SOLUZIONE MILANO VICENZA PAVIA BERGAMO MONZA della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale :non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento elementi costitutivi del reato (Sez. U., 25/01/1958, Mezzo; Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli; Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, P.M. in proc. Loy, nonchè, ex plurimis, Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014,
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale del tutto consolidato, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento (Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv. 261942; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli, Rv. 262741; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv. 261683; Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260690; Sez. 5, n. 11793/14 del 05/12/2013, Marafioti, Rv. 260199; Sez. 5, n. 232 del 09/10/2012, Sistro, Rv. 254061) e, d’altro canto, il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 3229/13 del 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, Bergamaschi, Rv. 260407; Sez. 5, n. 44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv. 251214). bancarotta fraudolenta patrimoniale
Le pronunce appena richiamate hanno ribadito il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale, in modo del tutto isolato, si era discostata Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493, affermando che, nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento, in qualità di evento del reato, deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo. Come questa Corte ha avuto modo più volte di osservare, molteplici sono gli argomenti che confermano l’orientamento consolidato, mettendo in luce i vari profili di infondatezza della ricostruzione offerta dalla sentenza Corvetta, argomenti che, in questa sede, è sufficiente ripercorrere in parte e in estrema sintesi (tanto più che, come si vedrà, l’impostazione della sentenza Corvetta ha trovato, di recente, nuova smentita in Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli): il dato normativo, per il quale la rilevanza del rapporto causale tra condotta e dissesto è previsto per le sole fattispecie di bancarotta impropria L. Fall. , ex art. 223, comma 2; il carattere di mero paralogismo dell’affermazione che il fallimento è l’evento del reato; la del tutto problematica ipotizzabilità di un rapporto causale tra dissesto e fatti di bancarotta documentale (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi; Sez. 5, n. 32031 del 07/05/2014, Daccò; Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi).
4.2. Ribadito, dunque, il consolidato assetto del rapporto tra fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e sentenza dichiarativa di fallimento delineato dalla giurisprudenza di legittimità, esso, nei termini di seguito meglio precisati, non determina, nè sotto il profilo oggettivo del reato, nè sotto quello soggettivo, alcun vulnus ai principi costituzionali dell’illecito penale.
Confermando indirizzo che disattende la ricostruzione di detto rapporto accolta dalla sentenza Corvetta, le Sezioni unite di questa Corte hanno di recente ribadito che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, sicchè, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804). La rilevanza sub specie di bancarotta fraudolenta patrimoniale del fatto di distrazione indipendentemente dalla distanza temporale che lo separa dalla sentenza dichiarativa di fallimento non comporta, peraltro, nè l’indifferenza tout court di tale dato temporale, nè la ricostruzione della fattispecie in esame in termini, sostanzialmente, di reato di pericolo presunto.
Per un verso, infatti, “la disciplina relativa alla bancarotta fraudolenta patrimoniale è in grado, nella sua concreta applicazione, di selezionare i comportamenti in ragione del tempo che li separa dalla pronuncia giudiziale, dovendo il giudice pur sempre dar conto dell’effettiva offesa alla massa dei creditori (oggetto della tutela penale), quale portato del comportamento illecito (anche mediato e consequenziale, derivato dalla perdita di ricchezza e non compensato medio tempore da alcun riequilibrio economico)” (così, in motivazione, Sez. 5, n. 523/07 del 22/11/2006, Cito, Rv. 235694, in una fattispecie in cui “pur cronologicamente lontana dalla sentenza dichiarativa di fallimento, la sottrazione di ricchezza si ripercosse nel tempo direttamente sull’impoverimento dell’asse patrimoniale, con diretto danno per la massa creditoria”).
Per altro verso, è la concreta messa in pericolo della “conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa, costituente la garanzia per i creditori della medesima” (Corte Cost., ord. n. 268 del 1989) che funge da parametro dell’applicazione della norma incriminatrice; invero, “l’offesa provocata dal reato non può ridursi al mero impoverimento dell’asse patrimoniale dell’impresa, ma si restringe alla diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori” (Sez. 5, n. 16388 del 23/03/2011, Barbato, Rv. 250108, in motivazione). Un’offesa che, nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è configurata secondo il paradigma del pericolo concreto: invero, la natura di reato di pericolo concreto “comporta che ogni condotta idonea concretamente – a pregiudicare la garanzia dei creditori rientra nel fuoco della norma” (Sez. 5, n. 18210 del 03/03/2015, Borella; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 13590 del 24/02/2015, Nardelli). Infatti, come messo in luce, all’esito di un’approfondita disamina della giurisprudenza di questa Corte e sulla base di coordinate interpretative condivise dal Collegio, da Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, “l’offensività della condotta è limitata ai fatti che creano un pericolo concreto”, ossia allorquando possa affermarsi che “la diminuzione della consistenza patrimoniale comporta uno squilibrio tra attività e passività”, risultando, pertanto, l’atto depauperativo idoneo a “creare un vulnus all’integrità della garanzia dei creditori in caso di apertura della procedura concorsuale“. Nella medesima linea interpretativa, si è affermato che la bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto (Sez. 5, n. 38325 del 03/10/2013, Ferro, Rv. 260378, in motivazione; conf. Sez. 5, n. 33181 del 13/03/2014, Gatti Kraus; Sez. 5, n. 33527 del 19/02/2015, Giacomini; Sez. 5, n. 19548 del 09/01/2015, Merodi), rispetto al quale l’esito concorsuale va inteso come “come prospettiva nella quale deve essere valutata l’effettiva offensività della condotta” (Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi, in motivazione): prospettiva, questa, che, per non svilire la capacità selettiva della configurazione della fattispecie come reato di pericolo concreto, non può prescindere dalla valutazione dell’attitudine del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce della specifica, complessiva condizione in cui versa l’impresa.
