TRIBUNALE FIGLI NATURALI SENTENZA TRIBUNALE BOLOGNA FIGLI NATURALI MANTENIMENTO AFFIDO CONDIVISO-ESCLUSIVO- TRIBUNALE FIGLI NATURALI SENTENZA TRIBUNALE BOLOGNA
Nell’interpretazione dell’art. 3, comma 2, L. n. 219/2012, che nella sua formulazione letterale sembra aver fatto propri entrambi i due istituti già presenti nell’ordinamento (art. 156, comma 6, c.c. e art. 8, comma 2, L. div.), deve escludersi, tuttavia, sia stata intenzione del legislatore introdurre un modello “ibrido”, in cui – come pure sostenuto inizialmente da alcuni interpreti – l’ordine del giudice avrebbe la funzione, da un lato, di rimuovere la necessità dell’attesa dei trenta giorni, e dall’altro, di risolvere la questione relativa alla doverosità della condotta del terzo, atteso che detta soluzione interpretativa sarebbe destinata a dar vita ad un insanabile contrasto con le stesse finalità della L. n. 219/2012: se, infatti, il fine della novella legislativa è quello di parificare il trattamento dei figli nati o meno da coppia coniugata, risulterebbe quanto meno inappagante apprezzare, per i figli nati da coppia il cui matrimonio sia stato dichiarato sciolto, un sistema di distrazione delle somme fondato sulla mera iniziativa dell’avente diritto e, per i figli nati fuori dal matrimonio, una forma di tutela che, invece, richiede un procedimento giurisdizionale con l’obbligato ricorso al giudice.
In definitiva, l’art. 3, comma 3, L. n. 219/2012 deve essere, dunque, visto come estensione ai figli nati da coppia non coniugata della tutela coniata dal legislatore del 1987 nella disciplina divorzile, dandosi ragionevole prevalenza al preciso richiamo alla norma di cui all’art. 8 L. div. piuttosto che al meno efficace riferimento all’odine che il giudice può essere chiamato a impartire (in questo senso, cfr. Trib. Milano, sez. IX, decreto 24.4.2013)
Al riguardo, si osserva, TRIBUNALE FIGLI NATURALI SENTENZA TRIBUNALE BOLOGNA , che la X ha erroneamente invocato in questa sede l’applicazione della disposizione normativa di cui all’art. 156, comma 6, c.c., trascurando di considerare l’innovativa disciplina introdotta (a decorrere dal 1° gennaio 2013) dalla L. n. 219/2012 e segnatamente dall’art. 3, comma 2, elettivamente deputato alla predisposizione di un sistema di garanzie a tutela del credito per il mantenimento dei figli nati, come nella specie, da coppia non coniugata.
La norma citata sancisce che “il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dall’articolo 8, secondo comma e seguenti, della legge 1º dicembre 1970, n. 898“, disposizione che, invero, nell’immediatezza si presenta obiettivamente ambigua, in quanto, da un lato, richiama l’istituto disegnato nella legge divorzile ma, dall’altro, tratteggia il sistema di tutela previsto per il procedimento di separazione coniugale.
Le differenze tra i due istituti richiamati sono sostanziali ed evidenti, considerato che in materia di separazione, ai sensi dell’art. 156, comma 6, c.c., l’iter che determina la distrazione di parte dei crediti spettanti all’obbligato fa capo a un procedimento giurisdizionale in cui la distrazione è conseguenza di un provvedimento giudiziale specifico, mentre nel rito divorzile la situazione è del tutto differente e prescinde da qualsivoglia intervento dell’autorità giudiziaria, configurandosi come procedura stragiudiziale che, sebbene attraverso una precisa scansione di passaggi propedeutici, è volta a consentire una diretta attuazione del provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria.
