che conviva con figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti per motivi indipendenti dalla loro volonta’ e’ da ritenersi possibile per effetto della sentenza n. 166 del 1998 della Corte Cost., che fa leva sul principio di responsabilita’ genitoriale, immanente nell’ordinamento e ricavabile dall’interpretazione sistematica degli articoli 261, 147 e 148 c.c., (che parifica doveri e diritti del genitore nei confronti dei figli legittimi e di quelli naturali riconosciuti), (comprendenti il dovere di apprestare un’idonea abitazione per la prole, secondo le proprie sostanze e capacita’), in correlazione all’articolo 30 Cost.. Tale diritto e’ attribuito dal giudice al coniuge (o al convivente), qualora ne sussistano i presupposti di legge, (…) ed e’ tale da comprimere temporaneamente, fino al raggiungimento della maggiore eta’ o dell’indipendenza economica dei figli, il diritto di proprieta’ o di godimento di cui sia titolare o contitolare l’altro genitore, in vista dell’esclusivo interesse della prole alla conservazione, per quanto possibile, dell’habitat domestico anche dopo la separazione dei genitori…”
Pertanto, alla luce dei principi sopra illustrati, puo’ affermarsi che anche nelle convivenze di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l’immobile adibito a casa familiare e’ assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell’immobile o conduttore in virtu’ di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all’immobile. Egli, peraltro in virtu’ dell’affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex articolo 2 Cost.) della relazione di convivenza e’ comunque detentore qualificato dell’immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l’altro convivente.
Alla stregua di tali norme, si puo’ quindi affermare che, in presenza di figli nati da una convivenza, al genitore collocatario dei figli minori deve essere assegnata la casa familiare (come avviene per la famiglia tradizionale basata sul matrimonio); pertanto ai fini dell’assegnazione della casa familiare i figli nati da un matrimonio o da una famiglia di fatto sono totalmente equiparati.
DIRITTO DI ABITAZIONE CONVIVENTE E FIGLI NATURALI
L’assegnazione della casa coniugale non rappresenta infatti una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare in mantenimento del coniuge più debole ma in via prioritaria un provvedimento diretto alla tutela dei figli minorenni o maggiorenni conviventi e non autosufficienti affinché questi possano continuare a vivere nell’ambiente domestico e nell’habitat in cui sono cresciuti e cioè il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si è fino a quel momento espressa e articolata la vita familiare.
Anche la Suprema Corte con sentenza n. 12309 del 06.07.2004 ha statuito che” In materia di separazione e di divorzio, l’assegnazione della casa familiare, malgrado abbia anche riflessi economici, particolarmente valorizzati dall’art. 6, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 (come sostituito dall’art. 11 della legge n. 74 del 1987), risulta finalizzata alla esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta, non potendo essere disposta, a mo’ di componente degli assegni rispettivamente previsti dall’art. 156 c.c. e dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970, allo scopo di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali sono destinati unicamente gli assegni sopra indicati, onde la concessione del beneficio in parola resta subordinata all’imprescindibile presupposto dell’affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ed economicamente non autosufficienti, laddove, nell’ipotesi in cui l’alloggio “de quo” appartenga in proprietà ad uno solo dei coniugi e manchino figli in possesso dei requisiti anzidetti, il titolo di proprietà vantato da quest’ultimo preclude ogni eventuale assegnazione dell’immobile all’altro, rendendo poi ridondante e superflua ogni e qualsivoglia pronuncia di assegnazione in favore del coniuge proprietario”.Id est risulta chiaro come il legislatore prima e la giurisprudenza dopo abbiano inteso attribuire al provvedimento di assegnazione una natura prevalentemente conservativa dell’ambiente domestico a favore dei figli e non già un’impropria finalità di forma di contribuzione economica, in quanto quest’ultima deve realizzarsi esclusivamente mediante la corresponsione di un assegno periodico o una tantum
E’ opportuno sottolineare inoltre che il diritto di abitazione e’ creato a favore dei figli (anche se ne beneficia uno dei genitori) quindi, in assenza di figli il diritto di abitazione ex articolo 337 sexies c.c., non puo’ essere creato se non su base volontaria.
Con riguardo alla situazione dell’ex convivente, Cass., Sez. I, n. 17971/2015 ha precisato che “In presenza di figli minori nati da una relazione di convivenza “more uxorio”, l’immobile adibito a casa familiare e’ assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell’immobile, o conduttore in virtu’ di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di una situazione giuridica qualificata rispetto all’immobile, la cui posizione, peraltro, e’ comunque di detentore qualificato, assimilabile al comodatario (anche quando proprietario esclusivo sia l’altro convivente), attesa la pregressa “affectio familiaris” che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex articolo 2 Cost.), della relazione di convivenza”.
Pertanto, alla luce dei recenti interventi legislativi (vedi legge Cirinna’) e giurisprudenziali, che mirano ad una sempre maggiore equiparazione tra coniugi e conviventi “more uxorio” e considerati i principi che orientano l’assegnazione della casa familiare sia in caso di separazione che di cessazione della convivenza, deve optarsi per una interpretazione estensiva del Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 4, comma 12 quinquies, cui peraltro non osta la natura della norma de qua.
Ed invero, non trattandosi di norma tributaria disciplinante un’ipotesi di agevolazione o di esenzione, ovvero di norma speciale, non vale per la stessa il divieto di interpretazione analogica nonche’ di interpretazione estensiva ai sensi dell’articolo 14 preleggi.
Deve quindi affermarsi, conclusivamente, che la costituzione con sentenza del diritto di abitazione in capo al genitore affidatario dei figli ed assegnatario della casa familiare comporta che, anche nel caso di cessazione della convivenza more uxorio, il soggetto passivo diventi il genitore assegnatario, anche se quest’ultimo non fosse comproprietario, con conseguente liberazione del genitore proprietario ma non assegnatario dell’immobile.
Separazioni consensuali
Separazioni giudiziali
Divorzi giudiziali
Divorzio Breve
riconoscimento del matrimonio celebrato all’estero,
riconoscimento della separazione e del divorzio estero in Italia,
affidamento della prole,
convenzioni matrimoniali,
disconoscimento di paternità,
mantenimento del coniuge,
mantenimento dei minori,
modifica dell’assegno divorzile,
addebito della separazione,
risarcimento dei danni a causa di infedeltà,
adozioni,
- accordi di convivenza,
- interdizione,
- inabilitazione,
- dichiarazione giudiziale di paternità,
- obbligazioni alimentari da parte dei parenti,