Espressione del riconoscimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale della natura di reato di pericolo concreto è, del resto, il costante indirizzo di questa Corte in tema di bancarotta “riparata”, che si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno (Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Lelli, Rv. 261347), sicchè l’attività di segno contrario che annulli la sottrazione deve reintegrare il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, evitando che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza (Sez. 5, n. 50289 del 07/07/2015, P.M. in proc. Mollica, Rv. 265903).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 23 giugno – 1 agosto 2017, n. 38396
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso presentato da:
S.S., nata a (OMISSIS);
F.A., nato a (OMISSIS);
avverso fa sentenza della Corte 1i appello di Bari del 08/10/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita nella pubblica udienza del 23/06/2017 la relazione svolta dal Cons. Angelo Caputo;
udito altresì nella medesima udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione dott. G. Di Leo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Svolgimento del processo
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Con sentenza deliberata in data 08/10/2015, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del 30/05/2012 con la quale il Tribunale di Trani aveva dichiarato S.S. e F.A. responsabili – la prima quale amministratore, il secondo quale amministratore di fatto di (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il 21/12/2006 – dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per avere distratto alcuni beni della società (un software, due PC, un fax, due stampanti, un modem, un motocompressore, una bilancia elettronica e dei condizionatori), e di bancarotta fraudolenta documentale, per avere tenuto – in particolare, dopo il 31/08/2006 – le scritture contabili in modo da impedire la ricostruzione degli affari e del patrimonio aziendale (e, in particolare, dei movimenti in denaro liquido inerenti alla società), e, con l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, li aveva condannati alla pena di giustizia.
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Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione S.S., attraverso il difensore avv. G. De Pascalis, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Il primo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione ai reati contestati.
Con riferimento all’elemento materiale della bancarotta fraudolenta per distrazione, la consulenza della difesa aveva evidenziato l’assoluta marginalità delle anomalie contestate e che il valore contabile dei beni presuntivamente distratti era pari all’1,63% dell’attivo di bilancio al 31/12/2005, mentre lo stesso consulente del pubblico ministero ha riferito che i beni non erano più utilizzati nel ciclo produttivo per obsolescenza e, quindi, fisicamente accantonati o distrutti, laddove la motivazione della sentenza impugnata fa discendere la prova della distrazione da una presunzione. In ordine all’elemento psicologico, è necessaria la prova del dolo specifico, ossia della coscienza e volontà di utilizzare il patrimonio sociale per uno scopo diverso rispetto alle finalità di impresa e di causare, in tal modo, un pregiudizio per i creditori inteso come riduzione della garanzia patrimoniale rappresentata dal patrimonio sociale.
Con riferimento alla bancarotta documentale, sia il consulente della difesa, sia quello del P.M. hanno ravvisato la regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili fino al 31/08/2006, mancando solo l’aggiornamento dal 01/09/2006 al 21/12/2006, data della sentenza di fallimento, e non essendo risultata l’impossibilità di ricostruire comunque il patrimonio e il movimento degli affari.
mentre la sentenza impugnata non ha in alcun modo motivato circa l’effettivo pregiudizio subito dai creditori.
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in relazione alla mancata riqualificazione dell’imputazione di bancarotta patrimoniale nel reato di bancarotta semplice per fatti colposi di aggravamento del dissesto ( L. Fall., art. 217, comma 1, n. 4), nonchè dell’imputazione di bancarotta documentale nel reato di bancarotta semplice per omessa tenuta ovvero per tenuta irregolare dei libri e delle scritture contabili.
- Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione F.A., attraverso il difensore avv. G. De Pascalis, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Mentre il secondo e il terzo motivo articolano censure dal contenuto argomentativo analogo a quello dei due motivi del ricorso proposto nell’interesse di S.S., il primo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’attribuzione al ricorrente della qualifica di amministratore di fatto della fallita. Al riguardo, illogicamente la sentenza impugnata richiama il rapporto personale tra F. e S. e la qualità di socio accomandatario di (OMISSIS) s.r.l., in rapporti commerciali con la fallita, rivestita dal primo, laddove le dichiarazioni dei dipendenti riportate nella relazione L. Fall. , ex art. 33, non hanno formato oggetto di contraddittorio, con conseguente indebolimento della loro portata probatoria. Il conferimento della procura ad operare sul conto deve ritenersi sintomatico della mancata ingerenza della gestione generale della società, così come i riferimenti al ricorrente nella documentazione presentata da alcuni fornitori e nell’accordo commerciale allegato al passivo.