Nell’interpretazione dell’art. 3, comma 2, L. n. 219/2012, che nella sua formulazione letterale sembra aver fatto propri entrambi i due istituti già presenti nell’ordinamento (art. 156, comma 6, c.c. e art. 8, comma 2, L. div.), deve escludersi, tuttavia, sia stata intenzione del legislatore introdurre un modello “ibrido”, in cui – come pure sostenuto inizialmente da alcuni interpreti – l’ordine del giudice avrebbe la funzione, da un lato, di rimuovere la necessità dell’attesa dei trenta giorni, e dall’altro, di risolvere la questione relativa alla doverosità della condotta del terzo, atteso che detta soluzione interpretativa sarebbe destinata a dar vita ad un insanabile contrasto con le stesse finalità della L. n. 219/2012: se, infatti, il fine della novella legislativa è quello di parificare il trattamento dei figli nati o meno da coppia coniugata, risulterebbe quanto meno inappagante apprezzare, per i figli nati da coppia il cui matrimonio sia stato dichiarato sciolto, un sistema di distrazione delle somme fondato sulla mera iniziativa dell’avente diritto e, per i figli nati fuori dal matrimonio, una forma di tutela che, invece, richiede un procedimento giurisdizionale con l’obbligato ricorso al giudice.
È, dunque, ragionevole e condivisibile ritenere, in conformità con la più recente giurisprudenza di merito, che il legislatore del 2012, che nel suo complesso si è ispirato proprio al regime della L. n. 898/1970, abbia voluto estendere alle fattispecie dei c.d. figli non matrimoniali la disciplina già presente nella legge sul divorzio, così come novellata dalla legge n. 74 del 1987, dettata dal dichiarato intento di favorire una pronta ed efficace tutela del credito alimentare senza necessità di intervento del giudice, ovvero con procedura per così dire semplificata e demandata, benché con rigida regolamentazione della scansione delle attività preparatorie, all’iniziativa del creditore.
In definitiva, l’art. 3, comma 3, L. n. 219/2012 deve essere, dunque, visto come estensione ai figli nati da coppia non coniugata della tutela coniata dal legislatore del 1987 nella disciplina divorzile, dandosi ragionevole prevalenza al preciso richiamo alla norma di cui all’art. 8 L. div. piuttosto che al meno efficace riferimento all’odine che il giudice può essere chiamato a impartire (in questo senso, cfr. Trib. Milano, sez. IX, decreto 24.4.2013).
Dalle considerazioni che precedono deriva, pertanto, l’inammissibilità della domanda proposta dalla X per ottenere in questa sede il provvedimento di distrazione delle somme dovute dall’odierno convenuto a titolo di mantenimento della figlia ***, non occorrendo a tal fine procedere all’instaurazione di alcun procedimento giudiziale.
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA
PRIMA SEZIONE CIVILE
N.R.G. 1940/2018
Il Tribunale Ordinario di Bologna, in composizione collegiale, in persona dei magistrati
dott.ssa Matilde Betti Presidente
dott.ssa Sonia Porreca Relatore
dott. Bruno Perla Componente
nella causa iscritta al n.r.g. 1940/2018
promossa da
X (c.f. ***), rappresentata e difesa dall’Avvocato BERTUCCI BRUNO del Foro di Bologna
ricorrente
contro
Y (c.f. ***) ___
resistente
con l’intervento del Pubblico Ministero in sede
riunito nella camera di consiglio del 12 giugno 2018
ha pronunciato il seguente
DECRETO
Con ricorso depositato il 8.2.2018 X dava atto di aver avuto una relazione sentimentale con Y dalla quale era nata la figlia ***, riconosciuta da entrambi i genitori; la ricorrente proseguiva narrando che con decreto di questo Tribunale reso in data 23.3.2015 era stato stabilito, su richiesta concorde dei genitori, l’affido condiviso della minore, con collocamento presso la madre e determinazione in € 350,00 mensili del contributo paterno al mantenimento ordinario della bambina, oltre al 50% delle spese straordinarie, provvedimento poi modificato con successivo decreto dello stesso Tribunale in data 26.7.2016 per aspetti correlati alla regolamentazione delle visite paterne oltre che per la posticipazione (al 16 del mese) del termine di scadenza previsto per il pagamento del contributo ordinario paterno.
Ciò posto, la ricorrente lamentava un totale disinteresse del Y nei confronti della figlia minore, oggi di 8 anni, disinteresse manifestato attraverso il sostanziale azzeramento dei contatti con la figlia e la completa omissione di qualsivoglia apporto economico per il mantenimento della bambina.
