la separazione tra coniugi non esclude la configurabilità del delitto di
maltrattamenti,
-
Se dello stesso sussistano gli ulteriori elementi costitutivi: l’interruzione della convivenza non interrompe – si dice – l’immanenza dei doveri di rispetto e solidarietà fondati sul vincolo familiare (ad esempio, Sez. 6, Sentenza n. 7369 del 13/11/2012, rv. 254026; Sez. 6, Sentenza n. 26571 del 27/06/2008, rv. 241253; Sez. 6, Sentenza n. 49109 del 22/09/2003, rv. 227719; Sez. 6, Sentenza n. 3570 del 01/02/1999, rv. 213515).
-
Il principio richiamato è certamente corretto, ma non pertinente al caso di specie. La giurisprudenza non ha inteso affermare che qualunque condotta vessatoria tenuta ai danni di un parente (o di una persona legata da un vincolo affettivo costruito sul modello parentale) può essere qualificata a norma dell’art. 572 cod. pen. Ha riconosciuto, piuttosto, che le situazioni familiari o parafamiliari costituiscono un ambito all’interno del quale sono possibili rapporti di subordinazione psicologica o di vessazione che trovano fondamento proprio nel vincolo nascente dalla relazione familiare, la quale in certo senso costituisce l’occasione della condotta prevaricatrice e l’oggetto di un abuso compiutone dall’agente.
Ove la dinamica familiare resti inalterata, in termini di attualità del vincolo ‘abusato’, l’interruzione della convivenza non esclude la possibile prosecuzione o l’avvio di una condotta di maltrattamenti (in questi termini, sostanzialmente, Sez. 6, Sentenza n. 282 del 26/01/1998, rv. 210838).
-
Del resto, l’orientamento consolidato che, anche prima della recente riforma, ha esteso alle comunità non fondate sul matrimonio la tutela apprestata dalla norma de qua si fonda proprio sulla centralità che assume, nell’economia della fattispecie, lo stabile vincolo affettivo ed umano da proteggere contro fenomeni di sopraffazione (ad esempio Sez. 3, Sentenza n. 8953 del 03/07/1997, rv. 208444; Sez. 5, Sentenza n. 24688 del 17/03/2010, rv. 248312; Sez. 6, Sentenza n. 23830 del 07/05/2013, rv. 256607).
-
Non a caso, proprio trattando dell’ipotesi di separazione intervenuta tra i coniugi, questa Corte ha avuto cura di precisare come l’integrazione del reato resti possibile se e quando ‘l’attività persecutoria si valga proprio o comunque incida su(i) vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario, pongono la parte offesa in posizione psicologica subordinata (fattispecie nella quale il marito separato pure dinanzi a terzi percuoteva abitualmente e minacciava la moglie di ritorsioni gravi sul figlio minore)’ (Sez. 6, Sentenza n. 10023 del 07/10/1996, rv. 206399).
È dunque evidente che non ogni reato commesso con continuità nei confronti di un parente, quand’anche provochi un penoso regime di vita, può essere qualificato a norma dell’art. 572 cod. pen., così come invece è parsa ritenere la Corte territoriale, non indagando affatto sulla qualità della ‘relazione familiare’ residuata dopo il risalente scioglimento del nucleo familiare, e dopo il lungo periodo di interruzione quasi totale dei rapporti tra N. e le sue figlie.
L’integrazione del delitto contestato dovrà essere verificata in base al principio che, sul piano obiettivo, è necessaria l’attualità di una relazione familiare intesa come vincolo affettivo e produttivo di doveri di solidarietà ed assistenza e che, sul piano soggettivo, l’agente deve volere la produzione del regime di vita segnato dalla vessazione nella sua specifica qualità di patologica relazione familiare.
Il rapporto di familiarità nel quale deve inserirsi la patologia descritta dalla norma incriminatrice richiede almeno una effettiva continuità di interessi e consuetudini di vita, che nella specie, ed avuto riguardo ai residui fatti in contestazione, mancava del tutto e da molti anni.
Mancava d’altra parte, nel caso in esame, una vera connotazione di abitualità della condotta e di soggezione indotta nelle presunte vittime. La stessa sentenza riconosce che Na.Va. , da lungo tempo, non rispondeva neppure più alle chiamate ed ai messaggi del padre.
La sentenza impugnata sarebbe affetta anche da carenza di motivazione, non avendo la Corte territoriale dato risposta alle specifiche sollecitazioni dell’appellante per una riqualificazione dei fatti più recenti a norma dell’art. 612 cod. pen..
La sentenza :
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE – SENTENZA 15 luglio 2014, n.31123 – Pres. Agrò – est. Leo
[wpforms id=”21592″ title=”true” description=”true”]