Motivi della decisione
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I ricorsi devono essere accolti limitatamente all’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
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Muovendo, per una più agevole disamina delle censure proposte dai ricorrenti, da quelle articolate con il primo motivo del ricorso nell’interesse di F.A., esse sono manifestamente infondate. La sentenza impugnata e quella di primo grado, che si integra con quella conforme di appello (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 – dep. 05/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145), hanno compiutamente delineato i plurimi elementi in base ai quali è stata riconosciuta a F. la qualifica di amministratore di fatto della fallita. Lungi dal far leva sul solo legame personale tra lo stesso F. e S.S., amministratore di diritto della fallita, i giudici di merito hanno valorizzato, in primo luogo, le dichiarazioni di due dipendenti della società, V.R., addetta alla contabilità, e P.G., responsabile delle vendite, i quali hanno concordemente riferito che F. gestiva sotto il profilo amministrativo e commerciale (OMISSIS) s.r.l.: sul punto, il ricorrente lamenta il difetto di contraddittorio e, di conseguenza, la ridotta valenza probatoria delle dichiarazioni in quanto acquisite attraverso la relazione ex art. 33 l. fall.nella quale erano confluite; la doglianza, tuttavia, è manifestamente infondata, posto che, come risulta dalla sentenza di primo grado con rilievo non contestato dal ricorrente, la relazione del curatore è stata acquisita su accordo della parti. A ciò si aggiunga, che le sentenze di merito hanno valorizzato ulteriori dati probatori, quali la procura conferita a favore di F. da S. ad operare su uno dei conti della fallita, elemento, questo, al quale è stata riconosciuta, nell’ambito del più ampio compendio probatorio (che valorizzava, ad esempio, anche il “collegamento” con un’altra società gestita dal ricorrente), valenza dimostrativa del ruolo gestorio svolto in seno a (OMISSIS) s.r.l., con motivazione in linea con il dato probatorio stesso e immune da cadute di conseguenzialità logica, il che rende ragione dell’inammissibilità della censura articolata al riguardo dal ricorso, volta a sollecitare a questa Corte un’inammissibile rivisitazione di merito del quadro probatorio.
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Le censure in ordine all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale articolare con il primo e con il secondo motivo del ricorso nell’interesse di S. e con il secondo e con il terzo motivo del ricorso nell’interesse di F. non meritano accoglimento.
La motivazione della sentenza impugnata richiama plurime incongruenze e carenze nelle scritture e nei libri contabili, quali, in sintesi, l’assenza dei mastrini contabili relativi all’esercizio del 2004, la completa mancanza dell’inventario per l’ultimo esercizio, una serie di incongruenze nelle iscrizioni relative a immobilizzazioni di crediti, fondi imposte e debiti verso banche, l’irregolare iscrizione di crediti verso clienti per significativi importi (diversi nella proposta di concordato e nel bilancio al 31/08/2003), le discrasie dei conti di mastro: la constatata tenuta di registri e scritture in modo del tutto inidoneo alla ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita rende ragione, nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, della sussistenza della fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale (e, segnatamente, del relativo elemento psicologico), il che esclude l’invocata riqualificazione del fatto in termini di bancarotta semplice.
A fronte della motivazione della sentenza impugnata, i ricorrenti ripropongono la tesi della limitazione temporale delle irregolarità contabili e del mancato accertamento della possibilità di ricostruire comunque il patrimonio e il movimento degli affari, ma sotto entrambi i profili, le censure risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849). Rilievo, questo, valido anche con riguardo all’elemento soggettivo del reato (e alla mancata riqualificazione del fatto quale bancarotta semplice), avendo congruamente la Corte di merito dato conto della ravvisabilità del dolo generico, ossia della consapevolezza, in capo agli imputati, dell’impossibilità di ricostruire le vicende del patrimonio della fallita per le rilevate incongruenze e carenze nelle scritture e nei libri contabili.
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Le censure relative al capo concernente l’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale e articolate con il primo motivo del ricorso nell’interesse di S. e con il secondo motivo del ricorso nell’interesse di F. devono, invece, essere accolte, nei termini di seguito indicati (restando assorbite le ulteriori doglianze relative alla configurabilità della bancarotta semplice). Il loro esame deve muovere dalla ricognizione degli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte in ordine alla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale sotto il profilo oggettivo e sotto quello del relativo elemento psicologico.
4.1 Secondo l’indirizzo giurisprudenziale del tutto consolidato, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento (Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv. 261942; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli, Rv. 262741; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv. 261683; Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260690; Sez. 5, n. 11793/14 del 05/12/2013, Marafioti, Rv. 260199; Sez. 5, n. 232 del 09/10/2012, Sistro, Rv. 254061) e, d’altro canto, il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 3229/13 del 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, Bergamaschi, Rv. 260407; Sez. 5, n. 44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv. 251214).