La X chiedeva, quindi, al Tribunale adìto una modifica delle statuizioni vigenti in base ai richiamati decreti, con previsione dell’affido esclusivo della figlia minore a sè, svolgendo altresì domanda di condanna del terzo datore di lavoro del convenuto (individuato nell’Hotel Miravalle con sede in *** (PI), *** n. 3) al pagamento di quanto periodicamente dovuto per il mantenimento della bambina.
Nessuno si costituiva in giudizio per il Y, pur ritualmente e tempestivamente notiziato del procedimento con notifica ricevuta a mani proprie presso la sede di lavoro.
Del procedimento veniva ritualmente notiziato anche il Pubblico Ministero, che con atto in data 21.2.2018 dichiarava di intervenire riservando le conclusioni.
All’udienza del 5.6.2018 la X, personalmente presente, veniva sentita dal Giudice Istruttore delegato dal Collegio e confermava a verbale le gravi inadempienze paterne nei confronti della figlia sotto tutti i profili, educativi ed economici, rimarcando, in particolare, che il debito maturato dal Y per il mantenimento della minore aveva raggiunto un importo pari a circa € 10.000,00. Il difensore della ricorrente precisava, quindi, le conclusioni come in ricorso e la causa era rimessa al Collegio per la decisione.
La domanda di affido esclusivo di *** alla madre merita accoglimento.
Nel caso di specie, le allegazioni della ricorrente in merito alle gravi carenze genitoriali paterne, che sono state oggetto anche di una denuncia-querela sporta dalla X nel settembre 2016 (cfr. doc. n. 4 fasc. Avv. Bertucci) e alle quali il Y scegliendo di non costituirsi nel presente procedimento non ha inteso minimamente replicare, inducono a ritenere che l’odierno convenuto sia davvero indifferente alle esigenze, morali e materiali, della figlia minore, della cui crescita ed educazione pare completamente disinteressarsi.
In questo caso, proprio il contegno processuale tenuto dal convenuto assume una valenza oltremodo significativa: se è vero, infatti, che la contumacia costituisce manifestazione del diritto di difesa costituzionalmente tutelato e, come tale, non può pregiudicare la parte che resta assente dal processo, è altresì innegabile che l’assenza ingiustificata di un genitore nel processo che ha ad oggetto anche gli interessi dei propri figli è indice di una disaffezione ed indifferenza che il giudice non può omettere di valutare nel giudizio sulla idoneità di quello stesso genitore a mantenere e garantire una condotta responsabile, di accudimento ed attenzione, verso la prole.
Conseguentemente, deve ritenersi che l’affidamento che meglio corrisponde all’interesse della minore è quello esclusivo alla madre, la quale già assiste la minore quotidianamente, prendendosi cura di tutti i suoi bisogni e necessità.
La ricorrente, che non ha chiesto alcuna modifica della misura del contributo economico posto a carico del Y con il precedente decreto di questo Tribunale reso in data 23.3.2015 (confermato con il successivo decreto del 26.7.2016), ha allegato in atti che il Y da anni ha omesso di versare il dovuto e, sulla base di tale presupposto, ha svolto domanda ex art. 156, comma 6, c.c. per ottenere direttamente dal datore di lavoro del convenuto, individuato nell’Hotel *** con sede in *** (PI) *** n. 3, la corresponsione delle somme spettanti per il mantenimento della figlia minore.
Al riguardo, si osserva, tuttavia, che la X ha erroneamente invocato in questa sede l’applicazione della disposizione normativa di cui all’art. 156, comma 6, c.c., trascurando di considerare l’innovativa disciplina introdotta (a decorrere dal 1° gennaio 2013) dalla L. n. 219/2012 e segnatamente dall’art. 3, comma 2, elettivamente deputato alla predisposizione di un sistema di garanzie a tutela del credito per il mantenimento dei figli nati, come nella specie, da coppia non coniugata.
La norma citata sancisce che “il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dall’articolo 8, secondo comma e seguenti, della legge 1º dicembre 1970, n. 898“, disposizione che, invero, nell’immediatezza si presenta obiettivamente ambigua, in quanto, da un lato, richiama l’istituto disegnato nella legge divorzile ma, dall’altro, tratteggia il sistema di tutela previsto per il procedimento di separazione coniugale.