Le pronunce appena richiamate hanno ribadito il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale, in modo del tutto isolato, si era discostata Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493, affermando che, nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento, in qualità di evento del reato, deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo. Come questa Corte ha avuto modo più volte di osservare, molteplici sono gli argomenti che confermano l’orientamento consolidato, mettendo in luce i vari profili di infondatezza della ricostruzione offerta dalla sentenza Corvetta, argomenti che, in questa sede, è sufficiente ripercorrere in parte e in estrema sintesi (tanto più che, come si vedrà, l’impostazione della sentenza Corvetta ha trovato, di recente, nuova smentita in Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli): il dato normativo, per il quale la rilevanza del rapporto causale tra condotta e dissesto è previsto per le sole fattispecie di bancarotta impropria L. Fall. , ex art. 223, comma 2; il carattere di mero paralogismo dell’affermazione che il fallimento è l’evento del reato; la del tutto problematica ipotizzabilità di un rapporto causale tra dissesto e fatti di bancarotta documentale (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi; Sez. 5, n. 32031 del 07/05/2014, Daccò; Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi).
4.2. Ribadito, dunque, il consolidato assetto del rapporto tra fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e sentenza dichiarativa di fallimento delineato dalla giurisprudenza di legittimità, esso, nei termini di seguito meglio precisati, non determina, nè sotto il profilo oggettivo del reato, nè sotto quello soggettivo, alcun vulnus ai principi costituzionali dell’illecito penale.
Confermando indirizzo che disattende la ricostruzione di detto rapporto accolta dalla sentenza Corvetta, le Sezioni unite di questa Corte hanno di recente ribadito che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, sicchè, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804). La rilevanza sub specie di bancarotta fraudolenta patrimoniale del fatto di distrazione indipendentemente dalla distanza temporale che lo separa dalla sentenza dichiarativa di fallimento non comporta, peraltro, nè l’indifferenza tout court di tale dato temporale, nè la ricostruzione della fattispecie in esame in termini, sostanzialmente, di reato di pericolo presunto.
Per un verso, infatti, “la disciplina relativa alla bancarotta fraudolenta patrimoniale è in grado, nella sua concreta applicazione, di selezionare i comportamenti in ragione del tempo che li separa dalla pronuncia giudiziale, dovendo il giudice pur sempre dar conto dell’effettiva offesa alla massa dei creditori (oggetto della tutela penale), quale portato del comportamento illecito (anche mediato e consequenziale, derivato dalla perdita di ricchezza e non compensato medio tempore da alcun riequilibrio economico)” (così, in motivazione, Sez. 5, n. 523/07 del 22/11/2006, Cito, Rv. 235694, in una fattispecie in cui “pur cronologicamente lontana dalla sentenza dichiarativa di fallimento, la sottrazione di ricchezza si ripercosse nel tempo direttamente sull’impoverimento dell’asse patrimoniale, con diretto danno per la massa creditoria”).
Per altro verso, è la concreta messa in pericolo della “conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa, costituente la garanzia per i creditori della medesima” (Corte Cost., ord. n. 268 del 1989) che funge da parametro dell’applicazione della norma incriminatrice; invero, “l’offesa provocata dal reato non può ridursi al mero impoverimento dell’asse patrimoniale dell’impresa, ma si restringe alla diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori” (Sez. 5, n. 16388 del 23/03/2011, Barbato, Rv. 250108, in motivazione). Un’offesa che, nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è configurata secondo il paradigma del pericolo concreto: invero, la natura di reato di pericolo concreto “comporta che ogni condotta idonea concretamente – a pregiudicare la garanzia dei creditori rientra nel fuoco della norma” (Sez. 5, n. 18210 del 03/03/2015, Borella; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 13590 del 24/02/2015, Nardelli). Infatti, come messo in luce, all’esito di un’approfondita disamina della giurisprudenza di questa Corte e sulla base di coordinate interpretative condivise dal Collegio, da Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, “l’offensività della condotta è limitata ai fatti che creano un pericolo concreto”, ossia allorquando possa affermarsi che “la diminuzione della consistenza patrimoniale comporta uno squilibrio tra attività e passività”, risultando, pertanto, l’atto depauperativo idoneo a “creare un vulnus all’integrità della garanzia dei creditori in caso di apertura della procedura concorsuale”. Nella medesima linea interpretativa, si è affermato che la bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto (Sez. 5, n. 38325 del 03/10/2013, Ferro, Rv. 260378, in motivazione; conf. Sez. 5, n. 33181 del 13/03/2014, Gatti Kraus; Sez. 5, n. 33527 del 19/02/2015, Giacomini; Sez. 5, n. 19548 del 09/01/2015, Merodi), rispetto al quale l’esito concorsuale va inteso come “come prospettiva nella quale deve essere valutata l’effettiva offensività della condotta” (Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi, in motivazione): prospettiva, questa, che, per non svilire la capacità selettiva della configurazione della fattispecie come reato di pericolo concreto, non può prescindere dalla valutazione dell’attitudine del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce della specifica, complessiva condizione in cui versa l’impresa.