Le differenze tra i due istituti richiamati sono sostanziali ed evidenti, considerato che in materia di separazione, ai sensi dell’art. 156, comma 6, c.c., l’iter che determina la distrazione di parte dei crediti spettanti all’obbligato fa capo a un procedimento giurisdizionale in cui la distrazione è conseguenza di un provvedimento giudiziale specifico, mentre nel rito divorzile la situazione è del tutto differente e prescinde da qualsivoglia intervento dell’autorità giudiziaria, configurandosi come procedura stragiudiziale che, sebbene attraverso una precisa scansione di passaggi propedeutici, è volta a consentire una diretta attuazione del provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria.
Nell’interpretazione dell’art. 3, comma 2, L. n. 219/2012, che nella sua formulazione letterale sembra aver fatto propri entrambi i due istituti già presenti nell’ordinamento (art. 156, comma 6, c.c. e art. 8, comma 2, L. div.), deve escludersi, tuttavia, sia stata intenzione del legislatore introdurre un modello “ibrido”, in cui – come pure sostenuto inizialmente da alcuni interpreti – l’ordine del giudice avrebbe la funzione, da un lato, di rimuovere la necessità dell’attesa dei trenta giorni, e dall’altro, di risolvere la questione relativa alla doverosità della condotta del terzo, atteso che detta soluzione interpretativa sarebbe destinata a dar vita ad un insanabile contrasto con le stesse finalità della L. n. 219/2012: se, infatti, il fine della novella legislativa è quello di parificare il trattamento dei figli nati o meno da coppia coniugata, risulterebbe quanto meno inappagante apprezzare, per i figli nati da coppia il cui matrimonio sia stato dichiarato sciolto, un sistema di distrazione delle somme fondato sulla mera iniziativa dell’avente diritto e, per i figli nati fuori dal matrimonio, una forma di tutela che, invece, richiede un procedimento giurisdizionale con l’obbligato ricorso al giudice.
È, dunque, ragionevole e condivisibile ritenere, in conformità con la più recente giurisprudenza di merito, che il legislatore del 2012, che nel suo complesso si è ispirato proprio al regime della L. n. 898/1970, abbia voluto estendere alle fattispecie dei c.d. figli non matrimoniali la disciplina già presente nella legge sul divorzio, così come novellata dalla legge n. 74 del 1987, dettata dal dichiarato intento di favorire una pronta ed efficace tutela del credito alimentare senza necessità di intervento del giudice, ovvero con procedura per così dire semplificata e demandata, benché con rigida regolamentazione della scansione delle attività preparatorie, all’iniziativa del creditore.
In definitiva, l’art. 3, comma 3, L. n. 219/2012 deve essere, dunque, visto come estensione ai figli nati da coppia non coniugata della tutela coniata dal legislatore del 1987 nella disciplina divorzile, dandosi ragionevole prevalenza al preciso richiamo alla norma di cui all’art. 8 L. div. piuttosto che al meno efficace riferimento all’odine che il giudice può essere chiamato a impartire (in questo senso, cfr. Trib. Milano, sez. IX, decreto 24.4.2013).
Dalle considerazioni che precedono deriva, pertanto, l’inammissibilità della domanda proposta dalla X per ottenere in questa sede il provvedimento di distrazione delle somme dovute dall’odierno convenuto a titolo di mantenimento della figlia ***, non occorrendo a tal fine procedere all’instaurazione di alcun procedimento giudiziale.
Le spese di lite sono regolate dal principio generale della soccombenza e sono quindi poste a carico di Y . La relativa liquidazione è fatta in dispositivo sulla base del valore indeterminato della causa con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014 attualmente in vigore, tenuto conto della natura e del pregio dell’attività difensiva effettivamente svolta.
P.Q.M.
Il Tribunale, come sopra composto, in parziale modifica ed integrazione dei propri precedenti decreti del 23.3.2015 e del 26.7.2016, così dispone:
-
affida la minore *** in via esclusiva alla madre, X ;
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dichiara inammissibile la domanda della ricorrente volta ad ottenere un provvedimento di distrazione delle somme dovute dall’odierno convenuto a titolo di mantenimento della figlia *** per le ragioni di cui in motivazione;
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condanna Y a rifondere a X le spese del presente procedimento, liquidate in complessive € 2.200,00 per compensi, oltre spese forfetarie al 15%, tributi e contributi come per legge.