Espressione del riconoscimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale della natura di reato di pericolo concreto è, del resto, il costante indirizzo di questa Corte in tema di bancarotta “riparata”, che si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno (Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Lelli, Rv. 261347), sicchè l’attività di segno contrario che annulli la sottrazione deve reintegrare il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, evitando che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza (Sez. 5, n. 50289 del 07/07/2015, P.M. in proc. Mollica, Rv. 265903).
4.3. La natura di reato di pericolo concreto rivestita dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale assume poi un particolare rilievo con riguardo alla configurazione dell’elemento psicologico del reato, nonchè, come si vedrà, alla definizione dei corrispondenti oneri motivazionali in capo al giudice di merito: profilo, quest’ultimo, che contribuisce, per un verso, a delineare ulteriormente l’approccio alla questione della distanza temporale tra fatti di bancarotta e sentenza dichiarativa di fallimento e, per altro verso, conferma la rispondenza della norma incriminatrice, così come interpretata dal diritto vivente, ai principi costituzionali in tema, segnatamente, di colpevolezza.
Al riguardo, in disparte le fattispecie di bancarotta fraudolenta mediante esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, per le quali è richiesta la sussistenza del dolo specifico rappresentato dallo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 45431 del 26/10/2004, Di Trapani, Rv. 230353), l’orientamento del tutto consolidato della giurisprudenza di questa Corte ancora una volta capace di render ragione dell’erroneità della prospettiva ricostruttiva accolta dalla sentenza Corvetta – è stato di recente ribadito dalle Sezioni unite, attraverso il principio di diritto in forza del quale l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805): su un piano generale, infatti, “per integrare l’elemento psicologico del delitto in questione non occorre che l’impresa sia in stato di dissesto e che di tale stato sia consapevole l’agente” (Sez. 5, n. 29896 del 01/07/2002, Arienti, Rv. 222388; conf. Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879). Fuori dall’ipotesi di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, dunque, l’elemento psicologico della bancarotta fraudolenta patrimoniale va ravvisato nel “dolo generico, cioè nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori”, consapevolezza che “deve essere desunta da tutti gli elementi che caratterizzano la condotta dell’imputato con una analisi puntuale degli stessi” (Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, Rv. 214863).
Ricostruito l’elemento psicologico della bancarotta fraudolenta patrimoniale in termini di dolo generico, i suoi specifici contenuti sono delineati dalla giurisprudenza di legittimità valorizzando la riconducibilità della fattispecie nel genus dei reati di pericolo concreto: il progressivo approfondimento della portata di tali contenuti ha condotto infatti questa Corte a ritenere che, per la sussistenza del dolo di bancarotta patrimoniale, sia necessaria “la rappresentazione da parte dell’agente della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice” (Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi, cit.). Lungi dall’esaurirsi nella rappresentazione e nella volizione del fatto distrattivo, dissipativo, etc., il dolo di bancarotta investe anche la pericolosità di tali fatti rispetto alla preservazione della garanzia patrimoniale dei creditori: in questa prospettiva, “la “fraudolenza”, intesa come connotato interno alla distrazione, implica, dal punto di vista soggettivo, che la condotta di tutti coloro che si predica concorrono nella attività distrattiva risulti perlomeno assistita dalla consapevolezza che si stanno compiendo operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare danno ai creditori” (Sez. 5, n. 9807 del 13/02/2006, Caimmi, Rv. 234232, in motivazione). Consapevolezza, questa integrante il dolo di bancarotta in correlazione alla necessaria “fraudolenza” del fatto distrattivo, che non può comunque essere confusa con un dolo specifico, estraneo alla fattispecie in esame: invero, l’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione o per occultamento è il dolo generico e consiste nella “coscienza e volontà di compiere gli atti di distrazione o di occultamento, per i quali, sebbene abbiano la sostanza della frode, non è richiesto il fine specifico di recare pregiudizio ai creditori” (Sez. 5, n. 14905 del 25/02/1977, Marzollo, Rv. 137341). La pericolosità concreta del fatto di bancarotta patrimoniale, declinata in correlazione con la sua intrinseca “fraudolenza”, richiede che la relativa condotta “risulti assistita dalla consapevolezza di dare al patrimonio sociale o a talune attività una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori”, occorrendo, in altri termini, che l’agente, pur non perseguendo direttamente il danno dei creditori, “sia quantomeno in condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo (…), anche remoto ma concreto” (Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006, De Rosa, Rv. 233413, in motivazione).
4.4. In questa prospettiva, anche le questioni che ruotano intorno, da un lato, alla distanza temporale, nella vicenda complessiva dell’imprenditore o dell’impresa falliti, tra fatto – astrattamente – di bancarotta e sentenza dichiarativa di fallimento e, dall’altro, alla concreta pericolosità del fatto distrattivo non possono essere distolte dal piano della prova del reato di pericolo concreto e, segnatamente, del correlato elemento psicologico, nonchè dei relativi oneri motivazionali del giudice di merito. Invero, “la definizione del dolo generico del reato in termini di consapevolezza e volontà di determinare, col proprio comportamento distrattivo o dissipativo, un “pericolo di danno per i creditori” si traduce nel riconoscimento che “il reato in esame punisce non già, indifferentemente e sempre, qualsiasi atto in diminuzione del patrimonio della società ma soltanto e tutti quelli che quell’effetto sono idonei a produrre in concreto, con esclusione, pertanto, di tutte le operazioni o iniziative di entità minima o comunque particolarmente ridotta e tali, soprattutto se isolate o realizzate quando la società era in bonis, da non essere capaci di comportare una alterazione sensibile della funzione di garanzia del patrimonio” (Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 261446); fatti, questi ultimi, che si rivelano in radice – già sotto il profilo dell’elemento oggettivo – insuscettibili di essere ascritti al paradigma della fraudolenza. All’estremo opposto, la casistica giurisprudenziale consegna, non sporadicamente, casi in cui la fattispecie concreta dà conto, in termini di immediata evidenza dimostrativa (e al di fuori di qualsiasi logica presuntiva), della “fraudolenza” del fatto di bancarotta patrimoniale e, dunque, non solo dell’elemento materiale, ma anche del dolo del reato in esame: ciò in ragione dei più vari fattori, quali, ad esempio, il collocarsi del singolo fatto in una sequenza di condotte di spoliazione dell’impresa poi fallita ovvero in una fase di già conclamata decozione della stessa.
Fuori dei casi “estremi” cui si è fatto cenno, la motivazione della decisione di merito deve dar conto – oltre che della connotazione del fatto in termini di pericolo concreto, secondo quanto già rilevato – della riconoscibilità del dolo generico sulla base di una puntuale analisi (Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, cit.) della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità, rifuggendo da qualsiasi approccio astrattizzante e ricercando appunto nel caso di specie i possibili (positivi o negativi) “indici di fraudolenza” necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori e, dall’altro, alla proiezione soggettiva di tale concreta messa in pericolo: “indici di fraudolenza” rinvenibili, ad esempio, nella disamina del fatto distrattivo, dissipativo, etc. alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata; nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’imprenditore o dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi; nella “distanza” (e, segnatamente, nell’irriducibile estraneità) del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale: con la precisazione, in merito a quest’ultimo, possibile, “indice di fraudolenza”, che la riconducibilità della condotta ad una anomala gestione dei beni dell’impresa (cfr. Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi, cit.) viene in rilievo al solo fine dell’accertamento del dolo secondo i consueti canoni utilizzati, come subito si vedrà, dalla giurisprudenza e non certo per operare un sindacato sull’opportunità delle scelte discrezionali dell’imprenditore, sindacato precluso anche al giudice civile, come costantemente affermato in sede civile da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 3409 del 12/02/2013, Rv. 625022; conf. Sez. 1, Sentenza n. 1783 del 02/02/2015, Rv. 634421; Sez. 1, Sentenza n. 3652 del 28/04/1997, Rv. 503948).
In ogni caso, mette conto sottolineare che, al di là di qualsiasi esemplicazione casistica (inevitabilmente esposta al rischio di accreditare, come si è detto, impropri approcci astrattizzanti), l’onere motivazionale relativo alla sussistenza del dolo generico di bancarotta fraudolenta patrimoniale è, nella sua essenza, del tutto analogo a quello che, in generale, è imposto al giudice penale nell’accertamento del dolo, accertamento che, per sua natura, deve far leva su dati esteriori e obiettivi, valutati, nella loro valenza dimostrativa, sulla base di massime di esperienza: ossia, su un modus procedendi, che “consiste nell’inferire da circostanze esteriori significative di un atteggiamento psichico l’esistenza di una rappresentazione e di una volizione, sulla base di regole di esperienza” (Sez. 6, n. 2800 del 08/02/1995, Rv. 200809, in motivazione), del quale la motivazione deve render ragione restando “saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica e delle massime di comune esperienza, al nucleo fondamentale delle risultanze del complessivo quadro probatorio” (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, in motivazione). Al richiamo ai consolidati canoni argomentativi e motivazionali in tema di accertamento del dolo, deve solo aggiungersi l’ulteriore puntualizzazione che, con riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, la base conoscitiva costituita dai dati esteriori sui quali deve incentrarsi l’indicato modus procedendi deve essere orientata, come si è detto, alla ricerca dei possibili “indici di fraudolenza” espressivi della consapevolezza della concreta pericolosità, rispetto alle ragioni creditorie, del fatto di bancarotta, sicchè l’ampiezza di tale base deve essere inevitabilmente commisurata al grado di significatività di detti indici.
4.5. Riassumendo le conclusioni fin qui raggiunte, le fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale hanno natura di reato di pericolo concreto, sicchè, per il loro perfezionamento, è esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta ed il successivo fallimento, laddove i fatti di bancarotta possono assumere rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando l’impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza, come da ultimo ribadito da Sez. U Passarelli: in quanto reato di pericolo concreto è comunque necessario, da un lato, che il fatto di bancarotta abbia determinato un depauperamento dell’impresa e un effettivo pericolo per la conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa da valutare nella prospettiva dell’esito concorsuale e sulla base dell’idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce delle specifiche condizioni dell’impresa e, dall’altro, che tale effettivo pericolo non sia stato neutralizzato da una successiva attività “riparatoria” di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento.
Fuori dall’ipotesi di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, l’elemento psicologico della bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ma è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori; in quanto afferente a un reato di pericolo concreto, caratterizzato dalla “fraudolenza” come connotato interno del fatto, il dolo generico della bancarotta fraudolenta patrimoniale richiede comunque la rappresentazione da parte dell’agente della pericolosità della condotta distrattiva, dissipativa, etc., da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la consapevole volontà del compimento di operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare un danno ai creditori. L’accertamento dell’elemento oggettivo del reato di pericolo concreto e del dolo generico deve basarsi sugli ordinari criteri, valorizzando, in particolare, la ricerca di “indici di fraudolenza” necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori e alla relativa proiezione soggettiva, ossia all’accertamento, in capo all’agente, della consapevolezza e della volontà della condotta in concreto pericolosa. Indici della cui valenza dimostrativa il giudice penale – fuori dei casi di immediata evidenza dell’estraneità o, viceversa, della riconducibilità del fatto al paradigma della fraudolenza – deve dar conto con motivazione che renda ragione della puntuale analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità e delle massime di esperienza utilizzate nel procedimento valutativo.
4.6. Così ricostruita la natura giuridica della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la conseguente individuazione, tra i requisiti della fattispecie, in particolare, del concreto pericolo per la conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa, sotto il profilo oggettivo, e, sotto quello soggettivo, del dolo generico, consistente nella consapevolezza della pericolosità della condotta intesa come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale, delinea gli elementi significativi della fattispecie tipica che concorrono a contrassegnarne il disvalore in termini del tutto in linea con il principio di offensività e con quello di colpevolezza. Quanto al primo, infatti, deve ribadirsi che “reputare sufficiente – in sede di interpretazione ed applicazione della fattispecie – la constatazione in sè dell’atto distrattivo equivale ad aderire ad una ricostruzione di quella in termini di “pericolo presunto”” (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, cit.): al contrario, la necessaria valorizzazione – sul piano dell’interpretazione della norma incriminatrice e dell’applicazione della stessa attraverso la definizione degli oneri motivazionali del giudice di merito della pregnanza offensiva implicata dalla natura di reato di pericolo concreto (oltre che dallo stesso profilo di disvalore insito nelle definizioni normative delle condotte di distrazione, dissipazione, etc.) assicura al principio di offensività il suo necessario dispiegarsi anche quale “criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato” (Corte cost., sent. n. 265 del 2005; conf., ex plurimis, Corte cost., sent. n. 225 del 2008; nella stessa prospettiva, cfr. Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia): esigenza, questa della valorizzazione del principio di offensività quale criterio-guida dell’interpretazione, all’evidenza imprescindibile con riferimento ad un reato di pericolo concreto quale quello in esame. Quanto al secondo, il principio di colpevolezza è salvaguardato dalla ricostruzione della fattispecie nei termini prospettati, posto che, come la giurisprudenza di questa Corte, ha avuto modo di osservare, “oggetto dell’addebito è l’atto lesivo del patrimonio posto a garanzia dei creditori, ritenuto tale per il suo carattere ingiustificato (nell’ottica della finalità assegnata al patrimonio societario) e destinato ad essere l’oggetto sul quale si parametra la consapevolezza e volontà dell’agente e la sua rimproverabilità” (Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, cit.).
Nè la configurazione della sentenza dichiarativa di fallimento in termini di condizione obiettiva di punibilità, proposta da una recente pronuncia di questa Corte (Sez. 5, n. 13910 del 08/02/17, Santoro, Rv. 269388, che richiama Sez. U. Passarelli) in contrasto con l’orientamento consolidato che la riconduce, sia pure in termini non in toto sovrapponibili, nel novero degli elementi costitutivi del reato (Sez. U., 25/01/1958, Mezzo; Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli; Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, P.M. in proc. Loy, nonchè, ex plurimis, Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi; Sez. 5, n. 32031 del 07/05/2014, Daccò; Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi), può sterilizzare “l’esigenza di una indagine sulla imputabilità soggettiva del pericolo concreto per la massa dei creditori”, non potendosi comunque “negare rilevanza all’indagine sulle implicazioni soggettive della qualificazione della bancarotta fraudolenta pre-fallimentare come reato di pericolo concreto” (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, cit.). Invero, come si è accennato, gli “elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie”, per i quali è necessario un collegamento soggettivo all’agente (Corte cost., sent. n. 1085 del 1988) devono essere individuati nei connotati, nei termini indicati, della bancarotta fraudolenta per distrazione quale reato di pericolo concreto e nella correlata configurazione dei contenuti del dolo: connotati dell’elemento oggettivo e contenuti di quello soggettivo che, con la definizione dei corrispondenti oneri motivazionali del giudice di merito, rappresentano approdi interpretativi imprescindibili ai fini della piena aderenza del “diritto vivente” ai principi di offensività e di colpevolezza. Tali approdi, può aggiungersi, rendono ragione della posizione espressa dal giudice delle leggi in ordine alla natura e al ruolo della sentenza dichiarativa di fallimento quando pronunciandosi sulla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 82, comma 2, (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e L. Fall., art. 202, nella parte in cui prevede che la dichiarazione giudiziale dello stato d’insolvenza successiva al decreto di sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa di una banca possa essere pronunciata anche dopo il decorso di un anno dalla data di emissione di tale decreto – ha rilevato, con riguardo alla possibile divaricazione temporale tra momento di realizzazione della condotta materiale dei reati di bancarotta e momento consumativo di tali reati posta a fondamento di una delle eccezioni, che “si tratta di situazione consequenziale alla scelta discrezionale del legislatore di configurare la sentenza di fallimento (o di accertamento dello stato di insolvenza di impresa) o come elemento costitutivo del reato (secondo la prevalente giurisprudenza), o come condizione obiettiva del reato, ovvero come condizione per la produzione dell’evento costituito dalla lesione o messa in pericolo dell’interesse tutelato dalla norma penale (secondo diverse impostazioni della dottrina)” (Corte cost., sent. n. 301 del 2005).
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Alla luce dei principi di diritto richiamati, le doglianze relative all’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale devono essere accolte, nei termini di seguito indicati.
In limine, è necessario rimarcare che i fatti distrattivi contestati agli imputati riguardano esclusivamente i beni strumentali indicati nell’imputazione (la cui esistenza prima del mancato rinvenimento da parte degli organi fallimentari, peraltro, non è contestata dagli imputati): solo tali beni, del resto, sono stati presi in considerazione dalla sentenza di primo grado nell’affermare la responsabilità degli imputati per il capo in esame. Pertanto, al di là delle incongruenze e delle carenze nelle scritture e nei libri contabili correttamente valorizzate, come si è visto, dalla Corte distrettuale con riguardo all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale, restano privi di rilevanza i vari riferimenti della sentenza di appello a fatti distrattivi diversi da quelli contestati e ritenuti sussistenti dal Tribunale di Trani.
In ordine ai beni aziendali di cui all’imputazione, la Corte di appello, da un lato, ha richiamato quanto riferito da S. secondo cui detti beni erano stati ceduti in permuta ad un’azienda di cui non ricordava il nome, mentre, dall’altro, ha condiviso la valutazione difensiva circa il modesto valore dei beni distratti, rilevando, tuttavia, che non può presumersi una condotta di “leggerezza” in virtù dell’obsolescenza dei beni (peraltro di difficile comprensione in relazione a beni quali il climatizzatore), in quanto sarebbe stato interesse della società far risultare la permuta.
Nei termini indicati, la sentenza impugnata non è immune dal vizio motivazionale denunciato. A fronte dell’impugnazione della sentenza di primo grado che deduceva la totale assenza di frode richiamando, da una parte, un punto specifico della relazione del consulente tecnico del pubblico ministero in cui si evidenziava come i beni in questione non fossero più utilizzati nel ciclo produttivo per obsolescenza e, dall’altra, il modesto valore anche contabile degli stessi, la sentenza impugnata si sottrae alla necessaria valutazione del dato probatorio richiamato dagli appellanti e, più in generale, all’apprezzamento della riconoscibilità, nel fatto di cui all’imputazione, dei connotati del pericolo concreto: la motivazione resa dalla Corte distrettuale, dunque, è del tutto carente sul piano dell’accertamento di un vulnus all’integrità della garanzia dei creditori riconducibile allo squilibrio patrimoniale determinato dalla diminuzione patrimoniale relativa ai beni aziendali di cui all’imputazione (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta). Analoga carenza si registra con riguardo all’elemento psicologico: pur dovendosi escludere, alla luce dei rilievi svolti, che ai fini dell’integrazione della fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione sia necessario, come sostenuto dai ricorrenti, il dolo specifico, manca, comunque, nella motivazione del giudice di appello – al quale era stato devoluto l’esame del punto in questione – qualsiasi rilievo circa la riconoscibilità, in capo agli imputati, di una consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e, soprattutto, di compiere atti idonei a cagionare danno ai creditori (Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, cit.).
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Di conseguenza, per le ragioni indicate, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al capo relativo al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Bari, che, nel quadro dei principi di diritto richiamati supra, conserva nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nella valutazione di essi (Sez. 1, n. 803 del 10/02/1998, dep. 10/03/1998, Scuotto, Rv. 210016), potendo procedere ad un nuovo esame del compendio probatorio con il solo limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, dep. 29/02/2012, Montali, Rv. 252333); nel resto, i ricorsi devono invece essere rigettati.